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     1  LA DIVINA COMMEDIA
     2  di Dante Alighieri
     3  
     4  
     5  
     6  
     7  
     8  INFERNO
     9  
    10  
    11  
    12  
    13  Inferno · Canto I
    14  
    15  
    16  Nel mezzo del cammin di nostra vita
    17  mi ritrovai per una selva oscura,
    18  ché la diritta via era smarrita.
    19  
    20  Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
    21  esta selva selvaggia e aspra e forte
    22  che nel pensier rinova la paura!
    23  
    24  Tant’ è amara che poco è più morte;
    25  ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
    26  dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
    27  
    28  Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai,
    29  tant’ era pien di sonno a quel punto
    30  che la verace via abbandonai.
    31  
    32  Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
    33  là dove terminava quella valle
    34  che m’avea di paura il cor compunto,
    35  
    36  guardai in alto e vidi le sue spalle
    37  vestite già de’ raggi del pianeta
    38  che mena dritto altrui per ogne calle.
    39  
    40  Allor fu la paura un poco queta,
    41  che nel lago del cor m’era durata
    42  la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
    43  
    44  E come quei che con lena affannata,
    45  uscito fuor del pelago a la riva,
    46  si volge a l’acqua perigliosa e guata,
    47  
    48  così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
    49  si volse a retro a rimirar lo passo
    50  che non lasciò già mai persona viva.
    51  
    52  Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
    53  ripresi via per la piaggia diserta,
    54  sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
    55  
    56  Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
    57  una lonza leggera e presta molto,
    58  che di pel macolato era coverta;
    59  
    60  e non mi si partia dinanzi al volto,
    61  anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
    62  ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
    63  
    64  Temp’ era dal principio del mattino,
    65  e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
    66  ch’eran con lui quando l’amor divino
    67  
    68  mosse di prima quelle cose belle;
    69  sì ch’a bene sperar m’era cagione
    70  di quella fiera a la gaetta pelle
    71  
    72  l’ora del tempo e la dolce stagione;
    73  ma non sì che paura non mi desse
    74  la vista che m’apparve d’un leone.
    75  
    76  Questi parea che contra me venisse
    77  con la test’ alta e con rabbiosa fame,
    78  sì che parea che l’aere ne tremesse.
    79  
    80  Ed una lupa, che di tutte brame
    81  sembiava carca ne la sua magrezza,
    82  e molte genti fé già viver grame,
    83  
    84  questa mi porse tanto di gravezza
    85  con la paura ch’uscia di sua vista,
    86  ch’io perdei la speranza de l’altezza.
    87  
    88  E qual è quei che volontieri acquista,
    89  e giugne ’l tempo che perder lo face,
    90  che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
    91  
    92  tal mi fece la bestia sanza pace,
    93  che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
    94  mi ripigneva là dove ’l sol tace.
    95  
    96  Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
    97  dinanzi a li occhi mi si fu offerto
    98  chi per lungo silenzio parea fioco.
    99  
   100  Quando vidi costui nel gran diserto,
   101  «Miserere di me», gridai a lui,
   102  «qual che tu sii, od ombra od omo certo!».
   103  
   104  Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
   105  e li parenti miei furon lombardi,
   106  mantoani per patrïa ambedui.
   107  
   108  Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
   109  e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
   110  nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
   111  
   112  Poeta fui, e cantai di quel giusto
   113  figliuol d’Anchise che venne di Troia,
   114  poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.
   115  
   116  Ma tu perché ritorni a tanta noia?
   117  perché non sali il dilettoso monte
   118  ch’è principio e cagion di tutta gioia?».
   119  
   120  «Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
   121  che spandi di parlar sì largo fiume?»,
   122  rispuos’ io lui con vergognosa fronte.
   123  
   124  «O de li altri poeti onore e lume,
   125  vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
   126  che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
   127  
   128  Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
   129  tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
   130  lo bello stilo che m’ha fatto onore.
   131  
   132  Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
   133  aiutami da lei, famoso saggio,
   134  ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».
   135  
   136  «A te convien tenere altro vïaggio»,
   137  rispuose, poi che lagrimar mi vide,
   138  «se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
   139  
   140  ché questa bestia, per la qual tu gride,
   141  non lascia altrui passar per la sua via,
   142  ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
   143  
   144  e ha natura sì malvagia e ria,
   145  che mai non empie la bramosa voglia,
   146  e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
   147  
   148  Molti son li animali a cui s’ammoglia,
   149  e più saranno ancora, infin che ’l veltro
   150  verrà, che la farà morir con doglia.
   151  
   152  Questi non ciberà terra né peltro,
   153  ma sapïenza, amore e virtute,
   154  e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
   155  
   156  Di quella umile Italia fia salute
   157  per cui morì la vergine Cammilla,
   158  Eurialo e Turno e Niso di ferute.
   159  
   160  Questi la caccerà per ogne villa,
   161  fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
   162  là onde ’nvidia prima dipartilla.
   163  
   164  Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno
   165  che tu mi segui, e io sarò tua guida,
   166  e trarrotti di qui per loco etterno;
   167  
   168  ove udirai le disperate strida,
   169  vedrai li antichi spiriti dolenti,
   170  ch’a la seconda morte ciascun grida;
   171  
   172  e vederai color che son contenti
   173  nel foco, perché speran di venire
   174  quando che sia a le beate genti.
   175  
   176  A le quai poi se tu vorrai salire,
   177  anima fia a ciò più di me degna:
   178  con lei ti lascerò nel mio partire;
   179  
   180  ché quello imperador che là sù regna,
   181  perch’ i’ fu’ ribellante a la sua legge,
   182  non vuol che ’n sua città per me si vegna.
   183  
   184  In tutte parti impera e quivi regge;
   185  quivi è la sua città e l’alto seggio:
   186  oh felice colui cu’ ivi elegge!».
   187  
   188  E io a lui: «Poeta, io ti richeggio
   189  per quello Dio che tu non conoscesti,
   190  acciò ch’io fugga questo male e peggio,
   191  
   192  che tu mi meni là dov’ or dicesti,
   193  sì ch’io veggia la porta di san Pietro
   194  e color cui tu fai cotanto mesti».
   195  
   196  Allor si mosse, e io li tenni dietro.
   197  
   198  
   199  
   200  Inferno · Canto II
   201  
   202  
   203  Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
   204  toglieva li animai che sono in terra
   205  da le fatiche loro; e io sol uno
   206  
   207  m’apparecchiava a sostener la guerra
   208  sì del cammino e sì de la pietate,
   209  che ritrarrà la mente che non erra.
   210  
   211  O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
   212  o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
   213  qui si parrà la tua nobilitate.
   214  
   215  Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
   216  guarda la mia virtù s’ell’ è possente,
   217  prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.
   218  
   219  Tu dici che di Silvïo il parente,
   220  corruttibile ancora, ad immortale
   221  secolo andò, e fu sensibilmente.
   222  
   223  Però, se l’avversario d’ogne male
   224  cortese i fu, pensando l’alto effetto
   225  ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale
   226  
   227  non pare indegno ad omo d’intelletto;
   228  ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
   229  ne l’empireo ciel per padre eletto:
   230  
   231  la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
   232  fu stabilita per lo loco santo
   233  u’ siede il successor del maggior Piero.
   234  
   235  Per quest’ andata onde li dai tu vanto,
   236  intese cose che furon cagione
   237  di sua vittoria e del papale ammanto.
   238  
   239  Andovvi poi lo Vas d’elezïone,
   240  per recarne conforto a quella fede
   241  ch’è principio a la via di salvazione.
   242  
   243  Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?
   244  Io non Enëa, io non Paulo sono;
   245  me degno a ciò né io né altri ’l crede.
   246  
   247  Per che, se del venire io m’abbandono,
   248  temo che la venuta non sia folle.
   249  Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono».
   250  
   251  E qual è quei che disvuol ciò che volle
   252  e per novi pensier cangia proposta,
   253  sì che dal cominciar tutto si tolle,
   254  
   255  tal mi fec’ ïo ’n quella oscura costa,
   256  perché, pensando, consumai la ’mpresa
   257  che fu nel cominciar cotanto tosta.
   258  
   259  «S’i’ ho ben la parola tua intesa»,
   260  rispuose del magnanimo quell’ ombra,
   261  «l’anima tua è da viltade offesa;
   262  
   263  la qual molte fïate l’omo ingombra
   264  sì che d’onrata impresa lo rivolve,
   265  come falso veder bestia quand’ ombra.
   266  
   267  Da questa tema acciò che tu ti solve,
   268  dirotti perch’ io venni e quel ch’io ’ntesi
   269  nel primo punto che di te mi dolve.
   270  
   271  Io era tra color che son sospesi,
   272  e donna mi chiamò beata e bella,
   273  tal che di comandare io la richiesi.
   274  
   275  Lucevan li occhi suoi più che la stella;
   276  e cominciommi a dir soave e piana,
   277  con angelica voce, in sua favella:
   278  
   279  “O anima cortese mantoana,
   280  di cui la fama ancor nel mondo dura,
   281  e durerà quanto ’l mondo lontana,
   282  
   283  l’amico mio, e non de la ventura,
   284  ne la diserta piaggia è impedito
   285  sì nel cammin, che vòlt’ è per paura;
   286  
   287  e temo che non sia già sì smarrito,
   288  ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
   289  per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.
   290  
   291  Or movi, e con la tua parola ornata
   292  e con ciò c’ha mestieri al suo campare,
   293  l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata.
   294  
   295  I’ son Beatrice che ti faccio andare;
   296  vegno del loco ove tornar disio;
   297  amor mi mosse, che mi fa parlare.
   298  
   299  Quando sarò dinanzi al segnor mio,
   300  di te mi loderò sovente a lui”.
   301  Tacette allora, e poi comincia’ io:
   302  
   303  “O donna di virtù sola per cui
   304  l’umana spezie eccede ogne contento
   305  di quel ciel c’ha minor li cerchi sui,
   306  
   307  tanto m’aggrada il tuo comandamento,
   308  che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
   309  più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento.
   310  
   311  Ma dimmi la cagion che non ti guardi
   312  de lo scender qua giuso in questo centro
   313  de l’ampio loco ove tornar tu ardi”.
   314  
   315  “Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
   316  dirotti brievemente”, mi rispuose,
   317  “perch’ i’ non temo di venir qua entro.
   318  
   319  Temer si dee di sole quelle cose
   320  c’hanno potenza di fare altrui male;
   321  de l’altre no, ché non son paurose.
   322  
   323  I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,
   324  che la vostra miseria non mi tange,
   325  né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale.
   326  
   327  Donna è gentil nel ciel che si compiange
   328  di questo ’mpedimento ov’ io ti mando,
   329  sì che duro giudicio là sù frange.
   330  
   331  Questa chiese Lucia in suo dimando
   332  e disse:—Or ha bisogno il tuo fedele
   333  di te, e io a te lo raccomando—.
   334  
   335  Lucia, nimica di ciascun crudele,
   336  si mosse, e venne al loco dov’ i’ era,
   337  che mi sedea con l’antica Rachele.
   338  
   339  Disse:—Beatrice, loda di Dio vera,
   340  ché non soccorri quei che t’amò tanto,
   341  ch’uscì per te de la volgare schiera?
   342  
   343  Non odi tu la pieta del suo pianto,
   344  non vedi tu la morte che ’l combatte
   345  su la fiumana ove ’l mar non ha vanto?—.
   346  
   347  Al mondo non fur mai persone ratte
   348  a far lor pro o a fuggir lor danno,
   349  com’ io, dopo cotai parole fatte,
   350  
   351  venni qua giù del mio beato scanno,
   352  fidandomi del tuo parlare onesto,
   353  ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”.
   354  
   355  Poscia che m’ebbe ragionato questo,
   356  li occhi lucenti lagrimando volse,
   357  per che mi fece del venir più presto.
   358  
   359  E venni a te così com’ ella volse:
   360  d’inanzi a quella fiera ti levai
   361  che del bel monte il corto andar ti tolse.
   362  
   363  Dunque: che è? perché, perché restai,
   364  perché tanta viltà nel core allette,
   365  perché ardire e franchezza non hai,
   366  
   367  poscia che tai tre donne benedette
   368  curan di te ne la corte del cielo,
   369  e ’l mio parlar tanto ben ti promette?».
   370  
   371  Quali fioretti dal notturno gelo
   372  chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
   373  si drizzan tutti aperti in loro stelo,
   374  
   375  tal mi fec’ io di mia virtude stanca,
   376  e tanto buono ardire al cor mi corse,
   377  ch’i’ cominciai come persona franca:
   378  
   379  «Oh pietosa colei che mi soccorse!
   380  e te cortese ch’ubidisti tosto
   381  a le vere parole che ti porse!
   382  
   383  Tu m’hai con disiderio il cor disposto
   384  sì al venir con le parole tue,
   385  ch’i’ son tornato nel primo proposto.
   386  
   387  Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
   388  tu duca, tu segnore e tu maestro».
   389  Così li dissi; e poi che mosso fue,
   390  
   391  intrai per lo cammino alto e silvestro.
   392  
   393  
   394  
   395  Inferno · Canto III
   396  
   397  
   398  ‘Per me si va ne la città dolente,
   399  per me si va ne l’etterno dolore,
   400  per me si va tra la perduta gente.
   401  
   402  Giustizia mosse il mio alto fattore;
   403  fecemi la divina podestate,
   404  la somma sapïenza e ’l primo amore.
   405  
   406  Dinanzi a me non fuor cose create
   407  se non etterne, e io etterno duro.
   408  Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.
   409  
   410  Queste parole di colore oscuro
   411  vid’ ïo scritte al sommo d’una porta;
   412  per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».
   413  
   414  Ed elli a me, come persona accorta:
   415  «Qui si convien lasciare ogne sospetto;
   416  ogne viltà convien che qui sia morta.
   417  
   418  Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto
   419  che tu vedrai le genti dolorose
   420  c’hanno perduto il ben de l’intelletto».
   421  
   422  E poi che la sua mano a la mia puose
   423  con lieto volto, ond’ io mi confortai,
   424  mi mise dentro a le segrete cose.
   425  
   426  Quivi sospiri, pianti e alti guai
   427  risonavan per l’aere sanza stelle,
   428  per ch’io al cominciar ne lagrimai.
   429  
   430  Diverse lingue, orribili favelle,
   431  parole di dolore, accenti d’ira,
   432  voci alte e fioche, e suon di man con elle
   433  
   434  facevano un tumulto, il qual s’aggira
   435  sempre in quell’ aura sanza tempo tinta,
   436  come la rena quando turbo spira.
   437  
   438  E io ch’avea d’error la testa cinta,
   439  dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo?
   440  e che gent’ è che par nel duol sì vinta?».
   441  
   442  Ed elli a me: «Questo misero modo
   443  tegnon l’anime triste di coloro
   444  che visser sanza ’nfamia e sanza lodo.
   445  
   446  Mischiate sono a quel cattivo coro
   447  de li angeli che non furon ribelli
   448  né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
   449  
   450  Caccianli i ciel per non esser men belli,
   451  né lo profondo inferno li riceve,
   452  ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli».
   453  
   454  E io: «Maestro, che è tanto greve
   455  a lor che lamentar li fa sì forte?».
   456  Rispuose: «Dicerolti molto breve.
   457  
   458  Questi non hanno speranza di morte,
   459  e la lor cieca vita è tanto bassa,
   460  che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte.
   461  
   462  Fama di loro il mondo esser non lassa;
   463  misericordia e giustizia li sdegna:
   464  non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
   465  
   466  E io, che riguardai, vidi una ’nsegna
   467  che girando correva tanto ratta,
   468  che d’ogne posa mi parea indegna;
   469  
   470  e dietro le venìa sì lunga tratta
   471  di gente, ch’i’ non averei creduto
   472  che morte tanta n’avesse disfatta.
   473  
   474  Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
   475  vidi e conobbi l’ombra di colui
   476  che fece per viltade il gran rifiuto.
   477  
   478  Incontanente intesi e certo fui
   479  che questa era la setta d’i cattivi,
   480  a Dio spiacenti e a’ nemici sui.
   481  
   482  Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
   483  erano ignudi e stimolati molto
   484  da mosconi e da vespe ch’eran ivi.
   485  
   486  Elle rigavan lor di sangue il volto,
   487  che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
   488  da fastidiosi vermi era ricolto.
   489  
   490  E poi ch’a riguardar oltre mi diedi,
   491  vidi genti a la riva d’un gran fiume;
   492  per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi
   493  
   494  ch’i’ sappia quali sono, e qual costume
   495  le fa di trapassar parer sì pronte,
   496  com’ i’ discerno per lo fioco lume».
   497  
   498  Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
   499  quando noi fermerem li nostri passi
   500  su la trista riviera d’Acheronte».
   501  
   502  Allor con li occhi vergognosi e bassi,
   503  temendo no ’l mio dir li fosse grave,
   504  infino al fiume del parlar mi trassi.
   505  
   506  Ed ecco verso noi venir per nave
   507  un vecchio, bianco per antico pelo,
   508  gridando: «Guai a voi, anime prave!
   509  
   510  Non isperate mai veder lo cielo:
   511  i’ vegno per menarvi a l’altra riva
   512  ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo.
   513  
   514  E tu che se’ costì, anima viva,
   515  pàrtiti da cotesti che son morti».
   516  Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
   517  
   518  disse: «Per altra via, per altri porti
   519  verrai a piaggia, non qui, per passare:
   520  più lieve legno convien che ti porti».
   521  
   522  E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
   523  vuolsi così colà dove si puote
   524  ciò che si vuole, e più non dimandare».
   525  
   526  Quinci fuor quete le lanose gote
   527  al nocchier de la livida palude,
   528  che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
   529  
   530  Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude,
   531  cangiar colore e dibattero i denti,
   532  ratto che ’nteser le parole crude.
   533  
   534  Bestemmiavano Dio e lor parenti,
   535  l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme
   536  di lor semenza e di lor nascimenti.
   537  
   538  Poi si ritrasser tutte quante insieme,
   539  forte piangendo, a la riva malvagia
   540  ch’attende ciascun uom che Dio non teme.
   541  
   542  Caron dimonio, con occhi di bragia
   543  loro accennando, tutte le raccoglie;
   544  batte col remo qualunque s’adagia.
   545  
   546  Come d’autunno si levan le foglie
   547  l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
   548  vede a la terra tutte le sue spoglie,
   549  
   550  similemente il mal seme d’Adamo
   551  gittansi di quel lito ad una ad una,
   552  per cenni come augel per suo richiamo.
   553  
   554  Così sen vanno su per l’onda bruna,
   555  e avanti che sien di là discese,
   556  anche di qua nuova schiera s’auna.
   557  
   558  «Figliuol mio», disse ’l maestro cortese,
   559  «quelli che muoion ne l’ira di Dio
   560  tutti convegnon qui d’ogne paese;
   561  
   562  e pronti sono a trapassar lo rio,
   563  ché la divina giustizia li sprona,
   564  sì che la tema si volve in disio.
   565  
   566  Quinci non passa mai anima buona;
   567  e però, se Caron di te si lagna,
   568  ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona».
   569  
   570  Finito questo, la buia campagna
   571  tremò sì forte, che de lo spavento
   572  la mente di sudore ancor mi bagna.
   573  
   574  La terra lagrimosa diede vento,
   575  che balenò una luce vermiglia
   576  la qual mi vinse ciascun sentimento;
   577  
   578  e caddi come l’uom cui sonno piglia.
   579  
   580  
   581  
   582  Inferno · Canto IV
   583  
   584  
   585  Ruppemi l’alto sonno ne la testa
   586  un greve truono, sì ch’io mi riscossi
   587  come persona ch’è per forza desta;
   588  
   589  e l’occhio riposato intorno mossi,
   590  dritto levato, e fiso riguardai
   591  per conoscer lo loco dov’ io fossi.
   592  
   593  Vero è che ’n su la proda mi trovai
   594  de la valle d’abisso dolorosa
   595  che ’ntrono accoglie d’infiniti guai.
   596  
   597  Oscura e profonda era e nebulosa
   598  tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
   599  io non vi discernea alcuna cosa.
   600  
   601  «Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,
   602  cominciò il poeta tutto smorto.
   603  «Io sarò primo, e tu sarai secondo».
   604  
   605  E io, che del color mi fui accorto,
   606  dissi: «Come verrò, se tu paventi
   607  che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
   608  
   609  Ed elli a me: «L’angoscia de le genti
   610  che son qua giù, nel viso mi dipigne
   611  quella pietà che tu per tema senti.
   612  
   613  Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
   614  Così si mise e così mi fé intrare
   615  nel primo cerchio che l’abisso cigne.
   616  
   617  Quivi, secondo che per ascoltare,
   618  non avea pianto mai che di sospiri
   619  che l’aura etterna facevan tremare;
   620  
   621  ciò avvenia di duol sanza martìri,
   622  ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi,
   623  d’infanti e di femmine e di viri.
   624  
   625  Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
   626  che spiriti son questi che tu vedi?
   627  Or vo’ che sappi, innanzi che più andi,
   628  
   629  ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi,
   630  non basta, perché non ebber battesmo,
   631  ch’è porta de la fede che tu credi;
   632  
   633  e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo,
   634  non adorar debitamente a Dio:
   635  e di questi cotai son io medesmo.
   636  
   637  Per tai difetti, non per altro rio,
   638  semo perduti, e sol di tanto offesi
   639  che sanza speme vivemo in disio».
   640  
   641  Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi,
   642  però che gente di molto valore
   643  conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.
   644  
   645  «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
   646  comincia’ io per voler esser certo
   647  di quella fede che vince ogne errore:
   648  
   649  «uscicci mai alcuno, o per suo merto
   650  o per altrui, che poi fosse beato?».
   651  E quei che ’ntese il mio parlar coverto,
   652  
   653  rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
   654  quando ci vidi venire un possente,
   655  con segno di vittoria coronato.
   656  
   657  Trasseci l’ombra del primo parente,
   658  d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
   659  di Moïsè legista e ubidente;
   660  
   661  Abraàm patrïarca e Davìd re,
   662  Israèl con lo padre e co’ suoi nati
   663  e con Rachele, per cui tanto fé,
   664  
   665  e altri molti, e feceli beati.
   666  E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
   667  spiriti umani non eran salvati».
   668  
   669  Non lasciavam l’andar perch’ ei dicessi,
   670  ma passavam la selva tuttavia,
   671  la selva, dico, di spiriti spessi.
   672  
   673  Non era lunga ancor la nostra via
   674  di qua dal sonno, quand’ io vidi un foco
   675  ch’emisperio di tenebre vincia.
   676  
   677  Di lungi n’eravamo ancora un poco,
   678  ma non sì ch’io non discernessi in parte
   679  ch’orrevol gente possedea quel loco.
   680  
   681  «O tu ch’onori scïenzïa e arte,
   682  questi chi son c’hanno cotanta onranza,
   683  che dal modo de li altri li diparte?».
   684  
   685  E quelli a me: «L’onrata nominanza
   686  che di lor suona sù ne la tua vita,
   687  grazïa acquista in ciel che sì li avanza».
   688  
   689  Intanto voce fu per me udita:
   690  «Onorate l’altissimo poeta;
   691  l’ombra sua torna, ch’era dipartita».
   692  
   693  Poi che la voce fu restata e queta,
   694  vidi quattro grand’ ombre a noi venire:
   695  sembianz’ avevan né trista né lieta.
   696  
   697  Lo buon maestro cominciò a dire:
   698  «Mira colui con quella spada in mano,
   699  che vien dinanzi ai tre sì come sire:
   700  
   701  quelli è Omero poeta sovrano;
   702  l’altro è Orazio satiro che vene;
   703  Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.
   704  
   705  Però che ciascun meco si convene
   706  nel nome che sonò la voce sola,
   707  fannomi onore, e di ciò fanno bene».
   708  
   709  Così vid’ i’ adunar la bella scola
   710  di quel segnor de l’altissimo canto
   711  che sovra li altri com’ aquila vola.
   712  
   713  Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
   714  volsersi a me con salutevol cenno,
   715  e ’l mio maestro sorrise di tanto;
   716  
   717  e più d’onore ancora assai mi fenno,
   718  ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera,
   719  sì ch’io fui sesto tra cotanto senno.
   720  
   721  Così andammo infino a la lumera,
   722  parlando cose che ’l tacere è bello,
   723  sì com’ era ’l parlar colà dov’ era.
   724  
   725  Venimmo al piè d’un nobile castello,
   726  sette volte cerchiato d’alte mura,
   727  difeso intorno d’un bel fiumicello.
   728  
   729  Questo passammo come terra dura;
   730  per sette porte intrai con questi savi:
   731  giugnemmo in prato di fresca verdura.
   732  
   733  Genti v’eran con occhi tardi e gravi,
   734  di grande autorità ne’ lor sembianti:
   735  parlavan rado, con voci soavi.
   736  
   737  Traemmoci così da l’un de’ canti,
   738  in loco aperto, luminoso e alto,
   739  sì che veder si potien tutti quanti.
   740  
   741  Colà diritto, sovra ’l verde smalto,
   742  mi fuor mostrati li spiriti magni,
   743  che del vedere in me stesso m’essalto.
   744  
   745  I’ vidi Eletra con molti compagni,
   746  tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea,
   747  Cesare armato con li occhi grifagni.
   748  
   749  Vidi Cammilla e la Pantasilea;
   750  da l’altra parte vidi ’l re Latino
   751  che con Lavina sua figlia sedea.
   752  
   753  Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
   754  Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;
   755  e solo, in parte, vidi ’l Saladino.
   756  
   757  Poi ch’innalzai un poco più le ciglia,
   758  vidi ’l maestro di color che sanno
   759  seder tra filosofica famiglia.
   760  
   761  Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
   762  quivi vid’ ïo Socrate e Platone,
   763  che ’nnanzi a li altri più presso li stanno;
   764  
   765  Democrito che ’l mondo a caso pone,
   766  Dïogenès, Anassagora e Tale,
   767  Empedoclès, Eraclito e Zenone;
   768  
   769  e vidi il buono accoglitor del quale,
   770  Dïascoride dico; e vidi Orfeo,
   771  Tulïo e Lino e Seneca morale;
   772  
   773  Euclide geomètra e Tolomeo,
   774  Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
   775  Averoìs, che ’l gran comento feo.
   776  
   777  Io non posso ritrar di tutti a pieno,
   778  però che sì mi caccia il lungo tema,
   779  che molte volte al fatto il dir vien meno.
   780  
   781  La sesta compagnia in due si scema:
   782  per altra via mi mena il savio duca,
   783  fuor de la queta, ne l’aura che trema.
   784  
   785  E vegno in parte ove non è che luca.
   786  
   787  
   788  
   789  Inferno · Canto V
   790  
   791  
   792  Così discesi del cerchio primaio
   793  giù nel secondo, che men loco cinghia
   794  e tanto più dolor, che punge a guaio.
   795  
   796  Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
   797  essamina le colpe ne l’intrata;
   798  giudica e manda secondo ch’avvinghia.
   799  
   800  Dico che quando l’anima mal nata
   801  li vien dinanzi, tutta si confessa;
   802  e quel conoscitor de le peccata
   803  
   804  vede qual loco d’inferno è da essa;
   805  cignesi con la coda tante volte
   806  quantunque gradi vuol che giù sia messa.
   807  
   808  Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
   809  vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
   810  dicono e odono e poi son giù volte.
   811  
   812  «O tu che vieni al doloroso ospizio»,
   813  disse Minòs a me quando mi vide,
   814  lasciando l’atto di cotanto offizio,
   815  
   816  «guarda com’ entri e di cui tu ti fide;
   817  non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!».
   818  E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?
   819  
   820  Non impedir lo suo fatale andare:
   821  vuolsi così colà dove si puote
   822  ciò che si vuole, e più non dimandare».
   823  
   824  Or incomincian le dolenti note
   825  a farmisi sentire; or son venuto
   826  là dove molto pianto mi percuote.
   827  
   828  Io venni in loco d’ogne luce muto,
   829  che mugghia come fa mar per tempesta,
   830  se da contrari venti è combattuto.
   831  
   832  La bufera infernal, che mai non resta,
   833  mena li spirti con la sua rapina;
   834  voltando e percotendo li molesta.
   835  
   836  Quando giungon davanti a la ruina,
   837  quivi le strida, il compianto, il lamento;
   838  bestemmian quivi la virtù divina.
   839  
   840  Intesi ch’a così fatto tormento
   841  enno dannati i peccator carnali,
   842  che la ragion sommettono al talento.
   843  
   844  E come li stornei ne portan l’ali
   845  nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
   846  così quel fiato li spiriti mali
   847  
   848  di qua, di là, di giù, di sù li mena;
   849  nulla speranza li conforta mai,
   850  non che di posa, ma di minor pena.
   851  
   852  E come i gru van cantando lor lai,
   853  faccendo in aere di sé lunga riga,
   854  così vid’ io venir, traendo guai,
   855  
   856  ombre portate da la detta briga;
   857  per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle
   858  genti che l’aura nera sì gastiga?».
   859  
   860  «La prima di color di cui novelle
   861  tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta,
   862  «fu imperadrice di molte favelle.
   863  
   864  A vizio di lussuria fu sì rotta,
   865  che libito fé licito in sua legge,
   866  per tòrre il biasmo in che era condotta.
   867  
   868  Ell’ è Semiramìs, di cui si legge
   869  che succedette a Nino e fu sua sposa:
   870  tenne la terra che ’l Soldan corregge.
   871  
   872  L’altra è colei che s’ancise amorosa,
   873  e ruppe fede al cener di Sicheo;
   874  poi è Cleopatràs lussurïosa.
   875  
   876  Elena vedi, per cui tanto reo
   877  tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
   878  che con amore al fine combatteo.
   879  
   880  Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
   881  ombre mostrommi e nominommi a dito,
   882  ch’amor di nostra vita dipartille.
   883  
   884  Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito
   885  nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
   886  pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
   887  
   888  I’ cominciai: «Poeta, volontieri
   889  parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
   890  e paion sì al vento esser leggeri».
   891  
   892  Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
   893  più presso a noi; e tu allor li priega
   894  per quello amor che i mena, ed ei verranno».
   895  
   896  Sì tosto come il vento a noi li piega,
   897  mossi la voce: «O anime affannate,
   898  venite a noi parlar, s’altri nol niega!».
   899  
   900  Quali colombe dal disio chiamate
   901  con l’ali alzate e ferme al dolce nido
   902  vegnon per l’aere, dal voler portate;
   903  
   904  cotali uscir de la schiera ov’ è Dido,
   905  a noi venendo per l’aere maligno,
   906  sì forte fu l’affettüoso grido.
   907  
   908  «O animal grazïoso e benigno
   909  che visitando vai per l’aere perso
   910  noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
   911  
   912  se fosse amico il re de l’universo,
   913  noi pregheremmo lui de la tua pace,
   914  poi c’hai pietà del nostro mal perverso.
   915  
   916  Di quel che udire e che parlar vi piace,
   917  noi udiremo e parleremo a voi,
   918  mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
   919  
   920  Siede la terra dove nata fui
   921  su la marina dove ’l Po discende
   922  per aver pace co’ seguaci sui.
   923  
   924  Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
   925  prese costui de la bella persona
   926  che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
   927  
   928  Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
   929  mi prese del costui piacer sì forte,
   930  che, come vedi, ancor non m’abbandona.
   931  
   932  Amor condusse noi ad una morte.
   933  Caina attende chi a vita ci spense».
   934  Queste parole da lor ci fuor porte.
   935  
   936  Quand’ io intesi quell’ anime offense,
   937  china’ il viso, e tanto il tenni basso,
   938  fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?».
   939  
   940  Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
   941  quanti dolci pensier, quanto disio
   942  menò costoro al doloroso passo!».
   943  
   944  Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
   945  e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
   946  a lagrimar mi fanno tristo e pio.
   947  
   948  Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
   949  a che e come concedette amore
   950  che conosceste i dubbiosi disiri?».
   951  
   952  E quella a me: «Nessun maggior dolore
   953  che ricordarsi del tempo felice
   954  ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
   955  
   956  Ma s’a conoscer la prima radice
   957  del nostro amor tu hai cotanto affetto,
   958  dirò come colui che piange e dice.
   959  
   960  Noi leggiavamo un giorno per diletto
   961  di Lancialotto come amor lo strinse;
   962  soli eravamo e sanza alcun sospetto.
   963  
   964  Per più fïate li occhi ci sospinse
   965  quella lettura, e scolorocci il viso;
   966  ma solo un punto fu quel che ci vinse.
   967  
   968  Quando leggemmo il disïato riso
   969  esser basciato da cotanto amante,
   970  questi, che mai da me non fia diviso,
   971  
   972  la bocca mi basciò tutto tremante.
   973  Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
   974  quel giorno più non vi leggemmo avante».
   975  
   976  Mentre che l’uno spirto questo disse,
   977  l’altro piangëa; sì che di pietade
   978  io venni men così com’ io morisse.
   979  
   980  E caddi come corpo morto cade.
   981  
   982  
   983  
   984  Inferno · Canto VI
   985  
   986  
   987  Al tornar de la mente, che si chiuse
   988  dinanzi a la pietà d’i due cognati,
   989  che di trestizia tutto mi confuse,
   990  
   991  novi tormenti e novi tormentati
   992  mi veggio intorno, come ch’io mi mova
   993  e ch’io mi volga, e come che io guati.
   994  
   995  Io sono al terzo cerchio, de la piova
   996  etterna, maladetta, fredda e greve;
   997  regola e qualità mai non l’è nova.
   998  
   999  Grandine grossa, acqua tinta e neve
  1000  per l’aere tenebroso si riversa;
  1001  pute la terra che questo riceve.
  1002  
  1003  Cerbero, fiera crudele e diversa,
  1004  con tre gole caninamente latra
  1005  sovra la gente che quivi è sommersa.
  1006  
  1007  Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
  1008  e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
  1009  graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
  1010  
  1011  Urlar li fa la pioggia come cani;
  1012  de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
  1013  volgonsi spesso i miseri profani.
  1014  
  1015  Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
  1016  le bocche aperse e mostrocci le sanne;
  1017  non avea membro che tenesse fermo.
  1018  
  1019  E ’l duca mio distese le sue spanne,
  1020  prese la terra, e con piene le pugna
  1021  la gittò dentro a le bramose canne.
  1022  
  1023  Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
  1024  e si racqueta poi che ’l pasto morde,
  1025  ché solo a divorarlo intende e pugna,
  1026  
  1027  cotai si fecer quelle facce lorde
  1028  de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
  1029  l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.
  1030  
  1031  Noi passavam su per l’ombre che adona
  1032  la greve pioggia, e ponavam le piante
  1033  sovra lor vanità che par persona.
  1034  
  1035  Elle giacean per terra tutte quante,
  1036  fuor d’una ch’a seder si levò, ratto
  1037  ch’ella ci vide passarsi davante.
  1038  
  1039  «O tu che se’ per questo ’nferno tratto»,
  1040  mi disse, «riconoscimi, se sai:
  1041  tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto».
  1042  
  1043  E io a lui: «L’angoscia che tu hai
  1044  forse ti tira fuor de la mia mente,
  1045  sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.
  1046  
  1047  Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente
  1048  loco se’ messo, e hai sì fatta pena,
  1049  che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».
  1050  
  1051  Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena
  1052  d’invidia sì che già trabocca il sacco,
  1053  seco mi tenne in la vita serena.
  1054  
  1055  Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
  1056  per la dannosa colpa de la gola,
  1057  come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
  1058  
  1059  E io anima trista non son sola,
  1060  ché tutte queste a simil pena stanno
  1061  per simil colpa». E più non fé parola.
  1062  
  1063  Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
  1064  mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita;
  1065  ma dimmi, se tu sai, a che verranno
  1066  
  1067  li cittadin de la città partita;
  1068  s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione
  1069  per che l’ha tanta discordia assalita».
  1070  
  1071  E quelli a me: «Dopo lunga tencione
  1072  verranno al sangue, e la parte selvaggia
  1073  caccerà l’altra con molta offensione.
  1074  
  1075  Poi appresso convien che questa caggia
  1076  infra tre soli, e che l’altra sormonti
  1077  con la forza di tal che testé piaggia.
  1078  
  1079  Alte terrà lungo tempo le fronti,
  1080  tenendo l’altra sotto gravi pesi,
  1081  come che di ciò pianga o che n’aonti.
  1082  
  1083  Giusti son due, e non vi sono intesi;
  1084  superbia, invidia e avarizia sono
  1085  le tre faville c’hanno i cuori accesi».
  1086  
  1087  Qui puose fine al lagrimabil suono.
  1088  E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni
  1089  e che di più parlar mi facci dono.
  1090  
  1091  Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,
  1092  Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca
  1093  e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,
  1094  
  1095  dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;
  1096  ché gran disio mi stringe di savere
  1097  se ’l ciel li addolcia o lo ’nferno li attosca».
  1098  
  1099  E quelli: «Ei son tra l’anime più nere;
  1100  diverse colpe giù li grava al fondo:
  1101  se tanto scendi, là i potrai vedere.
  1102  
  1103  Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
  1104  priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:
  1105  più non ti dico e più non ti rispondo».
  1106  
  1107  Li diritti occhi torse allora in biechi;
  1108  guardommi un poco e poi chinò la testa:
  1109  cadde con essa a par de li altri ciechi.
  1110  
  1111  E ’l duca disse a me: «Più non si desta
  1112  di qua dal suon de l’angelica tromba,
  1113  quando verrà la nimica podesta:
  1114  
  1115  ciascun rivederà la trista tomba,
  1116  ripiglierà sua carne e sua figura,
  1117  udirà quel ch’in etterno rimbomba».
  1118  
  1119  Sì trapassammo per sozza mistura
  1120  de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti,
  1121  toccando un poco la vita futura;
  1122  
  1123  per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenti
  1124  crescerann’ ei dopo la gran sentenza,
  1125  o fier minori, o saran sì cocenti?».
  1126  
  1127  Ed elli a me: «Ritorna a tua scïenza,
  1128  che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
  1129  più senta il bene, e così la doglienza.
  1130  
  1131  Tutto che questa gente maladetta
  1132  in vera perfezion già mai non vada,
  1133  di là più che di qua essere aspetta».
  1134  
  1135  Noi aggirammo a tondo quella strada,
  1136  parlando più assai ch’i’ non ridico;
  1137  venimmo al punto dove si digrada:
  1138  
  1139  quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
  1140  
  1141  
  1142  
  1143  Inferno · Canto VII
  1144  
  1145  
  1146  «Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,
  1147  cominciò Pluto con la voce chioccia;
  1148  e quel savio gentil, che tutto seppe,
  1149  
  1150  disse per confortarmi: «Non ti noccia
  1151  la tua paura; ché, poder ch’elli abbia,
  1152  non ci torrà lo scender questa roccia».
  1153  
  1154  Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia,
  1155  e disse: «Taci, maladetto lupo!
  1156  consuma dentro te con la tua rabbia.
  1157  
  1158  Non è sanza cagion l’andare al cupo:
  1159  vuolsi ne l’alto, là dove Michele
  1160  fé la vendetta del superbo strupo».
  1161  
  1162  Quali dal vento le gonfiate vele
  1163  caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca,
  1164  tal cadde a terra la fiera crudele.
  1165  
  1166  Così scendemmo ne la quarta lacca,
  1167  pigliando più de la dolente ripa
  1168  che ’l mal de l’universo tutto insacca.
  1169  
  1170  Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
  1171  nove travaglie e pene quant’ io viddi?
  1172  e perché nostra colpa sì ne scipa?
  1173  
  1174  Come fa l’onda là sovra Cariddi,
  1175  che si frange con quella in cui s’intoppa,
  1176  così convien che qui la gente riddi.
  1177  
  1178  Qui vid’ i’ gente più ch’altrove troppa,
  1179  e d’una parte e d’altra, con grand’ urli,
  1180  voltando pesi per forza di poppa.
  1181  
  1182  Percotëansi ’ncontro; e poscia pur lì
  1183  si rivolgea ciascun, voltando a retro,
  1184  gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».
  1185  
  1186  Così tornavan per lo cerchio tetro
  1187  da ogne mano a l’opposito punto,
  1188  gridandosi anche loro ontoso metro;
  1189  
  1190  poi si volgea ciascun, quand’ era giunto,
  1191  per lo suo mezzo cerchio a l’altra giostra.
  1192  E io, ch’avea lo cor quasi compunto,
  1193  
  1194  dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
  1195  che gente è questa, e se tutti fuor cherci
  1196  questi chercuti a la sinistra nostra».
  1197  
  1198  Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci
  1199  sì de la mente in la vita primaia,
  1200  che con misura nullo spendio ferci.
  1201  
  1202  Assai la voce lor chiaro l’abbaia,
  1203  quando vegnono a’ due punti del cerchio
  1204  dove colpa contraria li dispaia.
  1205  
  1206  Questi fuor cherci, che non han coperchio
  1207  piloso al capo, e papi e cardinali,
  1208  in cui usa avarizia il suo soperchio».
  1209  
  1210  E io: «Maestro, tra questi cotali
  1211  dovre’ io ben riconoscere alcuni
  1212  che furo immondi di cotesti mali».
  1213  
  1214  Ed elli a me: «Vano pensiero aduni:
  1215  la sconoscente vita che i fé sozzi,
  1216  ad ogne conoscenza or li fa bruni.
  1217  
  1218  In etterno verranno a li due cozzi:
  1219  questi resurgeranno del sepulcro
  1220  col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
  1221  
  1222  Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
  1223  ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
  1224  qual ella sia, parole non ci appulcro.
  1225  
  1226  Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
  1227  d’i ben che son commessi a la fortuna,
  1228  per che l’umana gente si rabbuffa;
  1229  
  1230  ché tutto l’oro ch’è sotto la luna
  1231  e che già fu, di quest’ anime stanche
  1232  non poterebbe farne posare una».
  1233  
  1234  «Maestro mio», diss’ io, «or mi dì anche:
  1235  questa fortuna di che tu mi tocche,
  1236  che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?».
  1237  
  1238  E quelli a me: «Oh creature sciocche,
  1239  quanta ignoranza è quella che v’offende!
  1240  Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.
  1241  
  1242  Colui lo cui saver tutto trascende,
  1243  fece li cieli e diè lor chi conduce
  1244  sì, ch’ogne parte ad ogne parte splende,
  1245  
  1246  distribuendo igualmente la luce.
  1247  Similemente a li splendor mondani
  1248  ordinò general ministra e duce
  1249  
  1250  che permutasse a tempo li ben vani
  1251  di gente in gente e d’uno in altro sangue,
  1252  oltre la difension d’i senni umani;
  1253  
  1254  per ch’una gente impera e l’altra langue,
  1255  seguendo lo giudicio di costei,
  1256  che è occulto come in erba l’angue.
  1257  
  1258  Vostro saver non ha contasto a lei:
  1259  questa provede, giudica, e persegue
  1260  suo regno come il loro li altri dèi.
  1261  
  1262  Le sue permutazion non hanno triegue:
  1263  necessità la fa esser veloce;
  1264  sì spesso vien chi vicenda consegue.
  1265  
  1266  Quest’ è colei ch’è tanto posta in croce
  1267  pur da color che le dovrien dar lode,
  1268  dandole biasmo a torto e mala voce;
  1269  
  1270  ma ella s’è beata e ciò non ode:
  1271  con l’altre prime creature lieta
  1272  volve sua spera e beata si gode.
  1273  
  1274  Or discendiamo omai a maggior pieta;
  1275  già ogne stella cade che saliva
  1276  quand’ io mi mossi, e ’l troppo star si vieta».
  1277  
  1278  Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva
  1279  sovr’ una fonte che bolle e riversa
  1280  per un fossato che da lei deriva.
  1281  
  1282  L’acqua era buia assai più che persa;
  1283  e noi, in compagnia de l’onde bige,
  1284  intrammo giù per una via diversa.
  1285  
  1286  In la palude va c’ha nome Stige
  1287  questo tristo ruscel, quand’ è disceso
  1288  al piè de le maligne piagge grige.
  1289  
  1290  E io, che di mirare stava inteso,
  1291  vidi genti fangose in quel pantano,
  1292  ignude tutte, con sembiante offeso.
  1293  
  1294  Queste si percotean non pur con mano,
  1295  ma con la testa e col petto e coi piedi,
  1296  troncandosi co’ denti a brano a brano.
  1297  
  1298  Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi
  1299  l’anime di color cui vinse l’ira;
  1300  e anche vo’ che tu per certo credi
  1301  
  1302  che sotto l’acqua è gente che sospira,
  1303  e fanno pullular quest’ acqua al summo,
  1304  come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira.
  1305  
  1306  Fitti nel limo dicon: “Tristi fummo
  1307  ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,
  1308  portando dentro accidïoso fummo:
  1309  
  1310  or ci attristiam ne la belletta negra”.
  1311  Quest’ inno si gorgoglian ne la strozza,
  1312  ché dir nol posson con parola integra».
  1313  
  1314  Così girammo de la lorda pozza
  1315  grand’ arco tra la ripa secca e ’l mézzo,
  1316  con li occhi vòlti a chi del fango ingozza.
  1317  
  1318  Venimmo al piè d’una torre al da sezzo.
  1319  
  1320  
  1321  
  1322  Inferno · Canto VIII
  1323  
  1324  
  1325  Io dico, seguitando, ch’assai prima
  1326  che noi fossimo al piè de l’alta torre,
  1327  li occhi nostri n’andar suso a la cima
  1328  
  1329  per due fiammette che i vedemmo porre,
  1330  e un’altra da lungi render cenno,
  1331  tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre.
  1332  
  1333  E io mi volsi al mar di tutto ’l senno;
  1334  dissi: «Questo che dice? e che risponde
  1335  quell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?».
  1336  
  1337  Ed elli a me: «Su per le sucide onde
  1338  già scorgere puoi quello che s’aspetta,
  1339  se ’l fummo del pantan nol ti nasconde».
  1340  
  1341  Corda non pinse mai da sé saetta
  1342  che sì corresse via per l’aere snella,
  1343  com’ io vidi una nave piccioletta
  1344  
  1345  venir per l’acqua verso noi in quella,
  1346  sotto ’l governo d’un sol galeoto,
  1347  che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!».
  1348  
  1349  «Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto»,
  1350  disse lo mio segnore, «a questa volta:
  1351  più non ci avrai che sol passando il loto».
  1352  
  1353  Qual è colui che grande inganno ascolta
  1354  che li sia fatto, e poi se ne rammarca,
  1355  fecesi Flegïàs ne l’ira accolta.
  1356  
  1357  Lo duca mio discese ne la barca,
  1358  e poi mi fece intrare appresso lui;
  1359  e sol quand’ io fui dentro parve carca.
  1360  
  1361  Tosto che ’l duca e io nel legno fui,
  1362  segando se ne va l’antica prora
  1363  de l’acqua più che non suol con altrui.
  1364  
  1365  Mentre noi corravam la morta gora,
  1366  dinanzi mi si fece un pien di fango,
  1367  e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?».
  1368  
  1369  E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango;
  1370  ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?».
  1371  Rispuose: «Vedi che son un che piango».
  1372  
  1373  E io a lui: «Con piangere e con lutto,
  1374  spirito maladetto, ti rimani;
  1375  ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto».
  1376  
  1377  Allor distese al legno ambo le mani;
  1378  per che ’l maestro accorto lo sospinse,
  1379  dicendo: «Via costà con li altri cani!».
  1380  
  1381  Lo collo poi con le braccia mi cinse;
  1382  basciommi ’l volto e disse: «Alma sdegnosa,
  1383  benedetta colei che ’n te s’incinse!
  1384  
  1385  Quei fu al mondo persona orgogliosa;
  1386  bontà non è che sua memoria fregi:
  1387  così s’è l’ombra sua qui furïosa.
  1388  
  1389  Quanti si tegnon or là sù gran regi
  1390  che qui staranno come porci in brago,
  1391  di sé lasciando orribili dispregi!».
  1392  
  1393  E io: «Maestro, molto sarei vago
  1394  di vederlo attuffare in questa broda
  1395  prima che noi uscissimo del lago».
  1396  
  1397  Ed elli a me: «Avante che la proda
  1398  ti si lasci veder, tu sarai sazio:
  1399  di tal disïo convien che tu goda».
  1400  
  1401  Dopo ciò poco vid’ io quello strazio
  1402  far di costui a le fangose genti,
  1403  che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
  1404  
  1405  Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;
  1406  e ’l fiorentino spirito bizzarro
  1407  in sé medesmo si volvea co’ denti.
  1408  
  1409  Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
  1410  ma ne l’orecchie mi percosse un duolo,
  1411  per ch’io avante l’occhio intento sbarro.
  1412  
  1413  Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo,
  1414  s’appressa la città c’ha nome Dite,
  1415  coi gravi cittadin, col grande stuolo».
  1416  
  1417  E io: «Maestro, già le sue meschite
  1418  là entro certe ne la valle cerno,
  1419  vermiglie come se di foco uscite
  1420  
  1421  fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno
  1422  ch’entro l’affoca le dimostra rosse,
  1423  come tu vedi in questo basso inferno».
  1424  
  1425  Noi pur giugnemmo dentro a l’alte fosse
  1426  che vallan quella terra sconsolata:
  1427  le mura mi parean che ferro fosse.
  1428  
  1429  Non sanza prima far grande aggirata,
  1430  venimmo in parte dove il nocchier forte
  1431  «Usciteci», gridò: «qui è l’intrata».
  1432  
  1433  Io vidi più di mille in su le porte
  1434  da ciel piovuti, che stizzosamente
  1435  dicean: «Chi è costui che sanza morte
  1436  
  1437  va per lo regno de la morta gente?».
  1438  E ’l savio mio maestro fece segno
  1439  di voler lor parlar segretamente.
  1440  
  1441  Allor chiusero un poco il gran disdegno
  1442  e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada
  1443  che sì ardito intrò per questo regno.
  1444  
  1445  Sol si ritorni per la folle strada:
  1446  pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai,
  1447  che li ha’ iscorta sì buia contrada».
  1448  
  1449  Pensa, lettor, se io mi sconfortai
  1450  nel suon de le parole maladette,
  1451  ché non credetti ritornarci mai.
  1452  
  1453  «O caro duca mio, che più di sette
  1454  volte m’hai sicurtà renduta e tratto
  1455  d’alto periglio che ’ncontra mi stette,
  1456  
  1457  non mi lasciar», diss’ io, «così disfatto;
  1458  e se ’l passar più oltre ci è negato,
  1459  ritroviam l’orme nostre insieme ratto».
  1460  
  1461  E quel segnor che lì m’avea menato,
  1462  mi disse: «Non temer; ché ’l nostro passo
  1463  non ci può tòrre alcun: da tal n’è dato.
  1464  
  1465  Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso
  1466  conforta e ciba di speranza buona,
  1467  ch’i’ non ti lascerò nel mondo basso».
  1468  
  1469  Così sen va, e quivi m’abbandona
  1470  lo dolce padre, e io rimagno in forse,
  1471  che sì e no nel capo mi tenciona.
  1472  
  1473  Udir non potti quello ch’a lor porse;
  1474  ma ei non stette là con essi guari,
  1475  che ciascun dentro a pruova si ricorse.
  1476  
  1477  Chiuser le porte que’ nostri avversari
  1478  nel petto al mio segnor, che fuor rimase
  1479  e rivolsesi a me con passi rari.
  1480  
  1481  Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
  1482  d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri:
  1483  «Chi m’ha negate le dolenti case!».
  1484  
  1485  E a me disse: «Tu, perch’ io m’adiri,
  1486  non sbigottir, ch’io vincerò la prova,
  1487  qual ch’a la difension dentro s’aggiri.
  1488  
  1489  Questa lor tracotanza non è nova;
  1490  ché già l’usaro a men segreta porta,
  1491  la qual sanza serrame ancor si trova.
  1492  
  1493  Sovr’ essa vedestù la scritta morta:
  1494  e già di qua da lei discende l’erta,
  1495  passando per li cerchi sanza scorta,
  1496  
  1497  tal che per lui ne fia la terra aperta».
  1498  
  1499  
  1500  
  1501  Inferno · Canto IX
  1502  
  1503  
  1504  Quel color che viltà di fuor mi pinse
  1505  veggendo il duca mio tornare in volta,
  1506  più tosto dentro il suo novo ristrinse.
  1507  
  1508  Attento si fermò com’ uom ch’ascolta;
  1509  ché l’occhio nol potea menare a lunga
  1510  per l’aere nero e per la nebbia folta.
  1511  
  1512  «Pur a noi converrà vincer la punga»,
  1513  cominciò el, «se non . . . Tal ne s’offerse.
  1514  Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!».
  1515  
  1516  I’ vidi ben sì com’ ei ricoperse
  1517  lo cominciar con l’altro che poi venne,
  1518  che fur parole a le prime diverse;
  1519  
  1520  ma nondimen paura il suo dir dienne,
  1521  perch’ io traeva la parola tronca
  1522  forse a peggior sentenzia che non tenne.
  1523  
  1524  «In questo fondo de la trista conca
  1525  discende mai alcun del primo grado,
  1526  che sol per pena ha la speranza cionca?».
  1527  
  1528  Questa question fec’ io; e quei «Di rado
  1529  incontra», mi rispuose, «che di noi
  1530  faccia il cammino alcun per qual io vado.
  1531  
  1532  Ver è ch’altra fïata qua giù fui,
  1533  congiurato da quella Eritón cruda
  1534  che richiamava l’ombre a’ corpi sui.
  1535  
  1536  Di poco era di me la carne nuda,
  1537  ch’ella mi fece intrar dentr’ a quel muro,
  1538  per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
  1539  
  1540  Quell’ è ’l più basso loco e ’l più oscuro,
  1541  e ’l più lontan dal ciel che tutto gira:
  1542  ben so ’l cammin; però ti fa sicuro.
  1543  
  1544  Questa palude che ’l gran puzzo spira
  1545  cigne dintorno la città dolente,
  1546  u’ non potemo intrare omai sanz’ ira».
  1547  
  1548  E altro disse, ma non l’ho a mente;
  1549  però che l’occhio m’avea tutto tratto
  1550  ver’ l’alta torre a la cima rovente,
  1551  
  1552  dove in un punto furon dritte ratto
  1553  tre furïe infernal di sangue tinte,
  1554  che membra feminine avieno e atto,
  1555  
  1556  e con idre verdissime eran cinte;
  1557  serpentelli e ceraste avien per crine,
  1558  onde le fiere tempie erano avvinte.
  1559  
  1560  E quei, che ben conobbe le meschine
  1561  de la regina de l’etterno pianto,
  1562  «Guarda», mi disse, «le feroci Erine.
  1563  
  1564  Quest’ è Megera dal sinistro canto;
  1565  quella che piange dal destro è Aletto;
  1566  Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto.
  1567  
  1568  Con l’unghie si fendea ciascuna il petto;
  1569  battiensi a palme e gridavan sì alto,
  1570  ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto.
  1571  
  1572  «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto»,
  1573  dicevan tutte riguardando in giuso;
  1574  «mal non vengiammo in Tesëo l’assalto».
  1575  
  1576  «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso;
  1577  ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi,
  1578  nulla sarebbe di tornar mai suso».
  1579  
  1580  Così disse ’l maestro; ed elli stessi
  1581  mi volse, e non si tenne a le mie mani,
  1582  che con le sue ancor non mi chiudessi.
  1583  
  1584  O voi ch’avete li ’ntelletti sani,
  1585  mirate la dottrina che s’asconde
  1586  sotto ’l velame de li versi strani.
  1587  
  1588  E già venìa su per le torbide onde
  1589  un fracasso d’un suon, pien di spavento,
  1590  per cui tremavano amendue le sponde,
  1591  
  1592  non altrimenti fatto che d’un vento
  1593  impetüoso per li avversi ardori,
  1594  che fier la selva e sanz’ alcun rattento
  1595  
  1596  li rami schianta, abbatte e porta fori;
  1597  dinanzi polveroso va superbo,
  1598  e fa fuggir le fiere e li pastori.
  1599  
  1600  Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
  1601  del viso su per quella schiuma antica
  1602  per indi ove quel fummo è più acerbo».
  1603  
  1604  Come le rane innanzi a la nimica
  1605  biscia per l’acqua si dileguan tutte,
  1606  fin ch’a la terra ciascuna s’abbica,
  1607  
  1608  vid’ io più di mille anime distrutte
  1609  fuggir così dinanzi ad un ch’al passo
  1610  passava Stige con le piante asciutte.
  1611  
  1612  Dal volto rimovea quell’ aere grasso,
  1613  menando la sinistra innanzi spesso;
  1614  e sol di quell’ angoscia parea lasso.
  1615  
  1616  Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo,
  1617  e volsimi al maestro; e quei fé segno
  1618  ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso.
  1619  
  1620  Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
  1621  Venne a la porta e con una verghetta
  1622  l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno.
  1623  
  1624  «O cacciati del ciel, gente dispetta»,
  1625  cominciò elli in su l’orribil soglia,
  1626  «ond’ esta oltracotanza in voi s’alletta?
  1627  
  1628  Perché recalcitrate a quella voglia
  1629  a cui non puote il fin mai esser mozzo,
  1630  e che più volte v’ha cresciuta doglia?
  1631  
  1632  Che giova ne le fata dar di cozzo?
  1633  Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
  1634  ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo».
  1635  
  1636  Poi si rivolse per la strada lorda,
  1637  e non fé motto a noi, ma fé sembiante
  1638  d’omo cui altra cura stringa e morda
  1639  
  1640  che quella di colui che li è davante;
  1641  e noi movemmo i piedi inver’ la terra,
  1642  sicuri appresso le parole sante.
  1643  
  1644  Dentro li ’ntrammo sanz’ alcuna guerra;
  1645  e io, ch’avea di riguardar disio
  1646  la condizion che tal fortezza serra,
  1647  
  1648  com’ io fui dentro, l’occhio intorno invio:
  1649  e veggio ad ogne man grande campagna,
  1650  piena di duolo e di tormento rio.
  1651  
  1652  Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
  1653  sì com’ a Pola, presso del Carnaro
  1654  ch’Italia chiude e suoi termini bagna,
  1655  
  1656  fanno i sepulcri tutt’ il loco varo,
  1657  così facevan quivi d’ogne parte,
  1658  salvo che ’l modo v’era più amaro;
  1659  
  1660  ché tra li avelli fiamme erano sparte,
  1661  per le quali eran sì del tutto accesi,
  1662  che ferro più non chiede verun’ arte.
  1663  
  1664  Tutti li lor coperchi eran sospesi,
  1665  e fuor n’uscivan sì duri lamenti,
  1666  che ben parean di miseri e d’offesi.
  1667  
  1668  E io: «Maestro, quai son quelle genti
  1669  che, seppellite dentro da quell’ arche,
  1670  si fan sentir coi sospiri dolenti?».
  1671  
  1672  E quelli a me: «Qui son li eresïarche
  1673  con lor seguaci, d’ogne setta, e molto
  1674  più che non credi son le tombe carche.
  1675  
  1676  Simile qui con simile è sepolto,
  1677  e i monimenti son più e men caldi».
  1678  E poi ch’a la man destra si fu vòlto,
  1679  
  1680  passammo tra i martìri e li alti spaldi.
  1681  
  1682  
  1683  
  1684  Inferno · Canto X
  1685  
  1686  
  1687  Ora sen va per un secreto calle,
  1688  tra ’l muro de la terra e li martìri,
  1689  lo mio maestro, e io dopo le spalle.
  1690  
  1691  «O virtù somma, che per li empi giri
  1692  mi volvi», cominciai, «com’ a te piace,
  1693  parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.
  1694  
  1695  La gente che per li sepolcri giace
  1696  potrebbesi veder? già son levati
  1697  tutt’ i coperchi, e nessun guardia face».
  1698  
  1699  E quelli a me: «Tutti saran serrati
  1700  quando di Iosafàt qui torneranno
  1701  coi corpi che là sù hanno lasciati.
  1702  
  1703  Suo cimitero da questa parte hanno
  1704  con Epicuro tutti suoi seguaci,
  1705  che l’anima col corpo morta fanno.
  1706  
  1707  Però a la dimanda che mi faci
  1708  quinc’ entro satisfatto sarà tosto,
  1709  e al disio ancor che tu mi taci».
  1710  
  1711  E io: «Buon duca, non tegno riposto
  1712  a te mio cuor se non per dicer poco,
  1713  e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».
  1714  
  1715  «O Tosco che per la città del foco
  1716  vivo ten vai così parlando onesto,
  1717  piacciati di restare in questo loco.
  1718  
  1719  La tua loquela ti fa manifesto
  1720  di quella nobil patrïa natio,
  1721  a la qual forse fui troppo molesto».
  1722  
  1723  Subitamente questo suono uscìo
  1724  d’una de l’arche; però m’accostai,
  1725  temendo, un poco più al duca mio.
  1726  
  1727  Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
  1728  Vedi là Farinata che s’è dritto:
  1729  da la cintola in sù tutto ’l vedrai».
  1730  
  1731  Io avea già il mio viso nel suo fitto;
  1732  ed el s’ergea col petto e con la fronte
  1733  com’ avesse l’inferno a gran dispitto.
  1734  
  1735  E l’animose man del duca e pronte
  1736  mi pinser tra le sepulture a lui,
  1737  dicendo: «Le parole tue sien conte».
  1738  
  1739  Com’ io al piè de la sua tomba fui,
  1740  guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
  1741  mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».
  1742  
  1743  Io ch’era d’ubidir disideroso,
  1744  non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi;
  1745  ond’ ei levò le ciglia un poco in suso;
  1746  
  1747  poi disse: «Fieramente furo avversi
  1748  a me e a miei primi e a mia parte,
  1749  sì che per due fïate li dispersi».
  1750  
  1751  «S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
  1752  rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fïata;
  1753  ma i vostri non appreser ben quell’ arte».
  1754  
  1755  Allor surse a la vista scoperchiata
  1756  un’ombra, lungo questa, infino al mento:
  1757  credo che s’era in ginocchie levata.
  1758  
  1759  Dintorno mi guardò, come talento
  1760  avesse di veder s’altri era meco;
  1761  e poi che ’l sospecciar fu tutto spento,
  1762  
  1763  piangendo disse: «Se per questo cieco
  1764  carcere vai per altezza d’ingegno,
  1765  mio figlio ov’ è? e perché non è teco?».
  1766  
  1767  E io a lui: «Da me stesso non vegno:
  1768  colui ch’attende là, per qui mi mena
  1769  forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».
  1770  
  1771  Le sue parole e ’l modo de la pena
  1772  m’avean di costui già letto il nome;
  1773  però fu la risposta così piena.
  1774  
  1775  Di sùbito drizzato gridò: «Come?
  1776  dicesti “elli ebbe”? non viv’ elli ancora?
  1777  non fiere li occhi suoi lo dolce lume?».
  1778  
  1779  Quando s’accorse d’alcuna dimora
  1780  ch’io facëa dinanzi a la risposta,
  1781  supin ricadde e più non parve fora.
  1782  
  1783  Ma quell’ altro magnanimo, a cui posta
  1784  restato m’era, non mutò aspetto,
  1785  né mosse collo, né piegò sua costa;
  1786  
  1787  e sé continüando al primo detto,
  1788  «S’elli han quell’ arte», disse, «male appresa,
  1789  ciò mi tormenta più che questo letto.
  1790  
  1791  Ma non cinquanta volte fia raccesa
  1792  la faccia de la donna che qui regge,
  1793  che tu saprai quanto quell’ arte pesa.
  1794  
  1795  E se tu mai nel dolce mondo regge,
  1796  dimmi: perché quel popolo è sì empio
  1797  incontr’ a’ miei in ciascuna sua legge?».
  1798  
  1799  Ond’ io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio
  1800  che fece l’Arbia colorata in rosso,
  1801  tal orazion fa far nel nostro tempio».
  1802  
  1803  Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso,
  1804  «A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo
  1805  sanza cagion con li altri sarei mosso.
  1806  
  1807  Ma fu’ io solo, là dove sofferto
  1808  fu per ciascun di tòrre via Fiorenza,
  1809  colui che la difesi a viso aperto».
  1810  
  1811  «Deh, se riposi mai vostra semenza»,
  1812  prega’ io lui, «solvetemi quel nodo
  1813  che qui ha ’nviluppata mia sentenza.
  1814  
  1815  El par che voi veggiate, se ben odo,
  1816  dinanzi quel che ’l tempo seco adduce,
  1817  e nel presente tenete altro modo».
  1818  
  1819  «Noi veggiam, come quei c’ha mala luce,
  1820  le cose», disse, «che ne son lontano;
  1821  cotanto ancor ne splende il sommo duce.
  1822  
  1823  Quando s’appressano o son, tutto è vano
  1824  nostro intelletto; e s’altri non ci apporta,
  1825  nulla sapem di vostro stato umano.
  1826  
  1827  Però comprender puoi che tutta morta
  1828  fia nostra conoscenza da quel punto
  1829  che del futuro fia chiusa la porta».
  1830  
  1831  Allor, come di mia colpa compunto,
  1832  dissi: «Or direte dunque a quel caduto
  1833  che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto;
  1834  
  1835  e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto,
  1836  fate i saper che ’l fei perché pensava
  1837  già ne l’error che m’avete soluto».
  1838  
  1839  E già ’l maestro mio mi richiamava;
  1840  per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio
  1841  che mi dicesse chi con lu’ istava.
  1842  
  1843  Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
  1844  qua dentro è ’l secondo Federico
  1845  e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio».
  1846  
  1847  Indi s’ascose; e io inver’ l’antico
  1848  poeta volsi i passi, ripensando
  1849  a quel parlar che mi parea nemico.
  1850  
  1851  Elli si mosse; e poi, così andando,
  1852  mi disse: «Perché se’ tu sì smarrito?».
  1853  E io li sodisfeci al suo dimando.
  1854  
  1855  «La mente tua conservi quel ch’udito
  1856  hai contra te», mi comandò quel saggio;
  1857  «e ora attendi qui», e drizzò ’l dito:
  1858  
  1859  «quando sarai dinanzi al dolce raggio
  1860  di quella il cui bell’ occhio tutto vede,
  1861  da lei saprai di tua vita il vïaggio».
  1862  
  1863  Appresso mosse a man sinistra il piede:
  1864  lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo
  1865  per un sentier ch’a una valle fiede,
  1866  
  1867  che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo.
  1868  
  1869  
  1870  
  1871  Inferno · Canto XI
  1872  
  1873  
  1874  In su l’estremità d’un’alta ripa
  1875  che facevan gran pietre rotte in cerchio,
  1876  venimmo sopra più crudele stipa;
  1877  
  1878  e quivi, per l’orribile soperchio
  1879  del puzzo che ’l profondo abisso gitta,
  1880  ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio
  1881  
  1882  d’un grand’ avello, ov’ io vidi una scritta
  1883  che dicea: ‘Anastasio papa guardo,
  1884  lo qual trasse Fotin de la via dritta’.
  1885  
  1886  «Lo nostro scender conviene esser tardo,
  1887  sì che s’ausi un poco in prima il senso
  1888  al tristo fiato; e poi no i fia riguardo».
  1889  
  1890  Così ’l maestro; e io «Alcun compenso»,
  1891  dissi lui, «trova che ’l tempo non passi
  1892  perduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso».
  1893  
  1894  «Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
  1895  cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
  1896  di grado in grado, come que’ che lassi.
  1897  
  1898  Tutti son pien di spirti maladetti;
  1899  ma perché poi ti basti pur la vista,
  1900  intendi come e perché son costretti.
  1901  
  1902  D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,
  1903  ingiuria è ’l fine, ed ogne fin cotale
  1904  o con forza o con frode altrui contrista.
  1905  
  1906  Ma perché frode è de l’uom proprio male,
  1907  più spiace a Dio; e però stan di sotto
  1908  li frodolenti, e più dolor li assale.
  1909  
  1910  Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
  1911  ma perché si fa forza a tre persone,
  1912  in tre gironi è distinto e costrutto.
  1913  
  1914  A Dio, a sé, al prossimo si pòne
  1915  far forza, dico in loro e in lor cose,
  1916  come udirai con aperta ragione.
  1917  
  1918  Morte per forza e ferute dogliose
  1919  nel prossimo si danno, e nel suo avere
  1920  ruine, incendi e tollette dannose;
  1921  
  1922  onde omicide e ciascun che mal fiere,
  1923  guastatori e predon, tutti tormenta
  1924  lo giron primo per diverse schiere.
  1925  
  1926  Puote omo avere in sé man vïolenta
  1927  e ne’ suoi beni; e però nel secondo
  1928  giron convien che sanza pro si penta
  1929  
  1930  qualunque priva sé del vostro mondo,
  1931  biscazza e fonde la sua facultade,
  1932  e piange là dov’ esser de’ giocondo.
  1933  
  1934  Puossi far forza ne la deïtade,
  1935  col cor negando e bestemmiando quella,
  1936  e spregiando natura e sua bontade;
  1937  
  1938  e però lo minor giron suggella
  1939  del segno suo e Soddoma e Caorsa
  1940  e chi, spregiando Dio col cor, favella.
  1941  
  1942  La frode, ond’ ogne coscïenza è morsa,
  1943  può l’omo usare in colui che ’n lui fida
  1944  e in quel che fidanza non imborsa.
  1945  
  1946  Questo modo di retro par ch’incida
  1947  pur lo vinco d’amor che fa natura;
  1948  onde nel cerchio secondo s’annida
  1949  
  1950  ipocresia, lusinghe e chi affattura,
  1951  falsità, ladroneccio e simonia,
  1952  ruffian, baratti e simile lordura.
  1953  
  1954  Per l’altro modo quell’ amor s’oblia
  1955  che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
  1956  di che la fede spezïal si cria;
  1957  
  1958  onde nel cerchio minore, ov’ è ’l punto
  1959  de l’universo in su che Dite siede,
  1960  qualunque trade in etterno è consunto».
  1961  
  1962  E io: «Maestro, assai chiara procede
  1963  la tua ragione, e assai ben distingue
  1964  questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede.
  1965  
  1966  Ma dimmi: quei de la palude pingue,
  1967  che mena il vento, e che batte la pioggia,
  1968  e che s’incontran con sì aspre lingue,
  1969  
  1970  perché non dentro da la città roggia
  1971  sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
  1972  e se non li ha, perché sono a tal foggia?».
  1973  
  1974  Ed elli a me «Perché tanto delira»,
  1975  disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle?
  1976  o ver la mente dove altrove mira?
  1977  
  1978  Non ti rimembra di quelle parole
  1979  con le quai la tua Etica pertratta
  1980  le tre disposizion che ’l ciel non vole,
  1981  
  1982  incontenenza, malizia e la matta
  1983  bestialitade? e come incontenenza
  1984  men Dio offende e men biasimo accatta?
  1985  
  1986  Se tu riguardi ben questa sentenza,
  1987  e rechiti a la mente chi son quelli
  1988  che sù di fuor sostegnon penitenza,
  1989  
  1990  tu vedrai ben perché da questi felli
  1991  sien dipartiti, e perché men crucciata
  1992  la divina vendetta li martelli».
  1993  
  1994  «O sol che sani ogne vista turbata,
  1995  tu mi contenti sì quando tu solvi,
  1996  che, non men che saver, dubbiar m’aggrata.
  1997  
  1998  Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
  1999  diss’ io, «là dove di’ ch’usura offende
  2000  la divina bontade, e ’l groppo solvi».
  2001  
  2002  «Filosofia», mi disse, «a chi la ’ntende,
  2003  nota, non pure in una sola parte,
  2004  come natura lo suo corso prende
  2005  
  2006  dal divino ’ntelletto e da sua arte;
  2007  e se tu ben la tua Fisica note,
  2008  tu troverai, non dopo molte carte,
  2009  
  2010  che l’arte vostra quella, quanto pote,
  2011  segue, come ’l maestro fa ’l discente;
  2012  sì che vostr’ arte a Dio quasi è nepote.
  2013  
  2014  Da queste due, se tu ti rechi a mente
  2015  lo Genesì dal principio, convene
  2016  prender sua vita e avanzar la gente;
  2017  
  2018  e perché l’usuriere altra via tene,
  2019  per sé natura e per la sua seguace
  2020  dispregia, poi ch’in altro pon la spene.
  2021  
  2022  Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace;
  2023  ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
  2024  e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace,
  2025  
  2026  e ’l balzo via là oltra si dismonta».
  2027  
  2028  
  2029  
  2030  Inferno · Canto XII
  2031  
  2032  
  2033  Era lo loco ov’ a scender la riva
  2034  venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco,
  2035  tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.
  2036  
  2037  Qual è quella ruina che nel fianco
  2038  di qua da Trento l’Adice percosse,
  2039  o per tremoto o per sostegno manco,
  2040  
  2041  che da cima del monte, onde si mosse,
  2042  al piano è sì la roccia discoscesa,
  2043  ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:
  2044  
  2045  cotal di quel burrato era la scesa;
  2046  e ’n su la punta de la rotta lacca
  2047  l’infamïa di Creti era distesa
  2048  
  2049  che fu concetta ne la falsa vacca;
  2050  e quando vide noi, sé stesso morse,
  2051  sì come quei cui l’ira dentro fiacca.
  2052  
  2053  Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse
  2054  tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
  2055  che sù nel mondo la morte ti porse?
  2056  
  2057  Pàrtiti, bestia, ché questi non vene
  2058  ammaestrato da la tua sorella,
  2059  ma vassi per veder le vostre pene».
  2060  
  2061  Qual è quel toro che si slaccia in quella
  2062  c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,
  2063  che gir non sa, ma qua e là saltella,
  2064  
  2065  vid’ io lo Minotauro far cotale;
  2066  e quello accorto gridò: «Corri al varco;
  2067  mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale».
  2068  
  2069  Così prendemmo via giù per lo scarco
  2070  di quelle pietre, che spesso moviensi
  2071  sotto i miei piedi per lo novo carco.
  2072  
  2073  Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi
  2074  forse a questa ruina, ch’è guardata
  2075  da quell’ ira bestial ch’i’ ora spensi.
  2076  
  2077  Or vo’ che sappi che l’altra fïata
  2078  ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno,
  2079  questa roccia non era ancor cascata.
  2080  
  2081  Ma certo poco pria, se ben discerno,
  2082  che venisse colui che la gran preda
  2083  levò a Dite del cerchio superno,
  2084  
  2085  da tutte parti l’alta valle feda
  2086  tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
  2087  sentisse amor, per lo qual è chi creda
  2088  
  2089  più volte il mondo in caòsso converso;
  2090  e in quel punto questa vecchia roccia,
  2091  qui e altrove, tal fece riverso.
  2092  
  2093  Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
  2094  la riviera del sangue in la qual bolle
  2095  qual che per vïolenza in altrui noccia».
  2096  
  2097  Oh cieca cupidigia e ira folle,
  2098  che sì ci sproni ne la vita corta,
  2099  e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!
  2100  
  2101  Io vidi un’ampia fossa in arco torta,
  2102  come quella che tutto ’l piano abbraccia,
  2103  secondo ch’avea detto la mia scorta;
  2104  
  2105  e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
  2106  corrien centauri, armati di saette,
  2107  come solien nel mondo andare a caccia.
  2108  
  2109  Veggendoci calar, ciascun ristette,
  2110  e de la schiera tre si dipartiro
  2111  con archi e asticciuole prima elette;
  2112  
  2113  e l’un gridò da lungi: «A qual martiro
  2114  venite voi che scendete la costa?
  2115  Ditel costinci; se non, l’arco tiro».
  2116  
  2117  Lo mio maestro disse: «La risposta
  2118  farem noi a Chirón costà di presso:
  2119  mal fu la voglia tua sempre sì tosta».
  2120  
  2121  Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
  2122  che morì per la bella Deianira,
  2123  e fé di sé la vendetta elli stesso.
  2124  
  2125  E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
  2126  è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
  2127  quell’ altro è Folo, che fu sì pien d’ira.
  2128  
  2129  Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
  2130  saettando qual anima si svelle
  2131  del sangue più che sua colpa sortille».
  2132  
  2133  Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
  2134  Chirón prese uno strale, e con la cocca
  2135  fece la barba in dietro a le mascelle.
  2136  
  2137  Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
  2138  disse a’ compagni: «Siete voi accorti
  2139  che quel di retro move ciò ch’el tocca?
  2140  
  2141  Così non soglion far li piè d’i morti».
  2142  E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto,
  2143  dove le due nature son consorti,
  2144  
  2145  rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto
  2146  mostrar li mi convien la valle buia;
  2147  necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.
  2148  
  2149  Tal si partì da cantare alleluia
  2150  che mi commise quest’ officio novo:
  2151  non è ladron, né io anima fuia.
  2152  
  2153  Ma per quella virtù per cu’ io movo
  2154  li passi miei per sì selvaggia strada,
  2155  danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo,
  2156  
  2157  e che ne mostri là dove si guada,
  2158  e che porti costui in su la groppa,
  2159  ché non è spirto che per l’aere vada».
  2160  
  2161  Chirón si volse in su la destra poppa,
  2162  e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida,
  2163  e fa cansar s’altra schiera v’intoppa».
  2164  
  2165  Or ci movemmo con la scorta fida
  2166  lungo la proda del bollor vermiglio,
  2167  dove i bolliti facieno alte strida.
  2168  
  2169  Io vidi gente sotto infino al ciglio;
  2170  e ’l gran centauro disse: «E’ son tiranni
  2171  che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.
  2172  
  2173  Quivi si piangon li spietati danni;
  2174  quivi è Alessandro, e Dïonisio fero
  2175  che fé Cicilia aver dolorosi anni.
  2176  
  2177  E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
  2178  è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo,
  2179  è Opizzo da Esti, il qual per vero
  2180  
  2181  fu spento dal figliastro sù nel mondo».
  2182  Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
  2183  «Questi ti sia or primo, e io secondo».
  2184  
  2185  Poco più oltre il centauro s’affisse
  2186  sovr’ una gente che ’nfino a la gola
  2187  parea che di quel bulicame uscisse.
  2188  
  2189  Mostrocci un’ombra da l’un canto sola,
  2190  dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio
  2191  lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola».
  2192  
  2193  Poi vidi gente che di fuor del rio
  2194  tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
  2195  e di costoro assai riconobb’ io.
  2196  
  2197  Così a più a più si facea basso
  2198  quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
  2199  e quindi fu del fosso il nostro passo.
  2200  
  2201  «Sì come tu da questa parte vedi
  2202  lo bulicame che sempre si scema»,
  2203  disse ’l centauro, «voglio che tu credi
  2204  
  2205  che da quest’ altra a più a più giù prema
  2206  lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge
  2207  ove la tirannia convien che gema.
  2208  
  2209  La divina giustizia di qua punge
  2210  quell’ Attila che fu flagello in terra,
  2211  e Pirro e Sesto; e in etterno munge
  2212  
  2213  le lagrime, che col bollor diserra,
  2214  a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
  2215  che fecero a le strade tanta guerra».
  2216  
  2217  Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo.
  2218  
  2219  
  2220  
  2221  Inferno · Canto XIII
  2222  
  2223  
  2224  Non era ancor di là Nesso arrivato,
  2225  quando noi ci mettemmo per un bosco
  2226  che da neun sentiero era segnato.
  2227  
  2228  Non fronda verde, ma di color fosco;
  2229  non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
  2230  non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.
  2231  
  2232  Non han sì aspri sterpi né sì folti
  2233  quelle fiere selvagge che ’n odio hanno
  2234  tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.
  2235  
  2236  Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
  2237  che cacciar de le Strofade i Troiani
  2238  con tristo annunzio di futuro danno.
  2239  
  2240  Ali hanno late, e colli e visi umani,
  2241  piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre;
  2242  fanno lamenti in su li alberi strani.
  2243  
  2244  E ’l buon maestro «Prima che più entre,
  2245  sappi che se’ nel secondo girone»,
  2246  mi cominciò a dire, «e sarai mentre
  2247  
  2248  che tu verrai ne l’orribil sabbione.
  2249  Però riguarda ben; sì vederai
  2250  cose che torrien fede al mio sermone».
  2251  
  2252  Io sentia d’ogne parte trarre guai
  2253  e non vedea persona che ’l facesse;
  2254  per ch’io tutto smarrito m’arrestai.
  2255  
  2256  Cred’ ïo ch’ei credette ch’io credesse
  2257  che tante voci uscisser, tra quei bronchi,
  2258  da gente che per noi si nascondesse.
  2259  
  2260  Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi
  2261  qualche fraschetta d’una d’este piante,
  2262  li pensier c’hai si faran tutti monchi».
  2263  
  2264  Allor porsi la mano un poco avante
  2265  e colsi un ramicel da un gran pruno;
  2266  e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?».
  2267  
  2268  Da che fatto fu poi di sangue bruno,
  2269  ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
  2270  non hai tu spirto di pietade alcuno?
  2271  
  2272  Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:
  2273  ben dovrebb’ esser la tua man più pia,
  2274  se state fossimo anime di serpi».
  2275  
  2276  Come d’un stizzo verde ch’arso sia
  2277  da l’un de’ capi, che da l’altro geme
  2278  e cigola per vento che va via,
  2279  
  2280  sì de la scheggia rotta usciva insieme
  2281  parole e sangue; ond’ io lasciai la cima
  2282  cadere, e stetti come l’uom che teme.
  2283  
  2284  «S’elli avesse potuto creder prima»,
  2285  rispuose ’l savio mio, «anima lesa,
  2286  ciò c’ha veduto pur con la mia rima,
  2287  
  2288  non averebbe in te la man distesa;
  2289  ma la cosa incredibile mi fece
  2290  indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa.
  2291  
  2292  Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece
  2293  d’alcun’ ammenda tua fama rinfreschi
  2294  nel mondo sù, dove tornar li lece».
  2295  
  2296  E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,
  2297  ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
  2298  perch’ ïo un poco a ragionar m’inveschi.
  2299  
  2300  Io son colui che tenni ambo le chiavi
  2301  del cor di Federigo, e che le volsi,
  2302  serrando e diserrando, sì soavi,
  2303  
  2304  che dal secreto suo quasi ogn’ uom tolsi;
  2305  fede portai al glorïoso offizio,
  2306  tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.
  2307  
  2308  La meretrice che mai da l’ospizio
  2309  di Cesare non torse li occhi putti,
  2310  morte comune e de le corti vizio,
  2311  
  2312  infiammò contra me li animi tutti;
  2313  e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
  2314  che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.
  2315  
  2316  L’animo mio, per disdegnoso gusto,
  2317  credendo col morir fuggir disdegno,
  2318  ingiusto fece me contra me giusto.
  2319  
  2320  Per le nove radici d’esto legno
  2321  vi giuro che già mai non ruppi fede
  2322  al mio segnor, che fu d’onor sì degno.
  2323  
  2324  E se di voi alcun nel mondo riede,
  2325  conforti la memoria mia, che giace
  2326  ancor del colpo che ’nvidia le diede».
  2327  
  2328  Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace»,
  2329  disse ’l poeta a me, «non perder l’ora;
  2330  ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace».
  2331  
  2332  Ond’ ïo a lui: «Domandal tu ancora
  2333  di quel che credi ch’a me satisfaccia;
  2334  ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora».
  2335  
  2336  Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia
  2337  liberamente ciò che ’l tuo dir priega,
  2338  spirito incarcerato, ancor ti piaccia
  2339  
  2340  di dirne come l’anima si lega
  2341  in questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
  2342  s’alcuna mai di tai membra si spiega».
  2343  
  2344  Allor soffiò il tronco forte, e poi
  2345  si convertì quel vento in cotal voce:
  2346  «Brievemente sarà risposto a voi.
  2347  
  2348  Quando si parte l’anima feroce
  2349  dal corpo ond’ ella stessa s’è disvelta,
  2350  Minòs la manda a la settima foce.
  2351  
  2352  Cade in la selva, e non l’è parte scelta;
  2353  ma là dove fortuna la balestra,
  2354  quivi germoglia come gran di spelta.
  2355  
  2356  Surge in vermena e in pianta silvestra:
  2357  l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
  2358  fanno dolore, e al dolor fenestra.
  2359  
  2360  Come l’altre verrem per nostre spoglie,
  2361  ma non però ch’alcuna sen rivesta,
  2362  ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie.
  2363  
  2364  Qui le strascineremo, e per la mesta
  2365  selva saranno i nostri corpi appesi,
  2366  ciascuno al prun de l’ombra sua molesta».
  2367  
  2368  Noi eravamo ancora al tronco attesi,
  2369  credendo ch’altro ne volesse dire,
  2370  quando noi fummo d’un romor sorpresi,
  2371  
  2372  similemente a colui che venire
  2373  sente ’l porco e la caccia a la sua posta,
  2374  ch’ode le bestie, e le frasche stormire.
  2375  
  2376  Ed ecco due da la sinistra costa,
  2377  nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
  2378  che de la selva rompieno ogne rosta.
  2379  
  2380  Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».
  2381  E l’altro, cui pareva tardar troppo,
  2382  gridava: «Lano, sì non furo accorte
  2383  
  2384  le gambe tue a le giostre dal Toppo!».
  2385  E poi che forse li fallia la lena,
  2386  di sé e d’un cespuglio fece un groppo.
  2387  
  2388  Di rietro a loro era la selva piena
  2389  di nere cagne, bramose e correnti
  2390  come veltri ch’uscisser di catena.
  2391  
  2392  In quel che s’appiattò miser li denti,
  2393  e quel dilaceraro a brano a brano;
  2394  poi sen portar quelle membra dolenti.
  2395  
  2396  Presemi allor la mia scorta per mano,
  2397  e menommi al cespuglio che piangea
  2398  per le rotture sanguinenti in vano.
  2399  
  2400  «O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea,
  2401  che t’è giovato di me fare schermo?
  2402  che colpa ho io de la tua vita rea?».
  2403  
  2404  Quando ’l maestro fu sovr’ esso fermo,
  2405  disse: «Chi fosti, che per tante punte
  2406  soffi con sangue doloroso sermo?».
  2407  
  2408  Ed elli a noi: «O anime che giunte
  2409  siete a veder lo strazio disonesto
  2410  c’ha le mie fronde sì da me disgiunte,
  2411  
  2412  raccoglietele al piè del tristo cesto.
  2413  I’ fui de la città che nel Batista
  2414  mutò ’l primo padrone; ond’ ei per questo
  2415  
  2416  sempre con l’arte sua la farà trista;
  2417  e se non fosse che ’n sul passo d’Arno
  2418  rimane ancor di lui alcuna vista,
  2419  
  2420  que’ cittadin che poi la rifondarno
  2421  sovra ’l cener che d’Attila rimase,
  2422  avrebber fatto lavorare indarno.
  2423  
  2424  Io fei gibetto a me de le mie case».
  2425  
  2426  
  2427  
  2428  Inferno · Canto XIV
  2429  
  2430  
  2431  Poi che la carità del natio loco
  2432  mi strinse, raunai le fronde sparte
  2433  e rende’le a colui, ch’era già fioco.
  2434  
  2435  Indi venimmo al fine ove si parte
  2436  lo secondo giron dal terzo, e dove
  2437  si vede di giustizia orribil arte.
  2438  
  2439  A ben manifestar le cose nove,
  2440  dico che arrivammo ad una landa
  2441  che dal suo letto ogne pianta rimove.
  2442  
  2443  La dolorosa selva l’è ghirlanda
  2444  intorno, come ’l fosso tristo ad essa;
  2445  quivi fermammo i passi a randa a randa.
  2446  
  2447  Lo spazzo era una rena arida e spessa,
  2448  non d’altra foggia fatta che colei
  2449  che fu da’ piè di Caton già soppressa.
  2450  
  2451  O vendetta di Dio, quanto tu dei
  2452  esser temuta da ciascun che legge
  2453  ciò che fu manifesto a li occhi mei!
  2454  
  2455  D’anime nude vidi molte gregge
  2456  che piangean tutte assai miseramente,
  2457  e parea posta lor diversa legge.
  2458  
  2459  Supin giacea in terra alcuna gente,
  2460  alcuna si sedea tutta raccolta,
  2461  e altra andava continüamente.
  2462  
  2463  Quella che giva ’ntorno era più molta,
  2464  e quella men che giacëa al tormento,
  2465  ma più al duolo avea la lingua sciolta.
  2466  
  2467  Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,
  2468  piovean di foco dilatate falde,
  2469  come di neve in alpe sanza vento.
  2470  
  2471  Quali Alessandro in quelle parti calde
  2472  d’Indïa vide sopra ’l süo stuolo
  2473  fiamme cadere infino a terra salde,
  2474  
  2475  per ch’ei provide a scalpitar lo suolo
  2476  con le sue schiere, acciò che lo vapore
  2477  mei si stingueva mentre ch’era solo:
  2478  
  2479  tale scendeva l’etternale ardore;
  2480  onde la rena s’accendea, com’ esca
  2481  sotto focile, a doppiar lo dolore.
  2482  
  2483  Sanza riposo mai era la tresca
  2484  de le misere mani, or quindi or quinci
  2485  escotendo da sé l’arsura fresca.
  2486  
  2487  I’ cominciai: «Maestro, tu che vinci
  2488  tutte le cose, fuor che ’ demon duri
  2489  ch’a l’intrar de la porta incontra uscinci,
  2490  
  2491  chi è quel grande che non par che curi
  2492  lo ’ncendio e giace dispettoso e torto,
  2493  sì che la pioggia non par che ’l marturi?».
  2494  
  2495  E quel medesmo, che si fu accorto
  2496  ch’io domandava il mio duca di lui,
  2497  gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto.
  2498  
  2499  Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui
  2500  crucciato prese la folgore aguta
  2501  onde l’ultimo dì percosso fui;
  2502  
  2503  o s’elli stanchi li altri a muta a muta
  2504  in Mongibello a la focina negra,
  2505  chiamando “Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”,
  2506  
  2507  sì com’ el fece a la pugna di Flegra,
  2508  e me saetti con tutta sua forza:
  2509  non ne potrebbe aver vendetta allegra».
  2510  
  2511  Allora il duca mio parlò di forza
  2512  tanto, ch’i’ non l’avea sì forte udito:
  2513  «O Capaneo, in ciò che non s’ammorza
  2514  
  2515  la tua superbia, se’ tu più punito;
  2516  nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
  2517  sarebbe al tuo furor dolor compito».
  2518  
  2519  Poi si rivolse a me con miglior labbia,
  2520  dicendo: «Quei fu l’un d’i sette regi
  2521  ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia
  2522  
  2523  Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi;
  2524  ma, com’ io dissi lui, li suoi dispetti
  2525  sono al suo petto assai debiti fregi.
  2526  
  2527  Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
  2528  ancor, li piedi ne la rena arsiccia;
  2529  ma sempre al bosco tien li piedi stretti».
  2530  
  2531  Tacendo divenimmo là ’ve spiccia
  2532  fuor de la selva un picciol fiumicello,
  2533  lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
  2534  
  2535  Quale del Bulicame esce ruscello
  2536  che parton poi tra lor le peccatrici,
  2537  tal per la rena giù sen giva quello.
  2538  
  2539  Lo fondo suo e ambo le pendici
  2540  fatt’ era ’n pietra, e ’ margini dallato;
  2541  per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici.
  2542  
  2543  «Tra tutto l’altro ch’i’ t’ho dimostrato,
  2544  poscia che noi intrammo per la porta
  2545  lo cui sogliare a nessuno è negato,
  2546  
  2547  cosa non fu da li tuoi occhi scorta
  2548  notabile com’ è ’l presente rio,
  2549  che sovra sé tutte fiammelle ammorta».
  2550  
  2551  Queste parole fuor del duca mio;
  2552  per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto
  2553  di cui largito m’avëa il disio.
  2554  
  2555  «In mezzo mar siede un paese guasto»,
  2556  diss’ elli allora, «che s’appella Creta,
  2557  sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto.
  2558  
  2559  Una montagna v’è che già fu lieta
  2560  d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
  2561  or è diserta come cosa vieta.
  2562  
  2563  Rëa la scelse già per cuna fida
  2564  del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
  2565  quando piangea, vi facea far le grida.
  2566  
  2567  Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
  2568  che tien volte le spalle inver’ Dammiata
  2569  e Roma guarda come süo speglio.
  2570  
  2571  La sua testa è di fin oro formata,
  2572  e puro argento son le braccia e ’l petto,
  2573  poi è di rame infino a la forcata;
  2574  
  2575  da indi in giuso è tutto ferro eletto,
  2576  salvo che ’l destro piede è terra cotta;
  2577  e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto.
  2578  
  2579  Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
  2580  d’una fessura che lagrime goccia,
  2581  le quali, accolte, fóran quella grotta.
  2582  
  2583  Lor corso in questa valle si diroccia;
  2584  fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
  2585  poi sen van giù per questa stretta doccia,
  2586  
  2587  infin, là ove più non si dismonta,
  2588  fanno Cocito; e qual sia quello stagno
  2589  tu lo vedrai, però qui non si conta».
  2590  
  2591  E io a lui: «Se ’l presente rigagno
  2592  si diriva così dal nostro mondo,
  2593  perché ci appar pur a questo vivagno?».
  2594  
  2595  Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo;
  2596  e tutto che tu sie venuto molto,
  2597  pur a sinistra, giù calando al fondo,
  2598  
  2599  non se’ ancor per tutto ’l cerchio vòlto;
  2600  per che, se cosa n’apparisce nova,
  2601  non de’ addur maraviglia al tuo volto».
  2602  
  2603  E io ancor: «Maestro, ove si trova
  2604  Flegetonta e Letè? ché de l’un taci,
  2605  e l’altro di’ che si fa d’esta piova».
  2606  
  2607  «In tutte tue question certo mi piaci»,
  2608  rispuose, «ma ’l bollor de l’acqua rossa
  2609  dovea ben solver l’una che tu faci.
  2610  
  2611  Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,
  2612  là dove vanno l’anime a lavarsi
  2613  quando la colpa pentuta è rimossa».
  2614  
  2615  Poi disse: «Omai è tempo da scostarsi
  2616  dal bosco; fa che di retro a me vegne:
  2617  li margini fan via, che non son arsi,
  2618  
  2619  e sopra loro ogne vapor si spegne».
  2620  
  2621  
  2622  
  2623  Inferno · Canto XV
  2624  
  2625  
  2626  Ora cen porta l’un de’ duri margini;
  2627  e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia,
  2628  sì che dal foco salva l’acqua e li argini.
  2629  
  2630  Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
  2631  temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa,
  2632  fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia;
  2633  
  2634  e quali Padoan lungo la Brenta,
  2635  per difender lor ville e lor castelli,
  2636  anzi che Carentana il caldo senta:
  2637  
  2638  a tale imagine eran fatti quelli,
  2639  tutto che né sì alti né sì grossi,
  2640  qual che si fosse, lo maestro félli.
  2641  
  2642  Già eravam da la selva rimossi
  2643  tanto, ch’i’ non avrei visto dov’ era,
  2644  perch’ io in dietro rivolto mi fossi,
  2645  
  2646  quando incontrammo d’anime una schiera
  2647  che venian lungo l’argine, e ciascuna
  2648  ci riguardava come suol da sera
  2649  
  2650  guardare uno altro sotto nuova luna;
  2651  e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia
  2652  come ’l vecchio sartor fa ne la cruna.
  2653  
  2654  Così adocchiato da cotal famiglia,
  2655  fui conosciuto da un, che mi prese
  2656  per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!».
  2657  
  2658  E io, quando ’l suo braccio a me distese,
  2659  ficcaï li occhi per lo cotto aspetto,
  2660  sì che ’l viso abbrusciato non difese
  2661  
  2662  la conoscenza süa al mio ’ntelletto;
  2663  e chinando la mano a la sua faccia,
  2664  rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?».
  2665  
  2666  E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia
  2667  se Brunetto Latino un poco teco
  2668  ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia».
  2669  
  2670  I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco;
  2671  e se volete che con voi m’asseggia,
  2672  faròl, se piace a costui che vo seco».
  2673  
  2674  «O figliuol», disse, «qual di questa greggia
  2675  s’arresta punto, giace poi cent’ anni
  2676  sanz’ arrostarsi quando ’l foco il feggia.
  2677  
  2678  Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni;
  2679  e poi rigiugnerò la mia masnada,
  2680  che va piangendo i suoi etterni danni».
  2681  
  2682  Io non osava scender de la strada
  2683  per andar par di lui; ma ’l capo chino
  2684  tenea com’ uom che reverente vada.
  2685  
  2686  El cominciò: «Qual fortuna o destino
  2687  anzi l’ultimo dì qua giù ti mena?
  2688  e chi è questi che mostra ’l cammino?».
  2689  
  2690  «Là sù di sopra, in la vita serena»,
  2691  rispuos’ io lui, «mi smarri’ in una valle,
  2692  avanti che l’età mia fosse piena.
  2693  
  2694  Pur ier mattina le volsi le spalle:
  2695  questi m’apparve, tornand’ ïo in quella,
  2696  e reducemi a ca per questo calle».
  2697  
  2698  Ed elli a me: «Se tu segui tua stella,
  2699  non puoi fallire a glorïoso porto,
  2700  se ben m’accorsi ne la vita bella;
  2701  
  2702  e s’io non fossi sì per tempo morto,
  2703  veggendo il cielo a te così benigno,
  2704  dato t’avrei a l’opera conforto.
  2705  
  2706  Ma quello ingrato popolo maligno
  2707  che discese di Fiesole ab antico,
  2708  e tiene ancor del monte e del macigno,
  2709  
  2710  ti si farà, per tuo ben far, nimico;
  2711  ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
  2712  si disconvien fruttare al dolce fico.
  2713  
  2714  Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;
  2715  gent’ è avara, invidiosa e superba:
  2716  dai lor costumi fa che tu ti forbi.
  2717  
  2718  La tua fortuna tanto onor ti serba,
  2719  che l’una parte e l’altra avranno fame
  2720  di te; ma lungi fia dal becco l’erba.
  2721  
  2722  Faccian le bestie fiesolane strame
  2723  di lor medesme, e non tocchin la pianta,
  2724  s’alcuna surge ancora in lor letame,
  2725  
  2726  in cui riviva la sementa santa
  2727  di que’ Roman che vi rimaser quando
  2728  fu fatto il nido di malizia tanta».
  2729  
  2730  «Se fosse tutto pieno il mio dimando»,
  2731  rispuos’ io lui, «voi non sareste ancora
  2732  de l’umana natura posto in bando;
  2733  
  2734  ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
  2735  la cara e buona imagine paterna
  2736  di voi quando nel mondo ad ora ad ora
  2737  
  2738  m’insegnavate come l’uom s’etterna:
  2739  e quant’ io l’abbia in grado, mentr’ io vivo
  2740  convien che ne la mia lingua si scerna.
  2741  
  2742  Ciò che narrate di mio corso scrivo,
  2743  e serbolo a chiosar con altro testo
  2744  a donna che saprà, s’a lei arrivo.
  2745  
  2746  Tanto vogl’ io che vi sia manifesto,
  2747  pur che mia coscïenza non mi garra,
  2748  ch’a la Fortuna, come vuol, son presto.
  2749  
  2750  Non è nuova a li orecchi miei tal arra:
  2751  però giri Fortuna la sua rota
  2752  come le piace, e ’l villan la sua marra».
  2753  
  2754  Lo mio maestro allora in su la gota
  2755  destra si volse in dietro e riguardommi;
  2756  poi disse: «Bene ascolta chi la nota».
  2757  
  2758  Né per tanto di men parlando vommi
  2759  con ser Brunetto, e dimando chi sono
  2760  li suoi compagni più noti e più sommi.
  2761  
  2762  Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono;
  2763  de li altri fia laudabile tacerci,
  2764  ché ’l tempo saria corto a tanto suono.
  2765  
  2766  In somma sappi che tutti fur cherci
  2767  e litterati grandi e di gran fama,
  2768  d’un peccato medesmo al mondo lerci.
  2769  
  2770  Priscian sen va con quella turba grama,
  2771  e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,
  2772  s’avessi avuto di tal tigna brama,
  2773  
  2774  colui potei che dal servo de’ servi
  2775  fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,
  2776  dove lasciò li mal protesi nervi.
  2777  
  2778  Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone
  2779  più lungo esser non può, però ch’i’ veggio
  2780  là surger nuovo fummo del sabbione.
  2781  
  2782  Gente vien con la quale esser non deggio.
  2783  Sieti raccomandato il mio Tesoro,
  2784  nel qual io vivo ancora, e più non cheggio».
  2785  
  2786  Poi si rivolse, e parve di coloro
  2787  che corrono a Verona il drappo verde
  2788  per la campagna; e parve di costoro
  2789  
  2790  quelli che vince, non colui che perde.
  2791  
  2792  
  2793  
  2794  Inferno · Canto XVI
  2795  
  2796  
  2797  Già era in loco onde s’udia ’l rimbombo
  2798  de l’acqua che cadea ne l’altro giro,
  2799  simile a quel che l’arnie fanno rombo,
  2800  
  2801  quando tre ombre insieme si partiro,
  2802  correndo, d’una torma che passava
  2803  sotto la pioggia de l’aspro martiro.
  2804  
  2805  Venian ver’ noi, e ciascuna gridava:
  2806  «Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri
  2807  esser alcun di nostra terra prava».
  2808  
  2809  Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri,
  2810  ricenti e vecchie, da le fiamme incese!
  2811  Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri.
  2812  
  2813  A le lor grida il mio dottor s’attese;
  2814  volse ’l viso ver’ me, e «Or aspetta»,
  2815  disse, «a costor si vuole esser cortese.
  2816  
  2817  E se non fosse il foco che saetta
  2818  la natura del loco, i’ dicerei
  2819  che meglio stesse a te che a lor la fretta».
  2820  
  2821  Ricominciar, come noi restammo, ei
  2822  l’antico verso; e quando a noi fuor giunti,
  2823  fenno una rota di sé tutti e trei.
  2824  
  2825  Qual sogliono i campion far nudi e unti,
  2826  avvisando lor presa e lor vantaggio,
  2827  prima che sien tra lor battuti e punti,
  2828  
  2829  così rotando, ciascuno il visaggio
  2830  drizzava a me, sì che ’n contraro il collo
  2831  faceva ai piè continüo vïaggio.
  2832  
  2833  E «Se miseria d’esto loco sollo
  2834  rende in dispetto noi e nostri prieghi»,
  2835  cominciò l’uno, «e ’l tinto aspetto e brollo,
  2836  
  2837  la fama nostra il tuo animo pieghi
  2838  a dirne chi tu se’, che i vivi piedi
  2839  così sicuro per lo ’nferno freghi.
  2840  
  2841  Questi, l’orme di cui pestar mi vedi,
  2842  tutto che nudo e dipelato vada,
  2843  fu di grado maggior che tu non credi:
  2844  
  2845  nepote fu de la buona Gualdrada;
  2846  Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita
  2847  fece col senno assai e con la spada.
  2848  
  2849  L’altro, ch’appresso me la rena trita,
  2850  è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
  2851  nel mondo sù dovria esser gradita.
  2852  
  2853  E io, che posto son con loro in croce,
  2854  Iacopo Rusticucci fui, e certo
  2855  la fiera moglie più ch’altro mi nuoce».
  2856  
  2857  S’i’ fossi stato dal foco coperto,
  2858  gittato mi sarei tra lor di sotto,
  2859  e credo che ’l dottor l’avria sofferto;
  2860  
  2861  ma perch’ io mi sarei brusciato e cotto,
  2862  vinse paura la mia buona voglia
  2863  che di loro abbracciar mi facea ghiotto.
  2864  
  2865  Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia
  2866  la vostra condizion dentro mi fisse,
  2867  tanta che tardi tutta si dispoglia,
  2868  
  2869  tosto che questo mio segnor mi disse
  2870  parole per le quali i’ mi pensai
  2871  che qual voi siete, tal gente venisse.
  2872  
  2873  Di vostra terra sono, e sempre mai
  2874  l’ovra di voi e li onorati nomi
  2875  con affezion ritrassi e ascoltai.
  2876  
  2877  Lascio lo fele e vo per dolci pomi
  2878  promessi a me per lo verace duca;
  2879  ma ’nfino al centro pria convien ch’i’ tomi».
  2880  
  2881  «Se lungamente l’anima conduca
  2882  le membra tue», rispuose quelli ancora,
  2883  «e se la fama tua dopo te luca,
  2884  
  2885  cortesia e valor dì se dimora
  2886  ne la nostra città sì come suole,
  2887  o se del tutto se n’è gita fora;
  2888  
  2889  ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
  2890  con noi per poco e va là coi compagni,
  2891  assai ne cruccia con le sue parole».
  2892  
  2893  «La gente nuova e i sùbiti guadagni
  2894  orgoglio e dismisura han generata,
  2895  Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni».
  2896  
  2897  Così gridai con la faccia levata;
  2898  e i tre, che ciò inteser per risposta,
  2899  guardar l’un l’altro com’ al ver si guata.
  2900  
  2901  «Se l’altre volte sì poco ti costa»,
  2902  rispuoser tutti, «il satisfare altrui,
  2903  felice te se sì parli a tua posta!
  2904  
  2905  Però, se campi d’esti luoghi bui
  2906  e torni a riveder le belle stelle,
  2907  quando ti gioverà dicere “I’ fui”,
  2908  
  2909  fa che di noi a la gente favelle».
  2910  Indi rupper la rota, e a fuggirsi
  2911  ali sembiar le gambe loro isnelle.
  2912  
  2913  Un amen non saria possuto dirsi
  2914  tosto così com’ e’ fuoro spariti;
  2915  per ch’al maestro parve di partirsi.
  2916  
  2917  Io lo seguiva, e poco eravam iti,
  2918  che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino,
  2919  che per parlar saremmo a pena uditi.
  2920  
  2921  Come quel fiume c’ha proprio cammino
  2922  prima dal Monte Viso ’nver’ levante,
  2923  da la sinistra costa d’Apennino,
  2924  
  2925  che si chiama Acquacheta suso, avante
  2926  che si divalli giù nel basso letto,
  2927  e a Forlì di quel nome è vacante,
  2928  
  2929  rimbomba là sovra San Benedetto
  2930  de l’Alpe per cadere ad una scesa
  2931  ove dovea per mille esser recetto;
  2932  
  2933  così, giù d’una ripa discoscesa,
  2934  trovammo risonar quell’ acqua tinta,
  2935  sì che ’n poc’ ora avria l’orecchia offesa.
  2936  
  2937  Io avea una corda intorno cinta,
  2938  e con essa pensai alcuna volta
  2939  prender la lonza a la pelle dipinta.
  2940  
  2941  Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta,
  2942  sì come ’l duca m’avea comandato,
  2943  porsila a lui aggroppata e ravvolta.
  2944  
  2945  Ond’ ei si volse inver’ lo destro lato,
  2946  e alquanto di lunge da la sponda
  2947  la gittò giuso in quell’ alto burrato.
  2948  
  2949  ‘E’ pur convien che novità risponda’,
  2950  dicea fra me medesmo, ‘al novo cenno
  2951  che ’l maestro con l’occhio sì seconda’.
  2952  
  2953  Ahi quanto cauti li uomini esser dienno
  2954  presso a color che non veggion pur l’ovra,
  2955  ma per entro i pensier miran col senno!
  2956  
  2957  El disse a me: «Tosto verrà di sovra
  2958  ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna;
  2959  tosto convien ch’al tuo viso si scovra».
  2960  
  2961  Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna
  2962  de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote,
  2963  però che sanza colpa fa vergogna;
  2964  
  2965  ma qui tacer nol posso; e per le note
  2966  di questa comedìa, lettor, ti giuro,
  2967  s’elle non sien di lunga grazia vòte,
  2968  
  2969  ch’i’ vidi per quell’ aere grosso e scuro
  2970  venir notando una figura in suso,
  2971  maravigliosa ad ogne cor sicuro,
  2972  
  2973  sì come torna colui che va giuso
  2974  talora a solver l’àncora ch’aggrappa
  2975  o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
  2976  
  2977  che ’n sù si stende e da piè si rattrappa.
  2978  
  2979  
  2980  
  2981  Inferno · Canto XVII
  2982  
  2983  
  2984  «Ecco la fiera con la coda aguzza,
  2985  che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
  2986  Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!».
  2987  
  2988  Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
  2989  e accennolle che venisse a proda,
  2990  vicino al fin d’i passeggiati marmi.
  2991  
  2992  E quella sozza imagine di froda
  2993  sen venne, e arrivò la testa e ’l busto,
  2994  ma ’n su la riva non trasse la coda.
  2995  
  2996  La faccia sua era faccia d’uom giusto,
  2997  tanto benigna avea di fuor la pelle,
  2998  e d’un serpente tutto l’altro fusto;
  2999  
  3000  due branche avea pilose insin l’ascelle;
  3001  lo dosso e ’l petto e ambedue le coste
  3002  dipinti avea di nodi e di rotelle.
  3003  
  3004  Con più color, sommesse e sovraposte
  3005  non fer mai drappi Tartari né Turchi,
  3006  né fuor tai tele per Aragne imposte.
  3007  
  3008  Come talvolta stanno a riva i burchi,
  3009  che parte sono in acqua e parte in terra,
  3010  e come là tra li Tedeschi lurchi
  3011  
  3012  lo bivero s’assetta a far sua guerra,
  3013  così la fiera pessima si stava
  3014  su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra.
  3015  
  3016  Nel vano tutta sua coda guizzava,
  3017  torcendo in sù la venenosa forca
  3018  ch’a guisa di scorpion la punta armava.
  3019  
  3020  Lo duca disse: «Or convien che si torca
  3021  la nostra via un poco insino a quella
  3022  bestia malvagia che colà si corca».
  3023  
  3024  Però scendemmo a la destra mammella,
  3025  e diece passi femmo in su lo stremo,
  3026  per ben cessar la rena e la fiammella.
  3027  
  3028  E quando noi a lei venuti semo,
  3029  poco più oltre veggio in su la rena
  3030  gente seder propinqua al loco scemo.
  3031  
  3032  Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena
  3033  esperïenza d’esto giron porti»,
  3034  mi disse, «va, e vedi la lor mena.
  3035  
  3036  Li tuoi ragionamenti sian là corti;
  3037  mentre che torni, parlerò con questa,
  3038  che ne conceda i suoi omeri forti».
  3039  
  3040  Così ancor su per la strema testa
  3041  di quel settimo cerchio tutto solo
  3042  andai, dove sedea la gente mesta.
  3043  
  3044  Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
  3045  di qua, di là soccorrien con le mani
  3046  quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:
  3047  
  3048  non altrimenti fan di state i cani
  3049  or col ceffo or col piè, quando son morsi
  3050  o da pulci o da mosche o da tafani.
  3051  
  3052  Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
  3053  ne’ quali ’l doloroso foco casca,
  3054  non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi
  3055  
  3056  che dal collo a ciascun pendea una tasca
  3057  ch’avea certo colore e certo segno,
  3058  e quindi par che ’l loro occhio si pasca.
  3059  
  3060  E com’ io riguardando tra lor vegno,
  3061  in una borsa gialla vidi azzurro
  3062  che d’un leone avea faccia e contegno.
  3063  
  3064  Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
  3065  vidine un’altra come sangue rossa,
  3066  mostrando un’oca bianca più che burro.
  3067  
  3068  E un che d’una scrofa azzurra e grossa
  3069  segnato avea lo suo sacchetto bianco,
  3070  mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
  3071  
  3072  Or te ne va; e perché se’ vivo anco,
  3073  sappi che ’l mio vicin Vitalïano
  3074  sederà qui dal mio sinistro fianco.
  3075  
  3076  Con questi Fiorentin son padoano:
  3077  spesse fïate mi ’ntronan li orecchi
  3078  gridando: “Vegna ’l cavalier sovrano,
  3079  
  3080  che recherà la tasca con tre becchi!”».
  3081  Qui distorse la bocca e di fuor trasse
  3082  la lingua, come bue che ’l naso lecchi.
  3083  
  3084  E io, temendo no ’l più star crucciasse
  3085  lui che di poco star m’avea ’mmonito,
  3086  torna’mi in dietro da l’anime lasse.
  3087  
  3088  Trova’ il duca mio ch’era salito
  3089  già su la groppa del fiero animale,
  3090  e disse a me: «Or sie forte e ardito.
  3091  
  3092  Omai si scende per sì fatte scale;
  3093  monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,
  3094  sì che la coda non possa far male».
  3095  
  3096  Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo
  3097  de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,
  3098  e triema tutto pur guardando ’l rezzo,
  3099  
  3100  tal divenn’ io a le parole porte;
  3101  ma vergogna mi fé le sue minacce,
  3102  che innanzi a buon segnor fa servo forte.
  3103  
  3104  I’ m’assettai in su quelle spallacce;
  3105  sì volli dir, ma la voce non venne
  3106  com’ io credetti: ‘Fa che tu m’abbracce’.
  3107  
  3108  Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne
  3109  ad altro forse, tosto ch’i’ montai
  3110  con le braccia m’avvinse e mi sostenne;
  3111  
  3112  e disse: «Gerïon, moviti omai:
  3113  le rote larghe, e lo scender sia poco;
  3114  pensa la nova soma che tu hai».
  3115  
  3116  Come la navicella esce di loco
  3117  in dietro in dietro, sì quindi si tolse;
  3118  e poi ch’al tutto si sentì a gioco,
  3119  
  3120  là ’v’ era ’l petto, la coda rivolse,
  3121  e quella tesa, come anguilla, mosse,
  3122  e con le branche l’aere a sé raccolse.
  3123  
  3124  Maggior paura non credo che fosse
  3125  quando Fetonte abbandonò li freni,
  3126  per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse;
  3127  
  3128  né quando Icaro misero le reni
  3129  sentì spennar per la scaldata cera,
  3130  gridando il padre a lui «Mala via tieni!»,
  3131  
  3132  che fu la mia, quando vidi ch’i’ era
  3133  ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta
  3134  ogne veduta fuor che de la fera.
  3135  
  3136  Ella sen va notando lenta lenta;
  3137  rota e discende, ma non me n’accorgo
  3138  se non che al viso e di sotto mi venta.
  3139  
  3140  Io sentia già da la man destra il gorgo
  3141  far sotto noi un orribile scroscio,
  3142  per che con li occhi ’n giù la testa sporgo.
  3143  
  3144  Allor fu’ io più timido a lo stoscio,
  3145  però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;
  3146  ond’ io tremando tutto mi raccoscio.
  3147  
  3148  E vidi poi, ché nol vedea davanti,
  3149  lo scendere e ’l girar per li gran mali
  3150  che s’appressavan da diversi canti.
  3151  
  3152  Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali,
  3153  che sanza veder logoro o uccello
  3154  fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,
  3155  
  3156  discende lasso onde si move isnello,
  3157  per cento rote, e da lunge si pone
  3158  dal suo maestro, disdegnoso e fello;
  3159  
  3160  così ne puose al fondo Gerïone
  3161  al piè al piè de la stagliata rocca,
  3162  e, discarcate le nostre persone,
  3163  
  3164  si dileguò come da corda cocca.
  3165  
  3166  
  3167  
  3168  Inferno · Canto XVIII
  3169  
  3170  
  3171  Luogo è in inferno detto Malebolge,
  3172  tutto di pietra di color ferrigno,
  3173  come la cerchia che dintorno il volge.
  3174  
  3175  Nel dritto mezzo del campo maligno
  3176  vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
  3177  di cui suo loco dicerò l’ordigno.
  3178  
  3179  Quel cinghio che rimane adunque è tondo
  3180  tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura,
  3181  e ha distinto in dieci valli il fondo.
  3182  
  3183  Quale, dove per guardia de le mura
  3184  più e più fossi cingon li castelli,
  3185  la parte dove son rende figura,
  3186  
  3187  tale imagine quivi facean quelli;
  3188  e come a tai fortezze da’ lor sogli
  3189  a la ripa di fuor son ponticelli,
  3190  
  3191  così da imo de la roccia scogli
  3192  movien che ricidien li argini e ’ fossi
  3193  infino al pozzo che i tronca e raccogli.
  3194  
  3195  In questo luogo, de la schiena scossi
  3196  di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta
  3197  tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
  3198  
  3199  A la man destra vidi nova pieta,
  3200  novo tormento e novi frustatori,
  3201  di che la prima bolgia era repleta.
  3202  
  3203  Nel fondo erano ignudi i peccatori;
  3204  dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto,
  3205  di là con noi, ma con passi maggiori,
  3206  
  3207  come i Roman per l’essercito molto,
  3208  l’anno del giubileo, su per lo ponte
  3209  hanno a passar la gente modo colto,
  3210  
  3211  che da l’un lato tutti hanno la fronte
  3212  verso ’l castello e vanno a Santo Pietro,
  3213  da l’altra sponda vanno verso ’l monte.
  3214  
  3215  Di qua, di là, su per lo sasso tetro
  3216  vidi demon cornuti con gran ferze,
  3217  che li battien crudelmente di retro.
  3218  
  3219  Ahi come facean lor levar le berze
  3220  a le prime percosse! già nessuno
  3221  le seconde aspettava né le terze.
  3222  
  3223  Mentr’ io andava, li occhi miei in uno
  3224  furo scontrati; e io sì tosto dissi:
  3225  «Già di veder costui non son digiuno».
  3226  
  3227  Per ch’ïo a figurarlo i piedi affissi;
  3228  e ’l dolce duca meco si ristette,
  3229  e assentio ch’alquanto in dietro gissi.
  3230  
  3231  E quel frustato celar si credette
  3232  bassando ’l viso; ma poco li valse,
  3233  ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette,
  3234  
  3235  se le fazion che porti non son false,
  3236  Venedico se’ tu Caccianemico.
  3237  Ma che ti mena a sì pungenti salse?».
  3238  
  3239  Ed elli a me: «Mal volontier lo dico;
  3240  ma sforzami la tua chiara favella,
  3241  che mi fa sovvenir del mondo antico.
  3242  
  3243  I’ fui colui che la Ghisolabella
  3244  condussi a far la voglia del marchese,
  3245  come che suoni la sconcia novella.
  3246  
  3247  E non pur io qui piango bolognese;
  3248  anzi n’è questo loco tanto pieno,
  3249  che tante lingue non son ora apprese
  3250  
  3251  a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno;
  3252  e se di ciò vuoi fede o testimonio,
  3253  rècati a mente il nostro avaro seno».
  3254  
  3255  Così parlando il percosse un demonio
  3256  de la sua scurïada, e disse: «Via,
  3257  ruffian! qui non son femmine da conio».
  3258  
  3259  I’ mi raggiunsi con la scorta mia;
  3260  poscia con pochi passi divenimmo
  3261  là ’v’ uno scoglio de la ripa uscia.
  3262  
  3263  Assai leggeramente quel salimmo;
  3264  e vòlti a destra su per la sua scheggia,
  3265  da quelle cerchie etterne ci partimmo.
  3266  
  3267  Quando noi fummo là dov’ el vaneggia
  3268  di sotto per dar passo a li sferzati,
  3269  lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
  3270  
  3271  lo viso in te di quest’ altri mal nati,
  3272  ai quali ancor non vedesti la faccia
  3273  però che son con noi insieme andati».
  3274  
  3275  Del vecchio ponte guardavam la traccia
  3276  che venìa verso noi da l’altra banda,
  3277  e che la ferza similmente scaccia.
  3278  
  3279  E ’l buon maestro, sanza mia dimanda,
  3280  mi disse: «Guarda quel grande che vene,
  3281  e per dolor non par lagrime spanda:
  3282  
  3283  quanto aspetto reale ancor ritene!
  3284  Quelli è Iasón, che per cuore e per senno
  3285  li Colchi del monton privati féne.
  3286  
  3287  Ello passò per l’isola di Lenno
  3288  poi che l’ardite femmine spietate
  3289  tutti li maschi loro a morte dienno.
  3290  
  3291  Ivi con segni e con parole ornate
  3292  Isifile ingannò, la giovinetta
  3293  che prima avea tutte l’altre ingannate.
  3294  
  3295  Lasciolla quivi, gravida, soletta;
  3296  tal colpa a tal martiro lui condanna;
  3297  e anche di Medea si fa vendetta.
  3298  
  3299  Con lui sen va chi da tal parte inganna;
  3300  e questo basti de la prima valle
  3301  sapere e di color che ’n sé assanna».
  3302  
  3303  Già eravam là ’ve lo stretto calle
  3304  con l’argine secondo s’incrocicchia,
  3305  e fa di quello ad un altr’ arco spalle.
  3306  
  3307  Quindi sentimmo gente che si nicchia
  3308  ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
  3309  e sé medesma con le palme picchia.
  3310  
  3311  Le ripe eran grommate d’una muffa,
  3312  per l’alito di giù che vi s’appasta,
  3313  che con li occhi e col naso facea zuffa.
  3314  
  3315  Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
  3316  loco a veder sanza montare al dosso
  3317  de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta.
  3318  
  3319  Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
  3320  vidi gente attuffata in uno sterco
  3321  che da li uman privadi parea mosso.
  3322  
  3323  E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
  3324  vidi un col capo sì di merda lordo,
  3325  che non parëa s’era laico o cherco.
  3326  
  3327  Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo
  3328  di riguardar più me che li altri brutti?».
  3329  E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
  3330  
  3331  già t’ho veduto coi capelli asciutti,
  3332  e se’ Alessio Interminei da Lucca:
  3333  però t’adocchio più che li altri tutti».
  3334  
  3335  Ed elli allor, battendosi la zucca:
  3336  «Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe
  3337  ond’ io non ebbi mai la lingua stucca».
  3338  
  3339  Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
  3340  mi disse, «il viso un poco più avante,
  3341  sì che la faccia ben con l’occhio attinghe
  3342  
  3343  di quella sozza e scapigliata fante
  3344  che là si graffia con l’unghie merdose,
  3345  e or s’accoscia e ora è in piedi stante.
  3346  
  3347  Taïde è, la puttana che rispuose
  3348  al drudo suo quando disse “Ho io grazie
  3349  grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”.
  3350  
  3351  E quinci sian le nostre viste sazie».
  3352  
  3353  
  3354  
  3355  Inferno · Canto XIX
  3356  
  3357  
  3358  O Simon mago, o miseri seguaci
  3359  che le cose di Dio, che di bontate
  3360  deon essere spose, e voi rapaci
  3361  
  3362  per oro e per argento avolterate,
  3363  or convien che per voi suoni la tromba,
  3364  però che ne la terza bolgia state.
  3365  
  3366  Già eravamo, a la seguente tomba,
  3367  montati de lo scoglio in quella parte
  3368  ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba.
  3369  
  3370  O somma sapïenza, quanta è l’arte
  3371  che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
  3372  e quanto giusto tua virtù comparte!
  3373  
  3374  Io vidi per le coste e per lo fondo
  3375  piena la pietra livida di fóri,
  3376  d’un largo tutti e ciascun era tondo.
  3377  
  3378  Non mi parean men ampi né maggiori
  3379  che que’ che son nel mio bel San Giovanni,
  3380  fatti per loco d’i battezzatori;
  3381  
  3382  l’un de li quali, ancor non è molt’ anni,
  3383  rupp’ io per un che dentro v’annegava:
  3384  e questo sia suggel ch’ogn’ omo sganni.
  3385  
  3386  Fuor de la bocca a ciascun soperchiava
  3387  d’un peccator li piedi e de le gambe
  3388  infino al grosso, e l’altro dentro stava.
  3389  
  3390  Le piante erano a tutti accese intrambe;
  3391  per che sì forte guizzavan le giunte,
  3392  che spezzate averien ritorte e strambe.
  3393  
  3394  Qual suole il fiammeggiar de le cose unte
  3395  muoversi pur su per la strema buccia,
  3396  tal era lì dai calcagni a le punte.
  3397  
  3398  «Chi è colui, maestro, che si cruccia
  3399  guizzando più che li altri suoi consorti»,
  3400  diss’ io, «e cui più roggia fiamma succia?».
  3401  
  3402  Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti porti
  3403  là giù per quella ripa che più giace,
  3404  da lui saprai di sé e de’ suoi torti».
  3405  
  3406  E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace:
  3407  tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto
  3408  dal tuo volere, e sai quel che si tace».
  3409  
  3410  Allor venimmo in su l’argine quarto;
  3411  volgemmo e discendemmo a mano stanca
  3412  là giù nel fondo foracchiato e arto.
  3413  
  3414  Lo buon maestro ancor de la sua anca
  3415  non mi dipuose, sì mi giunse al rotto
  3416  di quel che si piangeva con la zanca.
  3417  
  3418  «O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,
  3419  anima trista come pal commessa»,
  3420  comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto».
  3421  
  3422  Io stava come ’l frate che confessa
  3423  lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
  3424  richiama lui per che la morte cessa.
  3425  
  3426  Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,
  3427  se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
  3428  Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
  3429  
  3430  Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio
  3431  per lo qual non temesti tòrre a ’nganno
  3432  la bella donna, e poi di farne strazio?».
  3433  
  3434  Tal mi fec’ io, quai son color che stanno,
  3435  per non intender ciò ch’è lor risposto,
  3436  quasi scornati, e risponder non sanno.
  3437  
  3438  Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:
  3439  “Non son colui, non son colui che credi”»;
  3440  e io rispuosi come a me fu imposto.
  3441  
  3442  Per che lo spirto tutti storse i piedi;
  3443  poi, sospirando e con voce di pianto,
  3444  mi disse: «Dunque che a me richiedi?
  3445  
  3446  Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,
  3447  che tu abbi però la ripa corsa,
  3448  sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;
  3449  
  3450  e veramente fui figliuol de l’orsa,
  3451  cupido sì per avanzar li orsatti,
  3452  che sù l’avere e qui me misi in borsa.
  3453  
  3454  Di sotto al capo mio son li altri tratti
  3455  che precedetter me simoneggiando,
  3456  per le fessure de la pietra piatti.
  3457  
  3458  Là giù cascherò io altresì quando
  3459  verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,
  3460  allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando.
  3461  
  3462  Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi
  3463  e ch’i’ son stato così sottosopra,
  3464  ch’el non starà piantato coi piè rossi:
  3465  
  3466  ché dopo lui verrà di più laida opra,
  3467  di ver’ ponente, un pastor sanza legge,
  3468  tal che convien che lui e me ricuopra.
  3469  
  3470  Nuovo Iasón sarà, di cui si legge
  3471  ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
  3472  suo re, così fia lui chi Francia regge».
  3473  
  3474  Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,
  3475  ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:
  3476  «Deh, or mi dì: quanto tesoro volle
  3477  
  3478  Nostro Segnore in prima da san Pietro
  3479  ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?
  3480  Certo non chiese se non “Viemmi retro”.
  3481  
  3482  Né Pier né li altri tolsero a Matia
  3483  oro od argento, quando fu sortito
  3484  al loco che perdé l’anima ria.
  3485  
  3486  Però ti sta, ché tu se’ ben punito;
  3487  e guarda ben la mal tolta moneta
  3488  ch’esser ti fece contra Carlo ardito.
  3489  
  3490  E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
  3491  la reverenza de le somme chiavi
  3492  che tu tenesti ne la vita lieta,
  3493  
  3494  io userei parole ancor più gravi;
  3495  ché la vostra avarizia il mondo attrista,
  3496  calcando i buoni e sollevando i pravi.
  3497  
  3498  Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
  3499  quando colei che siede sopra l’acque
  3500  puttaneggiar coi regi a lui fu vista;
  3501  
  3502  quella che con le sette teste nacque,
  3503  e da le diece corna ebbe argomento,
  3504  fin che virtute al suo marito piacque.
  3505  
  3506  Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;
  3507  e che altro è da voi a l’idolatre,
  3508  se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?
  3509  
  3510  Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
  3511  non la tua conversion, ma quella dote
  3512  che da te prese il primo ricco patre!».
  3513  
  3514  E mentr’ io li cantava cotai note,
  3515  o ira o coscïenza che ’l mordesse,
  3516  forte spingava con ambo le piote.
  3517  
  3518  I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,
  3519  con sì contenta labbia sempre attese
  3520  lo suon de le parole vere espresse.
  3521  
  3522  Però con ambo le braccia mi prese;
  3523  e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
  3524  rimontò per la via onde discese.
  3525  
  3526  Né si stancò d’avermi a sé distretto,
  3527  sì men portò sovra ’l colmo de l’arco
  3528  che dal quarto al quinto argine è tragetto.
  3529  
  3530  Quivi soavemente spuose il carco,
  3531  soave per lo scoglio sconcio ed erto
  3532  che sarebbe a le capre duro varco.
  3533  
  3534  Indi un altro vallon mi fu scoperto.
  3535  
  3536  
  3537  
  3538  Inferno · Canto XX
  3539  
  3540  
  3541  Di nova pena mi conven far versi
  3542  e dar matera al ventesimo canto
  3543  de la prima canzon, ch’è d’i sommersi.
  3544  
  3545  Io era già disposto tutto quanto
  3546  a riguardar ne lo scoperto fondo,
  3547  che si bagnava d’angoscioso pianto;
  3548  
  3549  e vidi gente per lo vallon tondo
  3550  venir, tacendo e lagrimando, al passo
  3551  che fanno le letane in questo mondo.
  3552  
  3553  Come ’l viso mi scese in lor più basso,
  3554  mirabilmente apparve esser travolto
  3555  ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso,
  3556  
  3557  ché da le reni era tornato ’l volto,
  3558  e in dietro venir li convenia,
  3559  perché ’l veder dinanzi era lor tolto.
  3560  
  3561  Forse per forza già di parlasia
  3562  si travolse così alcun del tutto;
  3563  ma io nol vidi, né credo che sia.
  3564  
  3565  Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
  3566  di tua lezione, or pensa per te stesso
  3567  com’ io potea tener lo viso asciutto,
  3568  
  3569  quando la nostra imagine di presso
  3570  vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi
  3571  le natiche bagnava per lo fesso.
  3572  
  3573  Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi
  3574  del duro scoglio, sì che la mia scorta
  3575  mi disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi?
  3576  
  3577  Qui vive la pietà quand’ è ben morta;
  3578  chi è più scellerato che colui
  3579  che al giudicio divin passion comporta?
  3580  
  3581  Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
  3582  s’aperse a li occhi d’i Teban la terra;
  3583  per ch’ei gridavan tutti: “Dove rui,
  3584  
  3585  Anfïarao? perché lasci la guerra?”.
  3586  E non restò di ruinare a valle
  3587  fino a Minòs che ciascheduno afferra.
  3588  
  3589  Mira c’ha fatto petto de le spalle;
  3590  perché volle veder troppo davante,
  3591  di retro guarda e fa retroso calle.
  3592  
  3593  Vedi Tiresia, che mutò sembiante
  3594  quando di maschio femmina divenne,
  3595  cangiandosi le membra tutte quante;
  3596  
  3597  e prima, poi, ribatter li convenne
  3598  li duo serpenti avvolti, con la verga,
  3599  che rïavesse le maschili penne.
  3600  
  3601  Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,
  3602  che ne’ monti di Luni, dove ronca
  3603  lo Carrarese che di sotto alberga,
  3604  
  3605  ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca
  3606  per sua dimora; onde a guardar le stelle
  3607  e ’l mar non li era la veduta tronca.
  3608  
  3609  E quella che ricuopre le mammelle,
  3610  che tu non vedi, con le trecce sciolte,
  3611  e ha di là ogne pilosa pelle,
  3612  
  3613  Manto fu, che cercò per terre molte;
  3614  poscia si puose là dove nacqu’ io;
  3615  onde un poco mi piace che m’ascolte.
  3616  
  3617  Poscia che ’l padre suo di vita uscìo
  3618  e venne serva la città di Baco,
  3619  questa gran tempo per lo mondo gio.
  3620  
  3621  Suso in Italia bella giace un laco,
  3622  a piè de l’Alpe che serra Lamagna
  3623  sovra Tiralli, c’ha nome Benaco.
  3624  
  3625  Per mille fonti, credo, e più si bagna
  3626  tra Garda e Val Camonica e Pennino
  3627  de l’acqua che nel detto laco stagna.
  3628  
  3629  Loco è nel mezzo là dove ’l trentino
  3630  pastore e quel di Brescia e ’l veronese
  3631  segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.
  3632  
  3633  Siede Peschiera, bello e forte arnese
  3634  da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
  3635  ove la riva ’ntorno più discese.
  3636  
  3637  Ivi convien che tutto quanto caschi
  3638  ciò che ’n grembo a Benaco star non può,
  3639  e fassi fiume giù per verdi paschi.
  3640  
  3641  Tosto che l’acqua a correr mette co,
  3642  non più Benaco, ma Mencio si chiama
  3643  fino a Governol, dove cade in Po.
  3644  
  3645  Non molto ha corso, ch’el trova una lama,
  3646  ne la qual si distende e la ’mpaluda;
  3647  e suol di state talor essere grama.
  3648  
  3649  Quindi passando la vergine cruda
  3650  vide terra, nel mezzo del pantano,
  3651  sanza coltura e d’abitanti nuda.
  3652  
  3653  Lì, per fuggire ogne consorzio umano,
  3654  ristette con suoi servi a far sue arti,
  3655  e visse, e vi lasciò suo corpo vano.
  3656  
  3657  Li uomini poi che ’ntorno erano sparti
  3658  s’accolsero a quel loco, ch’era forte
  3659  per lo pantan ch’avea da tutte parti.
  3660  
  3661  Fer la città sovra quell’ ossa morte;
  3662  e per colei che ’l loco prima elesse,
  3663  Mantüa l’appellar sanz’ altra sorte.
  3664  
  3665  Già fuor le genti sue dentro più spesse,
  3666  prima che la mattia da Casalodi
  3667  da Pinamonte inganno ricevesse.
  3668  
  3669  Però t’assenno che, se tu mai odi
  3670  originar la mia terra altrimenti,
  3671  la verità nulla menzogna frodi».
  3672  
  3673  E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti
  3674  mi son sì certi e prendon sì mia fede,
  3675  che li altri mi sarien carboni spenti.
  3676  
  3677  Ma dimmi, de la gente che procede,
  3678  se tu ne vedi alcun degno di nota;
  3679  ché solo a ciò la mia mente rifiede».
  3680  
  3681  Allor mi disse: «Quel che da la gota
  3682  porge la barba in su le spalle brune,
  3683  fu—quando Grecia fu di maschi vòta,
  3684  
  3685  sì ch’a pena rimaser per le cune—
  3686  augure, e diede ’l punto con Calcanta
  3687  in Aulide a tagliar la prima fune.
  3688  
  3689  Euripilo ebbe nome, e così ’l canta
  3690  l’alta mia tragedìa in alcun loco:
  3691  ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
  3692  
  3693  Quell’ altro che ne’ fianchi è così poco,
  3694  Michele Scotto fu, che veramente
  3695  de le magiche frode seppe ’l gioco.
  3696  
  3697  Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
  3698  ch’avere inteso al cuoio e a lo spago
  3699  ora vorrebbe, ma tardi si pente.
  3700  
  3701  Vedi le triste che lasciaron l’ago,
  3702  la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;
  3703  fecer malie con erbe e con imago.
  3704  
  3705  Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine
  3706  d’amendue li emisperi e tocca l’onda
  3707  sotto Sobilia Caino e le spine;
  3708  
  3709  e già iernotte fu la luna tonda:
  3710  ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque
  3711  alcuna volta per la selva fonda».
  3712  
  3713  Sì mi parlava, e andavamo introcque.
  3714  
  3715  
  3716  
  3717  Inferno · Canto XXI
  3718  
  3719  
  3720  Così di ponte in ponte, altro parlando
  3721  che la mia comedìa cantar non cura,
  3722  venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando
  3723  
  3724  restammo per veder l’altra fessura
  3725  di Malebolge e li altri pianti vani;
  3726  e vidila mirabilmente oscura.
  3727  
  3728  Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
  3729  bolle l’inverno la tenace pece
  3730  a rimpalmare i legni lor non sani,
  3731  
  3732  ché navicar non ponno—in quella vece
  3733  chi fa suo legno novo e chi ristoppa
  3734  le coste a quel che più vïaggi fece;
  3735  
  3736  chi ribatte da proda e chi da poppa;
  3737  altri fa remi e altri volge sarte;
  3738  chi terzeruolo e artimon rintoppa—:
  3739  
  3740  tal, non per foco ma per divin’ arte,
  3741  bollia là giuso una pegola spessa,
  3742  che ’nviscava la ripa d’ogne parte.
  3743  
  3744  I’ vedea lei, ma non vedëa in essa
  3745  mai che le bolle che ’l bollor levava,
  3746  e gonfiar tutta, e riseder compressa.
  3747  
  3748  Mentr’ io là giù fisamente mirava,
  3749  lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,
  3750  mi trasse a sé del loco dov’ io stava.
  3751  
  3752  Allor mi volsi come l’uom cui tarda
  3753  di veder quel che li convien fuggire
  3754  e cui paura sùbita sgagliarda,
  3755  
  3756  che, per veder, non indugia ’l partire:
  3757  e vidi dietro a noi un diavol nero
  3758  correndo su per lo scoglio venire.
  3759  
  3760  Ahi quant’ elli era ne l’aspetto fero!
  3761  e quanto mi parea ne l’atto acerbo,
  3762  con l’ali aperte e sovra i piè leggero!
  3763  
  3764  L’omero suo, ch’era aguto e superbo,
  3765  carcava un peccator con ambo l’anche,
  3766  e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo.
  3767  
  3768  Del nostro ponte disse: «O Malebranche,
  3769  ecco un de li anzïan di Santa Zita!
  3770  Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche
  3771  
  3772  a quella terra, che n’è ben fornita:
  3773  ogn’ uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
  3774  del no, per li denar, vi si fa ita».
  3775  
  3776  Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro
  3777  si volse; e mai non fu mastino sciolto
  3778  con tanta fretta a seguitar lo furo.
  3779  
  3780  Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;
  3781  ma i demon che del ponte avean coperchio,
  3782  gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto!
  3783  
  3784  qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
  3785  Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,
  3786  non far sopra la pegola soverchio».
  3787  
  3788  Poi l’addentar con più di cento raffi,
  3789  disser: «Coverto convien che qui balli,
  3790  sì che, se puoi, nascosamente accaffi».
  3791  
  3792  Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli
  3793  fanno attuffare in mezzo la caldaia
  3794  la carne con li uncin, perché non galli.
  3795  
  3796  Lo buon maestro «Acciò che non si paia
  3797  che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta
  3798  dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia;
  3799  
  3800  e per nulla offension che mi sia fatta,
  3801  non temer tu, ch’i’ ho le cose conte,
  3802  perch’ altra volta fui a tal baratta».
  3803  
  3804  Poscia passò di là dal co del ponte;
  3805  e com’ el giunse in su la ripa sesta,
  3806  mestier li fu d’aver sicura fronte.
  3807  
  3808  Con quel furore e con quella tempesta
  3809  ch’escono i cani a dosso al poverello
  3810  che di sùbito chiede ove s’arresta,
  3811  
  3812  usciron quei di sotto al ponticello,
  3813  e volser contra lui tutt’ i runcigli;
  3814  ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!
  3815  
  3816  Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,
  3817  traggasi avante l’un di voi che m’oda,
  3818  e poi d’arruncigliarmi si consigli».
  3819  
  3820  Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;
  3821  per ch’un si mosse—e li altri stetter fermi—
  3822  e venne a lui dicendo: «Che li approda?».
  3823  
  3824  «Credi tu, Malacoda, qui vedermi
  3825  esser venuto», disse ’l mio maestro,
  3826  «sicuro già da tutti vostri schermi,
  3827  
  3828  sanza voler divino e fato destro?
  3829  Lascian’ andar, ché nel cielo è voluto
  3830  ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro».
  3831  
  3832  Allor li fu l’orgoglio sì caduto,
  3833  ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi,
  3834  e disse a li altri: «Omai non sia feruto».
  3835  
  3836  E ’l duca mio a me: «O tu che siedi
  3837  tra li scheggion del ponte quatto quatto,
  3838  sicuramente omai a me ti riedi».
  3839  
  3840  Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto;
  3841  e i diavoli si fecer tutti avanti,
  3842  sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto;
  3843  
  3844  così vid’ ïo già temer li fanti
  3845  ch’uscivan patteggiati di Caprona,
  3846  veggendo sé tra nemici cotanti.
  3847  
  3848  I’ m’accostai con tutta la persona
  3849  lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi
  3850  da la sembianza lor ch’era non buona.
  3851  
  3852  Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi»,
  3853  diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?».
  3854  E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi».
  3855  
  3856  Ma quel demonio che tenea sermone
  3857  col duca mio, si volse tutto presto
  3858  e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».
  3859  
  3860  Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo
  3861  iscoglio non si può, però che giace
  3862  tutto spezzato al fondo l’arco sesto.
  3863  
  3864  E se l’andare avante pur vi piace,
  3865  andatevene su per questa grotta;
  3866  presso è un altro scoglio che via face.
  3867  
  3868  Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta,
  3869  mille dugento con sessanta sei
  3870  anni compié che qui la via fu rotta.
  3871  
  3872  Io mando verso là di questi miei
  3873  a riguardar s’alcun se ne sciorina;
  3874  gite con lor, che non saranno rei».
  3875  
  3876  «Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina»,
  3877  cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
  3878  e Barbariccia guidi la decina.
  3879  
  3880  Libicocco vegn’ oltre e Draghignazzo,
  3881  Cirïatto sannuto e Graffiacane
  3882  e Farfarello e Rubicante pazzo.
  3883  
  3884  Cercate ’ntorno le boglienti pane;
  3885  costor sian salvi infino a l’altro scheggio
  3886  che tutto intero va sovra le tane».
  3887  
  3888  «Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?»,
  3889  diss’ io, «deh, sanza scorta andianci soli,
  3890  se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio.
  3891  
  3892  Se tu se’ sì accorto come suoli,
  3893  non vedi tu ch’e’ digrignan li denti
  3894  e con le ciglia ne minaccian duoli?».
  3895  
  3896  Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi;
  3897  lasciali digrignar pur a lor senno,
  3898  ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti».
  3899  
  3900  Per l’argine sinistro volta dienno;
  3901  ma prima avea ciascun la lingua stretta
  3902  coi denti, verso lor duca, per cenno;
  3903  
  3904  ed elli avea del cul fatto trombetta.
  3905  
  3906  
  3907  
  3908  Inferno · Canto XXII
  3909  
  3910  
  3911  Io vidi già cavalier muover campo,
  3912  e cominciare stormo e far lor mostra,
  3913  e talvolta partir per loro scampo;
  3914  
  3915  corridor vidi per la terra vostra,
  3916  o Aretini, e vidi gir gualdane,
  3917  fedir torneamenti e correr giostra;
  3918  
  3919  quando con trombe, e quando con campane,
  3920  con tamburi e con cenni di castella,
  3921  e con cose nostrali e con istrane;
  3922  
  3923  né già con sì diversa cennamella
  3924  cavalier vidi muover né pedoni,
  3925  né nave a segno di terra o di stella.
  3926  
  3927  Noi andavam con li diece demoni.
  3928  Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa
  3929  coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
  3930  
  3931  Pur a la pegola era la mia ’ntesa,
  3932  per veder de la bolgia ogne contegno
  3933  e de la gente ch’entro v’era incesa.
  3934  
  3935  Come i dalfini, quando fanno segno
  3936  a’ marinar con l’arco de la schiena
  3937  che s’argomentin di campar lor legno,
  3938  
  3939  talor così, ad alleggiar la pena,
  3940  mostrav’ alcun de’ peccatori ’l dosso
  3941  e nascondea in men che non balena.
  3942  
  3943  E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso
  3944  stanno i ranocchi pur col muso fuori,
  3945  sì che celano i piedi e l’altro grosso,
  3946  
  3947  sì stavan d’ogne parte i peccatori;
  3948  ma come s’appressava Barbariccia,
  3949  così si ritraén sotto i bollori.
  3950  
  3951  I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia,
  3952  uno aspettar così, com’ elli ’ncontra
  3953  ch’una rana rimane e l’altra spiccia;
  3954  
  3955  e Graffiacan, che li era più di contra,
  3956  li arruncigliò le ’mpegolate chiome
  3957  e trassel sù, che mi parve una lontra.
  3958  
  3959  I’ sapea già di tutti quanti ’l nome,
  3960  sì li notai quando fuorono eletti,
  3961  e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come.
  3962  
  3963  «O Rubicante, fa che tu li metti
  3964  li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,
  3965  gridavan tutti insieme i maladetti.
  3966  
  3967  E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi,
  3968  che tu sappi chi è lo sciagurato
  3969  venuto a man de li avversari suoi».
  3970  
  3971  Lo duca mio li s’accostò allato;
  3972  domandollo ond’ ei fosse, e quei rispuose:
  3973  «I’ fui del regno di Navarra nato.
  3974  
  3975  Mia madre a servo d’un segnor mi puose,
  3976  che m’avea generato d’un ribaldo,
  3977  distruggitor di sé e di sue cose.
  3978  
  3979  Poi fui famiglia del buon re Tebaldo;
  3980  quivi mi misi a far baratteria,
  3981  di ch’io rendo ragione in questo caldo».
  3982  
  3983  E Cirïatto, a cui di bocca uscia
  3984  d’ogne parte una sanna come a porco,
  3985  li fé sentir come l’una sdruscia.
  3986  
  3987  Tra male gatte era venuto ’l sorco;
  3988  ma Barbariccia il chiuse con le braccia
  3989  e disse: «State in là, mentr’ io lo ’nforco».
  3990  
  3991  E al maestro mio volse la faccia;
  3992  «Domanda», disse, «ancor, se più disii
  3993  saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia».
  3994  
  3995  Lo duca dunque: «Or dì: de li altri rii
  3996  conosci tu alcun che sia latino
  3997  sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii,
  3998  
  3999  poco è, da un che fu di là vicino.
  4000  Così foss’ io ancor con lui coperto,
  4001  ch’i’ non temerei unghia né uncino!».
  4002  
  4003  E Libicocco «Troppo avem sofferto»,
  4004  disse; e preseli ’l braccio col runciglio,
  4005  sì che, stracciando, ne portò un lacerto.
  4006  
  4007  Draghignazzo anco i volle dar di piglio
  4008  giuso a le gambe; onde ’l decurio loro
  4009  si volse intorno intorno con mal piglio.
  4010  
  4011  Quand’ elli un poco rappaciati fuoro,
  4012  a lui, ch’ancor mirava sua ferita,
  4013  domandò ’l duca mio sanza dimoro:
  4014  
  4015  «Chi fu colui da cui mala partita
  4016  di’ che facesti per venire a proda?».
  4017  Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita,
  4018  
  4019  quel di Gallura, vasel d’ogne froda,
  4020  ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,
  4021  e fé sì lor, che ciascun se ne loda.
  4022  
  4023  Danar si tolse e lasciolli di piano,
  4024  sì com’ e’ dice; e ne li altri offici anche
  4025  barattier fu non picciol, ma sovrano.
  4026  
  4027  Usa con esso donno Michel Zanche
  4028  di Logodoro; e a dir di Sardigna
  4029  le lingue lor non si sentono stanche.
  4030  
  4031  Omè, vedete l’altro che digrigna;
  4032  i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello
  4033  non s’apparecchi a grattarmi la tigna».
  4034  
  4035  E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello
  4036  che stralunava li occhi per fedire,
  4037  disse: «Fatti ’n costà, malvagio uccello!».
  4038  
  4039  «Se voi volete vedere o udire»,
  4040  ricominciò lo spaürato appresso,
  4041  «Toschi o Lombardi, io ne farò venire;
  4042  
  4043  ma stieno i Malebranche un poco in cesso,
  4044  sì ch’ei non teman de le lor vendette;
  4045  e io, seggendo in questo loco stesso,
  4046  
  4047  per un ch’io son, ne farò venir sette
  4048  quand’ io suffolerò, com’ è nostro uso
  4049  di fare allor che fori alcun si mette».
  4050  
  4051  Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,
  4052  crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia
  4053  ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!».
  4054  
  4055  Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,
  4056  rispuose: «Malizioso son io troppo,
  4057  quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia».
  4058  
  4059  Alichin non si tenne e, di rintoppo
  4060  a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,
  4061  io non ti verrò dietro di gualoppo,
  4062  
  4063  ma batterò sovra la pece l’ali.
  4064  Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,
  4065  a veder se tu sol più di noi vali».
  4066  
  4067  O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
  4068  ciascun da l’altra costa li occhi volse,
  4069  quel prima, ch’a ciò fare era più crudo.
  4070  
  4071  Lo Navarrese ben suo tempo colse;
  4072  fermò le piante a terra, e in un punto
  4073  saltò e dal proposto lor si sciolse.
  4074  
  4075  Di che ciascun di colpa fu compunto,
  4076  ma quei più che cagion fu del difetto;
  4077  però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!».
  4078  
  4079  Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto
  4080  non potero avanzar; quelli andò sotto,
  4081  e quei drizzò volando suso il petto:
  4082  
  4083  non altrimenti l’anitra di botto,
  4084  quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa,
  4085  ed ei ritorna sù crucciato e rotto.
  4086  
  4087  Irato Calcabrina de la buffa,
  4088  volando dietro li tenne, invaghito
  4089  che quei campasse per aver la zuffa;
  4090  
  4091  e come ’l barattier fu disparito,
  4092  così volse li artigli al suo compagno,
  4093  e fu con lui sopra ’l fosso ghermito.
  4094  
  4095  Ma l’altro fu bene sparvier grifagno
  4096  ad artigliar ben lui, e amendue
  4097  cadder nel mezzo del bogliente stagno.
  4098  
  4099  Lo caldo sghermitor sùbito fue;
  4100  ma però di levarsi era neente,
  4101  sì avieno inviscate l’ali sue.
  4102  
  4103  Barbariccia, con li altri suoi dolente,
  4104  quattro ne fé volar da l’altra costa
  4105  con tutt’ i raffi, e assai prestamente
  4106  
  4107  di qua, di là discesero a la posta;
  4108  porser li uncini verso li ’mpaniati,
  4109  ch’eran già cotti dentro da la crosta.
  4110  
  4111  E noi lasciammo lor così ’mpacciati.
  4112  
  4113  
  4114  
  4115  Inferno · Canto XXIII
  4116  
  4117  
  4118  Taciti, soli, sanza compagnia
  4119  n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
  4120  come frati minor vanno per via.
  4121  
  4122  Vòlt’ era in su la favola d’Isopo
  4123  lo mio pensier per la presente rissa,
  4124  dov’ el parlò de la rana e del topo;
  4125  
  4126  ché più non si pareggia ‘mo’ e ‘issa’
  4127  che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia
  4128  principio e fine con la mente fissa.
  4129  
  4130  E come l’un pensier de l’altro scoppia,
  4131  così nacque di quello un altro poi,
  4132  che la prima paura mi fé doppia.
  4133  
  4134  Io pensava così: ‘Questi per noi
  4135  sono scherniti con danno e con beffa
  4136  sì fatta, ch’assai credo che lor nòi.
  4137  
  4138  Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa,
  4139  ei ne verranno dietro più crudeli
  4140  che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’.
  4141  
  4142  Già mi sentia tutti arricciar li peli
  4143  de la paura e stava in dietro intento,
  4144  quand’ io dissi: «Maestro, se non celi
  4145  
  4146  te e me tostamente, i’ ho pavento
  4147  d’i Malebranche. Noi li avem già dietro;
  4148  io li ’magino sì, che già li sento».
  4149  
  4150  E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro,
  4151  l’imagine di fuor tua non trarrei
  4152  più tosto a me, che quella dentro ’mpetro.
  4153  
  4154  Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei,
  4155  con simile atto e con simile faccia,
  4156  sì che d’intrambi un sol consiglio fei.
  4157  
  4158  S’elli è che sì la destra costa giaccia,
  4159  che noi possiam ne l’altra bolgia scendere,
  4160  noi fuggirem l’imaginata caccia».
  4161  
  4162  Già non compié di tal consiglio rendere,
  4163  ch’io li vidi venir con l’ali tese
  4164  non molto lungi, per volerne prendere.
  4165  
  4166  Lo duca mio di sùbito mi prese,
  4167  come la madre ch’al romore è desta
  4168  e vede presso a sé le fiamme accese,
  4169  
  4170  che prende il figlio e fugge e non s’arresta,
  4171  avendo più di lui che di sé cura,
  4172  tanto che solo una camiscia vesta;
  4173  
  4174  e giù dal collo de la ripa dura
  4175  supin si diede a la pendente roccia,
  4176  che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.
  4177  
  4178  Non corse mai sì tosto acqua per doccia
  4179  a volger ruota di molin terragno,
  4180  quand’ ella più verso le pale approccia,
  4181  
  4182  come ’l maestro mio per quel vivagno,
  4183  portandosene me sovra ’l suo petto,
  4184  come suo figlio, non come compagno.
  4185  
  4186  A pena fuoro i piè suoi giunti al letto
  4187  del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle
  4188  sovresso noi; ma non lì era sospetto:
  4189  
  4190  ché l’alta provedenza che lor volle
  4191  porre ministri de la fossa quinta,
  4192  poder di partirs’ indi a tutti tolle.
  4193  
  4194  Là giù trovammo una gente dipinta
  4195  che giva intorno assai con lenti passi,
  4196  piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
  4197  
  4198  Elli avean cappe con cappucci bassi
  4199  dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
  4200  che in Clugnì per li monaci fassi.
  4201  
  4202  Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;
  4203  ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
  4204  che Federigo le mettea di paglia.
  4205  
  4206  Oh in etterno faticoso manto!
  4207  Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
  4208  con loro insieme, intenti al tristo pianto;
  4209  
  4210  ma per lo peso quella gente stanca
  4211  venìa sì pian, che noi eravam nuovi
  4212  di compagnia ad ogne mover d’anca.
  4213  
  4214  Per ch’io al duca mio: «Fa che tu trovi
  4215  alcun ch’al fatto o al nome si conosca,
  4216  e li occhi, sì andando, intorno movi».
  4217  
  4218  E un che ’ntese la parola tosca,
  4219  di retro a noi gridò: «Tenete i piedi,
  4220  voi che correte sì per l’aura fosca!
  4221  
  4222  Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi».
  4223  Onde ’l duca si volse e disse: «Aspetta,
  4224  e poi secondo il suo passo procedi».
  4225  
  4226  Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
  4227  de l’animo, col viso, d’esser meco;
  4228  ma tardavali ’l carco e la via stretta.
  4229  
  4230  Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco
  4231  mi rimiraron sanza far parola;
  4232  poi si volsero in sé, e dicean seco:
  4233  
  4234  «Costui par vivo a l’atto de la gola;
  4235  e s’e’ son morti, per qual privilegio
  4236  vanno scoperti de la grave stola?».
  4237  
  4238  Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio
  4239  de l’ipocriti tristi se’ venuto,
  4240  dir chi tu se’ non avere in dispregio».
  4241  
  4242  E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto
  4243  sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,
  4244  e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.
  4245  
  4246  Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
  4247  quant’ i’ veggio dolor giù per le guance?
  4248  e che pena è in voi che sì sfavilla?».
  4249  
  4250  E l’un rispuose a me: «Le cappe rance
  4251  son di piombo sì grosse, che li pesi
  4252  fan così cigolar le lor bilance.
  4253  
  4254  Frati godenti fummo, e bolognesi;
  4255  io Catalano e questi Loderingo
  4256  nomati, e da tua terra insieme presi
  4257  
  4258  come suole esser tolto un uom solingo,
  4259  per conservar sua pace; e fummo tali,
  4260  ch’ancor si pare intorno dal Gardingo».
  4261  
  4262  Io cominciai: «O frati, i vostri mali . . . »;
  4263  ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse
  4264  un, crucifisso in terra con tre pali.
  4265  
  4266  Quando mi vide, tutto si distorse,
  4267  soffiando ne la barba con sospiri;
  4268  e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,
  4269  
  4270  mi disse: «Quel confitto che tu miri,
  4271  consigliò i Farisei che convenia
  4272  porre un uom per lo popolo a’ martìri.
  4273  
  4274  Attraversato è, nudo, ne la via,
  4275  come tu vedi, ed è mestier ch’el senta
  4276  qualunque passa, come pesa, pria.
  4277  
  4278  E a tal modo il socero si stenta
  4279  in questa fossa, e li altri dal concilio
  4280  che fu per li Giudei mala sementa».
  4281  
  4282  Allor vid’ io maravigliar Virgilio
  4283  sovra colui ch’era disteso in croce
  4284  tanto vilmente ne l’etterno essilio.
  4285  
  4286  Poscia drizzò al frate cotal voce:
  4287  «Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
  4288  s’a la man destra giace alcuna foce
  4289  
  4290  onde noi amendue possiamo uscirci,
  4291  sanza costrigner de li angeli neri
  4292  che vegnan d’esto fondo a dipartirci».
  4293  
  4294  Rispuose adunque: «Più che tu non speri
  4295  s’appressa un sasso che da la gran cerchia
  4296  si move e varca tutt’ i vallon feri,
  4297  
  4298  salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia;
  4299  montar potrete su per la ruina,
  4300  che giace in costa e nel fondo soperchia».
  4301  
  4302  Lo duca stette un poco a testa china;
  4303  poi disse: «Mal contava la bisogna
  4304  colui che i peccator di qua uncina».
  4305  
  4306  E ’l frate: «Io udi’ già dire a Bologna
  4307  del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’
  4308  ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna».
  4309  
  4310  Appresso il duca a gran passi sen gì,
  4311  turbato un poco d’ira nel sembiante;
  4312  ond’ io da li ’ncarcati mi parti’
  4313  
  4314  dietro a le poste de le care piante.
  4315  
  4316  
  4317  
  4318  Inferno · Canto XXIV
  4319  
  4320  
  4321  In quella parte del giovanetto anno
  4322  che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra
  4323  e già le notti al mezzo dì sen vanno,
  4324  
  4325  quando la brina in su la terra assempra
  4326  l’imagine di sua sorella bianca,
  4327  ma poco dura a la sua penna tempra,
  4328  
  4329  lo villanello a cui la roba manca,
  4330  si leva, e guarda, e vede la campagna
  4331  biancheggiar tutta; ond’ ei si batte l’anca,
  4332  
  4333  ritorna in casa, e qua e là si lagna,
  4334  come ’l tapin che non sa che si faccia;
  4335  poi riede, e la speranza ringavagna,
  4336  
  4337  veggendo ’l mondo aver cangiata faccia
  4338  in poco d’ora, e prende suo vincastro
  4339  e fuor le pecorelle a pascer caccia.
  4340  
  4341  Così mi fece sbigottir lo mastro
  4342  quand’ io li vidi sì turbar la fronte,
  4343  e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro;
  4344  
  4345  ché, come noi venimmo al guasto ponte,
  4346  lo duca a me si volse con quel piglio
  4347  dolce ch’io vidi prima a piè del monte.
  4348  
  4349  Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
  4350  eletto seco riguardando prima
  4351  ben la ruina, e diedemi di piglio.
  4352  
  4353  E come quei ch’adopera ed estima,
  4354  che sempre par che ’nnanzi si proveggia,
  4355  così, levando me sù ver’ la cima
  4356  
  4357  d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia
  4358  dicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa;
  4359  ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia».
  4360  
  4361  Non era via da vestito di cappa,
  4362  ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,
  4363  potavam sù montar di chiappa in chiappa.
  4364  
  4365  E se non fosse che da quel precinto
  4366  più che da l’altro era la costa corta,
  4367  non so di lui, ma io sarei ben vinto.
  4368  
  4369  Ma perché Malebolge inver’ la porta
  4370  del bassissimo pozzo tutta pende,
  4371  lo sito di ciascuna valle porta
  4372  
  4373  che l’una costa surge e l’altra scende;
  4374  noi pur venimmo al fine in su la punta
  4375  onde l’ultima pietra si scoscende.
  4376  
  4377  La lena m’era del polmon sì munta
  4378  quand’ io fui sù, ch’i’ non potea più oltre,
  4379  anzi m’assisi ne la prima giunta.
  4380  
  4381  «Omai convien che tu così ti spoltre»,
  4382  disse ’l maestro; «ché, seggendo in piuma,
  4383  in fama non si vien, né sotto coltre;
  4384  
  4385  sanza la qual chi sua vita consuma,
  4386  cotal vestigio in terra di sé lascia,
  4387  qual fummo in aere e in acqua la schiuma.
  4388  
  4389  E però leva sù; vinci l’ambascia
  4390  con l’animo che vince ogne battaglia,
  4391  se col suo grave corpo non s’accascia.
  4392  
  4393  Più lunga scala convien che si saglia;
  4394  non basta da costoro esser partito.
  4395  Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia».
  4396  
  4397  Leva’mi allor, mostrandomi fornito
  4398  meglio di lena ch’i’ non mi sentia,
  4399  e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito».
  4400  
  4401  Su per lo scoglio prendemmo la via,
  4402  ch’era ronchioso, stretto e malagevole,
  4403  ed erto più assai che quel di pria.
  4404  
  4405  Parlando andava per non parer fievole;
  4406  onde una voce uscì de l’altro fosso,
  4407  a parole formar disconvenevole.
  4408  
  4409  Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso
  4410  fossi de l’arco già che varca quivi;
  4411  ma chi parlava ad ire parea mosso.
  4412  
  4413  Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi
  4414  non poteano ire al fondo per lo scuro;
  4415  per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi
  4416  
  4417  da l’altro cinghio e dismontiam lo muro;
  4418  ché, com’ i’ odo quinci e non intendo,
  4419  così giù veggio e neente affiguro».
  4420  
  4421  «Altra risposta», disse, «non ti rendo
  4422  se non lo far; ché la dimanda onesta
  4423  si de’ seguir con l’opera tacendo».
  4424  
  4425  Noi discendemmo il ponte da la testa
  4426  dove s’aggiugne con l’ottava ripa,
  4427  e poi mi fu la bolgia manifesta:
  4428  
  4429  e vidivi entro terribile stipa
  4430  di serpenti, e di sì diversa mena
  4431  che la memoria il sangue ancor mi scipa.
  4432  
  4433  Più non si vanti Libia con sua rena;
  4434  ché se chelidri, iaculi e faree
  4435  produce, e cencri con anfisibena,
  4436  
  4437  né tante pestilenzie né sì ree
  4438  mostrò già mai con tutta l’Etïopia
  4439  né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
  4440  
  4441  Tra questa cruda e tristissima copia
  4442  corrëan genti nude e spaventate,
  4443  sanza sperar pertugio o elitropia:
  4444  
  4445  con serpi le man dietro avean legate;
  4446  quelle ficcavan per le ren la coda
  4447  e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
  4448  
  4449  Ed ecco a un ch’era da nostra proda,
  4450  s’avventò un serpente che ’l trafisse
  4451  là dove ’l collo a le spalle s’annoda.
  4452  
  4453  Né O sì tosto mai né I si scrisse,
  4454  com’ el s’accese e arse, e cener tutto
  4455  convenne che cascando divenisse;
  4456  
  4457  e poi che fu a terra sì distrutto,
  4458  la polver si raccolse per sé stessa
  4459  e ’n quel medesmo ritornò di butto.
  4460  
  4461  Così per li gran savi si confessa
  4462  che la fenice more e poi rinasce,
  4463  quando al cinquecentesimo anno appressa;
  4464  
  4465  erba né biado in sua vita non pasce,
  4466  ma sol d’incenso lagrime e d’amomo,
  4467  e nardo e mirra son l’ultime fasce.
  4468  
  4469  E qual è quel che cade, e non sa como,
  4470  per forza di demon ch’a terra il tira,
  4471  o d’altra oppilazion che lega l’omo,
  4472  
  4473  quando si leva, che ’ntorno si mira
  4474  tutto smarrito de la grande angoscia
  4475  ch’elli ha sofferta, e guardando sospira:
  4476  
  4477  tal era ’l peccator levato poscia.
  4478  Oh potenza di Dio, quant’ è severa,
  4479  che cotai colpi per vendetta croscia!
  4480  
  4481  Lo duca il domandò poi chi ello era;
  4482  per ch’ei rispuose: «Io piovvi di Toscana,
  4483  poco tempo è, in questa gola fiera.
  4484  
  4485  Vita bestial mi piacque e non umana,
  4486  sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci
  4487  bestia, e Pistoia mi fu degna tana».
  4488  
  4489  E ïo al duca: «Dilli che non mucci,
  4490  e domanda che colpa qua giù ’l pinse;
  4491  ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci».
  4492  
  4493  E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse,
  4494  ma drizzò verso me l’animo e ’l volto,
  4495  e di trista vergogna si dipinse;
  4496  
  4497  poi disse: «Più mi duol che tu m’hai colto
  4498  ne la miseria dove tu mi vedi,
  4499  che quando fui de l’altra vita tolto.
  4500  
  4501  Io non posso negar quel che tu chiedi;
  4502  in giù son messo tanto perch’ io fui
  4503  ladro a la sagrestia d’i belli arredi,
  4504  
  4505  e falsamente già fu apposto altrui.
  4506  Ma perché di tal vista tu non godi,
  4507  se mai sarai di fuor da’ luoghi bui,
  4508  
  4509  apri li orecchi al mio annunzio, e odi.
  4510  Pistoia in pria d’i Neri si dimagra;
  4511  poi Fiorenza rinova gente e modi.
  4512  
  4513  Tragge Marte vapor di Val di Magra
  4514  ch’è di torbidi nuvoli involuto;
  4515  e con tempesta impetüosa e agra
  4516  
  4517  sovra Campo Picen fia combattuto;
  4518  ond’ ei repente spezzerà la nebbia,
  4519  sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto.
  4520  
  4521  E detto l’ho perché doler ti debbia!».
  4522  
  4523  
  4524  
  4525  Inferno · Canto XXV
  4526  
  4527  
  4528  Al fine de le sue parole il ladro
  4529  le mani alzò con amendue le fiche,
  4530  gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!».
  4531  
  4532  Da indi in qua mi fuor le serpi amiche,
  4533  perch’ una li s’avvolse allora al collo,
  4534  come dicesse ‘Non vo’ che più diche’;
  4535  
  4536  e un’altra a le braccia, e rilegollo,
  4537  ribadendo sé stessa sì dinanzi,
  4538  che non potea con esse dare un crollo.
  4539  
  4540  Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi
  4541  d’incenerarti sì che più non duri,
  4542  poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi?
  4543  
  4544  Per tutt’ i cerchi de lo ’nferno scuri
  4545  non vidi spirto in Dio tanto superbo,
  4546  non quel che cadde a Tebe giù da’ muri.
  4547  
  4548  El si fuggì che non parlò più verbo;
  4549  e io vidi un centauro pien di rabbia
  4550  venir chiamando: «Ov’ è, ov’ è l’acerbo?».
  4551  
  4552  Maremma non cred’ io che tante n’abbia,
  4553  quante bisce elli avea su per la groppa
  4554  infin ove comincia nostra labbia.
  4555  
  4556  Sovra le spalle, dietro da la coppa,
  4557  con l’ali aperte li giacea un draco;
  4558  e quello affuoca qualunque s’intoppa.
  4559  
  4560  Lo mio maestro disse: «Questi è Caco,
  4561  che, sotto ’l sasso di monte Aventino,
  4562  di sangue fece spesse volte laco.
  4563  
  4564  Non va co’ suoi fratei per un cammino,
  4565  per lo furto che frodolente fece
  4566  del grande armento ch’elli ebbe a vicino;
  4567  
  4568  onde cessar le sue opere biece
  4569  sotto la mazza d’Ercule, che forse
  4570  gliene diè cento, e non sentì le diece».
  4571  
  4572  Mentre che sì parlava, ed el trascorse,
  4573  e tre spiriti venner sotto noi,
  4574  de’ quai né io né ’l duca mio s’accorse,
  4575  
  4576  se non quando gridar: «Chi siete voi?»;
  4577  per che nostra novella si ristette,
  4578  e intendemmo pur ad essi poi.
  4579  
  4580  Io non li conoscea; ma ei seguette,
  4581  come suol seguitar per alcun caso,
  4582  che l’un nomar un altro convenette,
  4583  
  4584  dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»;
  4585  per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento,
  4586  mi puosi ’l dito su dal mento al naso.
  4587  
  4588  Se tu se’ or, lettore, a creder lento
  4589  ciò ch’io dirò, non sarà maraviglia,
  4590  ché io che ’l vidi, a pena il mi consento.
  4591  
  4592  Com’ io tenea levate in lor le ciglia,
  4593  e un serpente con sei piè si lancia
  4594  dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia.
  4595  
  4596  Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia
  4597  e con li anterïor le braccia prese;
  4598  poi li addentò e l’una e l’altra guancia;
  4599  
  4600  li diretani a le cosce distese,
  4601  e miseli la coda tra ’mbedue
  4602  e dietro per le ren sù la ritese.
  4603  
  4604  Ellera abbarbicata mai non fue
  4605  ad alber sì, come l’orribil fiera
  4606  per l’altrui membra avviticchiò le sue.
  4607  
  4608  Poi s’appiccar, come di calda cera
  4609  fossero stati, e mischiar lor colore,
  4610  né l’un né l’altro già parea quel ch’era:
  4611  
  4612  come procede innanzi da l’ardore,
  4613  per lo papiro suso, un color bruno
  4614  che non è nero ancora e ’l bianco more.
  4615  
  4616  Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno
  4617  gridava: «Omè, Agnel, come ti muti!
  4618  Vedi che già non se’ né due né uno».
  4619  
  4620  Già eran li due capi un divenuti,
  4621  quando n’apparver due figure miste
  4622  in una faccia, ov’ eran due perduti.
  4623  
  4624  Fersi le braccia due di quattro liste;
  4625  le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso
  4626  divenner membra che non fuor mai viste.
  4627  
  4628  Ogne primaio aspetto ivi era casso:
  4629  due e nessun l’imagine perversa
  4630  parea; e tal sen gio con lento passo.
  4631  
  4632  Come ’l ramarro sotto la gran fersa
  4633  dei dì canicular, cangiando sepe,
  4634  folgore par se la via attraversa,
  4635  
  4636  sì pareva, venendo verso l’epe
  4637  de li altri due, un serpentello acceso,
  4638  livido e nero come gran di pepe;
  4639  
  4640  e quella parte onde prima è preso
  4641  nostro alimento, a l’un di lor trafisse;
  4642  poi cadde giuso innanzi lui disteso.
  4643  
  4644  Lo trafitto ’l mirò, ma nulla disse;
  4645  anzi, co’ piè fermati, sbadigliava
  4646  pur come sonno o febbre l’assalisse.
  4647  
  4648  Elli ’l serpente e quei lui riguardava;
  4649  l’un per la piaga e l’altro per la bocca
  4650  fummavan forte, e ’l fummo si scontrava.
  4651  
  4652  Taccia Lucano ormai là dov’ e’ tocca
  4653  del misero Sabello e di Nasidio,
  4654  e attenda a udir quel ch’or si scocca.
  4655  
  4656  Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio,
  4657  ché se quello in serpente e quella in fonte
  4658  converte poetando, io non lo ’nvidio;
  4659  
  4660  ché due nature mai a fronte a fronte
  4661  non trasmutò sì ch’amendue le forme
  4662  a cambiar lor matera fosser pronte.
  4663  
  4664  Insieme si rispuosero a tai norme,
  4665  che ’l serpente la coda in forca fesse,
  4666  e ’l feruto ristrinse insieme l’orme.
  4667  
  4668  Le gambe con le cosce seco stesse
  4669  s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura
  4670  non facea segno alcun che si paresse.
  4671  
  4672  Togliea la coda fessa la figura
  4673  che si perdeva là, e la sua pelle
  4674  si facea molle, e quella di là dura.
  4675  
  4676  Io vidi intrar le braccia per l’ascelle,
  4677  e i due piè de la fiera, ch’eran corti,
  4678  tanto allungar quanto accorciavan quelle.
  4679  
  4680  Poscia li piè di rietro, insieme attorti,
  4681  diventaron lo membro che l’uom cela,
  4682  e ’l misero del suo n’avea due porti.
  4683  
  4684  Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela
  4685  di color novo, e genera ’l pel suso
  4686  per l’una parte e da l’altra il dipela,
  4687  
  4688  l’un si levò e l’altro cadde giuso,
  4689  non torcendo però le lucerne empie,
  4690  sotto le quai ciascun cambiava muso.
  4691  
  4692  Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie,
  4693  e di troppa matera ch’in là venne
  4694  uscir li orecchi de le gote scempie;
  4695  
  4696  ciò che non corse in dietro e si ritenne
  4697  di quel soverchio, fé naso a la faccia
  4698  e le labbra ingrossò quanto convenne.
  4699  
  4700  Quel che giacëa, il muso innanzi caccia,
  4701  e li orecchi ritira per la testa
  4702  come face le corna la lumaccia;
  4703  
  4704  e la lingua, ch’avëa unita e presta
  4705  prima a parlar, si fende, e la forcuta
  4706  ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta.
  4707  
  4708  L’anima ch’era fiera divenuta,
  4709  suffolando si fugge per la valle,
  4710  e l’altro dietro a lui parlando sputa.
  4711  
  4712  Poscia li volse le novelle spalle,
  4713  e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra,
  4714  com’ ho fatt’ io, carpon per questo calle».
  4715  
  4716  Così vid’ io la settima zavorra
  4717  mutare e trasmutare; e qui mi scusi
  4718  la novità se fior la penna abborra.
  4719  
  4720  E avvegna che li occhi miei confusi
  4721  fossero alquanto e l’animo smagato,
  4722  non poter quei fuggirsi tanto chiusi,
  4723  
  4724  ch’i’ non scorgessi ben Puccio Sciancato;
  4725  ed era quel che sol, di tre compagni
  4726  che venner prima, non era mutato;
  4727  
  4728  l’altr’ era quel che tu, Gaville, piagni.
  4729  
  4730  
  4731  
  4732  Inferno · Canto XXVI
  4733  
  4734  
  4735  Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
  4736  che per mare e per terra batti l’ali,
  4737  e per lo ’nferno tuo nome si spande!
  4738  
  4739  Tra li ladron trovai cinque cotali
  4740  tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
  4741  e tu in grande orranza non ne sali.
  4742  
  4743  Ma se presso al mattin del ver si sogna,
  4744  tu sentirai, di qua da picciol tempo,
  4745  di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
  4746  
  4747  E se già fosse, non saria per tempo.
  4748  Così foss’ ei, da che pur esser dee!
  4749  ché più mi graverà, com’ più m’attempo.
  4750  
  4751  Noi ci partimmo, e su per le scalee
  4752  che n’avea fatto iborni a scender pria,
  4753  rimontò ’l duca mio e trasse mee;
  4754  
  4755  e proseguendo la solinga via,
  4756  tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio
  4757  lo piè sanza la man non si spedia.
  4758  
  4759  Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
  4760  quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
  4761  e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio,
  4762  
  4763  perché non corra che virtù nol guidi;
  4764  sì che, se stella bona o miglior cosa
  4765  m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi.
  4766  
  4767  Quante ’l villan ch’al poggio si riposa,
  4768  nel tempo che colui che ’l mondo schiara
  4769  la faccia sua a noi tien meno ascosa,
  4770  
  4771  come la mosca cede a la zanzara,
  4772  vede lucciole giù per la vallea,
  4773  forse colà dov’ e’ vendemmia e ara:
  4774  
  4775  di tante fiamme tutta risplendea
  4776  l’ottava bolgia, sì com’ io m’accorsi
  4777  tosto che fui là ’ve ’l fondo parea.
  4778  
  4779  E qual colui che si vengiò con li orsi
  4780  vide ’l carro d’Elia al dipartire,
  4781  quando i cavalli al cielo erti levorsi,
  4782  
  4783  che nol potea sì con li occhi seguire,
  4784  ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
  4785  sì come nuvoletta, in sù salire:
  4786  
  4787  tal si move ciascuna per la gola
  4788  del fosso, ché nessuna mostra ’l furto,
  4789  e ogne fiamma un peccatore invola.
  4790  
  4791  Io stava sovra ’l ponte a veder surto,
  4792  sì che s’io non avessi un ronchion preso,
  4793  caduto sarei giù sanz’ esser urto.
  4794  
  4795  E ’l duca che mi vide tanto atteso,
  4796  disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
  4797  catun si fascia di quel ch’elli è inceso».
  4798  
  4799  «Maestro mio», rispuos’ io, «per udirti
  4800  son io più certo; ma già m’era avviso
  4801  che così fosse, e già voleva dirti:
  4802  
  4803  chi è ’n quel foco che vien sì diviso
  4804  di sopra, che par surger de la pira
  4805  dov’ Eteòcle col fratel fu miso?».
  4806  
  4807  Rispuose a me: «Là dentro si martira
  4808  Ulisse e Dïomede, e così insieme
  4809  a la vendetta vanno come a l’ira;
  4810  
  4811  e dentro da la lor fiamma si geme
  4812  l’agguato del caval che fé la porta
  4813  onde uscì de’ Romani il gentil seme.
  4814  
  4815  Piangevisi entro l’arte per che, morta,
  4816  Deïdamìa ancor si duol d’Achille,
  4817  e del Palladio pena vi si porta».
  4818  
  4819  «S’ei posson dentro da quelle faville
  4820  parlar», diss’ io, «maestro, assai ten priego
  4821  e ripriego, che ’l priego vaglia mille,
  4822  
  4823  che non mi facci de l’attender niego
  4824  fin che la fiamma cornuta qua vegna;
  4825  vedi che del disio ver’ lei mi piego!».
  4826  
  4827  Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
  4828  di molta loda, e io però l’accetto;
  4829  ma fa che la tua lingua si sostegna.
  4830  
  4831  Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto
  4832  ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
  4833  perch’ e’ fuor greci, forse del tuo detto».
  4834  
  4835  Poi che la fiamma fu venuta quivi
  4836  dove parve al mio duca tempo e loco,
  4837  in questa forma lui parlare audivi:
  4838  
  4839  «O voi che siete due dentro ad un foco,
  4840  s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
  4841  s’io meritai di voi assai o poco
  4842  
  4843  quando nel mondo li alti versi scrissi,
  4844  non vi movete; ma l’un di voi dica
  4845  dove, per lui, perduto a morir gissi».
  4846  
  4847  Lo maggior corno de la fiamma antica
  4848  cominciò a crollarsi mormorando,
  4849  pur come quella cui vento affatica;
  4850  
  4851  indi la cima qua e là menando,
  4852  come fosse la lingua che parlasse,
  4853  gittò voce di fuori e disse: «Quando
  4854  
  4855  mi diparti’ da Circe, che sottrasse
  4856  me più d’un anno là presso a Gaeta,
  4857  prima che sì Enëa la nomasse,
  4858  
  4859  né dolcezza di figlio, né la pieta
  4860  del vecchio padre, né ’l debito amore
  4861  lo qual dovea Penelopè far lieta,
  4862  
  4863  vincer potero dentro a me l’ardore
  4864  ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
  4865  e de li vizi umani e del valore;
  4866  
  4867  ma misi me per l’alto mare aperto
  4868  sol con un legno e con quella compagna
  4869  picciola da la qual non fui diserto.
  4870  
  4871  L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
  4872  fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
  4873  e l’altre che quel mare intorno bagna.
  4874  
  4875  Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
  4876  quando venimmo a quella foce stretta
  4877  dov’ Ercule segnò li suoi riguardi
  4878  
  4879  acciò che l’uom più oltre non si metta;
  4880  da la man destra mi lasciai Sibilia,
  4881  da l’altra già m’avea lasciata Setta.
  4882  
  4883  “O frati”, dissi “che per cento milia
  4884  perigli siete giunti a l’occidente,
  4885  a questa tanto picciola vigilia
  4886  
  4887  d’i nostri sensi ch’è del rimanente
  4888  non vogliate negar l’esperïenza,
  4889  di retro al sol, del mondo sanza gente.
  4890  
  4891  Considerate la vostra semenza:
  4892  fatti non foste a viver come bruti,
  4893  ma per seguir virtute e canoscenza”.
  4894  
  4895  Li miei compagni fec’ io sì aguti,
  4896  con questa orazion picciola, al cammino,
  4897  che a pena poscia li avrei ritenuti;
  4898  
  4899  e volta nostra poppa nel mattino,
  4900  de’ remi facemmo ali al folle volo,
  4901  sempre acquistando dal lato mancino.
  4902  
  4903  Tutte le stelle già de l’altro polo
  4904  vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
  4905  che non surgëa fuor del marin suolo.
  4906  
  4907  Cinque volte racceso e tante casso
  4908  lo lume era di sotto da la luna,
  4909  poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
  4910  
  4911  quando n’apparve una montagna, bruna
  4912  per la distanza, e parvemi alta tanto
  4913  quanto veduta non avëa alcuna.
  4914  
  4915  Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
  4916  ché de la nova terra un turbo nacque
  4917  e percosse del legno il primo canto.
  4918  
  4919  Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
  4920  a la quarta levar la poppa in suso
  4921  e la prora ire in giù, com’ altrui piacque,
  4922  
  4923  infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».
  4924  
  4925  
  4926  
  4927  Inferno · Canto XXVII
  4928  
  4929  
  4930  Già era dritta in sù la fiamma e queta
  4931  per non dir più, e già da noi sen gia
  4932  con la licenza del dolce poeta,
  4933  
  4934  quand’ un’altra, che dietro a lei venìa,
  4935  ne fece volger li occhi a la sua cima
  4936  per un confuso suon che fuor n’uscia.
  4937  
  4938  Come ’l bue cicilian che mugghiò prima
  4939  col pianto di colui, e ciò fu dritto,
  4940  che l’avea temperato con sua lima,
  4941  
  4942  mugghiava con la voce de l’afflitto,
  4943  sì che, con tutto che fosse di rame,
  4944  pur el pareva dal dolor trafitto;
  4945  
  4946  così, per non aver via né forame
  4947  dal principio nel foco, in suo linguaggio
  4948  si convertïan le parole grame.
  4949  
  4950  Ma poscia ch’ebber colto lor vïaggio
  4951  su per la punta, dandole quel guizzo
  4952  che dato avea la lingua in lor passaggio,
  4953  
  4954  udimmo dire: «O tu a cu’ io drizzo
  4955  la voce e che parlavi mo lombardo,
  4956  dicendo “Istra ten va, più non t’adizzo”,
  4957  
  4958  perch’ io sia giunto forse alquanto tardo,
  4959  non t’incresca restare a parlar meco;
  4960  vedi che non incresce a me, e ardo!
  4961  
  4962  Se tu pur mo in questo mondo cieco
  4963  caduto se’ di quella dolce terra
  4964  latina ond’ io mia colpa tutta reco,
  4965  
  4966  dimmi se Romagnuoli han pace o guerra;
  4967  ch’io fui d’i monti là intra Orbino
  4968  e ’l giogo di che Tever si diserra».
  4969  
  4970  Io era in giuso ancora attento e chino,
  4971  quando il mio duca mi tentò di costa,
  4972  dicendo: «Parla tu; questi è latino».
  4973  
  4974  E io, ch’avea già pronta la risposta,
  4975  sanza indugio a parlare incominciai:
  4976  «O anima che se’ là giù nascosta,
  4977  
  4978  Romagna tua non è, e non fu mai,
  4979  sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni;
  4980  ma ’n palese nessuna or vi lasciai.
  4981  
  4982  Ravenna sta come stata è molt’ anni:
  4983  l’aguglia da Polenta la si cova,
  4984  sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni.
  4985  
  4986  La terra che fé già la lunga prova
  4987  e di Franceschi sanguinoso mucchio,
  4988  sotto le branche verdi si ritrova.
  4989  
  4990  E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio,
  4991  che fecer di Montagna il mal governo,
  4992  là dove soglion fan d’i denti succhio.
  4993  
  4994  Le città di Lamone e di Santerno
  4995  conduce il lïoncel dal nido bianco,
  4996  che muta parte da la state al verno.
  4997  
  4998  E quella cu’ il Savio bagna il fianco,
  4999  così com’ ella sie’ tra ’l piano e ’l monte,
  5000  tra tirannia si vive e stato franco.
  5001  
  5002  Ora chi se’, ti priego che ne conte;
  5003  non esser duro più ch’altri sia stato,
  5004  se ’l nome tuo nel mondo tegna fronte».
  5005  
  5006  Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato
  5007  al modo suo, l’aguta punta mosse
  5008  di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
  5009  
  5010  «S’i’ credesse che mia risposta fosse
  5011  a persona che mai tornasse al mondo,
  5012  questa fiamma staria sanza più scosse;
  5013  
  5014  ma però che già mai di questo fondo
  5015  non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
  5016  sanza tema d’infamia ti rispondo.
  5017  
  5018  Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero,
  5019  credendomi, sì cinto, fare ammenda;
  5020  e certo il creder mio venìa intero,
  5021  
  5022  se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!,
  5023  che mi rimise ne le prime colpe;
  5024  e come e quare, voglio che m’intenda.
  5025  
  5026  Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe
  5027  che la madre mi diè, l’opere mie
  5028  non furon leonine, ma di volpe.
  5029  
  5030  Li accorgimenti e le coperte vie
  5031  io seppi tutte, e sì menai lor arte,
  5032  ch’al fine de la terra il suono uscie.
  5033  
  5034  Quando mi vidi giunto in quella parte
  5035  di mia etade ove ciascun dovrebbe
  5036  calar le vele e raccoglier le sarte,
  5037  
  5038  ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe,
  5039  e pentuto e confesso mi rendei;
  5040  ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
  5041  
  5042  Lo principe d’i novi Farisei,
  5043  avendo guerra presso a Laterano,
  5044  e non con Saracin né con Giudei,
  5045  
  5046  ché ciascun suo nimico era cristiano,
  5047  e nessun era stato a vincer Acri
  5048  né mercatante in terra di Soldano,
  5049  
  5050  né sommo officio né ordini sacri
  5051  guardò in sé, né in me quel capestro
  5052  che solea fare i suoi cinti più macri.
  5053  
  5054  Ma come Costantin chiese Silvestro
  5055  d’entro Siratti a guerir de la lebbre,
  5056  così mi chiese questi per maestro
  5057  
  5058  a guerir de la sua superba febbre;
  5059  domandommi consiglio, e io tacetti
  5060  perché le sue parole parver ebbre.
  5061  
  5062  E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti;
  5063  finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
  5064  sì come Penestrino in terra getti.
  5065  
  5066  Lo ciel poss’ io serrare e diserrare,
  5067  come tu sai; però son due le chiavi
  5068  che ’l mio antecessor non ebbe care”.
  5069  
  5070  Allor mi pinser li argomenti gravi
  5071  là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio,
  5072  e dissi: “Padre, da che tu mi lavi
  5073  
  5074  di quel peccato ov’ io mo cader deggio,
  5075  lunga promessa con l’attender corto
  5076  ti farà trïunfar ne l’alto seggio”.
  5077  
  5078  Francesco venne poi, com’ io fu’ morto,
  5079  per me; ma un d’i neri cherubini
  5080  li disse: “Non portar: non mi far torto.
  5081  
  5082  Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini
  5083  perché diede ’l consiglio frodolente,
  5084  dal quale in qua stato li sono a’ crini;
  5085  
  5086  ch’assolver non si può chi non si pente,
  5087  né pentere e volere insieme puossi
  5088  per la contradizion che nol consente”.
  5089  
  5090  Oh me dolente! come mi riscossi
  5091  quando mi prese dicendomi: “Forse
  5092  tu non pensavi ch’io löico fossi!”.
  5093  
  5094  A Minòs mi portò; e quelli attorse
  5095  otto volte la coda al dosso duro;
  5096  e poi che per gran rabbia la si morse,
  5097  
  5098  disse: “Questi è d’i rei del foco furo”;
  5099  per ch’io là dove vedi son perduto,
  5100  e sì vestito, andando, mi rancuro».
  5101  
  5102  Quand’ elli ebbe ’l suo dir così compiuto,
  5103  la fiamma dolorando si partio,
  5104  torcendo e dibattendo ’l corno aguto.
  5105  
  5106  Noi passamm’ oltre, e io e ’l duca mio,
  5107  su per lo scoglio infino in su l’altr’ arco
  5108  che cuopre ’l fosso in che si paga il fio
  5109  
  5110  a quei che scommettendo acquistan carco.
  5111  
  5112  
  5113  
  5114  Inferno · Canto XXVIII
  5115  
  5116  
  5117  Chi poria mai pur con parole sciolte
  5118  dicer del sangue e de le piaghe a pieno
  5119  ch’i’ ora vidi, per narrar più volte?
  5120  
  5121  Ogne lingua per certo verria meno
  5122  per lo nostro sermone e per la mente
  5123  c’hanno a tanto comprender poco seno.
  5124  
  5125  S’el s’aunasse ancor tutta la gente
  5126  che già, in su la fortunata terra
  5127  di Puglia, fu del suo sangue dolente
  5128  
  5129  per li Troiani e per la lunga guerra
  5130  che de l’anella fé sì alte spoglie,
  5131  come Livïo scrive, che non erra,
  5132  
  5133  con quella che sentio di colpi doglie
  5134  per contastare a Ruberto Guiscardo;
  5135  e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie
  5136  
  5137  a Ceperan, là dove fu bugiardo
  5138  ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,
  5139  dove sanz’ arme vinse il vecchio Alardo;
  5140  
  5141  e qual forato suo membro e qual mozzo
  5142  mostrasse, d’aequar sarebbe nulla
  5143  il modo de la nona bolgia sozzo.
  5144  
  5145  Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
  5146  com’ io vidi un, così non si pertugia,
  5147  rotto dal mento infin dove si trulla.
  5148  
  5149  Tra le gambe pendevan le minugia;
  5150  la corata pareva e ’l tristo sacco
  5151  che merda fa di quel che si trangugia.
  5152  
  5153  Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
  5154  guardommi e con le man s’aperse il petto,
  5155  dicendo: «Or vedi com’ io mi dilacco!
  5156  
  5157  vedi come storpiato è Mäometto!
  5158  Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
  5159  fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
  5160  
  5161  E tutti li altri che tu vedi qui,
  5162  seminator di scandalo e di scisma
  5163  fuor vivi, e però son fessi così.
  5164  
  5165  Un diavolo è qua dietro che n’accisma
  5166  sì crudelmente, al taglio de la spada
  5167  rimettendo ciascun di questa risma,
  5168  
  5169  quand’ avem volta la dolente strada;
  5170  però che le ferite son richiuse
  5171  prima ch’altri dinanzi li rivada.
  5172  
  5173  Ma tu chi se’ che ’n su lo scoglio muse,
  5174  forse per indugiar d’ire a la pena
  5175  ch’è giudicata in su le tue accuse?».
  5176  
  5177  «Né morte ’l giunse ancor, né colpa ’l mena»,
  5178  rispuose ’l mio maestro, «a tormentarlo;
  5179  ma per dar lui esperïenza piena,
  5180  
  5181  a me, che morto son, convien menarlo
  5182  per lo ’nferno qua giù di giro in giro;
  5183  e quest’ è ver così com’ io ti parlo».
  5184  
  5185  Più fuor di cento che, quando l’udiro,
  5186  s’arrestaron nel fosso a riguardarmi
  5187  per maraviglia, oblïando il martiro.
  5188  
  5189  «Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,
  5190  tu che forse vedra’ il sole in breve,
  5191  s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
  5192  
  5193  sì di vivanda, che stretta di neve
  5194  non rechi la vittoria al Noarese,
  5195  ch’altrimenti acquistar non saria leve».
  5196  
  5197  Poi che l’un piè per girsene sospese,
  5198  Mäometto mi disse esta parola;
  5199  indi a partirsi in terra lo distese.
  5200  
  5201  Un altro, che forata avea la gola
  5202  e tronco ’l naso infin sotto le ciglia,
  5203  e non avea mai ch’una orecchia sola,
  5204  
  5205  ristato a riguardar per maraviglia
  5206  con li altri, innanzi a li altri aprì la canna,
  5207  ch’era di fuor d’ogne parte vermiglia,
  5208  
  5209  e disse: «O tu cui colpa non condanna
  5210  e cu’ io vidi su in terra latina,
  5211  se troppa simiglianza non m’inganna,
  5212  
  5213  rimembriti di Pier da Medicina,
  5214  se mai torni a veder lo dolce piano
  5215  che da Vercelli a Marcabò dichina.
  5216  
  5217  E fa saper a’ due miglior da Fano,
  5218  a messer Guido e anco ad Angiolello,
  5219  che, se l’antiveder qui non è vano,
  5220  
  5221  gittati saran fuor di lor vasello
  5222  e mazzerati presso a la Cattolica
  5223  per tradimento d’un tiranno fello.
  5224  
  5225  Tra l’isola di Cipri e di Maiolica
  5226  non vide mai sì gran fallo Nettuno,
  5227  non da pirate, non da gente argolica.
  5228  
  5229  Quel traditor che vede pur con l’uno,
  5230  e tien la terra che tale qui meco
  5231  vorrebbe di vedere esser digiuno,
  5232  
  5233  farà venirli a parlamento seco;
  5234  poi farà sì, ch’al vento di Focara
  5235  non sarà lor mestier voto né preco».
  5236  
  5237  E io a lui: «Dimostrami e dichiara,
  5238  se vuo’ ch’i’ porti sù di te novella,
  5239  chi è colui da la veduta amara».
  5240  
  5241  Allor puose la mano a la mascella
  5242  d’un suo compagno e la bocca li aperse,
  5243  gridando: «Questi è desso, e non favella.
  5244  
  5245  Questi, scacciato, il dubitar sommerse
  5246  in Cesare, affermando che ’l fornito
  5247  sempre con danno l’attender sofferse».
  5248  
  5249  Oh quanto mi pareva sbigottito
  5250  con la lingua tagliata ne la strozza
  5251  Curïo, ch’a dir fu così ardito!
  5252  
  5253  E un ch’avea l’una e l’altra man mozza,
  5254  levando i moncherin per l’aura fosca,
  5255  sì che ’l sangue facea la faccia sozza,
  5256  
  5257  gridò: «Ricordera’ti anche del Mosca,
  5258  che disse, lasso!, “Capo ha cosa fatta”,
  5259  che fu mal seme per la gente tosca».
  5260  
  5261  E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»;
  5262  per ch’elli, accumulando duol con duolo,
  5263  sen gio come persona trista e matta.
  5264  
  5265  Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,
  5266  e vidi cosa ch’io avrei paura,
  5267  sanza più prova, di contarla solo;
  5268  
  5269  se non che coscïenza m’assicura,
  5270  la buona compagnia che l’uom francheggia
  5271  sotto l’asbergo del sentirsi pura.
  5272  
  5273  Io vidi certo, e ancor par ch’io ’l veggia,
  5274  un busto sanza capo andar sì come
  5275  andavan li altri de la trista greggia;
  5276  
  5277  e ’l capo tronco tenea per le chiome,
  5278  pesol con mano a guisa di lanterna:
  5279  e quel mirava noi e dicea: «Oh me!».
  5280  
  5281  Di sé facea a sé stesso lucerna,
  5282  ed eran due in uno e uno in due;
  5283  com’ esser può, quei sa che sì governa.
  5284  
  5285  Quando diritto al piè del ponte fue,
  5286  levò ’l braccio alto con tutta la testa
  5287  per appressarne le parole sue,
  5288  
  5289  che fuoro: «Or vedi la pena molesta,
  5290  tu che, spirando, vai veggendo i morti:
  5291  vedi s’alcuna è grande come questa.
  5292  
  5293  E perché tu di me novella porti,
  5294  sappi ch’i’ son Bertram dal Bornio, quelli
  5295  che diedi al re giovane i ma’ conforti.
  5296  
  5297  Io feci il padre e ’l figlio in sé ribelli;
  5298  Achitofèl non fé più d’Absalone
  5299  e di Davìd coi malvagi punzelli.
  5300  
  5301  Perch’ io parti’ così giunte persone,
  5302  partito porto il mio cerebro, lasso!,
  5303  dal suo principio ch’è in questo troncone.
  5304  
  5305  Così s’osserva in me lo contrapasso».
  5306  
  5307  
  5308  
  5309  Inferno · Canto XXIX
  5310  
  5311  
  5312  La molta gente e le diverse piaghe
  5313  avean le luci mie sì inebrïate,
  5314  che de lo stare a piangere eran vaghe.
  5315  
  5316  Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate?
  5317  perché la vista tua pur si soffolge
  5318  là giù tra l’ombre triste smozzicate?
  5319  
  5320  Tu non hai fatto sì a l’altre bolge;
  5321  pensa, se tu annoverar le credi,
  5322  che miglia ventidue la valle volge.
  5323  
  5324  E già la luna è sotto i nostri piedi;
  5325  lo tempo è poco omai che n’è concesso,
  5326  e altro è da veder che tu non vedi».
  5327  
  5328  «Se tu avessi», rispuos’ io appresso,
  5329  «atteso a la cagion per ch’io guardava,
  5330  forse m’avresti ancor lo star dimesso».
  5331  
  5332  Parte sen giva, e io retro li andava,
  5333  lo duca, già faccendo la risposta,
  5334  e soggiugnendo: «Dentro a quella cava
  5335  
  5336  dov’ io tenea or li occhi sì a posta,
  5337  credo ch’un spirto del mio sangue pianga
  5338  la colpa che là giù cotanto costa».
  5339  
  5340  Allor disse ’l maestro: «Non si franga
  5341  lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ ello.
  5342  Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;
  5343  
  5344  ch’io vidi lui a piè del ponticello
  5345  mostrarti e minacciar forte col dito,
  5346  e udi’ ’l nominar Geri del Bello.
  5347  
  5348  Tu eri allor sì del tutto impedito
  5349  sovra colui che già tenne Altaforte,
  5350  che non guardasti in là, sì fu partito».
  5351  
  5352  «O duca mio, la vïolenta morte
  5353  che non li è vendicata ancor», diss’ io,
  5354  «per alcun che de l’onta sia consorte,
  5355  
  5356  fece lui disdegnoso; ond’ el sen gio
  5357  sanza parlarmi, sì com’ ïo estimo:
  5358  e in ciò m’ha el fatto a sé più pio».
  5359  
  5360  Così parlammo infino al loco primo
  5361  che de lo scoglio l’altra valle mostra,
  5362  se più lume vi fosse, tutto ad imo.
  5363  
  5364  Quando noi fummo sor l’ultima chiostra
  5365  di Malebolge, sì che i suoi conversi
  5366  potean parere a la veduta nostra,
  5367  
  5368  lamenti saettaron me diversi,
  5369  che di pietà ferrati avean li strali;
  5370  ond’ io li orecchi con le man copersi.
  5371  
  5372  Qual dolor fora, se de li spedali
  5373  di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre
  5374  e di Maremma e di Sardigna i mali
  5375  
  5376  fossero in una fossa tutti ’nsembre,
  5377  tal era quivi, e tal puzzo n’usciva
  5378  qual suol venir de le marcite membre.
  5379  
  5380  Noi discendemmo in su l’ultima riva
  5381  del lungo scoglio, pur da man sinistra;
  5382  e allor fu la mia vista più viva
  5383  
  5384  giù ver’ lo fondo, la ’ve la ministra
  5385  de l’alto Sire infallibil giustizia
  5386  punisce i falsador che qui registra.
  5387  
  5388  Non credo ch’a veder maggior tristizia
  5389  fosse in Egina il popol tutto infermo,
  5390  quando fu l’aere sì pien di malizia,
  5391  
  5392  che li animali, infino al picciol vermo,
  5393  cascaron tutti, e poi le genti antiche,
  5394  secondo che i poeti hanno per fermo,
  5395  
  5396  si ristorar di seme di formiche;
  5397  ch’era a veder per quella oscura valle
  5398  languir li spirti per diverse biche.
  5399  
  5400  Qual sovra ’l ventre e qual sovra le spalle
  5401  l’un de l’altro giacea, e qual carpone
  5402  si trasmutava per lo tristo calle.
  5403  
  5404  Passo passo andavam sanza sermone,
  5405  guardando e ascoltando li ammalati,
  5406  che non potean levar le lor persone.
  5407  
  5408  Io vidi due sedere a sé poggiati,
  5409  com’ a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
  5410  dal capo al piè di schianze macolati;
  5411  
  5412  e non vidi già mai menare stregghia
  5413  a ragazzo aspettato dal segnorso,
  5414  né a colui che mal volontier vegghia,
  5415  
  5416  come ciascun menava spesso il morso
  5417  de l’unghie sopra sé per la gran rabbia
  5418  del pizzicor, che non ha più soccorso;
  5419  
  5420  e sì traevan giù l’unghie la scabbia,
  5421  come coltel di scardova le scaglie
  5422  o d’altro pesce che più larghe l’abbia.
  5423  
  5424  «O tu che con le dita ti dismaglie»,
  5425  cominciò ’l duca mio a l’un di loro,
  5426  «e che fai d’esse talvolta tanaglie,
  5427  
  5428  dinne s’alcun Latino è tra costoro
  5429  che son quinc’ entro, se l’unghia ti basti
  5430  etternalmente a cotesto lavoro».
  5431  
  5432  «Latin siam noi, che tu vedi sì guasti
  5433  qui ambedue», rispuose l’un piangendo;
  5434  «ma tu chi se’ che di noi dimandasti?».
  5435  
  5436  E ’l duca disse: «I’ son un che discendo
  5437  con questo vivo giù di balzo in balzo,
  5438  e di mostrar lo ’nferno a lui intendo».
  5439  
  5440  Allor si ruppe lo comun rincalzo;
  5441  e tremando ciascuno a me si volse
  5442  con altri che l’udiron di rimbalzo.
  5443  
  5444  Lo buon maestro a me tutto s’accolse,
  5445  dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»;
  5446  e io incominciai, poscia ch’ei volse:
  5447  
  5448  «Se la vostra memoria non s’imboli
  5449  nel primo mondo da l’umane menti,
  5450  ma s’ella viva sotto molti soli,
  5451  
  5452  ditemi chi voi siete e di che genti;
  5453  la vostra sconcia e fastidiosa pena
  5454  di palesarvi a me non vi spaventi».
  5455  
  5456  «Io fui d’Arezzo, e Albero da Siena»,
  5457  rispuose l’un, «mi fé mettere al foco;
  5458  ma quel per ch’io mori’ qui non mi mena.
  5459  
  5460  Vero è ch’i’ dissi lui, parlando a gioco:
  5461  “I’ mi saprei levar per l’aere a volo”;
  5462  e quei, ch’avea vaghezza e senno poco,
  5463  
  5464  volle ch’i’ li mostrassi l’arte; e solo
  5465  perch’ io nol feci Dedalo, mi fece
  5466  ardere a tal che l’avea per figliuolo.
  5467  
  5468  Ma ne l’ultima bolgia de le diece
  5469  me per l’alchìmia che nel mondo usai
  5470  dannò Minòs, a cui fallar non lece».
  5471  
  5472  E io dissi al poeta: «Or fu già mai
  5473  gente sì vana come la sanese?
  5474  Certo non la francesca sì d’assai!».
  5475  
  5476  Onde l’altro lebbroso, che m’intese,
  5477  rispuose al detto mio: «Tra’mene Stricca
  5478  che seppe far le temperate spese,
  5479  
  5480  e Niccolò che la costuma ricca
  5481  del garofano prima discoverse
  5482  ne l’orto dove tal seme s’appicca;
  5483  
  5484  e tra’ne la brigata in che disperse
  5485  Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda,
  5486  e l’Abbagliato suo senno proferse.
  5487  
  5488  Ma perché sappi chi sì ti seconda
  5489  contra i Sanesi, aguzza ver’ me l’occhio,
  5490  sì che la faccia mia ben ti risponda:
  5491  
  5492  sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio,
  5493  che falsai li metalli con l’alchìmia;
  5494  e te dee ricordar, se ben t’adocchio,
  5495  
  5496  com’ io fui di natura buona scimia».
  5497  
  5498  
  5499  
  5500  Inferno · Canto XXX
  5501  
  5502  
  5503  Nel tempo che Iunone era crucciata
  5504  per Semelè contra ’l sangue tebano,
  5505  come mostrò una e altra fïata,
  5506  
  5507  Atamante divenne tanto insano,
  5508  che veggendo la moglie con due figli
  5509  andar carcata da ciascuna mano,
  5510  
  5511  gridò: «Tendiam le reti, sì ch’io pigli
  5512  la leonessa e ’ leoncini al varco»;
  5513  e poi distese i dispietati artigli,
  5514  
  5515  prendendo l’un ch’avea nome Learco,
  5516  e rotollo e percosselo ad un sasso;
  5517  e quella s’annegò con l’altro carco.
  5518  
  5519  E quando la fortuna volse in basso
  5520  l’altezza de’ Troian che tutto ardiva,
  5521  sì che ’nsieme col regno il re fu casso,
  5522  
  5523  Ecuba trista, misera e cattiva,
  5524  poscia che vide Polissena morta,
  5525  e del suo Polidoro in su la riva
  5526  
  5527  del mar si fu la dolorosa accorta,
  5528  forsennata latrò sì come cane;
  5529  tanto il dolor le fé la mente torta.
  5530  
  5531  Ma né di Tebe furie né troiane
  5532  si vider mäi in alcun tanto crude,
  5533  non punger bestie, nonché membra umane,
  5534  
  5535  quant’ io vidi in due ombre smorte e nude,
  5536  che mordendo correvan di quel modo
  5537  che ’l porco quando del porcil si schiude.
  5538  
  5539  L’una giunse a Capocchio, e in sul nodo
  5540  del collo l’assannò, sì che, tirando,
  5541  grattar li fece il ventre al fondo sodo.
  5542  
  5543  E l’Aretin che rimase, tremando
  5544  mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi,
  5545  e va rabbioso altrui così conciando».
  5546  
  5547  «Oh», diss’ io lui, «se l’altro non ti ficchi
  5548  li denti a dosso, non ti sia fatica
  5549  a dir chi è, pria che di qui si spicchi».
  5550  
  5551  Ed elli a me: «Quell’ è l’anima antica
  5552  di Mirra scellerata, che divenne
  5553  al padre, fuor del dritto amore, amica.
  5554  
  5555  Questa a peccar con esso così venne,
  5556  falsificando sé in altrui forma,
  5557  come l’altro che là sen va, sostenne,
  5558  
  5559  per guadagnar la donna de la torma,
  5560  falsificare in sé Buoso Donati,
  5561  testando e dando al testamento norma».
  5562  
  5563  E poi che i due rabbiosi fuor passati
  5564  sovra cu’ io avea l’occhio tenuto,
  5565  rivolsilo a guardar li altri mal nati.
  5566  
  5567  Io vidi un, fatto a guisa di lëuto,
  5568  pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia
  5569  tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto.
  5570  
  5571  La grave idropesì, che sì dispaia
  5572  le membra con l’omor che mal converte,
  5573  che ’l viso non risponde a la ventraia,
  5574  
  5575  faceva lui tener le labbra aperte
  5576  come l’etico fa, che per la sete
  5577  l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte.
  5578  
  5579  «O voi che sanz’ alcuna pena siete,
  5580  e non so io perché, nel mondo gramo»,
  5581  diss’ elli a noi, «guardate e attendete
  5582  
  5583  a la miseria del maestro Adamo;
  5584  io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli,
  5585  e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo.
  5586  
  5587  Li ruscelletti che d’i verdi colli
  5588  del Casentin discendon giuso in Arno,
  5589  faccendo i lor canali freddi e molli,
  5590  
  5591  sempre mi stanno innanzi, e non indarno,
  5592  ché l’imagine lor vie più m’asciuga
  5593  che ’l male ond’ io nel volto mi discarno.
  5594  
  5595  La rigida giustizia che mi fruga
  5596  tragge cagion del loco ov’ io peccai
  5597  a metter più li miei sospiri in fuga.
  5598  
  5599  Ivi è Romena, là dov’ io falsai
  5600  la lega suggellata del Batista;
  5601  per ch’io il corpo sù arso lasciai.
  5602  
  5603  Ma s’io vedessi qui l’anima trista
  5604  di Guido o d’Alessandro o di lor frate,
  5605  per Fonte Branda non darei la vista.
  5606  
  5607  Dentro c’è l’una già, se l’arrabbiate
  5608  ombre che vanno intorno dicon vero;
  5609  ma che mi val, c’ho le membra legate?
  5610  
  5611  S’io fossi pur di tanto ancor leggero
  5612  ch’i’ potessi in cent’ anni andare un’oncia,
  5613  io sarei messo già per lo sentiero,
  5614  
  5615  cercando lui tra questa gente sconcia,
  5616  con tutto ch’ella volge undici miglia,
  5617  e men d’un mezzo di traverso non ci ha.
  5618  
  5619  Io son per lor tra sì fatta famiglia;
  5620  e’ m’indussero a batter li fiorini
  5621  ch’avevan tre carati di mondiglia».
  5622  
  5623  E io a lui: «Chi son li due tapini
  5624  che fumman come man bagnate ’l verno,
  5625  giacendo stretti a’ tuoi destri confini?».
  5626  
  5627  «Qui li trovai—e poi volta non dierno—»,
  5628  rispuose, «quando piovvi in questo greppo,
  5629  e non credo che dieno in sempiterno.
  5630  
  5631  L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo;
  5632  l’altr’ è ’l falso Sinon greco di Troia:
  5633  per febbre aguta gittan tanto leppo».
  5634  
  5635  E l’un di lor, che si recò a noia
  5636  forse d’esser nomato sì oscuro,
  5637  col pugno li percosse l’epa croia.
  5638  
  5639  Quella sonò come fosse un tamburo;
  5640  e mastro Adamo li percosse il volto
  5641  col braccio suo, che non parve men duro,
  5642  
  5643  dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto
  5644  lo muover per le membra che son gravi,
  5645  ho io il braccio a tal mestiere sciolto».
  5646  
  5647  Ond’ ei rispuose: «Quando tu andavi
  5648  al fuoco, non l’avei tu così presto;
  5649  ma sì e più l’avei quando coniavi».
  5650  
  5651  E l’idropico: «Tu di’ ver di questo:
  5652  ma tu non fosti sì ver testimonio
  5653  là ’ve del ver fosti a Troia richesto».
  5654  
  5655  «S’io dissi falso, e tu falsasti il conio»,
  5656  disse Sinon; «e son qui per un fallo,
  5657  e tu per più ch’alcun altro demonio!».
  5658  
  5659  «Ricorditi, spergiuro, del cavallo»,
  5660  rispuose quel ch’avëa infiata l’epa;
  5661  «e sieti reo che tutto il mondo sallo!».
  5662  
  5663  «E te sia rea la sete onde ti crepa»,
  5664  disse ’l Greco, «la lingua, e l’acqua marcia
  5665  che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!».
  5666  
  5667  Allora il monetier: «Così si squarcia
  5668  la bocca tua per tuo mal come suole;
  5669  ché, s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia,
  5670  
  5671  tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole,
  5672  e per leccar lo specchio di Narcisso,
  5673  non vorresti a ’nvitar molte parole».
  5674  
  5675  Ad ascoltarli er’ io del tutto fisso,
  5676  quando ’l maestro mi disse: «Or pur mira,
  5677  che per poco che teco non mi risso!».
  5678  
  5679  Quand’ io ’l senti’ a me parlar con ira,
  5680  volsimi verso lui con tal vergogna,
  5681  ch’ancor per la memoria mi si gira.
  5682  
  5683  Qual è colui che suo dannaggio sogna,
  5684  che sognando desidera sognare,
  5685  sì che quel ch’è, come non fosse, agogna,
  5686  
  5687  tal mi fec’ io, non possendo parlare,
  5688  che disïava scusarmi, e scusava
  5689  me tuttavia, e nol mi credea fare.
  5690  
  5691  «Maggior difetto men vergogna lava»,
  5692  disse ’l maestro, «che ’l tuo non è stato;
  5693  però d’ogne trestizia ti disgrava.
  5694  
  5695  E fa ragion ch’io ti sia sempre allato,
  5696  se più avvien che fortuna t’accoglia
  5697  dove sien genti in simigliante piato:
  5698  
  5699  ché voler ciò udire è bassa voglia».
  5700  
  5701  
  5702  
  5703  Inferno · Canto XXXI
  5704  
  5705  
  5706  Una medesma lingua pria mi morse,
  5707  sì che mi tinse l’una e l’altra guancia,
  5708  e poi la medicina mi riporse;
  5709  
  5710  così od’ io che solea far la lancia
  5711  d’Achille e del suo padre esser cagione
  5712  prima di trista e poi di buona mancia.
  5713  
  5714  Noi demmo il dosso al misero vallone
  5715  su per la ripa che ’l cinge dintorno,
  5716  attraversando sanza alcun sermone.
  5717  
  5718  Quiv’ era men che notte e men che giorno,
  5719  sì che ’l viso m’andava innanzi poco;
  5720  ma io senti’ sonare un alto corno,
  5721  
  5722  tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco,
  5723  che, contra sé la sua via seguitando,
  5724  dirizzò li occhi miei tutti ad un loco.
  5725  
  5726  Dopo la dolorosa rotta, quando
  5727  Carlo Magno perdé la santa gesta,
  5728  non sonò sì terribilmente Orlando.
  5729  
  5730  Poco portäi in là volta la testa,
  5731  che me parve veder molte alte torri;
  5732  ond’ io: «Maestro, dì, che terra è questa?».
  5733  
  5734  Ed elli a me: «Però che tu trascorri
  5735  per le tenebre troppo da la lungi,
  5736  avvien che poi nel maginare abborri.
  5737  
  5738  Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,
  5739  quanto ’l senso s’inganna di lontano;
  5740  però alquanto più te stesso pungi».
  5741  
  5742  Poi caramente mi prese per mano
  5743  e disse: «Pria che noi siam più avanti,
  5744  acciò che ’l fatto men ti paia strano,
  5745  
  5746  sappi che non son torri, ma giganti,
  5747  e son nel pozzo intorno da la ripa
  5748  da l’umbilico in giuso tutti quanti».
  5749  
  5750  Come quando la nebbia si dissipa,
  5751  lo sguardo a poco a poco raffigura
  5752  ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa,
  5753  
  5754  così forando l’aura grossa e scura,
  5755  più e più appressando ver’ la sponda,
  5756  fuggiemi errore e cresciemi paura;
  5757  
  5758  però che, come su la cerchia tonda
  5759  Montereggion di torri si corona,
  5760  così la proda che ’l pozzo circonda
  5761  
  5762  torreggiavan di mezza la persona
  5763  li orribili giganti, cui minaccia
  5764  Giove del cielo ancora quando tuona.
  5765  
  5766  E io scorgeva già d’alcun la faccia,
  5767  le spalle e ’l petto e del ventre gran parte,
  5768  e per le coste giù ambo le braccia.
  5769  
  5770  Natura certo, quando lasciò l’arte
  5771  di sì fatti animali, assai fé bene
  5772  per tòrre tali essecutori a Marte.
  5773  
  5774  E s’ella d’elefanti e di balene
  5775  non si pente, chi guarda sottilmente,
  5776  più giusta e più discreta la ne tene;
  5777  
  5778  ché dove l’argomento de la mente
  5779  s’aggiugne al mal volere e a la possa,
  5780  nessun riparo vi può far la gente.
  5781  
  5782  La faccia sua mi parea lunga e grossa
  5783  come la pina di San Pietro a Roma,
  5784  e a sua proporzione eran l’altre ossa;
  5785  
  5786  sì che la ripa, ch’era perizoma
  5787  dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
  5788  di sovra, che di giugnere a la chioma
  5789  
  5790  tre Frison s’averien dato mal vanto;
  5791  però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi
  5792  dal loco in giù dov’ omo affibbia ’l manto.
  5793  
  5794  «Raphèl maì amècche zabì almi»,
  5795  cominciò a gridar la fiera bocca,
  5796  cui non si convenia più dolci salmi.
  5797  
  5798  E ’l duca mio ver’ lui: «Anima sciocca,
  5799  tienti col corno, e con quel ti disfoga
  5800  quand’ ira o altra passïon ti tocca!
  5801  
  5802  Cércati al collo, e troverai la soga
  5803  che ’l tien legato, o anima confusa,
  5804  e vedi lui che ’l gran petto ti doga».
  5805  
  5806  Poi disse a me: «Elli stessi s’accusa;
  5807  questi è Nembrotto per lo cui mal coto
  5808  pur un linguaggio nel mondo non s’usa.
  5809  
  5810  Lasciànlo stare e non parliamo a vòto;
  5811  ché così è a lui ciascun linguaggio
  5812  come ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto».
  5813  
  5814  Facemmo adunque più lungo vïaggio,
  5815  vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro
  5816  trovammo l’altro assai più fero e maggio.
  5817  
  5818  A cigner lui qual che fosse ’l maestro,
  5819  non so io dir, ma el tenea soccinto
  5820  dinanzi l’altro e dietro il braccio destro
  5821  
  5822  d’una catena che ’l tenea avvinto
  5823  dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto
  5824  si ravvolgëa infino al giro quinto.
  5825  
  5826  «Questo superbo volle esser esperto
  5827  di sua potenza contra ’l sommo Giove»,
  5828  disse ’l mio duca, «ond’ elli ha cotal merto.
  5829  
  5830  Fïalte ha nome, e fece le gran prove
  5831  quando i giganti fer paura a’ dèi;
  5832  le braccia ch’el menò, già mai non move».
  5833  
  5834  E io a lui: «S’esser puote, io vorrei
  5835  che de lo smisurato Brïareo
  5836  esperïenza avesser li occhi mei».
  5837  
  5838  Ond’ ei rispuose: «Tu vedrai Anteo
  5839  presso di qui che parla ed è disciolto,
  5840  che ne porrà nel fondo d’ogne reo.
  5841  
  5842  Quel che tu vuo’ veder, più là è molto
  5843  ed è legato e fatto come questo,
  5844  salvo che più feroce par nel volto».
  5845  
  5846  Non fu tremoto già tanto rubesto,
  5847  che scotesse una torre così forte,
  5848  come Fïalte a scuotersi fu presto.
  5849  
  5850  Allor temett’ io più che mai la morte,
  5851  e non v’era mestier più che la dotta,
  5852  s’io non avessi viste le ritorte.
  5853  
  5854  Noi procedemmo più avante allotta,
  5855  e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
  5856  sanza la testa, uscia fuor de la grotta.
  5857  
  5858  «O tu che ne la fortunata valle
  5859  che fece Scipïon di gloria reda,
  5860  quand’ Anibàl co’ suoi diede le spalle,
  5861  
  5862  recasti già mille leon per preda,
  5863  e che, se fossi stato a l’alta guerra
  5864  de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda
  5865  
  5866  ch’avrebber vinto i figli de la terra:
  5867  mettine giù, e non ten vegna schifo,
  5868  dove Cocito la freddura serra.
  5869  
  5870  Non ci fare ire a Tizio né a Tifo:
  5871  questi può dar di quel che qui si brama;
  5872  però ti china e non torcer lo grifo.
  5873  
  5874  Ancor ti può nel mondo render fama,
  5875  ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta
  5876  se ’nnanzi tempo grazia a sé nol chiama».
  5877  
  5878  Così disse ’l maestro; e quelli in fretta
  5879  le man distese, e prese ’l duca mio,
  5880  ond’ Ercule sentì già grande stretta.
  5881  
  5882  Virgilio, quando prender si sentio,
  5883  disse a me: «Fatti qua, sì ch’io ti prenda»;
  5884  poi fece sì ch’un fascio era elli e io.
  5885  
  5886  Qual pare a riguardar la Carisenda
  5887  sotto ’l chinato, quando un nuvol vada
  5888  sovr’ essa sì, ched ella incontro penda:
  5889  
  5890  tal parve Antëo a me che stava a bada
  5891  di vederlo chinare, e fu tal ora
  5892  ch’i’ avrei voluto ir per altra strada.
  5893  
  5894  Ma lievemente al fondo che divora
  5895  Lucifero con Giuda, ci sposò;
  5896  né, sì chinato, lì fece dimora,
  5897  
  5898  e come albero in nave si levò.
  5899  
  5900  
  5901  
  5902  Inferno · Canto XXXII
  5903  
  5904  
  5905  S’ïo avessi le rime aspre e chiocce,
  5906  come si converrebbe al tristo buco
  5907  sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce,
  5908  
  5909  io premerei di mio concetto il suco
  5910  più pienamente; ma perch’ io non l’abbo,
  5911  non sanza tema a dicer mi conduco;
  5912  
  5913  ché non è impresa da pigliare a gabbo
  5914  discriver fondo a tutto l’universo,
  5915  né da lingua che chiami mamma o babbo.
  5916  
  5917  Ma quelle donne aiutino il mio verso
  5918  ch’aiutaro Anfïone a chiuder Tebe,
  5919  sì che dal fatto il dir non sia diverso.
  5920  
  5921  Oh sovra tutte mal creata plebe
  5922  che stai nel loco onde parlare è duro,
  5923  mei foste state qui pecore o zebe!
  5924  
  5925  Come noi fummo giù nel pozzo scuro
  5926  sotto i piè del gigante assai più bassi,
  5927  e io mirava ancora a l’alto muro,
  5928  
  5929  dicere udi’mi: «Guarda come passi:
  5930  va sì, che tu non calchi con le piante
  5931  le teste de’ fratei miseri lassi».
  5932  
  5933  Per ch’io mi volsi, e vidimi davante
  5934  e sotto i piedi un lago che per gelo
  5935  avea di vetro e non d’acqua sembiante.
  5936  
  5937  Non fece al corso suo sì grosso velo
  5938  di verno la Danoia in Osterlicchi,
  5939  né Tanaï là sotto ’l freddo cielo,
  5940  
  5941  com’ era quivi; che se Tambernicchi
  5942  vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
  5943  non avria pur da l’orlo fatto cricchi.
  5944  
  5945  E come a gracidar si sta la rana
  5946  col muso fuor de l’acqua, quando sogna
  5947  di spigolar sovente la villana,
  5948  
  5949  livide, insin là dove appar vergogna
  5950  eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia,
  5951  mettendo i denti in nota di cicogna.
  5952  
  5953  Ognuna in giù tenea volta la faccia;
  5954  da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo
  5955  tra lor testimonianza si procaccia.
  5956  
  5957  Quand’ io m’ebbi dintorno alquanto visto,
  5958  volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti,
  5959  che ’l pel del capo avieno insieme misto.
  5960  
  5961  «Ditemi, voi che sì strignete i petti»,
  5962  diss’ io, «chi siete?». E quei piegaro i colli;
  5963  e poi ch’ebber li visi a me eretti,
  5964  
  5965  li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli,
  5966  gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse
  5967  le lagrime tra essi e riserrolli.
  5968  
  5969  Con legno legno spranga mai non cinse
  5970  forte così; ond’ ei come due becchi
  5971  cozzaro insieme, tanta ira li vinse.
  5972  
  5973  E un ch’avea perduti ambo li orecchi
  5974  per la freddura, pur col viso in giùe,
  5975  disse: «Perché cotanto in noi ti specchi?
  5976  
  5977  Se vuoi saper chi son cotesti due,
  5978  la valle onde Bisenzo si dichina
  5979  del padre loro Alberto e di lor fue.
  5980  
  5981  D’un corpo usciro; e tutta la Caina
  5982  potrai cercare, e non troverai ombra
  5983  degna più d’esser fitta in gelatina:
  5984  
  5985  non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra
  5986  con esso un colpo per la man d’Artù;
  5987  non Focaccia; non questi che m’ingombra
  5988  
  5989  col capo sì, ch’i’ non veggio oltre più,
  5990  e fu nomato Sassol Mascheroni;
  5991  se tosco se’, ben sai omai chi fu.
  5992  
  5993  E perché non mi metti in più sermoni,
  5994  sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi;
  5995  e aspetto Carlin che mi scagioni».
  5996  
  5997  Poscia vid’ io mille visi cagnazzi
  5998  fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
  5999  e verrà sempre, de’ gelati guazzi.
  6000  
  6001  E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo
  6002  al quale ogne gravezza si rauna,
  6003  e io tremava ne l’etterno rezzo;
  6004  
  6005  se voler fu o destino o fortuna,
  6006  non so; ma, passeggiando tra le teste,
  6007  forte percossi ’l piè nel viso ad una.
  6008  
  6009  Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste?
  6010  se tu non vieni a crescer la vendetta
  6011  di Montaperti, perché mi moleste?».
  6012  
  6013  E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta,
  6014  sì ch’io esca d’un dubbio per costui;
  6015  poi mi farai, quantunque vorrai, fretta».
  6016  
  6017  Lo duca stette, e io dissi a colui
  6018  che bestemmiava duramente ancora:
  6019  «Qual se’ tu che così rampogni altrui?».
  6020  
  6021  «Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,
  6022  percotendo», rispuose, «altrui le gote,
  6023  sì che, se fossi vivo, troppo fora?».
  6024  
  6025  «Vivo son io, e caro esser ti puote»,
  6026  fu mia risposta, «se dimandi fama,
  6027  ch’io metta il nome tuo tra l’altre note».
  6028  
  6029  Ed elli a me: «Del contrario ho io brama.
  6030  Lèvati quinci e non mi dar più lagna,
  6031  ché mal sai lusingar per questa lama!».
  6032  
  6033  Allor lo presi per la cuticagna
  6034  e dissi: «El converrà che tu ti nomi,
  6035  o che capel qui sù non ti rimagna».
  6036  
  6037  Ond’ elli a me: «Perché tu mi dischiomi,
  6038  né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti,
  6039  se mille fiate in sul capo mi tomi».
  6040  
  6041  Io avea già i capelli in mano avvolti,
  6042  e tratti glien’ avea più d’una ciocca,
  6043  latrando lui con li occhi in giù raccolti,
  6044  
  6045  quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca?
  6046  non ti basta sonar con le mascelle,
  6047  se tu non latri? qual diavol ti tocca?».
  6048  
  6049  «Omai», diss’ io, «non vo’ che più favelle,
  6050  malvagio traditor; ch’a la tua onta
  6051  io porterò di te vere novelle».
  6052  
  6053  «Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta;
  6054  ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
  6055  di quel ch’ebbe or così la lingua pronta.
  6056  
  6057  El piange qui l’argento de’ Franceschi:
  6058  “Io vidi”, potrai dir, “quel da Duera
  6059  là dove i peccatori stanno freschi”.
  6060  
  6061  Se fossi domandato “Altri chi v’era?”,
  6062  tu hai dallato quel di Beccheria
  6063  di cui segò Fiorenza la gorgiera.
  6064  
  6065  Gianni de’ Soldanier credo che sia
  6066  più là con Ganellone e Tebaldello,
  6067  ch’aprì Faenza quando si dormia».
  6068  
  6069  Noi eravam partiti già da ello,
  6070  ch’io vidi due ghiacciati in una buca,
  6071  sì che l’un capo a l’altro era cappello;
  6072  
  6073  e come ’l pan per fame si manduca,
  6074  così ’l sovran li denti a l’altro pose
  6075  là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca:
  6076  
  6077  non altrimenti Tidëo si rose
  6078  le tempie a Menalippo per disdegno,
  6079  che quei faceva il teschio e l’altre cose.
  6080  
  6081  «O tu che mostri per sì bestial segno
  6082  odio sovra colui che tu ti mangi,
  6083  dimmi ’l perché», diss’ io, «per tal convegno,
  6084  
  6085  che se tu a ragion di lui ti piangi,
  6086  sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
  6087  nel mondo suso ancora io te ne cangi,
  6088  
  6089  se quella con ch’io parlo non si secca».
  6090  
  6091  
  6092  
  6093  Inferno · Canto XXXIII
  6094  
  6095  
  6096  La bocca sollevò dal fiero pasto
  6097  quel peccator, forbendola a’ capelli
  6098  del capo ch’elli avea di retro guasto.
  6099  
  6100  Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli
  6101  disperato dolor che ’l cor mi preme
  6102  già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
  6103  
  6104  Ma se le mie parole esser dien seme
  6105  che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
  6106  parlar e lagrimar vedrai insieme.
  6107  
  6108  Io non so chi tu se’ né per che modo
  6109  venuto se’ qua giù; ma fiorentino
  6110  mi sembri veramente quand’ io t’odo.
  6111  
  6112  Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,
  6113  e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
  6114  or ti dirò perché i son tal vicino.
  6115  
  6116  Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,
  6117  fidandomi di lui, io fossi preso
  6118  e poscia morto, dir non è mestieri;
  6119  
  6120  però quel che non puoi avere inteso,
  6121  cioè come la morte mia fu cruda,
  6122  udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso.
  6123  
  6124  Breve pertugio dentro da la Muda,
  6125  la qual per me ha ’l titol de la fame,
  6126  e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
  6127  
  6128  m’avea mostrato per lo suo forame
  6129  più lune già, quand’ io feci ’l mal sonno
  6130  che del futuro mi squarciò ’l velame.
  6131  
  6132  Questi pareva a me maestro e donno,
  6133  cacciando il lupo e ’ lupicini al monte
  6134  per che i Pisan veder Lucca non ponno.
  6135  
  6136  Con cagne magre, studïose e conte
  6137  Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
  6138  s’avea messi dinanzi da la fronte.
  6139  
  6140  In picciol corso mi parieno stanchi
  6141  lo padre e ’ figli, e con l’agute scane
  6142  mi parea lor veder fender li fianchi.
  6143  
  6144  Quando fui desto innanzi la dimane,
  6145  pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli
  6146  ch’eran con meco, e dimandar del pane.
  6147  
  6148  Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
  6149  pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;
  6150  e se non piangi, di che pianger suoli?
  6151  
  6152  Già eran desti, e l’ora s’appressava
  6153  che ’l cibo ne solëa essere addotto,
  6154  e per suo sogno ciascun dubitava;
  6155  
  6156  e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
  6157  a l’orribile torre; ond’ io guardai
  6158  nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.
  6159  
  6160  Io non piangëa, sì dentro impetrai:
  6161  piangevan elli; e Anselmuccio mio
  6162  disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”.
  6163  
  6164  Perciò non lagrimai né rispuos’ io
  6165  tutto quel giorno né la notte appresso,
  6166  infin che l’altro sol nel mondo uscìo.
  6167  
  6168  Come un poco di raggio si fu messo
  6169  nel doloroso carcere, e io scorsi
  6170  per quattro visi il mio aspetto stesso,
  6171  
  6172  ambo le man per lo dolor mi morsi;
  6173  ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia
  6174  di manicar, di sùbito levorsi
  6175  
  6176  e disser: “Padre, assai ci fia men doglia
  6177  se tu mangi di noi: tu ne vestisti
  6178  queste misere carni, e tu le spoglia”.
  6179  
  6180  Queta’mi allor per non farli più tristi;
  6181  lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
  6182  ahi dura terra, perché non t’apristi?
  6183  
  6184  Poscia che fummo al quarto dì venuti,
  6185  Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
  6186  dicendo: “Padre mio, ché non m’aiuti?”.
  6187  
  6188  Quivi morì; e come tu mi vedi,
  6189  vid’ io cascar li tre ad uno ad uno
  6190  tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’ io mi diedi,
  6191  
  6192  già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
  6193  e due dì li chiamai, poi che fur morti.
  6194  Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno».
  6195  
  6196  Quand’ ebbe detto ciò, con li occhi torti
  6197  riprese ’l teschio misero co’ denti,
  6198  che furo a l’osso, come d’un can, forti.
  6199  
  6200  Ahi Pisa, vituperio de le genti
  6201  del bel paese là dove ’l sì suona,
  6202  poi che i vicini a te punir son lenti,
  6203  
  6204  muovasi la Capraia e la Gorgona,
  6205  e faccian siepe ad Arno in su la foce,
  6206  sì ch’elli annieghi in te ogne persona!
  6207  
  6208  Che se ’l conte Ugolino aveva voce
  6209  d’aver tradita te de le castella,
  6210  non dovei tu i figliuoi porre a tal croce.
  6211  
  6212  Innocenti facea l’età novella,
  6213  novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata
  6214  e li altri due che ’l canto suso appella.
  6215  
  6216  Noi passammo oltre, là ’ve la gelata
  6217  ruvidamente un’altra gente fascia,
  6218  non volta in giù, ma tutta riversata.
  6219  
  6220  Lo pianto stesso lì pianger non lascia,
  6221  e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo,
  6222  si volge in entro a far crescer l’ambascia;
  6223  
  6224  ché le lagrime prime fanno groppo,
  6225  e sì come visiere di cristallo,
  6226  rïempion sotto ’l ciglio tutto il coppo.
  6227  
  6228  E avvegna che, sì come d’un callo,
  6229  per la freddura ciascun sentimento
  6230  cessato avesse del mio viso stallo,
  6231  
  6232  già mi parea sentire alquanto vento;
  6233  per ch’io: «Maestro mio, questo chi move?
  6234  non è qua giù ogne vapore spento?».
  6235  
  6236  Ond’ elli a me: «Avaccio sarai dove
  6237  di ciò ti farà l’occhio la risposta,
  6238  veggendo la cagion che ’l fiato piove».
  6239  
  6240  E un de’ tristi de la fredda crosta
  6241  gridò a noi: «O anime crudeli
  6242  tanto che data v’è l’ultima posta,
  6243  
  6244  levatemi dal viso i duri veli,
  6245  sì ch’ïo sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna,
  6246  un poco, pria che ’l pianto si raggeli».
  6247  
  6248  Per ch’io a lui: «Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna,
  6249  dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo,
  6250  al fondo de la ghiaccia ir mi convegna».
  6251  
  6252  Rispuose adunque: «I’ son frate Alberigo;
  6253  i’ son quel da le frutta del mal orto,
  6254  che qui riprendo dattero per figo».
  6255  
  6256  «Oh», diss’ io lui, «or se’ tu ancor morto?».
  6257  Ed elli a me: «Come ’l mio corpo stea
  6258  nel mondo sù, nulla scïenza porto.
  6259  
  6260  Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
  6261  che spesse volte l’anima ci cade
  6262  innanzi ch’Atropòs mossa le dea.
  6263  
  6264  E perché tu più volentier mi rade
  6265  le ’nvetrïate lagrime dal volto,
  6266  sappie che, tosto che l’anima trade
  6267  
  6268  come fec’ ïo, il corpo suo l’è tolto
  6269  da un demonio, che poscia il governa
  6270  mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto.
  6271  
  6272  Ella ruina in sì fatta cisterna;
  6273  e forse pare ancor lo corpo suso
  6274  de l’ombra che di qua dietro mi verna.
  6275  
  6276  Tu ’l dei saper, se tu vien pur mo giuso:
  6277  elli è ser Branca Doria, e son più anni
  6278  poscia passati ch’el fu sì racchiuso».
  6279  
  6280  «Io credo», diss’ io lui, «che tu m’inganni;
  6281  ché Branca Doria non morì unquanche,
  6282  e mangia e bee e dorme e veste panni».
  6283  
  6284  «Nel fosso sù», diss’ el, «de’ Malebranche,
  6285  là dove bolle la tenace pece,
  6286  non era ancora giunto Michel Zanche,
  6287  
  6288  che questi lasciò il diavolo in sua vece
  6289  nel corpo suo, ed un suo prossimano
  6290  che ’l tradimento insieme con lui fece.
  6291  
  6292  Ma distendi oggimai in qua la mano;
  6293  aprimi li occhi». E io non gliel’ apersi;
  6294  e cortesia fu lui esser villano.
  6295  
  6296  Ahi Genovesi, uomini diversi
  6297  d’ogne costume e pien d’ogne magagna,
  6298  perché non siete voi del mondo spersi?
  6299  
  6300  Ché col peggiore spirto di Romagna
  6301  trovai di voi un tal, che per sua opra
  6302  in anima in Cocito già si bagna,
  6303  
  6304  e in corpo par vivo ancor di sopra.
  6305  
  6306  
  6307  
  6308  Inferno · Canto XXXIV
  6309  
  6310  
  6311  «Vexilla regis prodeunt inferni
  6312  verso di noi; però dinanzi mira»,
  6313  disse ’l maestro mio, «se tu ’l discerni».
  6314  
  6315  Come quando una grossa nebbia spira,
  6316  o quando l’emisperio nostro annotta,
  6317  par di lungi un molin che ’l vento gira,
  6318  
  6319  veder mi parve un tal dificio allotta;
  6320  poi per lo vento mi ristrinsi retro
  6321  al duca mio, ché non lì era altra grotta.
  6322  
  6323  Già era, e con paura il metto in metro,
  6324  là dove l’ombre tutte eran coperte,
  6325  e trasparien come festuca in vetro.
  6326  
  6327  Altre sono a giacere; altre stanno erte,
  6328  quella col capo e quella con le piante;
  6329  altra, com’ arco, il volto a’ piè rinverte.
  6330  
  6331  Quando noi fummo fatti tanto avante,
  6332  ch’al mio maestro piacque di mostrarmi
  6333  la creatura ch’ebbe il bel sembiante,
  6334  
  6335  d’innanzi mi si tolse e fé restarmi,
  6336  «Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco
  6337  ove convien che di fortezza t’armi».
  6338  
  6339  Com’ io divenni allor gelato e fioco,
  6340  nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
  6341  però ch’ogne parlar sarebbe poco.
  6342  
  6343  Io non mori’ e non rimasi vivo;
  6344  pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,
  6345  qual io divenni, d’uno e d’altro privo.
  6346  
  6347  Lo ’mperador del doloroso regno
  6348  da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia;
  6349  e più con un gigante io mi convegno,
  6350  
  6351  che i giganti non fan con le sue braccia:
  6352  vedi oggimai quant’ esser dee quel tutto
  6353  ch’a così fatta parte si confaccia.
  6354  
  6355  S’el fu sì bel com’ elli è ora brutto,
  6356  e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
  6357  ben dee da lui procedere ogne lutto.
  6358  
  6359  Oh quanto parve a me gran maraviglia
  6360  quand’ io vidi tre facce a la sua testa!
  6361  L’una dinanzi, e quella era vermiglia;
  6362  
  6363  l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questa
  6364  sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla,
  6365  e sé giugnieno al loco de la cresta:
  6366  
  6367  e la destra parea tra bianca e gialla;
  6368  la sinistra a vedere era tal, quali
  6369  vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla.
  6370  
  6371  Sotto ciascuna uscivan due grand’ ali,
  6372  quanto si convenia a tanto uccello:
  6373  vele di mar non vid’ io mai cotali.
  6374  
  6375  Non avean penne, ma di vispistrello
  6376  era lor modo; e quelle svolazzava,
  6377  sì che tre venti si movean da ello:
  6378  
  6379  quindi Cocito tutto s’aggelava.
  6380  Con sei occhi piangëa, e per tre menti
  6381  gocciava ’l pianto e sanguinosa bava.
  6382  
  6383  Da ogne bocca dirompea co’ denti
  6384  un peccatore, a guisa di maciulla,
  6385  sì che tre ne facea così dolenti.
  6386  
  6387  A quel dinanzi il mordere era nulla
  6388  verso ’l graffiar, che talvolta la schiena
  6389  rimanea de la pelle tutta brulla.
  6390  
  6391  «Quell’ anima là sù c’ha maggior pena»,
  6392  disse ’l maestro, «è Giuda Scarïotto,
  6393  che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
  6394  
  6395  De li altri due c’hanno il capo di sotto,
  6396  quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
  6397  vedi come si storce, e non fa motto!;
  6398  
  6399  e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
  6400  Ma la notte risurge, e oramai
  6401  è da partir, ché tutto avem veduto».
  6402  
  6403  Com’ a lui piacque, il collo li avvinghiai;
  6404  ed el prese di tempo e loco poste,
  6405  e quando l’ali fuoro aperte assai,
  6406  
  6407  appigliò sé a le vellute coste;
  6408  di vello in vello giù discese poscia
  6409  tra ’l folto pelo e le gelate croste.
  6410  
  6411  Quando noi fummo là dove la coscia
  6412  si volge, a punto in sul grosso de l’anche,
  6413  lo duca, con fatica e con angoscia,
  6414  
  6415  volse la testa ov’ elli avea le zanche,
  6416  e aggrappossi al pel com’ om che sale,
  6417  sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.
  6418  
  6419  «Attienti ben, ché per cotali scale»,
  6420  disse ’l maestro, ansando com’ uom lasso,
  6421  «conviensi dipartir da tanto male».
  6422  
  6423  Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso
  6424  e puose me in su l’orlo a sedere;
  6425  appresso porse a me l’accorto passo.
  6426  
  6427  Io levai li occhi e credetti vedere
  6428  Lucifero com’ io l’avea lasciato,
  6429  e vidili le gambe in sù tenere;
  6430  
  6431  e s’io divenni allora travagliato,
  6432  la gente grossa il pensi, che non vede
  6433  qual è quel punto ch’io avea passato.
  6434  
  6435  «Lèvati sù», disse ’l maestro, «in piede:
  6436  la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
  6437  e già il sole a mezza terza riede».
  6438  
  6439  Non era camminata di palagio
  6440  là ’v’ eravam, ma natural burella
  6441  ch’avea mal suolo e di lume disagio.
  6442  
  6443  «Prima ch’io de l’abisso mi divella,
  6444  maestro mio», diss’ io quando fui dritto,
  6445  «a trarmi d’erro un poco mi favella:
  6446  
  6447  ov’ è la ghiaccia? e questi com’ è fitto
  6448  sì sottosopra? e come, in sì poc’ ora,
  6449  da sera a mane ha fatto il sol tragitto?».
  6450  
  6451  Ed elli a me: «Tu imagini ancora
  6452  d’esser di là dal centro, ov’ io mi presi
  6453  al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.
  6454  
  6455  Di là fosti cotanto quant’ io scesi;
  6456  quand’ io mi volsi, tu passasti ’l punto
  6457  al qual si traggon d’ogne parte i pesi.
  6458  
  6459  E se’ or sotto l’emisperio giunto
  6460  ch’è contraposto a quel che la gran secca
  6461  coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto
  6462  
  6463  fu l’uom che nacque e visse sanza pecca;
  6464  tu haï i piedi in su picciola spera
  6465  che l’altra faccia fa de la Giudecca.
  6466  
  6467  Qui è da man, quando di là è sera;
  6468  e questi, che ne fé scala col pelo,
  6469  fitto è ancora sì come prim’ era.
  6470  
  6471  Da questa parte cadde giù dal cielo;
  6472  e la terra, che pria di qua si sporse,
  6473  per paura di lui fé del mar velo,
  6474  
  6475  e venne a l’emisperio nostro; e forse
  6476  per fuggir lui lasciò qui loco vòto
  6477  quella ch’appar di qua, e sù ricorse».
  6478  
  6479  Luogo è là giù da Belzebù remoto
  6480  tanto quanto la tomba si distende,
  6481  che non per vista, ma per suono è noto
  6482  
  6483  d’un ruscelletto che quivi discende
  6484  per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,
  6485  col corso ch’elli avvolge, e poco pende.
  6486  
  6487  Lo duca e io per quel cammino ascoso
  6488  intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
  6489  e sanza cura aver d’alcun riposo,
  6490  
  6491  salimmo sù, el primo e io secondo,
  6492  tanto ch’i’ vidi de le cose belle
  6493  che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
  6494  
  6495  E quindi uscimmo a riveder le stelle.
  6496  
  6497  
  6498  
  6499  
  6500  
  6501  PURGATORIO
  6502  
  6503  
  6504  
  6505  
  6506  Purgatorio · Canto I
  6507  
  6508  
  6509  Per correr miglior acque alza le vele
  6510  omai la navicella del mio ingegno,
  6511  che lascia dietro a sé mar sì crudele;
  6512  
  6513  e canterò di quel secondo regno
  6514  dove l’umano spirito si purga
  6515  e di salire al ciel diventa degno.
  6516  
  6517  Ma qui la morta poesì resurga,
  6518  o sante Muse, poi che vostro sono;
  6519  e qui Calïopè alquanto surga,
  6520  
  6521  seguitando il mio canto con quel suono
  6522  di cui le Piche misere sentiro
  6523  lo colpo tal, che disperar perdono.
  6524  
  6525  Dolce color d’orïental zaffiro,
  6526  che s’accoglieva nel sereno aspetto
  6527  del mezzo, puro infino al primo giro,
  6528  
  6529  a li occhi miei ricominciò diletto,
  6530  tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
  6531  che m’avea contristati li occhi e ’l petto.
  6532  
  6533  Lo bel pianeto che d’amar conforta
  6534  faceva tutto rider l’orïente,
  6535  velando i Pesci ch’erano in sua scorta.
  6536  
  6537  I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
  6538  a l’altro polo, e vidi quattro stelle
  6539  non viste mai fuor ch’a la prima gente.
  6540  
  6541  Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
  6542  oh settentrïonal vedovo sito,
  6543  poi che privato se’ di mirar quelle!
  6544  
  6545  Com’ io da loro sguardo fui partito,
  6546  un poco me volgendo a l ’altro polo,
  6547  là onde ’l Carro già era sparito,
  6548  
  6549  vidi presso di me un veglio solo,
  6550  degno di tanta reverenza in vista,
  6551  che più non dee a padre alcun figliuolo.
  6552  
  6553  Lunga la barba e di pel bianco mista
  6554  portava, a’ suoi capelli simigliante,
  6555  de’ quai cadeva al petto doppia lista.
  6556  
  6557  Li raggi de le quattro luci sante
  6558  fregiavan sì la sua faccia di lume,
  6559  ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante.
  6560  
  6561  «Chi siete voi che contro al cieco fiume
  6562  fuggita avete la pregione etterna?»,
  6563  diss’ el, movendo quelle oneste piume.
  6564  
  6565  «Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
  6566  uscendo fuor de la profonda notte
  6567  che sempre nera fa la valle inferna?
  6568  
  6569  Son le leggi d’abisso così rotte?
  6570  o è mutato in ciel novo consiglio,
  6571  che, dannati, venite a le mie grotte?».
  6572  
  6573  Lo duca mio allor mi diè di piglio,
  6574  e con parole e con mani e con cenni
  6575  reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio.
  6576  
  6577  Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
  6578  donna scese del ciel, per li cui prieghi
  6579  de la mia compagnia costui sovvenni.
  6580  
  6581  Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi
  6582  di nostra condizion com’ ell’ è vera,
  6583  esser non puote il mio che a te si nieghi.
  6584  
  6585  Questi non vide mai l’ultima sera;
  6586  ma per la sua follia le fu sì presso,
  6587  che molto poco tempo a volger era.
  6588  
  6589  Sì com’ io dissi, fui mandato ad esso
  6590  per lui campare; e non lì era altra via
  6591  che questa per la quale i’ mi son messo.
  6592  
  6593  Mostrata ho lui tutta la gente ria;
  6594  e ora intendo mostrar quelli spirti
  6595  che purgan sé sotto la tua balìa.
  6596  
  6597  Com’ io l’ho tratto, saria lungo a dirti;
  6598  de l’alto scende virtù che m’aiuta
  6599  conducerlo a vederti e a udirti.
  6600  
  6601  Or ti piaccia gradir la sua venuta:
  6602  libertà va cercando, ch’è sì cara,
  6603  come sa chi per lei vita rifiuta.
  6604  
  6605  Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara
  6606  in Utica la morte, ove lasciasti
  6607  la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara.
  6608  
  6609  Non son li editti etterni per noi guasti,
  6610  ché questi vive e Minòs me non lega;
  6611  ma son del cerchio ove son li occhi casti
  6612  
  6613  di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega,
  6614  o santo petto, che per tua la tegni:
  6615  per lo suo amore adunque a noi ti piega.
  6616  
  6617  Lasciane andar per li tuoi sette regni;
  6618  grazie riporterò di te a lei,
  6619  se d’esser mentovato là giù degni».
  6620  
  6621  «Marzïa piacque tanto a li occhi miei
  6622  mentre ch’i’ fu’ di là», diss’ elli allora,
  6623  «che quante grazie volse da me, fei.
  6624  
  6625  Or che di là dal mal fiume dimora,
  6626  più muover non mi può, per quella legge
  6627  che fatta fu quando me n’usci’ fora.
  6628  
  6629  Ma se donna del ciel ti move e regge,
  6630  come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
  6631  bastisi ben che per lei mi richegge.
  6632  
  6633  Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
  6634  d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
  6635  sì ch’ogne sucidume quindi stinghe;
  6636  
  6637  ché non si converria, l’occhio sorpriso
  6638  d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
  6639  ministro, ch’è di quei di paradiso.
  6640  
  6641  Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
  6642  là giù colà dove la batte l’onda,
  6643  porta di giunchi sovra ’l molle limo:
  6644  
  6645  null’ altra pianta che facesse fronda
  6646  o indurasse, vi puote aver vita,
  6647  però ch’a le percosse non seconda.
  6648  
  6649  Poscia non sia di qua vostra reddita;
  6650  lo sol vi mosterrà, che surge omai,
  6651  prendere il monte a più lieve salita».
  6652  
  6653  Così sparì; e io sù mi levai
  6654  sanza parlare, e tutto mi ritrassi
  6655  al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
  6656  
  6657  El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi:
  6658  volgianci in dietro, ché di qua dichina
  6659  questa pianura a’ suoi termini bassi».
  6660  
  6661  L’alba vinceva l’ora mattutina
  6662  che fuggia innanzi, sì che di lontano
  6663  conobbi il tremolar de la marina.
  6664  
  6665  Noi andavam per lo solingo piano
  6666  com’ om che torna a la perduta strada,
  6667  che ’nfino ad essa li pare ire in vano.
  6668  
  6669  Quando noi fummo là ’ve la rugiada
  6670  pugna col sole, per essere in parte
  6671  dove, ad orezza, poco si dirada,
  6672  
  6673  ambo le mani in su l’erbetta sparte
  6674  soavemente ’l mio maestro pose:
  6675  ond’ io, che fui accorto di sua arte,
  6676  
  6677  porsi ver’ lui le guance lagrimose;
  6678  ivi mi fece tutto discoverto
  6679  quel color che l’inferno mi nascose.
  6680  
  6681  Venimmo poi in sul lito diserto,
  6682  che mai non vide navicar sue acque
  6683  omo, che di tornar sia poscia esperto.
  6684  
  6685  Quivi mi cinse sì com’ altrui piacque:
  6686  oh maraviglia! ché qual elli scelse
  6687  l’umile pianta, cotal si rinacque
  6688  
  6689  subitamente là onde l’avelse.
  6690  
  6691  
  6692  
  6693  Purgatorio · Canto II
  6694  
  6695  
  6696  Già era ’l sole a l’orizzonte giunto
  6697  lo cui meridïan cerchio coverchia
  6698  Ierusalèm col suo più alto punto;
  6699  
  6700  e la notte, che opposita a lui cerchia,
  6701  uscia di Gange fuor con le Bilance,
  6702  che le caggion di man quando soverchia;
  6703  
  6704  sì che le bianche e le vermiglie guance,
  6705  là dov’ i’ era, de la bella Aurora
  6706  per troppa etate divenivan rance.
  6707  
  6708  Noi eravam lunghesso mare ancora,
  6709  come gente che pensa a suo cammino,
  6710  che va col cuore e col corpo dimora.
  6711  
  6712  Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
  6713  per li grossi vapor Marte rosseggia
  6714  giù nel ponente sovra ’l suol marino,
  6715  
  6716  cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia,
  6717  un lume per lo mar venir sì ratto,
  6718  che ’l muover suo nessun volar pareggia.
  6719  
  6720  Dal qual com’ io un poco ebbi ritratto
  6721  l’occhio per domandar lo duca mio,
  6722  rividil più lucente e maggior fatto.
  6723  
  6724  Poi d’ogne lato ad esso m’appario
  6725  un non sapeva che bianco, e di sotto
  6726  a poco a poco un altro a lui uscìo.
  6727  
  6728  Lo mio maestro ancor non facea motto,
  6729  mentre che i primi bianchi apparver ali;
  6730  allor che ben conobbe il galeotto,
  6731  
  6732  gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
  6733  Ecco l’angel di Dio: piega le mani;
  6734  omai vedrai di sì fatti officiali.
  6735  
  6736  Vedi che sdegna li argomenti umani,
  6737  sì che remo non vuol, né altro velo
  6738  che l’ali sue, tra liti sì lontani.
  6739  
  6740  Vedi come l’ha dritte verso ’l cielo,
  6741  trattando l’aere con l’etterne penne,
  6742  che non si mutan come mortal pelo».
  6743  
  6744  Poi, come più e più verso noi venne
  6745  l’uccel divino, più chiaro appariva:
  6746  per che l’occhio da presso nol sostenne,
  6747  
  6748  ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
  6749  con un vasello snelletto e leggero,
  6750  tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva.
  6751  
  6752  Da poppa stava il celestial nocchiero,
  6753  tal che faria beato pur descripto;
  6754  e più di cento spirti entro sediero.
  6755  
  6756  ‘In exitu Isräel de Aegypto’
  6757  cantavan tutti insieme ad una voce
  6758  con quanto di quel salmo è poscia scripto.
  6759  
  6760  Poi fece il segno lor di santa croce;
  6761  ond’ ei si gittar tutti in su la piaggia:
  6762  ed el sen gì, come venne, veloce.
  6763  
  6764  La turba che rimase lì, selvaggia
  6765  parea del loco, rimirando intorno
  6766  come colui che nove cose assaggia.
  6767  
  6768  Da tutte parti saettava il giorno
  6769  lo sol, ch’avea con le saette conte
  6770  di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno,
  6771  
  6772  quando la nova gente alzò la fronte
  6773  ver’ noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,
  6774  mostratene la via di gire al monte».
  6775  
  6776  E Virgilio rispuose: «Voi credete
  6777  forse che siamo esperti d’esto loco;
  6778  ma noi siam peregrin come voi siete.
  6779  
  6780  Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
  6781  per altra via, che fu sì aspra e forte,
  6782  che lo salire omai ne parrà gioco».
  6783  
  6784  L’anime, che si fuor di me accorte,
  6785  per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,
  6786  maravigliando diventaro smorte.
  6787  
  6788  E come a messagger che porta ulivo
  6789  tragge la gente per udir novelle,
  6790  e di calcar nessun si mostra schivo,
  6791  
  6792  così al viso mio s’affisar quelle
  6793  anime fortunate tutte quante,
  6794  quasi oblïando d’ire a farsi belle.
  6795  
  6796  Io vidi una di lor trarresi avante
  6797  per abbracciarmi con sì grande affetto,
  6798  che mosse me a far lo somigliante.
  6799  
  6800  Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
  6801  tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
  6802  e tante mi tornai con esse al petto.
  6803  
  6804  Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
  6805  per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
  6806  e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
  6807  
  6808  Soavemente disse ch’io posasse;
  6809  allor conobbi chi era, e pregai
  6810  che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.
  6811  
  6812  Rispuosemi: «Così com’ io t’amai
  6813  nel mortal corpo, così t’amo sciolta:
  6814  però m’arresto; ma tu perché vai?».
  6815  
  6816  «Casella mio, per tornar altra volta
  6817  là dov’ io son, fo io questo vïaggio»,
  6818  diss’ io; «ma a te com’ è tanta ora tolta?».
  6819  
  6820  Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio,
  6821  se quei che leva quando e cui li piace,
  6822  più volte m’ha negato esto passaggio;
  6823  
  6824  ché di giusto voler lo suo si face:
  6825  veramente da tre mesi elli ha tolto
  6826  chi ha voluto intrar, con tutta pace.
  6827  
  6828  Ond’ io, ch’era ora a la marina vòlto
  6829  dove l’acqua di Tevero s’insala,
  6830  benignamente fu’ da lui ricolto.
  6831  
  6832  A quella foce ha elli or dritta l’ala,
  6833  però che sempre quivi si ricoglie
  6834  qual verso Acheronte non si cala».
  6835  
  6836  E io: «Se nuova legge non ti toglie
  6837  memoria o uso a l’amoroso canto
  6838  che mi solea quetar tutte mie doglie,
  6839  
  6840  di ciò ti piaccia consolare alquanto
  6841  l’anima mia, che, con la sua persona
  6842  venendo qui, è affannata tanto!».
  6843  
  6844  ‘Amor che ne la mente mi ragiona’
  6845  cominciò elli allor sì dolcemente,
  6846  che la dolcezza ancor dentro mi suona.
  6847  
  6848  Lo mio maestro e io e quella gente
  6849  ch’eran con lui parevan sì contenti,
  6850  come a nessun toccasse altro la mente.
  6851  
  6852  Noi eravam tutti fissi e attenti
  6853  a le sue note; ed ecco il veglio onesto
  6854  gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?
  6855  
  6856  qual negligenza, quale stare è questo?
  6857  Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
  6858  ch’esser non lascia a voi Dio manifesto».
  6859  
  6860  Come quando, cogliendo biado o loglio,
  6861  li colombi adunati a la pastura,
  6862  queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,
  6863  
  6864  se cosa appare ond’ elli abbian paura,
  6865  subitamente lasciano star l’esca,
  6866  perch’ assaliti son da maggior cura;
  6867  
  6868  così vid’ io quella masnada fresca
  6869  lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,
  6870  com’ om che va, né sa dove rïesca;
  6871  
  6872  né la nostra partita fu men tosta.
  6873  
  6874  
  6875  
  6876  Purgatorio · Canto III
  6877  
  6878  
  6879  Avvegna che la subitana fuga
  6880  dispergesse color per la campagna,
  6881  rivolti al monte ove ragion ne fruga,
  6882  
  6883  i’ mi ristrinsi a la fida compagna:
  6884  e come sare’ io sanza lui corso?
  6885  chi m’avria tratto su per la montagna?
  6886  
  6887  El mi parea da sé stesso rimorso:
  6888  o dignitosa coscïenza e netta,
  6889  come t’è picciol fallo amaro morso!
  6890  
  6891  Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
  6892  che l’onestade ad ogn’ atto dismaga,
  6893  la mente mia, che prima era ristretta,
  6894  
  6895  lo ’ntento rallargò, sì come vaga,
  6896  e diedi ’l viso mio incontr’ al poggio
  6897  che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga.
  6898  
  6899  Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
  6900  rotto m’era dinanzi a la figura,
  6901  ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio.
  6902  
  6903  Io mi volsi dallato con paura
  6904  d’essere abbandonato, quand’ io vidi
  6905  solo dinanzi a me la terra oscura;
  6906  
  6907  e ’l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
  6908  a dir mi cominciò tutto rivolto;
  6909  «non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
  6910  
  6911  Vespero è già colà dov’ è sepolto
  6912  lo corpo dentro al quale io facea ombra;
  6913  Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto.
  6914  
  6915  Ora, se innanzi a me nulla s’aombra,
  6916  non ti maravigliar più che d’i cieli
  6917  che l’uno a l’altro raggio non ingombra.
  6918  
  6919  A sofferir tormenti, caldi e geli
  6920  simili corpi la Virtù dispone
  6921  che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli.
  6922  
  6923  Matto è chi spera che nostra ragione
  6924  possa trascorrer la infinita via
  6925  che tiene una sustanza in tre persone.
  6926  
  6927  State contenti, umana gente, al quia;
  6928  ché, se potuto aveste veder tutto,
  6929  mestier non era parturir Maria;
  6930  
  6931  e disïar vedeste sanza frutto
  6932  tai che sarebbe lor disio quetato,
  6933  ch’etternalmente è dato lor per lutto:
  6934  
  6935  io dico d’Aristotile e di Plato
  6936  e di molt’ altri»; e qui chinò la fronte,
  6937  e più non disse, e rimase turbato.
  6938  
  6939  Noi divenimmo intanto a piè del monte;
  6940  quivi trovammo la roccia sì erta,
  6941  che ’ndarno vi sarien le gambe pronte.
  6942  
  6943  Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
  6944  la più rotta ruina è una scala,
  6945  verso di quella, agevole e aperta.
  6946  
  6947  «Or chi sa da qual man la costa cala»,
  6948  disse ’l maestro mio fermando ’l passo,
  6949  «sì che possa salir chi va sanz’ ala?».
  6950  
  6951  E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso
  6952  essaminava del cammin la mente,
  6953  e io mirava suso intorno al sasso,
  6954  
  6955  da man sinistra m’apparì una gente
  6956  d’anime, che movieno i piè ver’ noi,
  6957  e non pareva, sì venïan lente.
  6958  
  6959  «Leva», diss’ io, «maestro, li occhi tuoi:
  6960  ecco di qua chi ne darà consiglio,
  6961  se tu da te medesmo aver nol puoi».
  6962  
  6963  Guardò allora, e con libero piglio
  6964  rispuose: «Andiamo in là, ch’ei vegnon piano;
  6965  e tu ferma la spene, dolce figlio».
  6966  
  6967  Ancora era quel popol di lontano,
  6968  i’ dico dopo i nostri mille passi,
  6969  quanto un buon gittator trarria con mano,
  6970  
  6971  quando si strinser tutti ai duri massi
  6972  de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti
  6973  com’ a guardar, chi va dubbiando, stassi.
  6974  
  6975  «O ben finiti, o già spiriti eletti»,
  6976  Virgilio incominciò, «per quella pace
  6977  ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,
  6978  
  6979  ditene dove la montagna giace,
  6980  sì che possibil sia l’andare in suso;
  6981  ché perder tempo a chi più sa più spiace».
  6982  
  6983  Come le pecorelle escon del chiuso
  6984  a una, a due, a tre, e l’altre stanno
  6985  timidette atterrando l’occhio e ’l muso;
  6986  
  6987  e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
  6988  addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
  6989  semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;
  6990  
  6991  sì vid’ io muovere a venir la testa
  6992  di quella mandra fortunata allotta,
  6993  pudica in faccia e ne l’andare onesta.
  6994  
  6995  Come color dinanzi vider rotta
  6996  la luce in terra dal mio destro canto,
  6997  sì che l’ombra era da me a la grotta,
  6998  
  6999  restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
  7000  e tutti li altri che venieno appresso,
  7001  non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto.
  7002  
  7003  «Sanza vostra domanda io vi confesso
  7004  che questo è corpo uman che voi vedete;
  7005  per che ’l lume del sole in terra è fesso.
  7006  
  7007  Non vi maravigliate, ma credete
  7008  che non sanza virtù che da ciel vegna
  7009  cerchi di soverchiar questa parete».
  7010  
  7011  Così ’l maestro; e quella gente degna
  7012  «Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
  7013  coi dossi de le man faccendo insegna.
  7014  
  7015  E un di loro incominciò: «Chiunque
  7016  tu se’, così andando, volgi ’l viso:
  7017  pon mente se di là mi vedesti unque».
  7018  
  7019  Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
  7020  biondo era e bello e di gentile aspetto,
  7021  ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.
  7022  
  7023  Quand’ io mi fui umilmente disdetto
  7024  d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
  7025  e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.
  7026  
  7027  Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
  7028  nepote di Costanza imperadrice;
  7029  ond’ io ti priego che, quando tu riedi,
  7030  
  7031  vadi a mia bella figlia, genitrice
  7032  de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
  7033  e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice.
  7034  
  7035  Poscia ch’io ebbi rotta la persona
  7036  di due punte mortali, io mi rendei,
  7037  piangendo, a quei che volontier perdona.
  7038  
  7039  Orribil furon li peccati miei;
  7040  ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
  7041  che prende ciò che si rivolge a lei.
  7042  
  7043  Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia
  7044  di me fu messo per Clemente allora,
  7045  avesse in Dio ben letta questa faccia,
  7046  
  7047  l’ossa del corpo mio sarieno ancora
  7048  in co del ponte presso a Benevento,
  7049  sotto la guardia de la grave mora.
  7050  
  7051  Or le bagna la pioggia e move il vento
  7052  di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde,
  7053  dov’ e’ le trasmutò a lume spento.
  7054  
  7055  Per lor maladizion sì non si perde,
  7056  che non possa tornar, l’etterno amore,
  7057  mentre che la speranza ha fior del verde.
  7058  
  7059  Vero è che quale in contumacia more
  7060  di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
  7061  star li convien da questa ripa in fore,
  7062  
  7063  per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,
  7064  in sua presunzïon, se tal decreto
  7065  più corto per buon prieghi non diventa.
  7066  
  7067  Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
  7068  revelando a la mia buona Costanza
  7069  come m’hai visto, e anco esto divieto;
  7070  
  7071  ché qui per quei di là molto s’avanza».
  7072  
  7073  
  7074  
  7075  Purgatorio · Canto IV
  7076  
  7077  
  7078  Quando per dilettanze o ver per doglie,
  7079  che alcuna virtù nostra comprenda,
  7080  l’anima bene ad essa si raccoglie,
  7081  
  7082  par ch’a nulla potenza più intenda;
  7083  e questo è contra quello error che crede
  7084  ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda.
  7085  
  7086  E però, quando s’ode cosa o vede
  7087  che tegna forte a sé l’anima volta,
  7088  vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;
  7089  
  7090  ch’altra potenza è quella che l’ascolta,
  7091  e altra è quella c’ha l’anima intera:
  7092  questa è quasi legata e quella è sciolta.
  7093  
  7094  Di ciò ebb’ io esperïenza vera,
  7095  udendo quello spirto e ammirando;
  7096  ché ben cinquanta gradi salito era
  7097  
  7098  lo sole, e io non m’era accorto, quando
  7099  venimmo ove quell’ anime ad una
  7100  gridaro a noi: «Qui è vostro dimando».
  7101  
  7102  Maggiore aperta molte volte impruna
  7103  con una forcatella di sue spine
  7104  l’uom de la villa quando l’uva imbruna,
  7105  
  7106  che non era la calla onde salìne
  7107  lo duca mio, e io appresso, soli,
  7108  come da noi la schiera si partìne.
  7109  
  7110  Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
  7111  montasi su in Bismantova e ’n Cacume
  7112  con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;
  7113  
  7114  dico con l’ale snelle e con le piume
  7115  del gran disio, di retro a quel condotto
  7116  che speranza mi dava e facea lume.
  7117  
  7118  Noi salavam per entro ’l sasso rotto,
  7119  e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
  7120  e piedi e man volea il suol di sotto.
  7121  
  7122  Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
  7123  de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,
  7124  «Maestro mio», diss’ io, «che via faremo?».
  7125  
  7126  Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia;
  7127  pur su al monte dietro a me acquista,
  7128  fin che n’appaia alcuna scorta saggia».
  7129  
  7130  Lo sommo er’ alto che vincea la vista,
  7131  e la costa superba più assai
  7132  che da mezzo quadrante a centro lista.
  7133  
  7134  Io era lasso, quando cominciai:
  7135  «O dolce padre, volgiti, e rimira
  7136  com’ io rimango sol, se non restai».
  7137  
  7138  «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira»,
  7139  additandomi un balzo poco in sùe
  7140  che da quel lato il poggio tutto gira.
  7141  
  7142  Sì mi spronaron le parole sue,
  7143  ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui,
  7144  tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.
  7145  
  7146  A seder ci ponemmo ivi ambedui
  7147  vòlti a levante ond’ eravam saliti,
  7148  che suole a riguardar giovare altrui.
  7149  
  7150  Li occhi prima drizzai ai bassi liti;
  7151  poscia li alzai al sole, e ammirava
  7152  che da sinistra n’eravam feriti.
  7153  
  7154  Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava
  7155  stupido tutto al carro de la luce,
  7156  ove tra noi e Aquilone intrava.
  7157  
  7158  Ond’ elli a me: «Se Castore e Poluce
  7159  fossero in compagnia di quello specchio
  7160  che sù e giù del suo lume conduce,
  7161  
  7162  tu vedresti il Zodïaco rubecchio
  7163  ancora a l’Orse più stretto rotare,
  7164  se non uscisse fuor del cammin vecchio.
  7165  
  7166  Come ciò sia, se ’l vuoi poter pensare,
  7167  dentro raccolto, imagina Sïòn
  7168  con questo monte in su la terra stare
  7169  
  7170  sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn
  7171  e diversi emisperi; onde la strada
  7172  che mal non seppe carreggiar Fetòn,
  7173  
  7174  vedrai come a costui convien che vada
  7175  da l’un, quando a colui da l’altro fianco,
  7176  se lo ’ntelletto tuo ben chiaro bada».
  7177  
  7178  «Certo, maestro mio,» diss’ io, «unquanco
  7179  non vid’ io chiaro sì com’ io discerno
  7180  là dove mio ingegno parea manco,
  7181  
  7182  che ’l mezzo cerchio del moto superno,
  7183  che si chiama Equatore in alcun’ arte,
  7184  e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,
  7185  
  7186  per la ragion che di’, quinci si parte
  7187  verso settentrïon, quanto li Ebrei
  7188  vedevan lui verso la calda parte.
  7189  
  7190  Ma se a te piace, volontier saprei
  7191  quanto avemo ad andar; ché ’l poggio sale
  7192  più che salir non posson li occhi miei».
  7193  
  7194  Ed elli a me: «Questa montagna è tale,
  7195  che sempre al cominciar di sotto è grave;
  7196  e quant’ om più va sù, e men fa male.
  7197  
  7198  Però, quand’ ella ti parrà soave
  7199  tanto, che sù andar ti fia leggero
  7200  com’ a seconda giù andar per nave,
  7201  
  7202  allor sarai al fin d’esto sentiero;
  7203  quivi di riposar l’affanno aspetta.
  7204  Più non rispondo, e questo so per vero».
  7205  
  7206  E com’ elli ebbe sua parola detta,
  7207  una voce di presso sonò: «Forse
  7208  che di sedere in pria avrai distretta!».
  7209  
  7210  Al suon di lei ciascun di noi si torse,
  7211  e vedemmo a mancina un gran petrone,
  7212  del qual né io né ei prima s’accorse.
  7213  
  7214  Là ci traemmo; e ivi eran persone
  7215  che si stavano a l’ombra dietro al sasso
  7216  come l’uom per negghienza a star si pone.
  7217  
  7218  E un di lor, che mi sembiava lasso,
  7219  sedeva e abbracciava le ginocchia,
  7220  tenendo ’l viso giù tra esse basso.
  7221  
  7222  «O dolce segnor mio», diss’ io, «adocchia
  7223  colui che mostra sé più negligente
  7224  che se pigrizia fosse sua serocchia».
  7225  
  7226  Allor si volse a noi e puose mente,
  7227  movendo ’l viso pur su per la coscia,
  7228  e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!».
  7229  
  7230  Conobbi allor chi era, e quella angoscia
  7231  che m’avacciava un poco ancor la lena,
  7232  non m’impedì l’andare a lui; e poscia
  7233  
  7234  ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena,
  7235  dicendo: «Hai ben veduto come ’l sole
  7236  da l’omero sinistro il carro mena?».
  7237  
  7238  Li atti suoi pigri e le corte parole
  7239  mosser le labbra mie un poco a riso;
  7240  poi cominciai: «Belacqua, a me non dole
  7241  
  7242  di te omai; ma dimmi: perché assiso
  7243  quiritto se’? attendi tu iscorta,
  7244  o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?».
  7245  
  7246  Ed elli: «O frate, andar in sù che porta?
  7247  ché non mi lascerebbe ire a’ martìri
  7248  l’angel di Dio che siede in su la porta.
  7249  
  7250  Prima convien che tanto il ciel m’aggiri
  7251  di fuor da essa, quanto fece in vita,
  7252  per ch’io ’ndugiai al fine i buon sospiri,
  7253  
  7254  se orazïone in prima non m’aita
  7255  che surga sù di cuor che in grazia viva;
  7256  l’altra che val, che ’n ciel non è udita?».
  7257  
  7258  E già il poeta innanzi mi saliva,
  7259  e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco
  7260  meridïan dal sole e a la riva
  7261  
  7262  cuopre la notte già col piè Morrocco».
  7263  
  7264  
  7265  
  7266  Purgatorio · Canto V
  7267  
  7268  
  7269  Io era già da quell’ ombre partito,
  7270  e seguitava l’orme del mio duca,
  7271  quando di retro a me, drizzando ’l dito,
  7272  
  7273  una gridò: «Ve’ che non par che luca
  7274  lo raggio da sinistra a quel di sotto,
  7275  e come vivo par che si conduca!».
  7276  
  7277  Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
  7278  e vidile guardar per maraviglia
  7279  pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.
  7280  
  7281  «Perché l’animo tuo tanto s’impiglia»,
  7282  disse ’l maestro, «che l’andare allenti?
  7283  che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
  7284  
  7285  Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
  7286  sta come torre ferma, che non crolla
  7287  già mai la cima per soffiar di venti;
  7288  
  7289  ché sempre l’omo in cui pensier rampolla
  7290  sovra pensier, da sé dilunga il segno,
  7291  perché la foga l’un de l’altro insolla».
  7292  
  7293  Che potea io ridir, se non «Io vegno»?
  7294  Dissilo, alquanto del color consperso
  7295  che fa l’uom di perdon talvolta degno.
  7296  
  7297  E ’ntanto per la costa di traverso
  7298  venivan genti innanzi a noi un poco,
  7299  cantando ‘Miserere’ a verso a verso.
  7300  
  7301  Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
  7302  per lo mio corpo al trapassar d’i raggi,
  7303  mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco;
  7304  
  7305  e due di loro, in forma di messaggi,
  7306  corsero incontr’ a noi e dimandarne:
  7307  «Di vostra condizion fatene saggi».
  7308  
  7309  E ’l mio maestro: «Voi potete andarne
  7310  e ritrarre a color che vi mandaro
  7311  che ’l corpo di costui è vera carne.
  7312  
  7313  Se per veder la sua ombra restaro,
  7314  com’ io avviso, assai è lor risposto:
  7315  fàccianli onore, ed esser può lor caro».
  7316  
  7317  Vapori accesi non vid’ io sì tosto
  7318  di prima notte mai fender sereno,
  7319  né, sol calando, nuvole d’agosto,
  7320  
  7321  che color non tornasser suso in meno;
  7322  e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
  7323  come schiera che scorre sanza freno.
  7324  
  7325  «Questa gente che preme a noi è molta,
  7326  e vegnonti a pregar», disse ’l poeta:
  7327  «però pur va, e in andando ascolta».
  7328  
  7329  «O anima che vai per esser lieta
  7330  con quelle membra con le quai nascesti»,
  7331  venian gridando, «un poco il passo queta.
  7332  
  7333  Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,
  7334  sì che di lui di là novella porti:
  7335  deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?
  7336  
  7337  Noi fummo tutti già per forza morti,
  7338  e peccatori infino a l’ultima ora;
  7339  quivi lume del ciel ne fece accorti,
  7340  
  7341  sì che, pentendo e perdonando, fora
  7342  di vita uscimmo a Dio pacificati,
  7343  che del disio di sé veder n’accora».
  7344  
  7345  E io: «Perché ne’ vostri visi guati,
  7346  non riconosco alcun; ma s’a voi piace
  7347  cosa ch’io possa, spiriti ben nati,
  7348  
  7349  voi dite, e io farò per quella pace
  7350  che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
  7351  di mondo in mondo cercar mi si face».
  7352  
  7353  E uno incominciò: «Ciascun si fida
  7354  del beneficio tuo sanza giurarlo,
  7355  pur che ’l voler nonpossa non ricida.
  7356  
  7357  Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo,
  7358  ti priego, se mai vedi quel paese
  7359  che siede tra Romagna e quel di Carlo,
  7360  
  7361  che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
  7362  in Fano, sì che ben per me s’adori
  7363  pur ch’i’ possa purgar le gravi offese.
  7364  
  7365  Quindi fu’ io; ma li profondi fóri
  7366  ond’ uscì ’l sangue in sul quale io sedea,
  7367  fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
  7368  
  7369  là dov’ io più sicuro esser credea:
  7370  quel da Esti il fé far, che m’avea in ira
  7371  assai più là che dritto non volea.
  7372  
  7373  Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira,
  7374  quando fu’ sovragiunto ad Orïaco,
  7375  ancor sarei di là dove si spira.
  7376  
  7377  Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco
  7378  m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’ io
  7379  de le mie vene farsi in terra laco».
  7380  
  7381  Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
  7382  si compia che ti tragge a l’alto monte,
  7383  con buona pïetate aiuta il mio!
  7384  
  7385  Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
  7386  Giovanna o altri non ha di me cura;
  7387  per ch’io vo tra costor con bassa fronte».
  7388  
  7389  E io a lui: «Qual forza o qual ventura
  7390  ti travïò sì fuor di Campaldino,
  7391  che non si seppe mai tua sepultura?».
  7392  
  7393  «Oh!», rispuos’ elli, «a piè del Casentino
  7394  traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,
  7395  che sovra l’Ermo nasce in Apennino.
  7396  
  7397  Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,
  7398  arriva’ io forato ne la gola,
  7399  fuggendo a piede e sanguinando il piano.
  7400  
  7401  Quivi perdei la vista e la parola;
  7402  nel nome di Maria fini’, e quivi
  7403  caddi, e rimase la mia carne sola.
  7404  
  7405  Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
  7406  l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
  7407  gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?
  7408  
  7409  Tu te ne porti di costui l’etterno
  7410  per una lagrimetta che ’l mi toglie;
  7411  ma io farò de l’altro altro governo!”.
  7412  
  7413  Ben sai come ne l’aere si raccoglie
  7414  quell’ umido vapor che in acqua riede,
  7415  tosto che sale dove ’l freddo il coglie.
  7416  
  7417  Giunse quel mal voler che pur mal chiede
  7418  con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
  7419  per la virtù che sua natura diede.
  7420  
  7421  Indi la valle, come ’l dì fu spento,
  7422  da Pratomagno al gran giogo coperse
  7423  di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,
  7424  
  7425  sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
  7426  la pioggia cadde, e a’ fossati venne
  7427  di lei ciò che la terra non sofferse;
  7428  
  7429  e come ai rivi grandi si convenne,
  7430  ver’ lo fiume real tanto veloce
  7431  si ruinò, che nulla la ritenne.
  7432  
  7433  Lo corpo mio gelato in su la foce
  7434  trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
  7435  ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce
  7436  
  7437  ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;
  7438  voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
  7439  poi di sua preda mi coperse e cinse».
  7440  
  7441  «Deh, quando tu sarai tornato al mondo
  7442  e riposato de la lunga via»,
  7443  seguitò ’l terzo spirito al secondo,
  7444  
  7445  «ricorditi di me, che son la Pia;
  7446  Siena mi fé, disfecemi Maremma:
  7447  salsi colui che ’nnanellata pria
  7448  
  7449  disposando m’avea con la sua gemma».
  7450  
  7451  
  7452  
  7453  Purgatorio · Canto VI
  7454  
  7455  
  7456  Quando si parte il gioco de la zara,
  7457  colui che perde si riman dolente,
  7458  repetendo le volte, e tristo impara;
  7459  
  7460  con l’altro se ne va tutta la gente;
  7461  qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
  7462  e qual dallato li si reca a mente;
  7463  
  7464  el non s’arresta, e questo e quello intende;
  7465  a cui porge la man, più non fa pressa;
  7466  e così da la calca si difende.
  7467  
  7468  Tal era io in quella turba spessa,
  7469  volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
  7470  e promettendo mi sciogliea da essa.
  7471  
  7472  Quiv’ era l’Aretin che da le braccia
  7473  fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
  7474  e l’altro ch’annegò correndo in caccia.
  7475  
  7476  Quivi pregava con le mani sporte
  7477  Federigo Novello, e quel da Pisa
  7478  che fé parer lo buon Marzucco forte.
  7479  
  7480  Vidi conte Orso e l’anima divisa
  7481  dal corpo suo per astio e per inveggia,
  7482  com’ e’ dicea, non per colpa commisa;
  7483  
  7484  Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
  7485  mentr’ è di qua, la donna di Brabante,
  7486  sì che però non sia di peggior greggia.
  7487  
  7488  Come libero fui da tutte quante
  7489  quell’ ombre che pregar pur ch’altri prieghi,
  7490  sì che s’avacci lor divenir sante,
  7491  
  7492  io cominciai: «El par che tu mi nieghi,
  7493  o luce mia, espresso in alcun testo
  7494  che decreto del cielo orazion pieghi;
  7495  
  7496  e questa gente prega pur di questo:
  7497  sarebbe dunque loro speme vana,
  7498  o non m’è ’l detto tuo ben manifesto?».
  7499  
  7500  Ed elli a me: «La mia scrittura è piana;
  7501  e la speranza di costor non falla,
  7502  se ben si guarda con la mente sana;
  7503  
  7504  ché cima di giudicio non s’avvalla
  7505  perché foco d’amor compia in un punto
  7506  ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla;
  7507  
  7508  e là dov’ io fermai cotesto punto,
  7509  non s’ammendava, per pregar, difetto,
  7510  perché ’l priego da Dio era disgiunto.
  7511  
  7512  Veramente a così alto sospetto
  7513  non ti fermar, se quella nol ti dice
  7514  che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto.
  7515  
  7516  Non so se ’ntendi: io dico di Beatrice;
  7517  tu la vedrai di sopra, in su la vetta
  7518  di questo monte, ridere e felice».
  7519  
  7520  E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta,
  7521  ché già non m’affatico come dianzi,
  7522  e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta».
  7523  
  7524  «Noi anderem con questo giorno innanzi»,
  7525  rispuose, «quanto più potremo omai;
  7526  ma ’l fatto è d’altra forma che non stanzi.
  7527  
  7528  Prima che sie là sù, tornar vedrai
  7529  colui che già si cuopre de la costa,
  7530  sì che ’ suoi raggi tu romper non fai.
  7531  
  7532  Ma vedi là un’anima che, posta
  7533  sola soletta, inverso noi riguarda:
  7534  quella ne ’nsegnerà la via più tosta».
  7535  
  7536  Venimmo a lei: o anima lombarda,
  7537  come ti stavi altera e disdegnosa
  7538  e nel mover de li occhi onesta e tarda!
  7539  
  7540  Ella non ci dicëa alcuna cosa,
  7541  ma lasciavane gir, solo sguardando
  7542  a guisa di leon quando si posa.
  7543  
  7544  Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
  7545  che ne mostrasse la miglior salita;
  7546  e quella non rispuose al suo dimando,
  7547  
  7548  ma di nostro paese e de la vita
  7549  ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava
  7550  «Mantüa . . . », e l’ombra, tutta in sé romita,
  7551  
  7552  surse ver’ lui del loco ove pria stava,
  7553  dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
  7554  de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava.
  7555  
  7556  Ahi serva Italia, di dolore ostello,
  7557  nave sanza nocchiere in gran tempesta,
  7558  non donna di province, ma bordello!
  7559  
  7560  Quell’ anima gentil fu così presta,
  7561  sol per lo dolce suon de la sua terra,
  7562  di fare al cittadin suo quivi festa;
  7563  
  7564  e ora in te non stanno sanza guerra
  7565  li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
  7566  di quei ch’un muro e una fossa serra.
  7567  
  7568  Cerca, misera, intorno da le prode
  7569  le tue marine, e poi ti guarda in seno,
  7570  s’alcuna parte in te di pace gode.
  7571  
  7572  Che val perché ti racconciasse il freno
  7573  Iustinïano, se la sella è vòta?
  7574  Sanz’ esso fora la vergogna meno.
  7575  
  7576  Ahi gente che dovresti esser devota,
  7577  e lasciar seder Cesare in la sella,
  7578  se bene intendi ciò che Dio ti nota,
  7579  
  7580  guarda come esta fiera è fatta fella
  7581  per non esser corretta da li sproni,
  7582  poi che ponesti mano a la predella.
  7583  
  7584  O Alberto tedesco ch’abbandoni
  7585  costei ch’è fatta indomita e selvaggia,
  7586  e dovresti inforcar li suoi arcioni,
  7587  
  7588  giusto giudicio da le stelle caggia
  7589  sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto,
  7590  tal che ’l tuo successor temenza n’aggia!
  7591  
  7592  Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto,
  7593  per cupidigia di costà distretti,
  7594  che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto.
  7595  
  7596  Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
  7597  Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
  7598  color già tristi, e questi con sospetti!
  7599  
  7600  Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
  7601  d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;
  7602  e vedrai Santafior com’ è oscura!
  7603  
  7604  Vieni a veder la tua Roma che piagne
  7605  vedova e sola, e dì e notte chiama:
  7606  «Cesare mio, perché non m’accompagne?».
  7607  
  7608  Vieni a veder la gente quanto s’ama!
  7609  e se nulla di noi pietà ti move,
  7610  a vergognar ti vien de la tua fama.
  7611  
  7612  E se licito m’è, o sommo Giove
  7613  che fosti in terra per noi crucifisso,
  7614  son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
  7615  
  7616  O è preparazion che ne l’abisso
  7617  del tuo consiglio fai per alcun bene
  7618  in tutto de l’accorger nostro scisso?
  7619  
  7620  Ché le città d’Italia tutte piene
  7621  son di tiranni, e un Marcel diventa
  7622  ogne villan che parteggiando viene.
  7623  
  7624  Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
  7625  di questa digression che non ti tocca,
  7626  mercé del popol tuo che si argomenta.
  7627  
  7628  Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
  7629  per non venir sanza consiglio a l’arco;
  7630  ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca.
  7631  
  7632  Molti rifiutan lo comune incarco;
  7633  ma il popol tuo solicito risponde
  7634  sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!».
  7635  
  7636  Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
  7637  tu ricca, tu con pace e tu con senno!
  7638  S’io dico ’l ver, l’effetto nol nasconde.
  7639  
  7640  Atene e Lacedemona, che fenno
  7641  l’antiche leggi e furon sì civili,
  7642  fecero al viver bene un picciol cenno
  7643  
  7644  verso di te, che fai tanto sottili
  7645  provedimenti, ch’a mezzo novembre
  7646  non giugne quel che tu d’ottobre fili.
  7647  
  7648  Quante volte, del tempo che rimembre,
  7649  legge, moneta, officio e costume
  7650  hai tu mutato, e rinovate membre!
  7651  
  7652  E se ben ti ricordi e vedi lume,
  7653  vedrai te somigliante a quella inferma
  7654  che non può trovar posa in su le piume,
  7655  
  7656  ma con dar volta suo dolore scherma.
  7657  
  7658  
  7659  
  7660  Purgatorio · Canto VII
  7661  
  7662  
  7663  Poscia che l’accoglienze oneste e liete
  7664  furo iterate tre e quattro volte,
  7665  Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».
  7666  
  7667  «Anzi che a questo monte fosser volte
  7668  l’anime degne di salire a Dio,
  7669  fur l’ossa mie per Ottavian sepolte.
  7670  
  7671  Io son Virgilio; e per null’ altro rio
  7672  lo ciel perdei che per non aver fé».
  7673  Così rispuose allora il duca mio.
  7674  
  7675  Qual è colui che cosa innanzi sé
  7676  sùbita vede ond’ e’ si maraviglia,
  7677  che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . »,
  7678  
  7679  tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
  7680  e umilmente ritornò ver’ lui,
  7681  e abbracciòl là ’ve ’l minor s’appiglia.
  7682  
  7683  «O gloria di Latin», disse, «per cui
  7684  mostrò ciò che potea la lingua nostra,
  7685  o pregio etterno del loco ond’ io fui,
  7686  
  7687  qual merito o qual grazia mi ti mostra?
  7688  S’io son d’udir le tue parole degno,
  7689  dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra».
  7690  
  7691  «Per tutt’ i cerchi del dolente regno»,
  7692  rispuose lui, «son io di qua venuto;
  7693  virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
  7694  
  7695  Non per far, ma per non fare ho perduto
  7696  a veder l’alto Sol che tu disiri
  7697  e che fu tardi per me conosciuto.
  7698  
  7699  Luogo è là giù non tristo di martìri,
  7700  ma di tenebre solo, ove i lamenti
  7701  non suonan come guai, ma son sospiri.
  7702  
  7703  Quivi sto io coi pargoli innocenti
  7704  dai denti morsi de la morte avante
  7705  che fosser da l’umana colpa essenti;
  7706  
  7707  quivi sto io con quei che le tre sante
  7708  virtù non si vestiro, e sanza vizio
  7709  conobber l’altre e seguir tutte quante.
  7710  
  7711  Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
  7712  dà noi per che venir possiam più tosto
  7713  là dove purgatorio ha dritto inizio».
  7714  
  7715  Rispuose: «Loco certo non c’è posto;
  7716  licito m’è andar suso e intorno;
  7717  per quanto ir posso, a guida mi t’accosto.
  7718  
  7719  Ma vedi già come dichina il giorno,
  7720  e andar sù di notte non si puote;
  7721  però è buon pensar di bel soggiorno.
  7722  
  7723  Anime sono a destra qua remote;
  7724  se mi consenti, io ti merrò ad esse,
  7725  e non sanza diletto ti fier note».
  7726  
  7727  «Com’ è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
  7728  salir di notte, fora elli impedito
  7729  d’altrui, o non sarria ché non potesse?».
  7730  
  7731  E ’l buon Sordello in terra fregò ’l dito,
  7732  dicendo: «Vedi? sola questa riga
  7733  non varcheresti dopo ’l sol partito:
  7734  
  7735  non però ch’altra cosa desse briga,
  7736  che la notturna tenebra, ad ir suso;
  7737  quella col nonpoder la voglia intriga.
  7738  
  7739  Ben si poria con lei tornare in giuso
  7740  e passeggiar la costa intorno errando,
  7741  mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso».
  7742  
  7743  Allora il mio segnor, quasi ammirando,
  7744  «Menane», disse, «dunque là ’ve dici
  7745  ch’aver si può diletto dimorando».
  7746  
  7747  Poco allungati c’eravam di lici,
  7748  quand’ io m’accorsi che ’l monte era scemo,
  7749  a guisa che i vallon li sceman quici.
  7750  
  7751  «Colà», disse quell’ ombra, «n’anderemo
  7752  dove la costa face di sé grembo;
  7753  e là il novo giorno attenderemo».
  7754  
  7755  Tra erto e piano era un sentiero schembo,
  7756  che ne condusse in fianco de la lacca,
  7757  là dove più ch’a mezzo muore il lembo.
  7758  
  7759  Oro e argento fine, cocco e biacca,
  7760  indaco, legno lucido e sereno,
  7761  fresco smeraldo in l’ora che si fiacca,
  7762  
  7763  da l’erba e da li fior, dentr’ a quel seno
  7764  posti, ciascun saria di color vinto,
  7765  come dal suo maggiore è vinto il meno.
  7766  
  7767  Non avea pur natura ivi dipinto,
  7768  ma di soavità di mille odori
  7769  vi facea uno incognito e indistinto.
  7770  
  7771  ‘Salve, Regina’ in sul verde e ’n su’ fiori
  7772  quindi seder cantando anime vidi,
  7773  che per la valle non parean di fuori.
  7774  
  7775  «Prima che ’l poco sole omai s’annidi»,
  7776  cominciò ’l Mantoan che ci avea vòlti,
  7777  «tra color non vogliate ch’io vi guidi.
  7778  
  7779  Di questo balzo meglio li atti e ’ volti
  7780  conoscerete voi di tutti quanti,
  7781  che ne la lama giù tra essi accolti.
  7782  
  7783  Colui che più siede alto e fa sembianti
  7784  d’aver negletto ciò che far dovea,
  7785  e che non move bocca a li altrui canti,
  7786  
  7787  Rodolfo imperador fu, che potea
  7788  sanar le piaghe c’hanno Italia morta,
  7789  sì che tardi per altri si ricrea.
  7790  
  7791  L’altro che ne la vista lui conforta,
  7792  resse la terra dove l’acqua nasce
  7793  che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
  7794  
  7795  Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
  7796  fu meglio assai che Vincislao suo figlio
  7797  barbuto, cui lussuria e ozio pasce.
  7798  
  7799  E quel nasetto che stretto a consiglio
  7800  par con colui c’ha sì benigno aspetto,
  7801  morì fuggendo e disfiorando il giglio:
  7802  
  7803  guardate là come si batte il petto!
  7804  L’altro vedete c’ha fatto a la guancia
  7805  de la sua palma, sospirando, letto.
  7806  
  7807  Padre e suocero son del mal di Francia:
  7808  sanno la vita sua viziata e lorda,
  7809  e quindi viene il duol che sì li lancia.
  7810  
  7811  Quel che par sì membruto e che s’accorda,
  7812  cantando, con colui dal maschio naso,
  7813  d’ogne valor portò cinta la corda;
  7814  
  7815  e se re dopo lui fosse rimaso
  7816  lo giovanetto che retro a lui siede,
  7817  ben andava il valor di vaso in vaso,
  7818  
  7819  che non si puote dir de l’altre rede;
  7820  Iacomo e Federigo hanno i reami;
  7821  del retaggio miglior nessun possiede.
  7822  
  7823  Rade volte risurge per li rami
  7824  l’umana probitate; e questo vole
  7825  quei che la dà, perché da lui si chiami.
  7826  
  7827  Anche al nasuto vanno mie parole
  7828  non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta,
  7829  onde Puglia e Proenza già si dole.
  7830  
  7831  Tant’ è del seme suo minor la pianta,
  7832  quanto, più che Beatrice e Margherita,
  7833  Costanza di marito ancor si vanta.
  7834  
  7835  Vedete il re de la semplice vita
  7836  seder là solo, Arrigo d’Inghilterra:
  7837  questi ha ne’ rami suoi migliore uscita.
  7838  
  7839  Quel che più basso tra costor s’atterra,
  7840  guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
  7841  per cui e Alessandria e la sua guerra
  7842  
  7843  fa pianger Monferrato e Canavese».
  7844  
  7845  
  7846  
  7847  Purgatorio · Canto VIII
  7848  
  7849  
  7850  Era già l’ora che volge il disio
  7851  ai navicanti e ’ntenerisce il core
  7852  lo dì c’han detto ai dolci amici addio;
  7853  
  7854  e che lo novo peregrin d’amore
  7855  punge, se ode squilla di lontano
  7856  che paia il giorno pianger che si more;
  7857  
  7858  quand’ io incominciai a render vano
  7859  l’udire e a mirare una de l’alme
  7860  surta, che l’ascoltar chiedea con mano.
  7861  
  7862  Ella giunse e levò ambo le palme,
  7863  ficcando li occhi verso l’orïente,
  7864  come dicesse a Dio: ‘D’altro non calme’.
  7865  
  7866  ‘Te lucis ante’ sì devotamente
  7867  le uscìo di bocca e con sì dolci note,
  7868  che fece me a me uscir di mente;
  7869  
  7870  e l’altre poi dolcemente e devote
  7871  seguitar lei per tutto l’inno intero,
  7872  avendo li occhi a le superne rote.
  7873  
  7874  Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
  7875  ché ’l velo è ora ben tanto sottile,
  7876  certo che ’l trapassar dentro è leggero.
  7877  
  7878  Io vidi quello essercito gentile
  7879  tacito poscia riguardare in sùe,
  7880  quasi aspettando, palido e umìle;
  7881  
  7882  e vidi uscir de l’alto e scender giùe
  7883  due angeli con due spade affocate,
  7884  tronche e private de le punte sue.
  7885  
  7886  Verdi come fogliette pur mo nate
  7887  erano in veste, che da verdi penne
  7888  percosse traean dietro e ventilate.
  7889  
  7890  L’un poco sovra noi a star si venne,
  7891  e l’altro scese in l’opposita sponda,
  7892  sì che la gente in mezzo si contenne.
  7893  
  7894  Ben discernëa in lor la testa bionda;
  7895  ma ne la faccia l’occhio si smarria,
  7896  come virtù ch’a troppo si confonda.
  7897  
  7898  «Ambo vegnon del grembo di Maria»,
  7899  disse Sordello, «a guardia de la valle,
  7900  per lo serpente che verrà vie via».
  7901  
  7902  Ond’ io, che non sapeva per qual calle,
  7903  mi volsi intorno, e stretto m’accostai,
  7904  tutto gelato, a le fidate spalle.
  7905  
  7906  E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
  7907  tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
  7908  grazïoso fia lor vedervi assai».
  7909  
  7910  Solo tre passi credo ch’i’ scendesse,
  7911  e fui di sotto, e vidi un che mirava
  7912  pur me, come conoscer mi volesse.
  7913  
  7914  Temp’ era già che l’aere s’annerava,
  7915  ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei
  7916  non dichiarisse ciò che pria serrava.
  7917  
  7918  Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei:
  7919  giudice Nin gentil, quanto mi piacque
  7920  quando ti vidi non esser tra ’ rei!
  7921  
  7922  Nullo bel salutar tra noi si tacque;
  7923  poi dimandò: «Quant’ è che tu venisti
  7924  a piè del monte per le lontane acque?».
  7925  
  7926  «Oh!», diss’ io lui, «per entro i luoghi tristi
  7927  venni stamane, e sono in prima vita,
  7928  ancor che l’altra, sì andando, acquisti».
  7929  
  7930  E come fu la mia risposta udita,
  7931  Sordello ed elli in dietro si raccolse
  7932  come gente di sùbito smarrita.
  7933  
  7934  L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse
  7935  che sedea lì, gridando: «Sù, Currado!
  7936  vieni a veder che Dio per grazia volse».
  7937  
  7938  Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado
  7939  che tu dei a colui che sì nasconde
  7940  lo suo primo perché, che non lì è guado,
  7941  
  7942  quando sarai di là da le larghe onde,
  7943  dì a Giovanna mia che per me chiami
  7944  là dove a li ’nnocenti si risponde.
  7945  
  7946  Non credo che la sua madre più m’ami,
  7947  poscia che trasmutò le bianche bende,
  7948  le quai convien che, misera!, ancor brami.
  7949  
  7950  Per lei assai di lieve si comprende
  7951  quanto in femmina foco d’amor dura,
  7952  se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende.
  7953  
  7954  Non le farà sì bella sepultura
  7955  la vipera che Melanesi accampa,
  7956  com’ avria fatto il gallo di Gallura».
  7957  
  7958  Così dicea, segnato de la stampa,
  7959  nel suo aspetto, di quel dritto zelo
  7960  che misuratamente in core avvampa.
  7961  
  7962  Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
  7963  pur là dove le stelle son più tarde,
  7964  sì come rota più presso a lo stelo.
  7965  
  7966  E ’l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
  7967  E io a lui: «A quelle tre facelle
  7968  di che ’l polo di qua tutto quanto arde».
  7969  
  7970  Ond’ elli a me: «Le quattro chiare stelle
  7971  che vedevi staman, son di là basse,
  7972  e queste son salite ov’ eran quelle».
  7973  
  7974  Com’ ei parlava, e Sordello a sé il trasse
  7975  dicendo: «Vedi là ’l nostro avversaro»;
  7976  e drizzò il dito perché ’n là guardasse.
  7977  
  7978  Da quella parte onde non ha riparo
  7979  la picciola vallea, era una biscia,
  7980  forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
  7981  
  7982  Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia,
  7983  volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso
  7984  leccando come bestia che si liscia.
  7985  
  7986  Io non vidi, e però dicer non posso,
  7987  come mosser li astor celestïali;
  7988  ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso.
  7989  
  7990  Sentendo fender l’aere a le verdi ali,
  7991  fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta,
  7992  suso a le poste rivolando iguali.
  7993  
  7994  L’ombra che s’era al giudice raccolta
  7995  quando chiamò, per tutto quello assalto
  7996  punto non fu da me guardare sciolta.
  7997  
  7998  «Se la lucerna che ti mena in alto
  7999  truovi nel tuo arbitrio tanta cera
  8000  quant’ è mestiere infino al sommo smalto»,
  8001  
  8002  cominciò ella, «se novella vera
  8003  di Val di Magra o di parte vicina
  8004  sai, dillo a me, che già grande là era.
  8005  
  8006  Fui chiamato Currado Malaspina;
  8007  non son l’antico, ma di lui discesi;
  8008  a’ miei portai l’amor che qui raffina».
  8009  
  8010  «Oh!», diss’ io lui, «per li vostri paesi
  8011  già mai non fui; ma dove si dimora
  8012  per tutta Europa ch’ei non sien palesi?
  8013  
  8014  La fama che la vostra casa onora,
  8015  grida i segnori e grida la contrada,
  8016  sì che ne sa chi non vi fu ancora;
  8017  
  8018  e io vi giuro, s’io di sopra vada,
  8019  che vostra gente onrata non si sfregia
  8020  del pregio de la borsa e de la spada.
  8021  
  8022  Uso e natura sì la privilegia,
  8023  che, perché il capo reo il mondo torca,
  8024  sola va dritta e ’l mal cammin dispregia».
  8025  
  8026  Ed elli: «Or va; che ’l sol non si ricorca
  8027  sette volte nel letto che ’l Montone
  8028  con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,
  8029  
  8030  che cotesta cortese oppinïone
  8031  ti fia chiavata in mezzo de la testa
  8032  con maggior chiovi che d’altrui sermone,
  8033  
  8034  se corso di giudicio non s’arresta».
  8035  
  8036  
  8037  
  8038  Purgatorio · Canto IX
  8039  
  8040  
  8041  La concubina di Titone antico
  8042  già s’imbiancava al balco d’orïente,
  8043  fuor de le braccia del suo dolce amico;
  8044  
  8045  di gemme la sua fronte era lucente,
  8046  poste in figura del freddo animale
  8047  che con la coda percuote la gente;
  8048  
  8049  e la notte, de’ passi con che sale,
  8050  fatti avea due nel loco ov’ eravamo,
  8051  e ’l terzo già chinava in giuso l’ale;
  8052  
  8053  quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo,
  8054  vinto dal sonno, in su l’erba inchinai
  8055  là ’ve già tutti e cinque sedavamo.
  8056  
  8057  Ne l’ora che comincia i tristi lai
  8058  la rondinella presso a la mattina,
  8059  forse a memoria de’ suo’ primi guai,
  8060  
  8061  e che la mente nostra, peregrina
  8062  più da la carne e men da’ pensier presa,
  8063  a le sue visïon quasi è divina,
  8064  
  8065  in sogno mi parea veder sospesa
  8066  un’aguglia nel ciel con penne d’oro,
  8067  con l’ali aperte e a calare intesa;
  8068  
  8069  ed esser mi parea là dove fuoro
  8070  abbandonati i suoi da Ganimede,
  8071  quando fu ratto al sommo consistoro.
  8072  
  8073  Fra me pensava: ‘Forse questa fiede
  8074  pur qui per uso, e forse d’altro loco
  8075  disdegna di portarne suso in piede’.
  8076  
  8077  Poi mi parea che, poi rotata un poco,
  8078  terribil come folgor discendesse,
  8079  e me rapisse suso infino al foco.
  8080  
  8081  Ivi parea che ella e io ardesse;
  8082  e sì lo ’ncendio imaginato cosse,
  8083  che convenne che ’l sonno si rompesse.
  8084  
  8085  Non altrimenti Achille si riscosse,
  8086  li occhi svegliati rivolgendo in giro
  8087  e non sappiendo là dove si fosse,
  8088  
  8089  quando la madre da Chirón a Schiro
  8090  trafuggò lui dormendo in le sue braccia,
  8091  là onde poi li Greci il dipartiro;
  8092  
  8093  che mi scoss’ io, sì come da la faccia
  8094  mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto,
  8095  come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.
  8096  
  8097  Dallato m’era solo il mio conforto,
  8098  e ’l sole er’ alto già più che due ore,
  8099  e ’l viso m’era a la marina torto.
  8100  
  8101  «Non aver tema», disse il mio segnore;
  8102  «fatti sicur, ché noi semo a buon punto;
  8103  non stringer, ma rallarga ogne vigore.
  8104  
  8105  Tu se’ omai al purgatorio giunto:
  8106  vedi là il balzo che ’l chiude dintorno;
  8107  vedi l’entrata là ’ve par digiunto.
  8108  
  8109  Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,
  8110  quando l’anima tua dentro dormia,
  8111  sovra li fiori ond’ è là giù addorno
  8112  
  8113  venne una donna, e disse: “I’ son Lucia;
  8114  lasciatemi pigliar costui che dorme;
  8115  sì l’agevolerò per la sua via”.
  8116  
  8117  Sordel rimase e l’altre genti forme;
  8118  ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro,
  8119  sen venne suso; e io per le sue orme.
  8120  
  8121  Qui ti posò, ma pria mi dimostraro
  8122  li occhi suoi belli quella intrata aperta;
  8123  poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro».
  8124  
  8125  A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta
  8126  e che muta in conforto sua paura,
  8127  poi che la verità li è discoperta,
  8128  
  8129  mi cambia’ io; e come sanza cura
  8130  vide me ’l duca mio, su per lo balzo
  8131  si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.
  8132  
  8133  Lettor, tu vedi ben com’ io innalzo
  8134  la mia matera, e però con più arte
  8135  non ti maravigliar s’io la rincalzo.
  8136  
  8137  Noi ci appressammo, ed eravamo in parte
  8138  che là dove pareami prima rotto,
  8139  pur come un fesso che muro diparte,
  8140  
  8141  vidi una porta, e tre gradi di sotto
  8142  per gire ad essa, di color diversi,
  8143  e un portier ch’ancor non facea motto.
  8144  
  8145  E come l’occhio più e più v’apersi,
  8146  vidil seder sovra ’l grado sovrano,
  8147  tal ne la faccia ch’io non lo soffersi;
  8148  
  8149  e una spada nuda avëa in mano,
  8150  che reflettëa i raggi sì ver’ noi,
  8151  ch’io drizzava spesso il viso in vano.
  8152  
  8153  «Dite costinci: che volete voi?»,
  8154  cominciò elli a dire, «ov’ è la scorta?
  8155  Guardate che ’l venir sù non vi nòi».
  8156  
  8157  «Donna del ciel, di queste cose accorta»,
  8158  rispuose ’l mio maestro a lui, «pur dianzi
  8159  ne disse: “Andate là: quivi è la porta”».
  8160  
  8161  «Ed ella i passi vostri in bene avanzi»,
  8162  ricominciò il cortese portinaio:
  8163  «Venite dunque a’ nostri gradi innanzi».
  8164  
  8165  Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
  8166  bianco marmo era sì pulito e terso,
  8167  ch’io mi specchiai in esso qual io paio.
  8168  
  8169  Era il secondo tinto più che perso,
  8170  d’una petrina ruvida e arsiccia,
  8171  crepata per lo lungo e per traverso.
  8172  
  8173  Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,
  8174  porfido mi parea, sì fiammeggiante
  8175  come sangue che fuor di vena spiccia.
  8176  
  8177  Sovra questo tenëa ambo le piante
  8178  l’angel di Dio sedendo in su la soglia
  8179  che mi sembiava pietra di diamante.
  8180  
  8181  Per li tre gradi sù di buona voglia
  8182  mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
  8183  umilemente che ’l serrame scioglia».
  8184  
  8185  Divoto mi gittai a’ santi piedi;
  8186  misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,
  8187  ma tre volte nel petto pria mi diedi.
  8188  
  8189  Sette P ne la fronte mi descrisse
  8190  col punton de la spada, e «Fa che lavi,
  8191  quando se’ dentro, queste piaghe» disse.
  8192  
  8193  Cenere, o terra che secca si cavi,
  8194  d’un color fora col suo vestimento;
  8195  e di sotto da quel trasse due chiavi.
  8196  
  8197  L’una era d’oro e l’altra era d’argento;
  8198  pria con la bianca e poscia con la gialla
  8199  fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.
  8200  
  8201  «Quandunque l’una d’este chiavi falla,
  8202  che non si volga dritta per la toppa»,
  8203  diss’ elli a noi, «non s’apre questa calla.
  8204  
  8205  Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa
  8206  d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
  8207  perch’ ella è quella che ’l nodo digroppa.
  8208  
  8209  Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri
  8210  anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,
  8211  pur che la gente a’ piedi mi s’atterri».
  8212  
  8213  Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,
  8214  dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti
  8215  che di fuor torna chi ’n dietro si guata».
  8216  
  8217  E quando fuor ne’ cardini distorti
  8218  li spigoli di quella regge sacra,
  8219  che di metallo son sonanti e forti,
  8220  
  8221  non rugghiò sì né si mostrò sì acra
  8222  Tarpëa, come tolto le fu il buono
  8223  Metello, per che poi rimase macra.
  8224  
  8225  Io mi rivolsi attento al primo tuono,
  8226  e ‘Te Deum laudamus’ mi parea
  8227  udire in voce mista al dolce suono.
  8228  
  8229  Tale imagine a punto mi rendea
  8230  ciò ch’io udiva, qual prender si suole
  8231  quando a cantar con organi si stea;
  8232  
  8233  ch’or sì or no s’intendon le parole.
  8234  
  8235  
  8236  
  8237  Purgatorio · Canto X
  8238  
  8239  
  8240  Poi fummo dentro al soglio de la porta
  8241  che ’l mal amor de l’anime disusa,
  8242  perché fa parer dritta la via torta,
  8243  
  8244  sonando la senti’ esser richiusa;
  8245  e s’io avesse li occhi vòlti ad essa,
  8246  qual fora stata al fallo degna scusa?
  8247  
  8248  Noi salavam per una pietra fessa,
  8249  che si moveva e d’una e d’altra parte,
  8250  sì come l’onda che fugge e s’appressa.
  8251  
  8252  «Qui si conviene usare un poco d’arte»,
  8253  cominciò ’l duca mio, «in accostarsi
  8254  or quinci, or quindi al lato che si parte».
  8255  
  8256  E questo fece i nostri passi scarsi,
  8257  tanto che pria lo scemo de la luna
  8258  rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
  8259  
  8260  che noi fossimo fuor di quella cruna;
  8261  ma quando fummo liberi e aperti
  8262  sù dove il monte in dietro si rauna,
  8263  
  8264  ïo stancato e amendue incerti
  8265  di nostra via, restammo in su un piano
  8266  solingo più che strade per diserti.
  8267  
  8268  Da la sua sponda, ove confina il vano,
  8269  al piè de l’alta ripa che pur sale,
  8270  misurrebbe in tre volte un corpo umano;
  8271  
  8272  e quanto l’occhio mio potea trar d’ale,
  8273  or dal sinistro e or dal destro fianco,
  8274  questa cornice mi parea cotale.
  8275  
  8276  Là sù non eran mossi i piè nostri anco,
  8277  quand’ io conobbi quella ripa intorno
  8278  che dritto di salita aveva manco,
  8279  
  8280  esser di marmo candido e addorno
  8281  d’intagli sì, che non pur Policleto,
  8282  ma la natura lì avrebbe scorno.
  8283  
  8284  L’angel che venne in terra col decreto
  8285  de la molt’ anni lagrimata pace,
  8286  ch’aperse il ciel del suo lungo divieto,
  8287  
  8288  dinanzi a noi pareva sì verace
  8289  quivi intagliato in un atto soave,
  8290  che non sembiava imagine che tace.
  8291  
  8292  Giurato si saria ch’el dicesse ‘Ave!’;
  8293  perché iv’ era imaginata quella
  8294  ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave;
  8295  
  8296  e avea in atto impressa esta favella
  8297  ‘Ecce ancilla Deï’, propriamente
  8298  come figura in cera si suggella.
  8299  
  8300  «Non tener pur ad un loco la mente»,
  8301  disse ’l dolce maestro, che m’avea
  8302  da quella parte onde ’l cuore ha la gente.
  8303  
  8304  Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea
  8305  di retro da Maria, da quella costa
  8306  onde m’era colui che mi movea,
  8307  
  8308  un’altra storia ne la roccia imposta;
  8309  per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso,
  8310  acciò che fosse a li occhi miei disposta.
  8311  
  8312  Era intagliato lì nel marmo stesso
  8313  lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa,
  8314  per che si teme officio non commesso.
  8315  
  8316  Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
  8317  partita in sette cori, a’ due mie’ sensi
  8318  faceva dir l’un ‘No’, l’altro ‘Sì, canta’.
  8319  
  8320  Similemente al fummo de li ’ncensi
  8321  che v’era imaginato, li occhi e ’l naso
  8322  e al sì e al no discordi fensi.
  8323  
  8324  Lì precedeva al benedetto vaso,
  8325  trescando alzato, l’umile salmista,
  8326  e più e men che re era in quel caso.
  8327  
  8328  Di contra, effigïata ad una vista
  8329  d’un gran palazzo, Micòl ammirava
  8330  sì come donna dispettosa e trista.
  8331  
  8332  I’ mossi i piè del loco dov’ io stava,
  8333  per avvisar da presso un’altra istoria,
  8334  che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
  8335  
  8336  Quiv’ era storïata l’alta gloria
  8337  del roman principato, il cui valore
  8338  mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
  8339  
  8340  i’ dico di Traiano imperadore;
  8341  e una vedovella li era al freno,
  8342  di lagrime atteggiata e di dolore.
  8343  
  8344  Intorno a lui parea calcato e pieno
  8345  di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
  8346  sovr’ essi in vista al vento si movieno.
  8347  
  8348  La miserella intra tutti costoro
  8349  pareva dir: «Segnor, fammi vendetta
  8350  di mio figliuol ch’è morto, ond’ io m’accoro»;
  8351  
  8352  ed elli a lei rispondere: «Or aspetta
  8353  tanto ch’i’ torni»; e quella: «Segnor mio»,
  8354  come persona in cui dolor s’affretta,
  8355  
  8356  «se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov’ io,
  8357  la ti farà»; ed ella: «L’altrui bene
  8358  a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?»;
  8359  
  8360  ond’ elli: «Or ti conforta; ch’ei convene
  8361  ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova:
  8362  giustizia vuole e pietà mi ritene».
  8363  
  8364  Colui che mai non vide cosa nova
  8365  produsse esto visibile parlare,
  8366  novello a noi perché qui non si trova.
  8367  
  8368  Mentr’ io mi dilettava di guardare
  8369  l’imagini di tante umilitadi,
  8370  e per lo fabbro loro a veder care,
  8371  
  8372  «Ecco di qua, ma fanno i passi radi»,
  8373  mormorava il poeta, «molte genti:
  8374  questi ne ’nvïeranno a li alti gradi».
  8375  
  8376  Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti
  8377  per veder novitadi ond’ e’ son vaghi,
  8378  volgendosi ver’ lui non furon lenti.
  8379  
  8380  Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi
  8381  di buon proponimento per udire
  8382  come Dio vuol che ’l debito si paghi.
  8383  
  8384  Non attender la forma del martìre:
  8385  pensa la succession; pensa ch’al peggio
  8386  oltre la gran sentenza non può ire.
  8387  
  8388  Io cominciai: «Maestro, quel ch’io veggio
  8389  muovere a noi, non mi sembian persone,
  8390  e non so che, sì nel veder vaneggio».
  8391  
  8392  Ed elli a me: «La grave condizione
  8393  di lor tormento a terra li rannicchia,
  8394  sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione.
  8395  
  8396  Ma guarda fiso là, e disviticchia
  8397  col viso quel che vien sotto a quei sassi:
  8398  già scorger puoi come ciascun si picchia».
  8399  
  8400  O superbi cristian, miseri lassi,
  8401  che, de la vista de la mente infermi,
  8402  fidanza avete ne’ retrosi passi,
  8403  
  8404  non v’accorgete voi che noi siam vermi
  8405  nati a formar l’angelica farfalla,
  8406  che vola a la giustizia sanza schermi?
  8407  
  8408  Di che l’animo vostro in alto galla,
  8409  poi siete quasi antomata in difetto,
  8410  sì come vermo in cui formazion falla?
  8411  
  8412  Come per sostentar solaio o tetto,
  8413  per mensola talvolta una figura
  8414  si vede giugner le ginocchia al petto,
  8415  
  8416  la qual fa del non ver vera rancura
  8417  nascere ’n chi la vede; così fatti
  8418  vid’ io color, quando puosi ben cura.
  8419  
  8420  Vero è che più e meno eran contratti
  8421  secondo ch’avien più e meno a dosso;
  8422  e qual più pazïenza avea ne li atti,
  8423  
  8424  piangendo parea dicer: ‘Più non posso’.
  8425  
  8426  
  8427  
  8428  Purgatorio · Canto XI
  8429  
  8430  
  8431  «O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
  8432  non circunscritto, ma per più amore
  8433  ch’ai primi effetti di là sù tu hai,
  8434  
  8435  laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore
  8436  da ogne creatura, com’ è degno
  8437  di render grazie al tuo dolce vapore.
  8438  
  8439  Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
  8440  ché noi ad essa non potem da noi,
  8441  s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.
  8442  
  8443  Come del suo voler li angeli tuoi
  8444  fan sacrificio a te, cantando osanna,
  8445  così facciano li uomini de’ suoi.
  8446  
  8447  Dà oggi a noi la cotidiana manna,
  8448  sanza la qual per questo aspro diserto
  8449  a retro va chi più di gir s’affanna.
  8450  
  8451  E come noi lo mal ch’avem sofferto
  8452  perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
  8453  benigno, e non guardar lo nostro merto.
  8454  
  8455  Nostra virtù che di legger s’adona,
  8456  non spermentar con l’antico avversaro,
  8457  ma libera da lui che sì la sprona.
  8458  
  8459  Quest’ ultima preghiera, segnor caro,
  8460  già non si fa per noi, ché non bisogna,
  8461  ma per color che dietro a noi restaro».
  8462  
  8463  Così a sé e noi buona ramogna
  8464  quell’ ombre orando, andavan sotto ’l pondo,
  8465  simile a quel che talvolta si sogna,
  8466  
  8467  disparmente angosciate tutte a tondo
  8468  e lasse su per la prima cornice,
  8469  purgando la caligine del mondo.
  8470  
  8471  Se di là sempre ben per noi si dice,
  8472  di qua che dire e far per lor si puote
  8473  da quei c’hanno al voler buona radice?
  8474  
  8475  Ben si de’ loro atar lavar le note
  8476  che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
  8477  possano uscire a le stellate ruote.
  8478  
  8479  «Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
  8480  tosto, sì che possiate muover l’ala,
  8481  che secondo il disio vostro vi lievi,
  8482  
  8483  mostrate da qual mano inver’ la scala
  8484  si va più corto; e se c’è più d’un varco,
  8485  quel ne ’nsegnate che men erto cala;
  8486  
  8487  ché questi che vien meco, per lo ’ncarco
  8488  de la carne d’Adamo onde si veste,
  8489  al montar sù, contra sua voglia, è parco».
  8490  
  8491  Le lor parole, che rendero a queste
  8492  che dette avea colui cu’ io seguiva,
  8493  non fur da cui venisser manifeste;
  8494  
  8495  ma fu detto: «A man destra per la riva
  8496  con noi venite, e troverete il passo
  8497  possibile a salir persona viva.
  8498  
  8499  E s’io non fossi impedito dal sasso
  8500  che la cervice mia superba doma,
  8501  onde portar convienmi il viso basso,
  8502  
  8503  cotesti, ch’ancor vive e non si noma,
  8504  guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco,
  8505  e per farlo pietoso a questa soma.
  8506  
  8507  Io fui latino e nato d’un gran Tosco:
  8508  Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
  8509  non so se ’l nome suo già mai fu vosco.
  8510  
  8511  L’antico sangue e l’opere leggiadre
  8512  d’i miei maggior mi fer sì arrogante,
  8513  che, non pensando a la comune madre,
  8514  
  8515  ogn’ uomo ebbi in despetto tanto avante,
  8516  ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno,
  8517  e sallo in Campagnatico ogne fante.
  8518  
  8519  Io sono Omberto; e non pur a me danno
  8520  superbia fa, ché tutti miei consorti
  8521  ha ella tratti seco nel malanno.
  8522  
  8523  E qui convien ch’io questo peso porti
  8524  per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
  8525  poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti».
  8526  
  8527  Ascoltando chinai in giù la faccia;
  8528  e un di lor, non questi che parlava,
  8529  si torse sotto il peso che li ’mpaccia,
  8530  
  8531  e videmi e conobbemi e chiamava,
  8532  tenendo li occhi con fatica fisi
  8533  a me che tutto chin con loro andava.
  8534  
  8535  «Oh!», diss’ io lui, «non se’ tu Oderisi,
  8536  l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’ arte
  8537  ch’alluminar chiamata è in Parisi?».
  8538  
  8539  «Frate», diss’ elli, «più ridon le carte
  8540  che pennelleggia Franco Bolognese;
  8541  l’onore è tutto or suo, e mio in parte.
  8542  
  8543  Ben non sare’ io stato sì cortese
  8544  mentre ch’io vissi, per lo gran disio
  8545  de l’eccellenza ove mio core intese.
  8546  
  8547  Di tal superbia qui si paga il fio;
  8548  e ancor non sarei qui, se non fosse
  8549  che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
  8550  
  8551  Oh vana gloria de l’umane posse!
  8552  com’ poco verde in su la cima dura,
  8553  se non è giunta da l’etati grosse!
  8554  
  8555  Credette Cimabue ne la pittura
  8556  tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
  8557  sì che la fama di colui è scura.
  8558  
  8559  Così ha tolto l’uno a l’altro Guido
  8560  la gloria de la lingua; e forse è nato
  8561  chi l’uno e l’altro caccerà del nido.
  8562  
  8563  Non è il mondan romore altro ch’un fiato
  8564  di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,
  8565  e muta nome perché muta lato.
  8566  
  8567  Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
  8568  da te la carne, che se fossi morto
  8569  anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ’l ‘dindi’,
  8570  
  8571  pria che passin mill’ anni? ch’è più corto
  8572  spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia
  8573  al cerchio che più tardi in cielo è torto.
  8574  
  8575  Colui che del cammin sì poco piglia
  8576  dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
  8577  e ora a pena in Siena sen pispiglia,
  8578  
  8579  ond’ era sire quando fu distrutta
  8580  la rabbia fiorentina, che superba
  8581  fu a quel tempo sì com’ ora è putta.
  8582  
  8583  La vostra nominanza è color d’erba,
  8584  che viene e va, e quei la discolora
  8585  per cui ella esce de la terra acerba».
  8586  
  8587  E io a lui: «Tuo vero dir m’incora
  8588  bona umiltà, e gran tumor m’appiani;
  8589  ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».
  8590  
  8591  «Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani;
  8592  ed è qui perché fu presuntüoso
  8593  a recar Siena tutta a le sue mani.
  8594  
  8595  Ito è così e va, sanza riposo,
  8596  poi che morì; cotal moneta rende
  8597  a sodisfar chi è di là troppo oso».
  8598  
  8599  E io: «Se quello spirito ch’attende,
  8600  pria che si penta, l’orlo de la vita,
  8601  qua giù dimora e qua sù non ascende,
  8602  
  8603  se buona orazïon lui non aita,
  8604  prima che passi tempo quanto visse,
  8605  come fu la venuta lui largita?».
  8606  
  8607  «Quando vivea più glorïoso», disse,
  8608  «liberamente nel Campo di Siena,
  8609  ogne vergogna diposta, s’affisse;
  8610  
  8611  e lì, per trar l’amico suo di pena,
  8612  ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo,
  8613  si condusse a tremar per ogne vena.
  8614  
  8615  Più non dirò, e scuro so che parlo;
  8616  ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini
  8617  faranno sì che tu potrai chiosarlo.
  8618  
  8619  Quest’ opera li tolse quei confini».
  8620  
  8621  
  8622  
  8623  Purgatorio · Canto XII
  8624  
  8625  
  8626  Di pari, come buoi che vanno a giogo,
  8627  m’andava io con quell’ anima carca,
  8628  fin che ’l sofferse il dolce pedagogo.
  8629  
  8630  Ma quando disse: «Lascia lui e varca;
  8631  ché qui è buono con l’ali e coi remi,
  8632  quantunque può, ciascun pinger sua barca»;
  8633  
  8634  dritto sì come andar vuolsi rife’mi
  8635  con la persona, avvegna che i pensieri
  8636  mi rimanessero e chinati e scemi.
  8637  
  8638  Io m’era mosso, e seguia volontieri
  8639  del mio maestro i passi, e amendue
  8640  già mostravam com’ eravam leggeri;
  8641  
  8642  ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe:
  8643  buon ti sarà, per tranquillar la via,
  8644  veder lo letto de le piante tue».
  8645  
  8646  Come, perché di lor memoria sia,
  8647  sovra i sepolti le tombe terragne
  8648  portan segnato quel ch’elli eran pria,
  8649  
  8650  onde lì molte volte si ripiagne
  8651  per la puntura de la rimembranza,
  8652  che solo a’ pïi dà de le calcagne;
  8653  
  8654  sì vid’ io lì, ma di miglior sembianza
  8655  secondo l’artificio, figurato
  8656  quanto per via di fuor del monte avanza.
  8657  
  8658  Vedea colui che fu nobil creato
  8659  più ch’altra creatura, giù dal cielo
  8660  folgoreggiando scender, da l’un lato.
  8661  
  8662  Vedëa Brïareo fitto dal telo
  8663  celestïal giacer, da l’altra parte,
  8664  grave a la terra per lo mortal gelo.
  8665  
  8666  Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
  8667  armati ancora, intorno al padre loro,
  8668  mirar le membra d’i Giganti sparte.
  8669  
  8670  Vedea Nembròt a piè del gran lavoro
  8671  quasi smarrito, e riguardar le genti
  8672  che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro.
  8673  
  8674  O Nïobè, con che occhi dolenti
  8675  vedea io te segnata in su la strada,
  8676  tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
  8677  
  8678  O Saùl, come in su la propria spada
  8679  quivi parevi morto in Gelboè,
  8680  che poi non sentì pioggia né rugiada!
  8681  
  8682  O folle Aragne, sì vedea io te
  8683  già mezza ragna, trista in su li stracci
  8684  de l’opera che mal per te si fé.
  8685  
  8686  O Roboàm, già non par che minacci
  8687  quivi ’l tuo segno; ma pien di spavento
  8688  nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci.
  8689  
  8690  Mostrava ancor lo duro pavimento
  8691  come Almeon a sua madre fé caro
  8692  parer lo sventurato addornamento.
  8693  
  8694  Mostrava come i figli si gittaro
  8695  sovra Sennacherìb dentro dal tempio,
  8696  e come, morto lui, quivi il lasciaro.
  8697  
  8698  Mostrava la ruina e ’l crudo scempio
  8699  che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
  8700  «Sangue sitisti, e io di sangue t’empio».
  8701  
  8702  Mostrava come in rotta si fuggiro
  8703  li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
  8704  e anche le reliquie del martiro.
  8705  
  8706  Vedeva Troia in cenere e in caverne;
  8707  o Ilïón, come te basso e vile
  8708  mostrava il segno che lì si discerne!
  8709  
  8710  Qual di pennel fu maestro o di stile
  8711  che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi
  8712  mirar farieno uno ingegno sottile?
  8713  
  8714  Morti li morti e i vivi parean vivi:
  8715  non vide mei di me chi vide il vero,
  8716  quant’ io calcai, fin che chinato givi.
  8717  
  8718  Or superbite, e via col viso altero,
  8719  figliuoli d’Eva, e non chinate il volto
  8720  sì che veggiate il vostro mal sentero!
  8721  
  8722  Più era già per noi del monte vòlto
  8723  e del cammin del sole assai più speso
  8724  che non stimava l’animo non sciolto,
  8725  
  8726  quando colui che sempre innanzi atteso
  8727  andava, cominciò: «Drizza la testa;
  8728  non è più tempo di gir sì sospeso.
  8729  
  8730  Vedi colà un angel che s’appresta
  8731  per venir verso noi; vedi che torna
  8732  dal servigio del dì l’ancella sesta.
  8733  
  8734  Di reverenza il viso e li atti addorna,
  8735  sì che i diletti lo ’nvïarci in suso;
  8736  pensa che questo dì mai non raggiorna!».
  8737  
  8738  Io era ben del suo ammonir uso
  8739  pur di non perder tempo, sì che ’n quella
  8740  materia non potea parlarmi chiuso.
  8741  
  8742  A noi venìa la creatura bella,
  8743  biancovestito e ne la faccia quale
  8744  par tremolando mattutina stella.
  8745  
  8746  Le braccia aperse, e indi aperse l’ale;
  8747  disse: «Venite: qui son presso i gradi,
  8748  e agevolemente omai si sale.
  8749  
  8750  A questo invito vegnon molto radi:
  8751  o gente umana, per volar sù nata,
  8752  perché a poco vento così cadi?».
  8753  
  8754  Menocci ove la roccia era tagliata;
  8755  quivi mi batté l’ali per la fronte;
  8756  poi mi promise sicura l’andata.
  8757  
  8758  Come a man destra, per salire al monte
  8759  dove siede la chiesa che soggioga
  8760  la ben guidata sopra Rubaconte,
  8761  
  8762  si rompe del montar l’ardita foga
  8763  per le scalee che si fero ad etade
  8764  ch’era sicuro il quaderno e la doga;
  8765  
  8766  così s’allenta la ripa che cade
  8767  quivi ben ratta da l’altro girone;
  8768  ma quinci e quindi l’alta pietra rade.
  8769  
  8770  Noi volgendo ivi le nostre persone,
  8771  ‘Beati pauperes spiritu!’ voci
  8772  cantaron sì, che nol diria sermone.
  8773  
  8774  Ahi quanto son diverse quelle foci
  8775  da l’infernali! ché quivi per canti
  8776  s’entra, e là giù per lamenti feroci.
  8777  
  8778  Già montavam su per li scaglion santi,
  8779  ed esser mi parea troppo più lieve
  8780  che per lo pian non mi parea davanti.
  8781  
  8782  Ond’ io: «Maestro, dì, qual cosa greve
  8783  levata s’è da me, che nulla quasi
  8784  per me fatica, andando, si riceve?».
  8785  
  8786  Rispuose: «Quando i P che son rimasi
  8787  ancor nel volto tuo presso che stinti,
  8788  saranno, com’ è l’un, del tutto rasi,
  8789  
  8790  fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,
  8791  che non pur non fatica sentiranno,
  8792  ma fia diletto loro esser sù pinti».
  8793  
  8794  Allor fec’ io come color che vanno
  8795  con cosa in capo non da lor saputa,
  8796  se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno;
  8797  
  8798  per che la mano ad accertar s’aiuta,
  8799  e cerca e truova e quello officio adempie
  8800  che non si può fornir per la veduta;
  8801  
  8802  e con le dita de la destra scempie
  8803  trovai pur sei le lettere che ’ncise
  8804  quel da le chiavi a me sovra le tempie:
  8805  
  8806  a che guardando, il mio duca sorrise.
  8807  
  8808  
  8809  
  8810  Purgatorio · Canto XIII
  8811  
  8812  
  8813  Noi eravamo al sommo de la scala,
  8814  dove secondamente si risega
  8815  lo monte che salendo altrui dismala.
  8816  
  8817  Ivi così una cornice lega
  8818  dintorno il poggio, come la primaia;
  8819  se non che l’arco suo più tosto piega.
  8820  
  8821  Ombra non lì è né segno che si paia:
  8822  parsi la ripa e parsi la via schietta
  8823  col livido color de la petraia.
  8824  
  8825  «Se qui per dimandar gente s’aspetta»,
  8826  ragionava il poeta, «io temo forse
  8827  che troppo avrà d’indugio nostra eletta».
  8828  
  8829  Poi fisamente al sole li occhi porse;
  8830  fece del destro lato a muover centro,
  8831  e la sinistra parte di sé torse.
  8832  
  8833  «O dolce lume a cui fidanza i’ entro
  8834  per lo novo cammin, tu ne conduci»,
  8835  dicea, «come condur si vuol quinc’ entro.
  8836  
  8837  Tu scaldi il mondo, tu sovr’ esso luci;
  8838  s’altra ragione in contrario non ponta,
  8839  esser dien sempre li tuoi raggi duci».
  8840  
  8841  Quanto di qua per un migliaio si conta,
  8842  tanto di là eravam noi già iti,
  8843  con poco tempo, per la voglia pronta;
  8844  
  8845  e verso noi volar furon sentiti,
  8846  non però visti, spiriti parlando
  8847  a la mensa d’amor cortesi inviti.
  8848  
  8849  La prima voce che passò volando
  8850  ‘Vinum non habent’ altamente disse,
  8851  e dietro a noi l’andò reïterando.
  8852  
  8853  E prima che del tutto non si udisse
  8854  per allungarsi, un’altra ‘I’ sono Oreste’
  8855  passò gridando, e anco non s’affisse.
  8856  
  8857  «Oh!», diss’ io, «padre, che voci son queste?».
  8858  E com’ io domandai, ecco la terza
  8859  dicendo: ‘Amate da cui male aveste’.
  8860  
  8861  E ’l buon maestro: «Questo cinghio sferza
  8862  la colpa de la invidia, e però sono
  8863  tratte d’amor le corde de la ferza.
  8864  
  8865  Lo fren vuol esser del contrario suono;
  8866  credo che l’udirai, per mio avviso,
  8867  prima che giunghi al passo del perdono.
  8868  
  8869  Ma ficca li occhi per l’aere ben fiso,
  8870  e vedrai gente innanzi a noi sedersi,
  8871  e ciascun è lungo la grotta assiso».
  8872  
  8873  Allora più che prima li occhi apersi;
  8874  guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti
  8875  al color de la pietra non diversi.
  8876  
  8877  E poi che fummo un poco più avanti,
  8878  udia gridar: ‘Maria, òra per noi’:
  8879  gridar ‘Michele’ e ‘Pietro’ e ‘Tutti santi’.
  8880  
  8881  Non credo che per terra vada ancoi
  8882  omo sì duro, che non fosse punto
  8883  per compassion di quel ch’i’ vidi poi;
  8884  
  8885  ché, quando fui sì presso di lor giunto,
  8886  che li atti loro a me venivan certi,
  8887  per li occhi fui di grave dolor munto.
  8888  
  8889  Di vil ciliccio mi parean coperti,
  8890  e l’un sofferia l’altro con la spalla,
  8891  e tutti da la ripa eran sofferti.
  8892  
  8893  Così li ciechi a cui la roba falla,
  8894  stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna,
  8895  e l’uno il capo sopra l’altro avvalla,
  8896  
  8897  perché ’n altrui pietà tosto si pogna,
  8898  non pur per lo sonar de le parole,
  8899  ma per la vista che non meno agogna.
  8900  
  8901  E come a li orbi non approda il sole,
  8902  così a l’ombre quivi, ond’ io parlo ora,
  8903  luce del ciel di sé largir non vole;
  8904  
  8905  ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra
  8906  e cusce sì, come a sparvier selvaggio
  8907  si fa però che queto non dimora.
  8908  
  8909  A me pareva, andando, fare oltraggio,
  8910  veggendo altrui, non essendo veduto:
  8911  per ch’io mi volsi al mio consiglio saggio.
  8912  
  8913  Ben sapev’ ei che volea dir lo muto;
  8914  e però non attese mia dimanda,
  8915  ma disse: «Parla, e sie breve e arguto».
  8916  
  8917  Virgilio mi venìa da quella banda
  8918  de la cornice onde cader si puote,
  8919  perché da nulla sponda s’inghirlanda;
  8920  
  8921  da l’altra parte m’eran le divote
  8922  ombre, che per l’orribile costura
  8923  premevan sì, che bagnavan le gote.
  8924  
  8925  Volsimi a loro e: «O gente sicura»,
  8926  incominciai, «di veder l’alto lume
  8927  che ’l disio vostro solo ha in sua cura,
  8928  
  8929  se tosto grazia resolva le schiume
  8930  di vostra coscïenza sì che chiaro
  8931  per essa scenda de la mente il fiume,
  8932  
  8933  ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
  8934  s’anima è qui tra voi che sia latina;
  8935  e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo».
  8936  
  8937  «O frate mio, ciascuna è cittadina
  8938  d’una vera città; ma tu vuo’ dire
  8939  che vivesse in Italia peregrina».
  8940  
  8941  Questo mi parve per risposta udire
  8942  più innanzi alquanto che là dov’ io stava,
  8943  ond’ io mi feci ancor più là sentire.
  8944  
  8945  Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava
  8946  in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’,
  8947  lo mento a guisa d’orbo in sù levava.
  8948  
  8949  «Spirto», diss’ io, «che per salir ti dome,
  8950  se tu se’ quelli che mi rispondesti,
  8951  fammiti conto o per luogo o per nome».
  8952  
  8953  «Io fui sanese», rispuose, «e con questi
  8954  altri rimendo qui la vita ria,
  8955  lagrimando a colui che sé ne presti.
  8956  
  8957  Savia non fui, avvegna che Sapìa
  8958  fossi chiamata, e fui de li altrui danni
  8959  più lieta assai che di ventura mia.
  8960  
  8961  E perché tu non creda ch’io t’inganni,
  8962  odi s’i’ fui, com’ io ti dico, folle,
  8963  già discendendo l’arco d’i miei anni.
  8964  
  8965  Eran li cittadin miei presso a Colle
  8966  in campo giunti co’ loro avversari,
  8967  e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.
  8968  
  8969  Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari
  8970  passi di fuga; e veggendo la caccia,
  8971  letizia presi a tutte altre dispari,
  8972  
  8973  tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia,
  8974  gridando a Dio: “Omai più non ti temo!”,
  8975  come fé ’l merlo per poca bonaccia.
  8976  
  8977  Pace volli con Dio in su lo stremo
  8978  de la mia vita; e ancor non sarebbe
  8979  lo mio dover per penitenza scemo,
  8980  
  8981  se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe
  8982  Pier Pettinaio in sue sante orazioni,
  8983  a cui di me per caritate increbbe.
  8984  
  8985  Ma tu chi se’, che nostre condizioni
  8986  vai dimandando, e porti li occhi sciolti,
  8987  sì com’ io credo, e spirando ragioni?».
  8988  
  8989  «Li occhi», diss’ io, «mi fieno ancor qui tolti,
  8990  ma picciol tempo, ché poca è l’offesa
  8991  fatta per esser con invidia vòlti.
  8992  
  8993  Troppa è più la paura ond’ è sospesa
  8994  l’anima mia del tormento di sotto,
  8995  che già lo ’ncarco di là giù mi pesa».
  8996  
  8997  Ed ella a me: «Chi t’ha dunque condotto
  8998  qua sù tra noi, se giù ritornar credi?».
  8999  E io: «Costui ch’è meco e non fa motto.
  9000  
  9001  E vivo sono; e però mi richiedi,
  9002  spirito eletto, se tu vuo’ ch’i’ mova
  9003  di là per te ancor li mortai piedi».
  9004  
  9005  «Oh, questa è a udir sì cosa nuova»,
  9006  rispuose, «che gran segno è che Dio t’ami;
  9007  però col priego tuo talor mi giova.
  9008  
  9009  E cheggioti, per quel che tu più brami,
  9010  se mai calchi la terra di Toscana,
  9011  che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.
  9012  
  9013  Tu li vedrai tra quella gente vana
  9014  che spera in Talamone, e perderagli
  9015  più di speranza ch’a trovar la Diana;
  9016  
  9017  ma più vi perderanno li ammiragli».
  9018  
  9019  
  9020  
  9021  Purgatorio · Canto XIV
  9022  
  9023  
  9024  «Chi è costui che ’l nostro monte cerchia
  9025  prima che morte li abbia dato il volo,
  9026  e apre li occhi a sua voglia e coverchia?».
  9027  
  9028  «Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo;
  9029  domandal tu che più li t’avvicini,
  9030  e dolcemente, sì che parli, acco’lo».
  9031  
  9032  Così due spirti, l’uno a l’altro chini,
  9033  ragionavan di me ivi a man dritta;
  9034  poi fer li visi, per dirmi, supini;
  9035  
  9036  e disse l’uno: «O anima che fitta
  9037  nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai,
  9038  per carità ne consola e ne ditta
  9039  
  9040  onde vieni e chi se’; ché tu ne fai
  9041  tanto maravigliar de la tua grazia,
  9042  quanto vuol cosa che non fu più mai».
  9043  
  9044  E io: «Per mezza Toscana si spazia
  9045  un fiumicel che nasce in Falterona,
  9046  e cento miglia di corso nol sazia.
  9047  
  9048  Di sovr’ esso rech’ io questa persona:
  9049  dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,
  9050  ché ’l nome mio ancor molto non suona».
  9051  
  9052  «Se ben lo ’ntendimento tuo accarno
  9053  con lo ’ntelletto», allora mi rispuose
  9054  quei che diceva pria, «tu parli d’Arno».
  9055  
  9056  E l’altro disse lui: «Perché nascose
  9057  questi il vocabol di quella riviera,
  9058  pur com’ om fa de l’orribili cose?».
  9059  
  9060  E l’ombra che di ciò domandata era,
  9061  si sdebitò così: «Non so; ma degno
  9062  ben è che ’l nome di tal valle pèra;
  9063  
  9064  ché dal principio suo, ov’ è sì pregno
  9065  l’alpestro monte ond’ è tronco Peloro,
  9066  che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno,
  9067  
  9068  infin là ’ve si rende per ristoro
  9069  di quel che ’l ciel de la marina asciuga,
  9070  ond’ hanno i fiumi ciò che va con loro,
  9071  
  9072  vertù così per nimica si fuga
  9073  da tutti come biscia, o per sventura
  9074  del luogo, o per mal uso che li fruga:
  9075  
  9076  ond’ hanno sì mutata lor natura
  9077  li abitator de la misera valle,
  9078  che par che Circe li avesse in pastura.
  9079  
  9080  Tra brutti porci, più degni di galle
  9081  che d’altro cibo fatto in uman uso,
  9082  dirizza prima il suo povero calle.
  9083  
  9084  Botoli trova poi, venendo giuso,
  9085  ringhiosi più che non chiede lor possa,
  9086  e da lor disdegnosa torce il muso.
  9087  
  9088  Vassi caggendo; e quant’ ella più ’ngrossa,
  9089  tanto più trova di can farsi lupi
  9090  la maladetta e sventurata fossa.
  9091  
  9092  Discesa poi per più pelaghi cupi,
  9093  trova le volpi sì piene di froda,
  9094  che non temono ingegno che le occùpi.
  9095  
  9096  Né lascerò di dir perch’ altri m’oda;
  9097  e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta
  9098  di ciò che vero spirto mi disnoda.
  9099  
  9100  Io veggio tuo nepote che diventa
  9101  cacciator di quei lupi in su la riva
  9102  del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
  9103  
  9104  Vende la carne loro essendo viva;
  9105  poscia li ancide come antica belva;
  9106  molti di vita e sé di pregio priva.
  9107  
  9108  Sanguinoso esce de la trista selva;
  9109  lasciala tal, che di qui a mille anni
  9110  ne lo stato primaio non si rinselva».
  9111  
  9112  Com’ a l’annunzio di dogliosi danni
  9113  si turba il viso di colui ch’ascolta,
  9114  da qual che parte il periglio l’assanni,
  9115  
  9116  così vid’ io l’altr’ anima, che volta
  9117  stava a udir, turbarsi e farsi trista,
  9118  poi ch’ebbe la parola a sé raccolta.
  9119  
  9120  Lo dir de l’una e de l’altra la vista
  9121  mi fer voglioso di saper lor nomi,
  9122  e dimanda ne fei con prieghi mista;
  9123  
  9124  per che lo spirto che di pria parlòmi
  9125  ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca
  9126  nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi.
  9127  
  9128  Ma da che Dio in te vuol che traluca
  9129  tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
  9130  però sappi ch’io fui Guido del Duca.
  9131  
  9132  Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso,
  9133  che se veduto avesse uom farsi lieto,
  9134  visto m’avresti di livore sparso.
  9135  
  9136  Di mia semente cotal paglia mieto;
  9137  o gente umana, perché poni ’l core
  9138  là ’v’ è mestier di consorte divieto?
  9139  
  9140  Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore
  9141  de la casa da Calboli, ove nullo
  9142  fatto s’è reda poi del suo valore.
  9143  
  9144  E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
  9145  tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno,
  9146  del ben richesto al vero e al trastullo;
  9147  
  9148  ché dentro a questi termini è ripieno
  9149  di venenosi sterpi, sì che tardi
  9150  per coltivare omai verrebber meno.
  9151  
  9152  Ov’ è ’l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
  9153  Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
  9154  Oh Romagnuoli tornati in bastardi!
  9155  
  9156  Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
  9157  quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
  9158  verga gentil di picciola gramigna?
  9159  
  9160  Non ti maravigliar s’io piango, Tosco,
  9161  quando rimembro, con Guido da Prata,
  9162  Ugolin d’Azzo che vivette nosco,
  9163  
  9164  Federigo Tignoso e sua brigata,
  9165  la casa Traversara e li Anastagi
  9166  (e l’una gente e l’altra è diretata),
  9167  
  9168  le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi
  9169  che ne ’nvogliava amore e cortesia
  9170  là dove i cuor son fatti sì malvagi.
  9171  
  9172  O Bretinoro, ché non fuggi via,
  9173  poi che gita se n’è la tua famiglia
  9174  e molta gente per non esser ria?
  9175  
  9176  Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
  9177  e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
  9178  che di figliar tai conti più s’impiglia.
  9179  
  9180  Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio
  9181  lor sen girà; ma non però che puro
  9182  già mai rimagna d’essi testimonio.
  9183  
  9184  O Ugolin de’ Fantolin, sicuro
  9185  è ’l nome tuo, da che più non s’aspetta
  9186  chi far lo possa, tralignando, scuro.
  9187  
  9188  Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta
  9189  troppo di pianger più che di parlare,
  9190  sì m’ha nostra ragion la mente stretta».
  9191  
  9192  Noi sapavam che quell’ anime care
  9193  ci sentivano andar; però, tacendo,
  9194  facëan noi del cammin confidare.
  9195  
  9196  Poi fummo fatti soli procedendo,
  9197  folgore parve quando l’aere fende,
  9198  voce che giunse di contra dicendo:
  9199  
  9200  ‘Anciderammi qualunque m’apprende’;
  9201  e fuggì come tuon che si dilegua,
  9202  se sùbito la nuvola scoscende.
  9203  
  9204  Come da lei l’udir nostro ebbe triegua,
  9205  ed ecco l’altra con sì gran fracasso,
  9206  che somigliò tonar che tosto segua:
  9207  
  9208  «Io sono Aglauro che divenni sasso»;
  9209  e allor, per ristrignermi al poeta,
  9210  in destro feci, e non innanzi, il passo.
  9211  
  9212  Già era l’aura d’ogne parte queta;
  9213  ed el mi disse: «Quel fu ’l duro camo
  9214  che dovria l’uom tener dentro a sua meta.
  9215  
  9216  Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo
  9217  de l’antico avversaro a sé vi tira;
  9218  e però poco val freno o richiamo.
  9219  
  9220  Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira,
  9221  mostrandovi le sue bellezze etterne,
  9222  e l’occhio vostro pur a terra mira;
  9223  
  9224  onde vi batte chi tutto discerne».
  9225  
  9226  
  9227  
  9228  Purgatorio · Canto XV
  9229  
  9230  
  9231  Quanto tra l’ultimar de l’ora terza
  9232  e ’l principio del dì par de la spera
  9233  che sempre a guisa di fanciullo scherza,
  9234  
  9235  tanto pareva già inver’ la sera
  9236  essere al sol del suo corso rimaso;
  9237  vespero là, e qui mezza notte era.
  9238  
  9239  E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso,
  9240  perché per noi girato era sì ’l monte,
  9241  che già dritti andavamo inver’ l’occaso,
  9242  
  9243  quand’ io senti’ a me gravar la fronte
  9244  a lo splendore assai più che di prima,
  9245  e stupor m’eran le cose non conte;
  9246  
  9247  ond’ io levai le mani inver’ la cima
  9248  de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio,
  9249  che del soverchio visibile lima.
  9250  
  9251  Come quando da l’acqua o da lo specchio
  9252  salta lo raggio a l’opposita parte,
  9253  salendo su per lo modo parecchio
  9254  
  9255  a quel che scende, e tanto si diparte
  9256  dal cader de la pietra in igual tratta,
  9257  sì come mostra esperïenza e arte;
  9258  
  9259  così mi parve da luce rifratta
  9260  quivi dinanzi a me esser percosso;
  9261  per che a fuggir la mia vista fu ratta.
  9262  
  9263  «Che è quel, dolce padre, a che non posso
  9264  schermar lo viso tanto che mi vaglia»,
  9265  diss’ io, «e pare inver’ noi esser mosso?».
  9266  
  9267  «Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia
  9268  la famiglia del cielo», a me rispuose:
  9269  «messo è che viene ad invitar ch’om saglia.
  9270  
  9271  Tosto sarà ch’a veder queste cose
  9272  non ti fia grave, ma fieti diletto
  9273  quanto natura a sentir ti dispuose».
  9274  
  9275  Poi giunti fummo a l’angel benedetto,
  9276  con lieta voce disse: «Intrate quinci
  9277  ad un scaleo vie men che li altri eretto».
  9278  
  9279  Noi montavam, già partiti di linci,
  9280  e ‘Beati misericordes!’ fue
  9281  cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’.
  9282  
  9283  Lo mio maestro e io soli amendue
  9284  suso andavamo; e io pensai, andando,
  9285  prode acquistar ne le parole sue;
  9286  
  9287  e dirizza’mi a lui sì dimandando:
  9288  «Che volse dir lo spirto di Romagna,
  9289  e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?».
  9290  
  9291  Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna
  9292  conosce il danno; e però non s’ammiri
  9293  se ne riprende perché men si piagna.
  9294  
  9295  Perché s’appuntano i vostri disiri
  9296  dove per compagnia parte si scema,
  9297  invidia move il mantaco a’ sospiri.
  9298  
  9299  Ma se l’amor de la spera supprema
  9300  torcesse in suso il disiderio vostro,
  9301  non vi sarebbe al petto quella tema;
  9302  
  9303  ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’,
  9304  tanto possiede più di ben ciascuno,
  9305  e più di caritate arde in quel chiostro».
  9306  
  9307  «Io son d’esser contento più digiuno»,
  9308  diss’ io, «che se mi fosse pria taciuto,
  9309  e più di dubbio ne la mente aduno.
  9310  
  9311  Com’ esser puote ch’un ben, distributo
  9312  in più posseditor, faccia più ricchi
  9313  di sé che se da pochi è posseduto?».
  9314  
  9315  Ed elli a me: «Però che tu rificchi
  9316  la mente pur a le cose terrene,
  9317  di vera luce tenebre dispicchi.
  9318  
  9319  Quello infinito e ineffabil bene
  9320  che là sù è, così corre ad amore
  9321  com’ a lucido corpo raggio vene.
  9322  
  9323  Tanto si dà quanto trova d’ardore;
  9324  sì che, quantunque carità si stende,
  9325  cresce sovr’ essa l’etterno valore.
  9326  
  9327  E quanta gente più là sù s’intende,
  9328  più v’è da bene amare, e più vi s’ama,
  9329  e come specchio l’uno a l’altro rende.
  9330  
  9331  E se la mia ragion non ti disfama,
  9332  vedrai Beatrice, ed ella pienamente
  9333  ti torrà questa e ciascun’ altra brama.
  9334  
  9335  Procaccia pur che tosto sieno spente,
  9336  come son già le due, le cinque piaghe,
  9337  che si richiudon per esser dolente».
  9338  
  9339  Com’ io voleva dicer ‘Tu m’appaghe’,
  9340  vidimi giunto in su l’altro girone,
  9341  sì che tacer mi fer le luci vaghe.
  9342  
  9343  Ivi mi parve in una visïone
  9344  estatica di sùbito esser tratto,
  9345  e vedere in un tempio più persone;
  9346  
  9347  e una donna, in su l’entrar, con atto
  9348  dolce di madre dicer: «Figliuol mio,
  9349  perché hai tu così verso noi fatto?
  9350  
  9351  Ecco, dolenti, lo tuo padre e io
  9352  ti cercavamo». E come qui si tacque,
  9353  ciò che pareva prima, dispario.
  9354  
  9355  Indi m’apparve un’altra con quell’ acque
  9356  giù per le gote che ’l dolor distilla
  9357  quando di gran dispetto in altrui nacque,
  9358  
  9359  e dir: «Se tu se’ sire de la villa
  9360  del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,
  9361  e onde ogne scïenza disfavilla,
  9362  
  9363  vendica te di quelle braccia ardite
  9364  ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto».
  9365  E ’l segnor mi parea, benigno e mite,
  9366  
  9367  risponder lei con viso temperato:
  9368  «Che farem noi a chi mal ne disira,
  9369  se quei che ci ama è per noi condannato?»,
  9370  
  9371  Poi vidi genti accese in foco d’ira
  9372  con pietre un giovinetto ancider, forte
  9373  gridando a sé pur: «Martira, martira!».
  9374  
  9375  E lui vedea chinarsi, per la morte
  9376  che l’aggravava già, inver’ la terra,
  9377  ma de li occhi facea sempre al ciel porte,
  9378  
  9379  orando a l’alto Sire, in tanta guerra,
  9380  che perdonasse a’ suoi persecutori,
  9381  con quello aspetto che pietà diserra.
  9382  
  9383  Quando l’anima mia tornò di fori
  9384  a le cose che son fuor di lei vere,
  9385  io riconobbi i miei non falsi errori.
  9386  
  9387  Lo duca mio, che mi potea vedere
  9388  far sì com’ om che dal sonno si slega,
  9389  disse: «Che hai che non ti puoi tenere,
  9390  
  9391  ma se’ venuto più che mezza lega
  9392  velando li occhi e con le gambe avvolte,
  9393  a guisa di cui vino o sonno piega?».
  9394  
  9395  «O dolce padre mio, se tu m’ascolte,
  9396  io ti dirò», diss’ io, «ciò che m’apparve
  9397  quando le gambe mi furon sì tolte».
  9398  
  9399  Ed ei: «Se tu avessi cento larve
  9400  sovra la faccia, non mi sarian chiuse
  9401  le tue cogitazion, quantunque parve.
  9402  
  9403  Ciò che vedesti fu perché non scuse
  9404  d’aprir lo core a l’acque de la pace
  9405  che da l’etterno fonte son diffuse.
  9406  
  9407  Non dimandai “Che hai?” per quel che face
  9408  chi guarda pur con l’occhio che non vede,
  9409  quando disanimato il corpo giace;
  9410  
  9411  ma dimandai per darti forza al piede:
  9412  così frugar conviensi i pigri, lenti
  9413  ad usar lor vigilia quando riede».
  9414  
  9415  Noi andavam per lo vespero, attenti
  9416  oltre quanto potean li occhi allungarsi
  9417  contra i raggi serotini e lucenti.
  9418  
  9419  Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
  9420  verso di noi come la notte oscuro;
  9421  né da quello era loco da cansarsi.
  9422  
  9423  Questo ne tolse li occhi e l’aere puro.
  9424  
  9425  
  9426  
  9427  Purgatorio · Canto XVI
  9428  
  9429  
  9430  Buio d’inferno e di notte privata
  9431  d’ogne pianeto, sotto pover cielo,
  9432  quant’ esser può di nuvol tenebrata,
  9433  
  9434  non fece al viso mio sì grosso velo
  9435  come quel fummo ch’ivi ci coperse,
  9436  né a sentir di così aspro pelo,
  9437  
  9438  che l’occhio stare aperto non sofferse;
  9439  onde la scorta mia saputa e fida
  9440  mi s’accostò e l’omero m’offerse.
  9441  
  9442  Sì come cieco va dietro a sua guida
  9443  per non smarrirsi e per non dar di cozzo
  9444  in cosa che ’l molesti, o forse ancida,
  9445  
  9446  m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
  9447  ascoltando il mio duca che diceva
  9448  pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».
  9449  
  9450  Io sentia voci, e ciascuna pareva
  9451  pregar per pace e per misericordia
  9452  l’Agnel di Dio che le peccata leva.
  9453  
  9454  Pur ‘Agnus Dei’ eran le loro essordia;
  9455  una parola in tutte era e un modo,
  9456  sì che parea tra esse ogne concordia.
  9457  
  9458  «Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?»,
  9459  diss’ io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi,
  9460  e d’iracundia van solvendo il nodo».
  9461  
  9462  «Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi,
  9463  e di noi parli pur come se tue
  9464  partissi ancor lo tempo per calendi?».
  9465  
  9466  Così per una voce detto fue;
  9467  onde ’l maestro mio disse: «Rispondi,
  9468  e domanda se quinci si va sùe».
  9469  
  9470  E io: «O creatura che ti mondi
  9471  per tornar bella a colui che ti fece,
  9472  maraviglia udirai, se mi secondi».
  9473  
  9474  «Io ti seguiterò quanto mi lece»,
  9475  rispuose; «e se veder fummo non lascia,
  9476  l’udir ci terrà giunti in quella vece».
  9477  
  9478  Allora incominciai: «Con quella fascia
  9479  che la morte dissolve men vo suso,
  9480  e venni qui per l’infernale ambascia.
  9481  
  9482  E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso,
  9483  tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
  9484  per modo tutto fuor del moderno uso,
  9485  
  9486  non mi celar chi fosti anzi la morte,
  9487  ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
  9488  e tue parole fier le nostre scorte».
  9489  
  9490  «Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco;
  9491  del mondo seppi, e quel valore amai
  9492  al quale ha or ciascun disteso l’arco.
  9493  
  9494  Per montar sù dirittamente vai».
  9495  Così rispuose, e soggiunse: «I’ ti prego
  9496  che per me prieghi quando sù sarai».
  9497  
  9498  E io a lui: «Per fede mi ti lego
  9499  di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
  9500  dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego.
  9501  
  9502  Prima era scempio, e ora è fatto doppio
  9503  ne la sentenza tua, che mi fa certo
  9504  qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio.
  9505  
  9506  Lo mondo è ben così tutto diserto
  9507  d’ogne virtute, come tu mi sone,
  9508  e di malizia gravido e coverto;
  9509  
  9510  ma priego che m’addite la cagione,
  9511  sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
  9512  ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».
  9513  
  9514  Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
  9515  mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
  9516  lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
  9517  
  9518  Voi che vivete ogne cagion recate
  9519  pur suso al cielo, pur come se tutto
  9520  movesse seco di necessitate.
  9521  
  9522  Se così fosse, in voi fora distrutto
  9523  libero arbitrio, e non fora giustizia
  9524  per ben letizia, e per male aver lutto.
  9525  
  9526  Lo cielo i vostri movimenti inizia;
  9527  non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica,
  9528  lume v’è dato a bene e a malizia,
  9529  
  9530  e libero voler; che, se fatica
  9531  ne le prime battaglie col ciel dura,
  9532  poi vince tutto, se ben si notrica.
  9533  
  9534  A maggior forza e a miglior natura
  9535  liberi soggiacete; e quella cria
  9536  la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura.
  9537  
  9538  Però, se ’l mondo presente disvia,
  9539  in voi è la cagione, in voi si cheggia;
  9540  e io te ne sarò or vera spia.
  9541  
  9542  Esce di mano a lui che la vagheggia
  9543  prima che sia, a guisa di fanciulla
  9544  che piangendo e ridendo pargoleggia,
  9545  
  9546  l’anima semplicetta che sa nulla,
  9547  salvo che, mossa da lieto fattore,
  9548  volontier torna a ciò che la trastulla.
  9549  
  9550  Di picciol bene in pria sente sapore;
  9551  quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
  9552  se guida o fren non torce suo amore.
  9553  
  9554  Onde convenne legge per fren porre;
  9555  convenne rege aver, che discernesse
  9556  de la vera cittade almen la torre.
  9557  
  9558  Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
  9559  Nullo, però che ’l pastor che procede,
  9560  rugumar può, ma non ha l’unghie fesse;
  9561  
  9562  per che la gente, che sua guida vede
  9563  pur a quel ben fedire ond’ ella è ghiotta,
  9564  di quel si pasce, e più oltre non chiede.
  9565  
  9566  Ben puoi veder che la mala condotta
  9567  è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
  9568  e non natura che ’n voi sia corrotta.
  9569  
  9570  Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,
  9571  due soli aver, che l’una e l’altra strada
  9572  facean vedere, e del mondo e di Deo.
  9573  
  9574  L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
  9575  col pasturale, e l’un con l’altro insieme
  9576  per viva forza mal convien che vada;
  9577  
  9578  però che, giunti, l’un l’altro non teme:
  9579  se non mi credi, pon mente a la spiga,
  9580  ch’ogn’ erba si conosce per lo seme.
  9581  
  9582  In sul paese ch’Adice e Po riga,
  9583  solea valore e cortesia trovarsi,
  9584  prima che Federigo avesse briga;
  9585  
  9586  or può sicuramente indi passarsi
  9587  per qualunque lasciasse, per vergogna
  9588  di ragionar coi buoni o d’appressarsi.
  9589  
  9590  Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna
  9591  l’antica età la nova, e par lor tardo
  9592  che Dio a miglior vita li ripogna:
  9593  
  9594  Currado da Palazzo e ’l buon Gherardo
  9595  e Guido da Castel, che mei si noma,
  9596  francescamente, il semplice Lombardo.
  9597  
  9598  Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
  9599  per confondere in sé due reggimenti,
  9600  cade nel fango, e sé brutta e la soma».
  9601  
  9602  «O Marco mio», diss’ io, «bene argomenti;
  9603  e or discerno perché dal retaggio
  9604  li figli di Levì furono essenti.
  9605  
  9606  Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
  9607  di’ ch’è rimaso de la gente spenta,
  9608  in rimprovèro del secol selvaggio?».
  9609  
  9610  «O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta»,
  9611  rispuose a me; «ché, parlandomi tosco,
  9612  par che del buon Gherardo nulla senta.
  9613  
  9614  Per altro sopranome io nol conosco,
  9615  s’io nol togliessi da sua figlia Gaia.
  9616  Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.
  9617  
  9618  Vedi l’albor che per lo fummo raia
  9619  già biancheggiare, e me convien partirmi
  9620  (l’angelo è ivi) prima ch’io li paia».
  9621  
  9622  Così tornò, e più non volle udirmi.
  9623  
  9624  
  9625  
  9626  Purgatorio · Canto XVII
  9627  
  9628  
  9629  Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe
  9630  ti colse nebbia per la qual vedessi
  9631  non altrimenti che per pelle talpe,
  9632  
  9633  come, quando i vapori umidi e spessi
  9634  a diradar cominciansi, la spera
  9635  del sol debilemente entra per essi;
  9636  
  9637  e fia la tua imagine leggera
  9638  in giugnere a veder com’ io rividi
  9639  lo sole in pria, che già nel corcar era.
  9640  
  9641  Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi
  9642  del mio maestro, usci’ fuor di tal nube
  9643  ai raggi morti già ne’ bassi lidi.
  9644  
  9645  O imaginativa che ne rube
  9646  talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge
  9647  perché dintorno suonin mille tube,
  9648  
  9649  chi move te, se ’l senso non ti porge?
  9650  Moveti lume che nel ciel s’informa,
  9651  per sé o per voler che giù lo scorge.
  9652  
  9653  De l’empiezza di lei che mutò forma
  9654  ne l’uccel ch’a cantar più si diletta,
  9655  ne l’imagine mia apparve l’orma;
  9656  
  9657  e qui fu la mia mente sì ristretta
  9658  dentro da sé, che di fuor non venìa
  9659  cosa che fosse allor da lei ricetta.
  9660  
  9661  Poi piovve dentro a l’alta fantasia
  9662  un crucifisso, dispettoso e fero
  9663  ne la sua vista, e cotal si moria;
  9664  
  9665  intorno ad esso era il grande Assüero,
  9666  Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo,
  9667  che fu al dire e al far così intero.
  9668  
  9669  E come questa imagine rompeo
  9670  sé per sé stessa, a guisa d’una bulla
  9671  cui manca l’acqua sotto qual si feo,
  9672  
  9673  surse in mia visïone una fanciulla
  9674  piangendo forte, e dicea: «O regina,
  9675  perché per ira hai voluto esser nulla?
  9676  
  9677  Ancisa t’hai per non perder Lavina;
  9678  or m’hai perduta! Io son essa che lutto,
  9679  madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina».
  9680  
  9681  Come si frange il sonno ove di butto
  9682  nova luce percuote il viso chiuso,
  9683  che fratto guizza pria che muoia tutto;
  9684  
  9685  così l’imaginar mio cadde giuso
  9686  tosto che lume il volto mi percosse,
  9687  maggior assai che quel ch’è in nostro uso.
  9688  
  9689  I’ mi volgea per veder ov’ io fosse,
  9690  quando una voce disse «Qui si monta»,
  9691  che da ogne altro intento mi rimosse;
  9692  
  9693  e fece la mia voglia tanto pronta
  9694  di riguardar chi era che parlava,
  9695  che mai non posa, se non si raffronta.
  9696  
  9697  Ma come al sol che nostra vista grava
  9698  e per soverchio sua figura vela,
  9699  così la mia virtù quivi mancava.
  9700  
  9701  «Questo è divino spirito, che ne la
  9702  via da ir sù ne drizza sanza prego,
  9703  e col suo lume sé medesmo cela.
  9704  
  9705  Sì fa con noi, come l’uom si fa sego;
  9706  ché quale aspetta prego e l’uopo vede,
  9707  malignamente già si mette al nego.
  9708  
  9709  Or accordiamo a tanto invito il piede;
  9710  procacciam di salir pria che s’abbui,
  9711  ché poi non si poria, se ’l dì non riede».
  9712  
  9713  Così disse il mio duca, e io con lui
  9714  volgemmo i nostri passi ad una scala;
  9715  e tosto ch’io al primo grado fui,
  9716  
  9717  senti’mi presso quasi un muover d’ala
  9718  e ventarmi nel viso e dir: ‘Beati
  9719  pacifici, che son sanz’ ira mala!’.
  9720  
  9721  Già eran sovra noi tanto levati
  9722  li ultimi raggi che la notte segue,
  9723  che le stelle apparivan da più lati.
  9724  
  9725  ‘O virtù mia, perché sì ti dilegue?’,
  9726  fra me stesso dicea, ché mi sentiva
  9727  la possa de le gambe posta in triegue.
  9728  
  9729  Noi eravam dove più non saliva
  9730  la scala sù, ed eravamo affissi,
  9731  pur come nave ch’a la piaggia arriva.
  9732  
  9733  E io attesi un poco, s’io udissi
  9734  alcuna cosa nel novo girone;
  9735  poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
  9736  
  9737  «Dolce mio padre, dì, quale offensione
  9738  si purga qui nel giro dove semo?
  9739  Se i piè si stanno, non stea tuo sermone».
  9740  
  9741  Ed elli a me: «L’amor del bene, scemo
  9742  del suo dover, quiritta si ristora;
  9743  qui si ribatte il mal tardato remo.
  9744  
  9745  Ma perché più aperto intendi ancora,
  9746  volgi la mente a me, e prenderai
  9747  alcun buon frutto di nostra dimora».
  9748  
  9749  «Né creator né creatura mai»,
  9750  cominciò el, «figliuol, fu sanza amore,
  9751  o naturale o d’animo; e tu ’l sai.
  9752  
  9753  Lo naturale è sempre sanza errore,
  9754  ma l’altro puote errar per malo obietto
  9755  o per troppo o per poco di vigore.
  9756  
  9757  Mentre ch’elli è nel primo ben diretto,
  9758  e ne’ secondi sé stesso misura,
  9759  esser non può cagion di mal diletto;
  9760  
  9761  ma quando al mal si torce, o con più cura
  9762  o con men che non dee corre nel bene,
  9763  contra ’l fattore adovra sua fattura.
  9764  
  9765  Quinci comprender puoi ch’esser convene
  9766  amor sementa in voi d’ogne virtute
  9767  e d’ogne operazion che merta pene.
  9768  
  9769  Or, perché mai non può da la salute
  9770  amor del suo subietto volger viso,
  9771  da l’odio proprio son le cose tute;
  9772  
  9773  e perché intender non si può diviso,
  9774  e per sé stante, alcuno esser dal primo,
  9775  da quello odiare ogne effetto è deciso.
  9776  
  9777  Resta, se dividendo bene stimo,
  9778  che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso
  9779  amor nasce in tre modi in vostro limo.
  9780  
  9781  È chi, per esser suo vicin soppresso,
  9782  spera eccellenza, e sol per questo brama
  9783  ch’el sia di sua grandezza in basso messo;
  9784  
  9785  è chi podere, grazia, onore e fama
  9786  teme di perder perch’ altri sormonti,
  9787  onde s’attrista sì che ’l contrario ama;
  9788  
  9789  ed è chi per ingiuria par ch’aonti,
  9790  sì che si fa de la vendetta ghiotto,
  9791  e tal convien che ’l male altrui impronti.
  9792  
  9793  Questo triforme amor qua giù di sotto
  9794  si piange: or vo’ che tu de l’altro intende,
  9795  che corre al ben con ordine corrotto.
  9796  
  9797  Ciascun confusamente un bene apprende
  9798  nel qual si queti l’animo, e disira;
  9799  per che di giugner lui ciascun contende.
  9800  
  9801  Se lento amore a lui veder vi tira
  9802  o a lui acquistar, questa cornice,
  9803  dopo giusto penter, ve ne martira.
  9804  
  9805  Altro ben è che non fa l’uom felice;
  9806  non è felicità, non è la buona
  9807  essenza, d’ogne ben frutto e radice.
  9808  
  9809  L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,
  9810  di sovr’ a noi si piange per tre cerchi;
  9811  ma come tripartito si ragiona,
  9812  
  9813  tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi».
  9814  
  9815  
  9816  
  9817  Purgatorio · Canto XVIII
  9818  
  9819  
  9820  Posto avea fine al suo ragionamento
  9821  l’alto dottore, e attento guardava
  9822  ne la mia vista s’io parea contento;
  9823  
  9824  e io, cui nova sete ancor frugava,
  9825  di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse
  9826  lo troppo dimandar ch’io fo li grava’.
  9827  
  9828  Ma quel padre verace, che s’accorse
  9829  del timido voler che non s’apriva,
  9830  parlando, di parlare ardir mi porse.
  9831  
  9832  Ond’ io: «Maestro, il mio veder s’avviva
  9833  sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro
  9834  quanto la tua ragion parta o descriva.
  9835  
  9836  Però ti prego, dolce padre caro,
  9837  che mi dimostri amore, a cui reduci
  9838  ogne buono operare e ’l suo contraro».
  9839  
  9840  «Drizza», disse, «ver’ me l’agute luci
  9841  de lo ’ntelletto, e fieti manifesto
  9842  l’error de’ ciechi che si fanno duci.
  9843  
  9844  L’animo, ch’è creato ad amar presto,
  9845  ad ogne cosa è mobile che piace,
  9846  tosto che dal piacere in atto è desto.
  9847  
  9848  Vostra apprensiva da esser verace
  9849  tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
  9850  sì che l’animo ad essa volger face;
  9851  
  9852  e se, rivolto, inver’ di lei si piega,
  9853  quel piegare è amor, quell’ è natura
  9854  che per piacer di novo in voi si lega.
  9855  
  9856  Poi, come ’l foco movesi in altura
  9857  per la sua forma ch’è nata a salire
  9858  là dove più in sua matera dura,
  9859  
  9860  così l’animo preso entra in disire,
  9861  ch’è moto spiritale, e mai non posa
  9862  fin che la cosa amata il fa gioire.
  9863  
  9864  Or ti puote apparer quant’ è nascosa
  9865  la veritate a la gente ch’avvera
  9866  ciascun amore in sé laudabil cosa;
  9867  
  9868  però che forse appar la sua matera
  9869  sempre esser buona, ma non ciascun segno
  9870  è buono, ancor che buona sia la cera».
  9871  
  9872  «Le tue parole e ’l mio seguace ingegno»,
  9873  rispuos’ io lui, «m’hanno amor discoverto,
  9874  ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno;
  9875  
  9876  ché, s’amore è di fuori a noi offerto
  9877  e l’anima non va con altro piede,
  9878  se dritta o torta va, non è suo merto».
  9879  
  9880  Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede,
  9881  dir ti poss’ io; da indi in là t’aspetta
  9882  pur a Beatrice, ch’è opra di fede.
  9883  
  9884  Ogne forma sustanzïal, che setta
  9885  è da matera ed è con lei unita,
  9886  specifica vertute ha in sé colletta,
  9887  
  9888  la qual sanza operar non è sentita,
  9889  né si dimostra mai che per effetto,
  9890  come per verdi fronde in pianta vita.
  9891  
  9892  Però, là onde vegna lo ’ntelletto
  9893  de le prime notizie, omo non sape,
  9894  e de’ primi appetibili l’affetto,
  9895  
  9896  che sono in voi sì come studio in ape
  9897  di far lo mele; e questa prima voglia
  9898  merto di lode o di biasmo non cape.
  9899  
  9900  Or perché a questa ogn’ altra si raccoglia,
  9901  innata v’è la virtù che consiglia,
  9902  e de l’assenso de’ tener la soglia.
  9903  
  9904  Quest’ è ’l principio là onde si piglia
  9905  ragion di meritare in voi, secondo
  9906  che buoni e rei amori accoglie e viglia.
  9907  
  9908  Color che ragionando andaro al fondo,
  9909  s’accorser d’esta innata libertate;
  9910  però moralità lasciaro al mondo.
  9911  
  9912  Onde, poniam che di necessitate
  9913  surga ogne amor che dentro a voi s’accende,
  9914  di ritenerlo è in voi la podestate.
  9915  
  9916  La nobile virtù Beatrice intende
  9917  per lo libero arbitrio, e però guarda
  9918  che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende».
  9919  
  9920  La luna, quasi a mezza notte tarda,
  9921  facea le stelle a noi parer più rade,
  9922  fatta com’ un secchion che tuttor arda;
  9923  
  9924  e correa contro ’l ciel per quelle strade
  9925  che ’l sole infiamma allor che quel da Roma
  9926  tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade.
  9927  
  9928  E quell’ ombra gentil per cui si noma
  9929  Pietola più che villa mantoana,
  9930  del mio carcar diposta avea la soma;
  9931  
  9932  per ch’io, che la ragione aperta e piana
  9933  sovra le mie quistioni avea ricolta,
  9934  stava com’ om che sonnolento vana.
  9935  
  9936  Ma questa sonnolenza mi fu tolta
  9937  subitamente da gente che dopo
  9938  le nostre spalle a noi era già volta.
  9939  
  9940  E quale Ismeno già vide e Asopo
  9941  lungo di sè di notte furia e calca,
  9942  pur che i Teban di Bacco avesser uopo,
  9943  
  9944  cotal per quel giron suo passo falca,
  9945  per quel ch’io vidi di color, venendo,
  9946  cui buon volere e giusto amor cavalca.
  9947  
  9948  Tosto fur sovr’ a noi, perché correndo
  9949  si movea tutta quella turba magna;
  9950  e due dinanzi gridavan piangendo:
  9951  
  9952  «Maria corse con fretta a la montagna;
  9953  e Cesare, per soggiogare Ilerda,
  9954  punse Marsilia e poi corse in Ispagna».
  9955  
  9956  «Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda
  9957  per poco amor», gridavan li altri appresso,
  9958  «che studio di ben far grazia rinverda».
  9959  
  9960  «O gente in cui fervore aguto adesso
  9961  ricompie forse negligenza e indugio
  9962  da voi per tepidezza in ben far messo,
  9963  
  9964  questi che vive, e certo i’ non vi bugio,
  9965  vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca;
  9966  però ne dite ond’ è presso il pertugio».
  9967  
  9968  Parole furon queste del mio duca;
  9969  e un di quelli spirti disse: «Vieni
  9970  di retro a noi, e troverai la buca.
  9971  
  9972  Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,
  9973  che restar non potem; però perdona,
  9974  se villania nostra giustizia tieni.
  9975  
  9976  Io fui abate in San Zeno a Verona
  9977  sotto lo ’mperio del buon Barbarossa,
  9978  di cui dolente ancor Milan ragiona.
  9979  
  9980  E tale ha già l’un piè dentro la fossa,
  9981  che tosto piangerà quel monastero,
  9982  e tristo fia d’avere avuta possa;
  9983  
  9984  perché suo figlio, mal del corpo intero,
  9985  e de la mente peggio, e che mal nacque,
  9986  ha posto in loco di suo pastor vero».
  9987  
  9988  Io non so se più disse o s’ei si tacque,
  9989  tant’ era già di là da noi trascorso;
  9990  ma questo intesi, e ritener mi piacque.
  9991  
  9992  E quei che m’era ad ogne uopo soccorso
  9993  disse: «Volgiti qua: vedine due
  9994  venir dando a l’accidïa di morso».
  9995  
  9996  Di retro a tutti dicean: «Prima fue
  9997  morta la gente a cui il mar s’aperse,
  9998  che vedesse Iordan le rede sue.
  9999  
 10000  E quella che l’affanno non sofferse
 10001  fino a la fine col figlio d’Anchise,
 10002  sé stessa a vita sanza gloria offerse».
 10003  
 10004  Poi quando fuor da noi tanto divise
 10005  quell’ ombre, che veder più non potiersi,
 10006  novo pensiero dentro a me si mise,
 10007  
 10008  del qual più altri nacquero e diversi;
 10009  e tanto d’uno in altro vaneggiai,
 10010  che li occhi per vaghezza ricopersi,
 10011  
 10012  e ’l pensamento in sogno trasmutai.
 10013  
 10014  
 10015  
 10016  Purgatorio · Canto XIX
 10017  
 10018  
 10019  Ne l’ora che non può ’l calor dïurno
 10020  intepidar più ’l freddo de la luna,
 10021  vinto da terra, e talor da Saturno
 10022  
 10023  —quando i geomanti lor Maggior Fortuna
 10024  veggiono in orïente, innanzi a l’alba,
 10025  surger per via che poco le sta bruna—,
 10026  
 10027  mi venne in sogno una femmina balba,
 10028  ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
 10029  con le man monche, e di colore scialba.
 10030  
 10031  Io la mirava; e come ’l sol conforta
 10032  le fredde membra che la notte aggrava,
 10033  così lo sguardo mio le facea scorta
 10034  
 10035  la lingua, e poscia tutta la drizzava
 10036  in poco d’ora, e lo smarrito volto,
 10037  com’ amor vuol, così le colorava.
 10038  
 10039  Poi ch’ell’ avea ’l parlar così disciolto,
 10040  cominciava a cantar sì, che con pena
 10041  da lei avrei mio intento rivolto.
 10042  
 10043  «Io son», cantava, «io son dolce serena,
 10044  che ’ marinari in mezzo mar dismago;
 10045  tanto son di piacere a sentir piena!
 10046  
 10047  Io volsi Ulisse del suo cammin vago
 10048  al canto mio; e qual meco s’ausa,
 10049  rado sen parte; sì tutto l’appago!».
 10050  
 10051  Ancor non era sua bocca richiusa,
 10052  quand’ una donna apparve santa e presta
 10053  lunghesso me per far colei confusa.
 10054  
 10055  «O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,
 10056  fieramente dicea; ed el venìa
 10057  con li occhi fitti pur in quella onesta.
 10058  
 10059  L’altra prendea, e dinanzi l’apria
 10060  fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre;
 10061  quel mi svegliò col puzzo che n’uscia.
 10062  
 10063  Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: «Almen tre
 10064  voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
 10065  troviam l’aperta per la qual tu entre».
 10066  
 10067  Sù mi levai, e tutti eran già pieni
 10068  de l’alto dì i giron del sacro monte,
 10069  e andavam col sol novo a le reni.
 10070  
 10071  Seguendo lui, portava la mia fronte
 10072  come colui che l’ha di pensier carca,
 10073  che fa di sé un mezzo arco di ponte;
 10074  
 10075  quand’ io udi’ «Venite; qui si varca»
 10076  parlare in modo soave e benigno,
 10077  qual non si sente in questa mortal marca.
 10078  
 10079  Con l’ali aperte, che parean di cigno,
 10080  volseci in sù colui che sì parlonne
 10081  tra due pareti del duro macigno.
 10082  
 10083  Mosse le penne poi e ventilonne,
 10084  ‘Qui lugent’ affermando esser beati,
 10085  ch’avran di consolar l’anime donne.
 10086  
 10087  «Che hai che pur inver’ la terra guati?»,
 10088  la guida mia incominciò a dirmi,
 10089  poco amendue da l’angel sormontati.
 10090  
 10091  E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
 10092  novella visïon ch’a sé mi piega,
 10093  sì ch’io non posso dal pensar partirmi».
 10094  
 10095  «Vedesti», disse, «quell’antica strega
 10096  che sola sovr’ a noi omai si piagne;
 10097  vedesti come l’uom da lei si slega.
 10098  
 10099  Bastiti, e batti a terra le calcagne;
 10100  li occhi rivolgi al logoro che gira
 10101  lo rege etterno con le rote magne».
 10102  
 10103  Quale ’l falcon, che prima a’ pié si mira,
 10104  indi si volge al grido e si protende
 10105  per lo disio del pasto che là il tira,
 10106  
 10107  tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende
 10108  la roccia per dar via a chi va suso,
 10109  n’andai infin dove ’l cerchiar si prende.
 10110  
 10111  Com’ io nel quinto giro fui dischiuso,
 10112  vidi gente per esso che piangea,
 10113  giacendo a terra tutta volta in giuso.
 10114  
 10115  ‘Adhaesit pavimento anima mea’
 10116  sentia dir lor con sì alti sospiri,
 10117  che la parola a pena s’intendea.
 10118  
 10119  «O eletti di Dio, li cui soffriri
 10120  e giustizia e speranza fa men duri,
 10121  drizzate noi verso li alti saliri».
 10122  
 10123  «Se voi venite dal giacer sicuri,
 10124  e volete trovar la via più tosto,
 10125  le vostre destre sien sempre di fori».
 10126  
 10127  Così pregò ’l poeta, e sì risposto
 10128  poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io
 10129  nel parlare avvisai l’altro nascosto,
 10130  
 10131  e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
 10132  ond’ elli m’assentì con lieto cenno
 10133  ciò che chiedea la vista del disio.
 10134  
 10135  Poi ch’io potei di me fare a mio senno,
 10136  trassimi sovra quella creatura
 10137  le cui parole pria notar mi fenno,
 10138  
 10139  dicendo: «Spirto in cui pianger matura
 10140  quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi,
 10141  sosta un poco per me tua maggior cura.
 10142  
 10143  Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
 10144  al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri
 10145  cosa di là ond’ io vivendo mossi».
 10146  
 10147  Ed elli a me: «Perché i nostri diretri
 10148  rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
 10149  scias quod ego fui successor Petri.
 10150  
 10151  Intra Sïestri e Chiaveri s’adima
 10152  una fiumana bella, e del suo nome
 10153  lo titol del mio sangue fa sua cima.
 10154  
 10155  Un mese e poco più prova’ io come
 10156  pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
 10157  che piuma sembran tutte l’altre some.
 10158  
 10159  La mia conversïone, omè!, fu tarda;
 10160  ma, come fatto fui roman pastore,
 10161  così scopersi la vita bugiarda.
 10162  
 10163  Vidi che lì non s’acquetava il core,
 10164  né più salir potiesi in quella vita;
 10165  per che di questa in me s’accese amore.
 10166  
 10167  Fino a quel punto misera e partita
 10168  da Dio anima fui, del tutto avara;
 10169  or, come vedi, qui ne son punita.
 10170  
 10171  Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara
 10172  in purgazion de l’anime converse;
 10173  e nulla pena il monte ha più amara.
 10174  
 10175  Sì come l’occhio nostro non s’aderse
 10176  in alto, fisso a le cose terrene,
 10177  così giustizia qui a terra il merse.
 10178  
 10179  Come avarizia spense a ciascun bene
 10180  lo nostro amore, onde operar perdési,
 10181  così giustizia qui stretti ne tene,
 10182  
 10183  ne’ piedi e ne le man legati e presi;
 10184  e quanto fia piacer del giusto Sire,
 10185  tanto staremo immobili e distesi».
 10186  
 10187  Io m’era inginocchiato e volea dire;
 10188  ma com’ io cominciai ed el s’accorse,
 10189  solo ascoltando, del mio reverire,
 10190  
 10191  «Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?».
 10192  E io a lui: «Per vostra dignitate
 10193  mia coscïenza dritto mi rimorse».
 10194  
 10195  «Drizza le gambe, lèvati sù, frate!»,
 10196  rispuose; «non errar: conservo sono
 10197  teco e con li altri ad una podestate.
 10198  
 10199  Se mai quel santo evangelico suono
 10200  che dice ‘Neque nubent’ intendesti,
 10201  ben puoi veder perch’ io così ragiono.
 10202  
 10203  Vattene omai: non vo’ che più t’arresti;
 10204  ché la tua stanza mio pianger disagia,
 10205  col qual maturo ciò che tu dicesti.
 10206  
 10207  Nepote ho io di là c’ha nome Alagia,
 10208  buona da sé, pur che la nostra casa
 10209  non faccia lei per essempro malvagia;
 10210  
 10211  e questa sola di là m’è rimasa».
 10212  
 10213  
 10214  
 10215  Purgatorio · Canto XX
 10216  
 10217  
 10218  Contra miglior voler voler mal pugna;
 10219  onde contra ’l piacer mio, per piacerli,
 10220  trassi de l’acqua non sazia la spugna.
 10221  
 10222  Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li
 10223  luoghi spediti pur lungo la roccia,
 10224  come si va per muro stretto a’ merli;
 10225  
 10226  ché la gente che fonde a goccia a goccia
 10227  per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa,
 10228  da l’altra parte in fuor troppo s’approccia.
 10229  
 10230  Maladetta sie tu, antica lupa,
 10231  che più che tutte l’altre bestie hai preda
 10232  per la tua fame sanza fine cupa!
 10233  
 10234  O ciel, nel cui girar par che si creda
 10235  le condizion di qua giù trasmutarsi,
 10236  quando verrà per cui questa disceda?
 10237  
 10238  Noi andavam con passi lenti e scarsi,
 10239  e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia
 10240  pietosamente piangere e lagnarsi;
 10241  
 10242  e per ventura udi’ «Dolce Maria!»
 10243  dinanzi a noi chiamar così nel pianto
 10244  come fa donna che in parturir sia;
 10245  
 10246  e seguitar: «Povera fosti tanto,
 10247  quanto veder si può per quello ospizio
 10248  dove sponesti il tuo portato santo».
 10249  
 10250  Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio,
 10251  con povertà volesti anzi virtute
 10252  che gran ricchezza posseder con vizio».
 10253  
 10254  Queste parole m’eran sì piaciute,
 10255  ch’io mi trassi oltre per aver contezza
 10256  di quello spirto onde parean venute.
 10257  
 10258  Esso parlava ancor de la larghezza
 10259  che fece Niccolò a le pulcelle,
 10260  per condurre ad onor lor giovinezza.
 10261  
 10262  «O anima che tanto ben favelle,
 10263  dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola
 10264  tu queste degne lode rinovelle.
 10265  
 10266  Non fia sanza mercé la tua parola,
 10267  s’io ritorno a compiér lo cammin corto
 10268  di quella vita ch’al termine vola».
 10269  
 10270  Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto
 10271  ch’io attenda di là, ma perché tanta
 10272  grazia in te luce prima che sie morto.
 10273  
 10274  Io fui radice de la mala pianta
 10275  che la terra cristiana tutta aduggia,
 10276  sì che buon frutto rado se ne schianta.
 10277  
 10278  Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
 10279  potesser, tosto ne saria vendetta;
 10280  e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
 10281  
 10282  Chiamato fui di là Ugo Ciappetta;
 10283  di me son nati i Filippi e i Luigi
 10284  per cui novellamente è Francia retta.
 10285  
 10286  Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi:
 10287  quando li regi antichi venner meno
 10288  tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi,
 10289  
 10290  trova’mi stretto ne le mani il freno
 10291  del governo del regno, e tanta possa
 10292  di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,
 10293  
 10294  ch’a la corona vedova promossa
 10295  la testa di mio figlio fu, dal quale
 10296  cominciar di costor le sacrate ossa.
 10297  
 10298  Mentre che la gran dota provenzale
 10299  al sangue mio non tolse la vergogna,
 10300  poco valea, ma pur non facea male.
 10301  
 10302  Lì cominciò con forza e con menzogna
 10303  la sua rapina; e poscia, per ammenda,
 10304  Pontì e Normandia prese e Guascogna.
 10305  
 10306  Carlo venne in Italia e, per ammenda,
 10307  vittima fé di Curradino; e poi
 10308  ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
 10309  
 10310  Tempo vegg’ io, non molto dopo ancoi,
 10311  che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
 10312  per far conoscer meglio e sé e ’ suoi.
 10313  
 10314  Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia
 10315  con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
 10316  sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
 10317  
 10318  Quindi non terra, ma peccato e onta
 10319  guadagnerà, per sé tanto più grave,
 10320  quanto più lieve simil danno conta.
 10321  
 10322  L’altro, che già uscì preso di nave,
 10323  veggio vender sua figlia e patteggiarne
 10324  come fanno i corsar de l’altre schiave.
 10325  
 10326  O avarizia, che puoi tu più farne,
 10327  poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto,
 10328  che non si cura de la propria carne?
 10329  
 10330  Perché men paia il mal futuro e ’l fatto,
 10331  veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
 10332  e nel vicario suo Cristo esser catto.
 10333  
 10334  Veggiolo un’altra volta esser deriso;
 10335  veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele,
 10336  e tra vivi ladroni esser anciso.
 10337  
 10338  Veggio il novo Pilato sì crudele,
 10339  che ciò nol sazia, ma sanza decreto
 10340  portar nel Tempio le cupide vele.
 10341  
 10342  O Segnor mio, quando sarò io lieto
 10343  a veder la vendetta che, nascosa,
 10344  fa dolce l’ira tua nel tuo secreto?
 10345  
 10346  Ciò ch’io dicea di quell’ unica sposa
 10347  de lo Spirito Santo e che ti fece
 10348  verso me volger per alcuna chiosa,
 10349  
 10350  tanto è risposto a tutte nostre prece
 10351  quanto ’l dì dura; ma com’ el s’annotta,
 10352  contrario suon prendemo in quella vece.
 10353  
 10354  Noi repetiam Pigmalïon allotta,
 10355  cui traditore e ladro e paricida
 10356  fece la voglia sua de l’oro ghiotta;
 10357  
 10358  e la miseria de l’avaro Mida,
 10359  che seguì a la sua dimanda gorda,
 10360  per la qual sempre convien che si rida.
 10361  
 10362  Del folle Acàn ciascun poi si ricorda,
 10363  come furò le spoglie, sì che l’ira
 10364  di Iosüè qui par ch’ancor lo morda.
 10365  
 10366  Indi accusiam col marito Saffira;
 10367  lodiam i calci ch’ebbe Elïodoro;
 10368  e in infamia tutto ’l monte gira
 10369  
 10370  Polinestòr ch’ancise Polidoro;
 10371  ultimamente ci si grida: “Crasso,
 10372  dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?”.
 10373  
 10374  Talor parla l’uno alto e l’altro basso,
 10375  secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona
 10376  ora a maggiore e ora a minor passo:
 10377  
 10378  però al ben che ’l dì ci si ragiona,
 10379  dianzi non era io sol; ma qui da presso
 10380  non alzava la voce altra persona».
 10381  
 10382  Noi eravam partiti già da esso,
 10383  e brigavam di soverchiar la strada
 10384  tanto quanto al poder n’era permesso,
 10385  
 10386  quand’ io senti’, come cosa che cada,
 10387  tremar lo monte; onde mi prese un gelo
 10388  qual prender suol colui ch’a morte vada.
 10389  
 10390  Certo non si scoteo sì forte Delo,
 10391  pria che Latona in lei facesse ’l nido
 10392  a parturir li due occhi del cielo.
 10393  
 10394  Poi cominciò da tutte parti un grido
 10395  tal, che ’l maestro inverso me si feo,
 10396  dicendo: «Non dubbiar, mentr’ io ti guido».
 10397  
 10398  ‘Glorïa in excelsis’ tutti ‘Deo’
 10399  dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi,
 10400  onde intender lo grido si poteo.
 10401  
 10402  No’ istavamo immobili e sospesi
 10403  come i pastor che prima udir quel canto,
 10404  fin che ’l tremar cessò ed el compiési.
 10405  
 10406  Poi ripigliammo nostro cammin santo,
 10407  guardando l’ombre che giacean per terra,
 10408  tornate già in su l’usato pianto.
 10409  
 10410  Nulla ignoranza mai con tanta guerra
 10411  mi fé desideroso di sapere,
 10412  se la memoria mia in ciò non erra,
 10413  
 10414  quanta pareami allor, pensando, avere;
 10415  né per la fretta dimandare er’ oso,
 10416  né per me lì potea cosa vedere:
 10417  
 10418  così m’andava timido e pensoso.
 10419  
 10420  
 10421  
 10422  Purgatorio · Canto XXI
 10423  
 10424  
 10425  La sete natural che mai non sazia
 10426  se non con l’acqua onde la femminetta
 10427  samaritana domandò la grazia,
 10428  
 10429  mi travagliava, e pungeami la fretta
 10430  per la ’mpacciata via dietro al mio duca,
 10431  e condoleami a la giusta vendetta.
 10432  
 10433  Ed ecco, sì come ne scrive Luca
 10434  che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,
 10435  già surto fuor de la sepulcral buca,
 10436  
 10437  ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,
 10438  dal piè guardando la turba che giace;
 10439  né ci addemmo di lei, sì parlò pria,
 10440  
 10441  dicendo: «O frati miei, Dio vi dea pace».
 10442  Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio
 10443  rendéli ’l cenno ch’a ciò si conface.
 10444  
 10445  Poi cominciò: «Nel beato concilio
 10446  ti ponga in pace la verace corte
 10447  che me rilega ne l’etterno essilio».
 10448  
 10449  «Come!», diss’ elli, e parte andavam forte:
 10450  «se voi siete ombre che Dio sù non degni,
 10451  chi v’ha per la sua scala tanto scorte?».
 10452  
 10453  E ’l dottor mio: «Se tu riguardi a’ segni
 10454  che questi porta e che l’angel profila,
 10455  ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni.
 10456  
 10457  Ma perché lei che dì e notte fila
 10458  non li avea tratta ancora la conocchia
 10459  che Cloto impone a ciascuno e compila,
 10460  
 10461  l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,
 10462  venendo sù, non potea venir sola,
 10463  però ch’al nostro modo non adocchia.
 10464  
 10465  Ond’ io fui tratto fuor de l’ampia gola
 10466  d’inferno per mostrarli, e mosterrolli
 10467  oltre, quanto ’l potrà menar mia scola.
 10468  
 10469  Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli
 10470  diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una
 10471  parve gridare infino a’ suoi piè molli».
 10472  
 10473  Sì mi diè, dimandando, per la cruna
 10474  del mio disio, che pur con la speranza
 10475  si fece la mia sete men digiuna.
 10476  
 10477  Quei cominciò: «Cosa non è che sanza
 10478  ordine senta la religïone
 10479  de la montagna, o che sia fuor d’usanza.
 10480  
 10481  Libero è qui da ogne alterazione:
 10482  di quel che ’l ciel da sé in sé riceve
 10483  esser ci puote, e non d’altro, cagione.
 10484  
 10485  Per che non pioggia, non grando, non neve,
 10486  non rugiada, non brina più sù cade
 10487  che la scaletta di tre gradi breve;
 10488  
 10489  nuvole spesse non paion né rade,
 10490  né coruscar, né figlia di Taumante,
 10491  che di là cangia sovente contrade;
 10492  
 10493  secco vapor non surge più avante
 10494  ch’al sommo d’i tre gradi ch’io parlai,
 10495  dov’ ha ’l vicario di Pietro le piante.
 10496  
 10497  Trema forse più giù poco o assai;
 10498  ma per vento che ’n terra si nasconda,
 10499  non so come, qua sù non tremò mai.
 10500  
 10501  Tremaci quando alcuna anima monda
 10502  sentesi, sì che surga o che si mova
 10503  per salir sù; e tal grido seconda.
 10504  
 10505  De la mondizia sol voler fa prova,
 10506  che, tutto libero a mutar convento,
 10507  l’alma sorprende, e di voler le giova.
 10508  
 10509  Prima vuol ben, ma non lascia il talento
 10510  che divina giustizia, contra voglia,
 10511  come fu al peccar, pone al tormento.
 10512  
 10513  E io, che son giaciuto a questa doglia
 10514  cinquecent’ anni e più, pur mo sentii
 10515  libera volontà di miglior soglia:
 10516  
 10517  però sentisti il tremoto e li pii
 10518  spiriti per lo monte render lode
 10519  a quel Segnor, che tosto sù li ’nvii».
 10520  
 10521  Così ne disse; e però ch’el si gode
 10522  tanto del ber quant’ è grande la sete,
 10523  non saprei dir quant’ el mi fece prode.
 10524  
 10525  E ’l savio duca: «Omai veggio la rete
 10526  che qui vi ’mpiglia e come si scalappia,
 10527  perché ci trema e di che congaudete.
 10528  
 10529  Ora chi fosti, piacciati ch’io sappia,
 10530  e perché tanti secoli giaciuto
 10531  qui se’, ne le parole tue mi cappia».
 10532  
 10533  «Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto
 10534  del sommo rege, vendicò le fóra
 10535  ond’ uscì ’l sangue per Giuda venduto,
 10536  
 10537  col nome che più dura e più onora
 10538  era io di là», rispuose quello spirto,
 10539  «famoso assai, ma non con fede ancora.
 10540  
 10541  Tanto fu dolce mio vocale spirto,
 10542  che, tolosano, a sé mi trasse Roma,
 10543  dove mertai le tempie ornar di mirto.
 10544  
 10545  Stazio la gente ancor di là mi noma:
 10546  cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
 10547  ma caddi in via con la seconda soma.
 10548  
 10549  Al mio ardor fuor seme le faville,
 10550  che mi scaldar, de la divina fiamma
 10551  onde sono allumati più di mille;
 10552  
 10553  de l’Eneïda dico, la qual mamma
 10554  fummi, e fummi nutrice, poetando:
 10555  sanz’ essa non fermai peso di dramma.
 10556  
 10557  E per esser vivuto di là quando
 10558  visse Virgilio, assentirei un sole
 10559  più che non deggio al mio uscir di bando».
 10560  
 10561  Volser Virgilio a me queste parole
 10562  con viso che, tacendo, disse ‘Taci’;
 10563  ma non può tutto la virtù che vuole;
 10564  
 10565  ché riso e pianto son tanto seguaci
 10566  a la passion di che ciascun si spicca,
 10567  che men seguon voler ne’ più veraci.
 10568  
 10569  Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca;
 10570  per che l’ombra si tacque, e riguardommi
 10571  ne li occhi ove ’l sembiante più si ficca;
 10572  
 10573  e «Se tanto labore in bene assommi»,
 10574  disse, «perché la tua faccia testeso
 10575  un lampeggiar di riso dimostrommi?».
 10576  
 10577  Or son io d’una parte e d’altra preso:
 10578  l’una mi fa tacer, l’altra scongiura
 10579  ch’io dica; ond’ io sospiro, e sono inteso
 10580  
 10581  dal mio maestro, e «Non aver paura»,
 10582  mi dice, «di parlar; ma parla e digli
 10583  quel ch’e’ dimanda con cotanta cura».
 10584  
 10585  Ond’ io: «Forse che tu ti maravigli,
 10586  antico spirto, del rider ch’io fei;
 10587  ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli.
 10588  
 10589  Questi che guida in alto li occhi miei,
 10590  è quel Virgilio dal qual tu togliesti
 10591  forte a cantar de li uomini e d’i dèi.
 10592  
 10593  Se cagion altra al mio rider credesti,
 10594  lasciala per non vera, ed esser credi
 10595  quelle parole che di lui dicesti».
 10596  
 10597  Già s’inchinava ad abbracciar li piedi
 10598  al mio dottor, ma el li disse: «Frate,
 10599  non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi».
 10600  
 10601  Ed ei surgendo: «Or puoi la quantitate
 10602  comprender de l’amor ch’a te mi scalda,
 10603  quand’ io dismento nostra vanitate,
 10604  
 10605  trattando l’ombre come cosa salda».
 10606  
 10607  
 10608  
 10609  Purgatorio · Canto XXII
 10610  
 10611  
 10612  Già era l’angel dietro a noi rimaso,
 10613  l’angel che n’avea vòlti al sesto giro,
 10614  avendomi dal viso un colpo raso;
 10615  
 10616  e quei c’hanno a giustizia lor disiro
 10617  detto n’avea beati, e le sue voci
 10618  con ‘sitiunt’, sanz’ altro, ciò forniro.
 10619  
 10620  E io più lieve che per l’altre foci
 10621  m’andava, sì che sanz’ alcun labore
 10622  seguiva in sù li spiriti veloci;
 10623  
 10624  quando Virgilio incominciò: «Amore,
 10625  acceso di virtù, sempre altro accese,
 10626  pur che la fiamma sua paresse fore;
 10627  
 10628  onde da l’ora che tra noi discese
 10629  nel limbo de lo ’nferno Giovenale,
 10630  che la tua affezion mi fé palese,
 10631  
 10632  mia benvoglienza inverso te fu quale
 10633  più strinse mai di non vista persona,
 10634  sì ch’or mi parran corte queste scale.
 10635  
 10636  Ma dimmi, e come amico mi perdona
 10637  se troppa sicurtà m’allarga il freno,
 10638  e come amico omai meco ragiona:
 10639  
 10640  come poté trovar dentro al tuo seno
 10641  loco avarizia, tra cotanto senno
 10642  di quanto per tua cura fosti pieno?».
 10643  
 10644  Queste parole Stazio mover fenno
 10645  un poco a riso pria; poscia rispuose:
 10646  «Ogne tuo dir d’amor m’è caro cenno.
 10647  
 10648  Veramente più volte appaion cose
 10649  che danno a dubitar falsa matera
 10650  per le vere ragion che son nascose.
 10651  
 10652  La tua dimanda tuo creder m’avvera
 10653  esser ch’i’ fossi avaro in l’altra vita,
 10654  forse per quella cerchia dov’ io era.
 10655  
 10656  Or sappi ch’avarizia fu partita
 10657  troppo da me, e questa dismisura
 10658  migliaia di lunari hanno punita.
 10659  
 10660  E se non fosse ch’io drizzai mia cura,
 10661  quand’ io intesi là dove tu chiame,
 10662  crucciato quasi a l’umana natura:
 10663  
 10664  ‘Per che non reggi tu, o sacra fame
 10665  de l’oro, l’appetito de’ mortali?’,
 10666  voltando sentirei le giostre grame.
 10667  
 10668  Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali
 10669  potean le mani a spendere, e pente’mi
 10670  così di quel come de li altri mali.
 10671  
 10672  Quanti risurgeran coi crini scemi
 10673  per ignoranza, che di questa pecca
 10674  toglie ’l penter vivendo e ne li stremi!
 10675  
 10676  E sappie che la colpa che rimbecca
 10677  per dritta opposizione alcun peccato,
 10678  con esso insieme qui suo verde secca;
 10679  
 10680  però, s’io son tra quella gente stato
 10681  che piange l’avarizia, per purgarmi,
 10682  per lo contrario suo m’è incontrato».
 10683  
 10684  «Or quando tu cantasti le crude armi
 10685  de la doppia trestizia di Giocasta»,
 10686  disse ’l cantor de’ buccolici carmi,
 10687  
 10688  «per quello che Clïò teco lì tasta,
 10689  non par che ti facesse ancor fedele
 10690  la fede, sanza qual ben far non basta.
 10691  
 10692  Se così è, qual sole o quai candele
 10693  ti stenebraron sì, che tu drizzasti
 10694  poscia di retro al pescator le vele?».
 10695  
 10696  Ed elli a lui: «Tu prima m’invïasti
 10697  verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
 10698  e prima appresso Dio m’alluminasti.
 10699  
 10700  Facesti come quei che va di notte,
 10701  che porta il lume dietro e sé non giova,
 10702  ma dopo sé fa le persone dotte,
 10703  
 10704  quando dicesti: ‘Secol si rinova;
 10705  torna giustizia e primo tempo umano,
 10706  e progenïe scende da ciel nova’.
 10707  
 10708  Per te poeta fui, per te cristiano:
 10709  ma perché veggi mei ciò ch’io disegno,
 10710  a colorare stenderò la mano.
 10711  
 10712  Già era ’l mondo tutto quanto pregno
 10713  de la vera credenza, seminata
 10714  per li messaggi de l’etterno regno;
 10715  
 10716  e la parola tua sopra toccata
 10717  si consonava a’ nuovi predicanti;
 10718  ond’ io a visitarli presi usata.
 10719  
 10720  Vennermi poi parendo tanto santi,
 10721  che, quando Domizian li perseguette,
 10722  sanza mio lagrimar non fur lor pianti;
 10723  
 10724  e mentre che di là per me si stette,
 10725  io li sovvenni, e i lor dritti costumi
 10726  fer dispregiare a me tutte altre sette.
 10727  
 10728  E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi
 10729  di Tebe poetando, ebb’ io battesmo;
 10730  ma per paura chiuso cristian fu’mi,
 10731  
 10732  lungamente mostrando paganesmo;
 10733  e questa tepidezza il quarto cerchio
 10734  cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo.
 10735  
 10736  Tu dunque, che levato hai il coperchio
 10737  che m’ascondeva quanto bene io dico,
 10738  mentre che del salire avem soverchio,
 10739  
 10740  dimmi dov’ è Terrenzio nostro antico,
 10741  Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
 10742  dimmi se son dannati, e in qual vico».
 10743  
 10744  «Costoro e Persio e io e altri assai»,
 10745  rispuose il duca mio, «siam con quel Greco
 10746  che le Muse lattar più ch’altri mai,
 10747  
 10748  nel primo cinghio del carcere cieco;
 10749  spesse fïate ragioniam del monte
 10750  che sempre ha le nutrice nostre seco.
 10751  
 10752  Euripide v’è nosco e Antifonte,
 10753  Simonide, Agatone e altri piùe
 10754  Greci che già di lauro ornar la fronte.
 10755  
 10756  Quivi si veggion de le genti tue
 10757  Antigone, Deïfile e Argia,
 10758  e Ismene sì trista come fue.
 10759  
 10760  Védeisi quella che mostrò Langia;
 10761  èvvi la figlia di Tiresia, e Teti,
 10762  e con le suore sue Deïdamia».
 10763  
 10764  Tacevansi ambedue già li poeti,
 10765  di novo attenti a riguardar dintorno,
 10766  liberi da saliri e da pareti;
 10767  
 10768  e già le quattro ancelle eran del giorno
 10769  rimase a dietro, e la quinta era al temo,
 10770  drizzando pur in sù l’ardente corno,
 10771  
 10772  quando il mio duca: «Io credo ch’a lo stremo
 10773  le destre spalle volger ne convegna,
 10774  girando il monte come far solemo».
 10775  
 10776  Così l’usanza fu lì nostra insegna,
 10777  e prendemmo la via con men sospetto
 10778  per l’assentir di quell’ anima degna.
 10779  
 10780  Elli givan dinanzi, e io soletto
 10781  di retro, e ascoltava i lor sermoni,
 10782  ch’a poetar mi davano intelletto.
 10783  
 10784  Ma tosto ruppe le dolci ragioni
 10785  un alber che trovammo in mezza strada,
 10786  con pomi a odorar soavi e buoni;
 10787  
 10788  e come abete in alto si digrada
 10789  di ramo in ramo, così quello in giuso,
 10790  cred’ io, perché persona sù non vada.
 10791  
 10792  Dal lato onde ’l cammin nostro era chiuso,
 10793  cadea de l’alta roccia un liquor chiaro
 10794  e si spandeva per le foglie suso.
 10795  
 10796  Li due poeti a l’alber s’appressaro;
 10797  e una voce per entro le fronde
 10798  gridò: «Di questo cibo avrete caro».
 10799  
 10800  Poi disse: «Più pensava Maria onde
 10801  fosser le nozze orrevoli e intere,
 10802  ch’a la sua bocca, ch’or per voi risponde.
 10803  
 10804  E le Romane antiche, per lor bere,
 10805  contente furon d’acqua; e Danïello
 10806  dispregiò cibo e acquistò savere.
 10807  
 10808  Lo secol primo, quant’ oro fu bello,
 10809  fé savorose con fame le ghiande,
 10810  e nettare con sete ogne ruscello.
 10811  
 10812  Mele e locuste furon le vivande
 10813  che nodriro il Batista nel diserto;
 10814  per ch’elli è glorïoso e tanto grande
 10815  
 10816  quanto per lo Vangelio v’è aperto».
 10817  
 10818  
 10819  
 10820  Purgatorio · Canto XXIII
 10821  
 10822  
 10823  Mentre che li occhi per la fronda verde
 10824  ficcava ïo sì come far suole
 10825  chi dietro a li uccellin sua vita perde,
 10826  
 10827  lo più che padre mi dicea: «Figliuole,
 10828  vienne oramai, ché ’l tempo che n’è imposto
 10829  più utilmente compartir si vuole».
 10830  
 10831  Io volsi ’l viso, e ’l passo non men tosto,
 10832  appresso i savi, che parlavan sìe,
 10833  che l’andar mi facean di nullo costo.
 10834  
 10835  Ed ecco piangere e cantar s’udìe
 10836  ‘Labïa mëa, Domine’ per modo
 10837  tal, che diletto e doglia parturìe.
 10838  
 10839  «O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?»,
 10840  comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno
 10841  forse di lor dover solvendo il nodo».
 10842  
 10843  Sì come i peregrin pensosi fanno,
 10844  giugnendo per cammin gente non nota,
 10845  che si volgono ad essa e non restanno,
 10846  
 10847  così di retro a noi, più tosto mota,
 10848  venendo e trapassando ci ammirava
 10849  d’anime turba tacita e devota.
 10850  
 10851  Ne li occhi era ciascuna oscura e cava,
 10852  palida ne la faccia, e tanto scema
 10853  che da l’ossa la pelle s’informava.
 10854  
 10855  Non credo che così a buccia strema
 10856  Erisittone fosse fatto secco,
 10857  per digiunar, quando più n’ebbe tema.
 10858  
 10859  Io dicea fra me stesso pensando: ‘Ecco
 10860  la gente che perdé Ierusalemme,
 10861  quando Maria nel figlio diè di becco!’
 10862  
 10863  Parean l’occhiaie anella sanza gemme:
 10864  chi nel viso de li uomini legge ‘omo’
 10865  ben avria quivi conosciuta l’emme.
 10866  
 10867  Chi crederebbe che l’odor d’un pomo
 10868  sì governasse, generando brama,
 10869  e quel d’un’acqua, non sappiendo como?
 10870  
 10871  Già era in ammirar che sì li affama,
 10872  per la cagione ancor non manifesta
 10873  di lor magrezza e di lor trista squama,
 10874  
 10875  ed ecco del profondo de la testa
 10876  volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso;
 10877  poi gridò forte: «Qual grazia m’è questa?».
 10878  
 10879  Mai non l’avrei riconosciuto al viso;
 10880  ma ne la voce sua mi fu palese
 10881  ciò che l’aspetto in sé avea conquiso.
 10882  
 10883  Questa favilla tutta mi raccese
 10884  mia conoscenza a la cangiata labbia,
 10885  e ravvisai la faccia di Forese.
 10886  
 10887  «Deh, non contendere a l’asciutta scabbia
 10888  che mi scolora», pregava, «la pelle,
 10889  né a difetto di carne ch’io abbia;
 10890  
 10891  ma dimmi il ver di te, dì chi son quelle
 10892  due anime che là ti fanno scorta;
 10893  non rimaner che tu non mi favelle!».
 10894  
 10895  «La faccia tua, ch’io lagrimai già morta,
 10896  mi dà di pianger mo non minor doglia»,
 10897  rispuos’ io lui, «veggendola sì torta.
 10898  
 10899  Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia;
 10900  non mi far dir mentr’ io mi maraviglio,
 10901  ché mal può dir chi è pien d’altra voglia».
 10902  
 10903  Ed elli a me: «De l’etterno consiglio
 10904  cade vertù ne l’acqua e ne la pianta
 10905  rimasa dietro ond’ io sì m’assottiglio.
 10906  
 10907  Tutta esta gente che piangendo canta
 10908  per seguitar la gola oltra misura,
 10909  in fame e ’n sete qui si rifà santa.
 10910  
 10911  Di bere e di mangiar n’accende cura
 10912  l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo
 10913  che si distende su per sua verdura.
 10914  
 10915  E non pur una volta, questo spazzo
 10916  girando, si rinfresca nostra pena:
 10917  io dico pena, e dovria dir sollazzo,
 10918  
 10919  ché quella voglia a li alberi ci mena
 10920  che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’,
 10921  quando ne liberò con la sua vena».
 10922  
 10923  E io a lui: «Forese, da quel dì
 10924  nel qual mutasti mondo a miglior vita,
 10925  cinqu’ anni non son vòlti infino a qui.
 10926  
 10927  Se prima fu la possa in te finita
 10928  di peccar più, che sovvenisse l’ora
 10929  del buon dolor ch’a Dio ne rimarita,
 10930  
 10931  come se’ tu qua sù venuto ancora?
 10932  Io ti credea trovar là giù di sotto,
 10933  dove tempo per tempo si ristora».
 10934  
 10935  Ond’ elli a me: «Sì tosto m’ha condotto
 10936  a ber lo dolce assenzo d’i martìri
 10937  la Nella mia con suo pianger dirotto.
 10938  
 10939  Con suoi prieghi devoti e con sospiri
 10940  tratto m’ha de la costa ove s’aspetta,
 10941  e liberato m’ha de li altri giri.
 10942  
 10943  Tanto è a Dio più cara e più diletta
 10944  la vedovella mia, che molto amai,
 10945  quanto in bene operare è più soletta;
 10946  
 10947  ché la Barbagia di Sardigna assai
 10948  ne le femmine sue più è pudica
 10949  che la Barbagia dov’ io la lasciai.
 10950  
 10951  O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica?
 10952  Tempo futuro m’è già nel cospetto,
 10953  cui non sarà quest’ ora molto antica,
 10954  
 10955  nel qual sarà in pergamo interdetto
 10956  a le sfacciate donne fiorentine
 10957  l’andar mostrando con le poppe il petto.
 10958  
 10959  Quai barbare fuor mai, quai saracine,
 10960  cui bisognasse, per farle ir coperte,
 10961  o spiritali o altre discipline?
 10962  
 10963  Ma se le svergognate fosser certe
 10964  di quel che ’l ciel veloce loro ammanna,
 10965  già per urlare avrian le bocche aperte;
 10966  
 10967  ché, se l’antiveder qui non m’inganna,
 10968  prima fien triste che le guance impeli
 10969  colui che mo si consola con nanna.
 10970  
 10971  Deh, frate, or fa che più non mi ti celi!
 10972  vedi che non pur io, ma questa gente
 10973  tutta rimira là dove ’l sol veli».
 10974  
 10975  Per ch’io a lui: «Se tu riduci a mente
 10976  qual fosti meco, e qual io teco fui,
 10977  ancor fia grave il memorar presente.
 10978  
 10979  Di quella vita mi volse costui
 10980  che mi va innanzi, l’altr’ ier, quando tonda
 10981  vi si mostrò la suora di colui»,
 10982  
 10983  e ’l sol mostrai; «costui per la profonda
 10984  notte menato m’ha d’i veri morti
 10985  con questa vera carne che ’l seconda.
 10986  
 10987  Indi m’han tratto sù li suoi conforti,
 10988  salendo e rigirando la montagna
 10989  che drizza voi che ’l mondo fece torti.
 10990  
 10991  Tanto dice di farmi sua compagna
 10992  che io sarò là dove fia Beatrice;
 10993  quivi convien che sanza lui rimagna.
 10994  
 10995  Virgilio è questi che così mi dice»,
 10996  e addita’lo; «e quest’ altro è quell’ ombra
 10997  per cuï scosse dianzi ogne pendice
 10998  
 10999  lo vostro regno, che da sé lo sgombra».
 11000  
 11001  
 11002  
 11003  Purgatorio · Canto XXIV
 11004  
 11005  
 11006  Né ’l dir l’andar, né l’andar lui più lento
 11007  facea, ma ragionando andavam forte,
 11008  sì come nave pinta da buon vento;
 11009  
 11010  e l’ombre, che parean cose rimorte,
 11011  per le fosse de li occhi ammirazione
 11012  traean di me, di mio vivere accorte.
 11013  
 11014  E io, continüando al mio sermone,
 11015  dissi: «Ella sen va sù forse più tarda
 11016  che non farebbe, per altrui cagione.
 11017  
 11018  Ma dimmi, se tu sai, dov’ è Piccarda;
 11019  dimmi s’io veggio da notar persona
 11020  tra questa gente che sì mi riguarda».
 11021  
 11022  «La mia sorella, che tra bella e buona
 11023  non so qual fosse più, trïunfa lieta
 11024  ne l’alto Olimpo già di sua corona».
 11025  
 11026  Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta
 11027  di nominar ciascun, da ch’è sì munta
 11028  nostra sembianza via per la dïeta.
 11029  
 11030  Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta,
 11031  Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
 11032  di là da lui più che l’altre trapunta
 11033  
 11034  ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
 11035  dal Torso fu, e purga per digiuno
 11036  l’anguille di Bolsena e la vernaccia».
 11037  
 11038  Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
 11039  e del nomar parean tutti contenti,
 11040  sì ch’io però non vidi un atto bruno.
 11041  
 11042  Vidi per fame a vòto usar li denti
 11043  Ubaldin da la Pila e Bonifazio
 11044  che pasturò col rocco molte genti.
 11045  
 11046  Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio
 11047  già di bere a Forlì con men secchezza,
 11048  e sì fu tal, che non si sentì sazio.
 11049  
 11050  Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
 11051  più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
 11052  che più parea di me aver contezza.
 11053  
 11054  El mormorava; e non so che «Gentucca»
 11055  sentiv’ io là, ov’ el sentia la piaga
 11056  de la giustizia che sì li pilucca.
 11057  
 11058  «O anima», diss’ io, «che par sì vaga
 11059  di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
 11060  e te e me col tuo parlare appaga».
 11061  
 11062  «Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
 11063  cominciò el, «che ti farà piacere
 11064  la mia città, come ch’om la riprenda.
 11065  
 11066  Tu te n’andrai con questo antivedere:
 11067  se nel mio mormorar prendesti errore,
 11068  dichiareranti ancor le cose vere.
 11069  
 11070  Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore
 11071  trasse le nove rime, cominciando
 11072  ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’».
 11073  
 11074  E io a lui: «I’ mi son un che, quando
 11075  Amor mi spira, noto, e a quel modo
 11076  ch’e’ ditta dentro vo significando».
 11077  
 11078  «O frate, issa vegg’ io», diss’ elli, «il nodo
 11079  che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
 11080  di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!
 11081  
 11082  Io veggio ben come le vostre penne
 11083  di retro al dittator sen vanno strette,
 11084  che de le nostre certo non avvenne;
 11085  
 11086  e qual più a gradire oltre si mette,
 11087  non vede più da l’uno a l’altro stilo»;
 11088  e, quasi contentato, si tacette.
 11089  
 11090  Come li augei che vernan lungo ’l Nilo,
 11091  alcuna volta in aere fanno schiera,
 11092  poi volan più a fretta e vanno in filo,
 11093  
 11094  così tutta la gente che lì era,
 11095  volgendo ’l viso, raffrettò suo passo,
 11096  e per magrezza e per voler leggera.
 11097  
 11098  E come l’uom che di trottare è lasso,
 11099  lascia andar li compagni, e sì passeggia
 11100  fin che si sfoghi l’affollar del casso,
 11101  
 11102  sì lasciò trapassar la santa greggia
 11103  Forese, e dietro meco sen veniva,
 11104  dicendo: «Quando fia ch’io ti riveggia?».
 11105  
 11106  «Non so», rispuos’ io lui, «quant’ io mi viva;
 11107  ma già non fïa il tornar mio tantosto,
 11108  ch’io non sia col voler prima a la riva;
 11109  
 11110  però che ’l loco u’ fui a viver posto,
 11111  di giorno in giorno più di ben si spolpa,
 11112  e a trista ruina par disposto».
 11113  
 11114  «Or va», diss’ el; «che quei che più n’ha colpa,
 11115  vegg’ ïo a coda d’una bestia tratto
 11116  inver’ la valle ove mai non si scolpa.
 11117  
 11118  La bestia ad ogne passo va più ratto,
 11119  crescendo sempre, fin ch’ella il percuote,
 11120  e lascia il corpo vilmente disfatto.
 11121  
 11122  Non hanno molto a volger quelle ruote»,
 11123  e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro
 11124  ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote.
 11125  
 11126  Tu ti rimani omai; ché ’l tempo è caro
 11127  in questo regno, sì ch’io perdo troppo
 11128  venendo teco sì a paro a paro».
 11129  
 11130  Qual esce alcuna volta di gualoppo
 11131  lo cavalier di schiera che cavalchi,
 11132  e va per farsi onor del primo intoppo,
 11133  
 11134  tal si partì da noi con maggior valchi;
 11135  e io rimasi in via con esso i due
 11136  che fuor del mondo sì gran marescalchi.
 11137  
 11138  E quando innanzi a noi intrato fue,
 11139  che li occhi miei si fero a lui seguaci,
 11140  come la mente a le parole sue,
 11141  
 11142  parvermi i rami gravidi e vivaci
 11143  d’un altro pomo, e non molto lontani
 11144  per esser pur allora vòlto in laci.
 11145  
 11146  Vidi gente sott’ esso alzar le mani
 11147  e gridar non so che verso le fronde,
 11148  quasi bramosi fantolini e vani
 11149  
 11150  che pregano, e ’l pregato non risponde,
 11151  ma, per fare esser ben la voglia acuta,
 11152  tien alto lor disio e nol nasconde.
 11153  
 11154  Poi si partì sì come ricreduta;
 11155  e noi venimmo al grande arbore adesso,
 11156  che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
 11157  
 11158  «Trapassate oltre sanza farvi presso:
 11159  legno è più sù che fu morso da Eva,
 11160  e questa pianta si levò da esso».
 11161  
 11162  Sì tra le frasche non so chi diceva;
 11163  per che Virgilio e Stazio e io, ristretti,
 11164  oltre andavam dal lato che si leva.
 11165  
 11166  «Ricordivi», dicea, «d’i maladetti
 11167  nei nuvoli formati, che, satolli,
 11168  Tesëo combatter co’ doppi petti;
 11169  
 11170  e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli,
 11171  per che no i volle Gedeon compagni,
 11172  quando inver’ Madïan discese i colli».
 11173  
 11174  Sì accostati a l’un d’i due vivagni
 11175  passammo, udendo colpe de la gola
 11176  seguite già da miseri guadagni.
 11177  
 11178  Poi, rallargati per la strada sola,
 11179  ben mille passi e più ci portar oltre,
 11180  contemplando ciascun sanza parola.
 11181  
 11182  «Che andate pensando sì voi sol tre?».
 11183  sùbita voce disse; ond’ io mi scossi
 11184  come fan bestie spaventate e poltre.
 11185  
 11186  Drizzai la testa per veder chi fossi;
 11187  e già mai non si videro in fornace
 11188  vetri o metalli sì lucenti e rossi,
 11189  
 11190  com’ io vidi un che dicea: «S’a voi piace
 11191  montare in sù, qui si convien dar volta;
 11192  quinci si va chi vuole andar per pace».
 11193  
 11194  L’aspetto suo m’avea la vista tolta;
 11195  per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori,
 11196  com’ om che va secondo ch’elli ascolta.
 11197  
 11198  E quale, annunziatrice de li albori,
 11199  l’aura di maggio movesi e olezza,
 11200  tutta impregnata da l’erba e da’ fiori;
 11201  
 11202  tal mi senti’ un vento dar per mezza
 11203  la fronte, e ben senti’ mover la piuma,
 11204  che fé sentir d’ambrosïa l’orezza.
 11205  
 11206  E senti’ dir: «Beati cui alluma
 11207  tanto di grazia, che l’amor del gusto
 11208  nel petto lor troppo disir non fuma,
 11209  
 11210  esurïendo sempre quanto è giusto!».
 11211  
 11212  
 11213  
 11214  Purgatorio · Canto XXV
 11215  
 11216  
 11217  Ora era onde ’l salir non volea storpio;
 11218  ché ’l sole avëa il cerchio di merigge
 11219  lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:
 11220  
 11221  per che, come fa l’uom che non s’affigge
 11222  ma vassi a la via sua, che che li appaia,
 11223  se di bisogno stimolo il trafigge,
 11224  
 11225  così intrammo noi per la callaia,
 11226  uno innanzi altro prendendo la scala
 11227  che per artezza i salitor dispaia.
 11228  
 11229  E quale il cicognin che leva l’ala
 11230  per voglia di volare, e non s’attenta
 11231  d’abbandonar lo nido, e giù la cala;
 11232  
 11233  tal era io con voglia accesa e spenta
 11234  di dimandar, venendo infino a l’atto
 11235  che fa colui ch’a dicer s’argomenta.
 11236  
 11237  Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
 11238  lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
 11239  l’arco del dir, che ’nfino al ferro hai tratto».
 11240  
 11241  Allor sicuramente apri’ la bocca
 11242  e cominciai: «Come si può far magro
 11243  là dove l’uopo di nodrir non tocca?».
 11244  
 11245  «Se t’ammentassi come Meleagro
 11246  si consumò al consumar d’un stizzo,
 11247  non fora», disse, «a te questo sì agro;
 11248  
 11249  e se pensassi come, al vostro guizzo,
 11250  guizza dentro a lo specchio vostra image,
 11251  ciò che par duro ti parrebbe vizzo.
 11252  
 11253  Ma perché dentro a tuo voler t’adage,
 11254  ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
 11255  che sia or sanator de le tue piage».
 11256  
 11257  «Se la veduta etterna li dislego»,
 11258  rispuose Stazio, «là dove tu sie,
 11259  discolpi me non potert’ io far nego».
 11260  
 11261  Poi cominciò: «Se le parole mie,
 11262  figlio, la mente tua guarda e riceve,
 11263  lume ti fiero al come che tu die.
 11264  
 11265  Sangue perfetto, che poi non si beve
 11266  da l’assetate vene, e si rimane
 11267  quasi alimento che di mensa leve,
 11268  
 11269  prende nel core a tutte membra umane
 11270  virtute informativa, come quello
 11271  ch’a farsi quelle per le vene vane.
 11272  
 11273  Ancor digesto, scende ov’ è più bello
 11274  tacer che dire; e quindi poscia geme
 11275  sovr’ altrui sangue in natural vasello.
 11276  
 11277  Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme,
 11278  l’un disposto a patire, e l’altro a fare
 11279  per lo perfetto loco onde si preme;
 11280  
 11281  e, giunto lui, comincia ad operare
 11282  coagulando prima, e poi avviva
 11283  ciò che per sua matera fé constare.
 11284  
 11285  Anima fatta la virtute attiva
 11286  qual d’una pianta, in tanto differente,
 11287  che questa è in via e quella è già a riva,
 11288  
 11289  tanto ovra poi, che già si move e sente,
 11290  come spungo marino; e indi imprende
 11291  ad organar le posse ond’ è semente.
 11292  
 11293  Or si spiega, figliuolo, or si distende
 11294  la virtù ch’è dal cor del generante,
 11295  dove natura a tutte membra intende.
 11296  
 11297  Ma come d’animal divegna fante,
 11298  non vedi tu ancor: quest’ è tal punto,
 11299  che più savio di te fé già errante,
 11300  
 11301  sì che per sua dottrina fé disgiunto
 11302  da l’anima il possibile intelletto,
 11303  perché da lui non vide organo assunto.
 11304  
 11305  Apri a la verità che viene il petto;
 11306  e sappi che, sì tosto come al feto
 11307  l’articular del cerebro è perfetto,
 11308  
 11309  lo motor primo a lui si volge lieto
 11310  sovra tant’ arte di natura, e spira
 11311  spirito novo, di vertù repleto,
 11312  
 11313  che ciò che trova attivo quivi, tira
 11314  in sua sustanzia, e fassi un’alma sola,
 11315  che vive e sente e sé in sé rigira.
 11316  
 11317  E perché meno ammiri la parola,
 11318  guarda il calor del sole che si fa vino,
 11319  giunto a l’omor che de la vite cola.
 11320  
 11321  Quando Làchesis non ha più del lino,
 11322  solvesi da la carne, e in virtute
 11323  ne porta seco e l’umano e ’l divino:
 11324  
 11325  l’altre potenze tutte quante mute;
 11326  memoria, intelligenza e volontade
 11327  in atto molto più che prima agute.
 11328  
 11329  Sanza restarsi, per sé stessa cade
 11330  mirabilmente a l’una de le rive;
 11331  quivi conosce prima le sue strade.
 11332  
 11333  Tosto che loco lì la circunscrive,
 11334  la virtù formativa raggia intorno
 11335  così e quanto ne le membra vive.
 11336  
 11337  E come l’aere, quand’ è ben pïorno,
 11338  per l’altrui raggio che ’n sé si reflette,
 11339  di diversi color diventa addorno;
 11340  
 11341  così l’aere vicin quivi si mette
 11342  e in quella forma ch’è in lui suggella
 11343  virtüalmente l’alma che ristette;
 11344  
 11345  e simigliante poi a la fiammella
 11346  che segue il foco là ’vunque si muta,
 11347  segue lo spirto sua forma novella.
 11348  
 11349  Però che quindi ha poscia sua paruta,
 11350  è chiamata ombra; e quindi organa poi
 11351  ciascun sentire infino a la veduta.
 11352  
 11353  Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
 11354  quindi facciam le lagrime e ’ sospiri
 11355  che per lo monte aver sentiti puoi.
 11356  
 11357  Secondo che ci affliggono i disiri
 11358  e li altri affetti, l’ombra si figura;
 11359  e quest’ è la cagion di che tu miri».
 11360  
 11361  E già venuto a l’ultima tortura
 11362  s’era per noi, e vòlto a la man destra,
 11363  ed eravamo attenti ad altra cura.
 11364  
 11365  Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
 11366  e la cornice spira fiato in suso
 11367  che la reflette e via da lei sequestra;
 11368  
 11369  ond’ ir ne convenia dal lato schiuso
 11370  ad uno ad uno; e io temëa ’l foco
 11371  quinci, e quindi temeva cader giuso.
 11372  
 11373  Lo duca mio dicea: «Per questo loco
 11374  si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
 11375  però ch’errar potrebbesi per poco».
 11376  
 11377  ‘Summae Deus clementïae’ nel seno
 11378  al grande ardore allora udi’ cantando,
 11379  che di volger mi fé caler non meno;
 11380  
 11381  e vidi spirti per la fiamma andando;
 11382  per ch’io guardava a loro e a’ miei passi
 11383  compartendo la vista a quando a quando.
 11384  
 11385  Appresso il fine ch’a quell’ inno fassi,
 11386  gridavano alto: ‘Virum non cognosco’;
 11387  indi ricominciavan l’inno bassi.
 11388  
 11389  Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
 11390  si tenne Diana, ed Elice caccionne
 11391  che di Venere avea sentito il tòsco».
 11392  
 11393  Indi al cantar tornavano; indi donne
 11394  gridavano e mariti che fuor casti
 11395  come virtute e matrimonio imponne.
 11396  
 11397  E questo modo credo che lor basti
 11398  per tutto il tempo che ’l foco li abbruscia:
 11399  con tal cura conviene e con tai pasti
 11400  
 11401  che la piaga da sezzo si ricuscia.
 11402  
 11403  
 11404  
 11405  Purgatorio · Canto XXVI
 11406  
 11407  
 11408  Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro,
 11409  ce n’andavamo, e spesso il buon maestro
 11410  diceami: «Guarda: giovi ch’io ti scaltro»;
 11411  
 11412  feriami il sole in su l’omero destro,
 11413  che già, raggiando, tutto l’occidente
 11414  mutava in bianco aspetto di cilestro;
 11415  
 11416  e io facea con l’ombra più rovente
 11417  parer la fiamma; e pur a tanto indizio
 11418  vidi molt’ ombre, andando, poner mente.
 11419  
 11420  Questa fu la cagion che diede inizio
 11421  loro a parlar di me; e cominciarsi
 11422  a dir: «Colui non par corpo fittizio»;
 11423  
 11424  poi verso me, quanto potëan farsi,
 11425  certi si fero, sempre con riguardo
 11426  di non uscir dove non fosser arsi.
 11427  
 11428  «O tu che vai, non per esser più tardo,
 11429  ma forse reverente, a li altri dopo,
 11430  rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo.
 11431  
 11432  Né solo a me la tua risposta è uopo;
 11433  ché tutti questi n’hanno maggior sete
 11434  che d’acqua fredda Indo o Etïopo.
 11435  
 11436  Dinne com’ è che fai di te parete
 11437  al sol, pur come tu non fossi ancora
 11438  di morte intrato dentro da la rete».
 11439  
 11440  Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora
 11441  già manifesto, s’io non fossi atteso
 11442  ad altra novità ch’apparve allora;
 11443  
 11444  ché per lo mezzo del cammino acceso
 11445  venne gente col viso incontro a questa,
 11446  la qual mi fece a rimirar sospeso.
 11447  
 11448  Lì veggio d’ogne parte farsi presta
 11449  ciascun’ ombra e basciarsi una con una
 11450  sanza restar, contente a brieve festa;
 11451  
 11452  così per entro loro schiera bruna
 11453  s’ammusa l’una con l’altra formica,
 11454  forse a spïar lor via e lor fortuna.
 11455  
 11456  Tosto che parton l’accoglienza amica,
 11457  prima che ’l primo passo lì trascorra,
 11458  sopragridar ciascuna s’affatica:
 11459  
 11460  la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
 11461  e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife,
 11462  perché ’l torello a sua lussuria corra».
 11463  
 11464  Poi, come grue ch’a le montagne Rife
 11465  volasser parte, e parte inver’ l’arene,
 11466  queste del gel, quelle del sole schife,
 11467  
 11468  l’una gente sen va, l’altra sen vene;
 11469  e tornan, lagrimando, a’ primi canti
 11470  e al gridar che più lor si convene;
 11471  
 11472  e raccostansi a me, come davanti,
 11473  essi medesmi che m’avean pregato,
 11474  attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti.
 11475  
 11476  Io, che due volte avea visto lor grato,
 11477  incominciai: «O anime sicure
 11478  d’aver, quando che sia, di pace stato,
 11479  
 11480  non son rimase acerbe né mature
 11481  le membra mie di là, ma son qui meco
 11482  col sangue suo e con le sue giunture.
 11483  
 11484  Quinci sù vo per non esser più cieco;
 11485  donna è di sopra che m’acquista grazia,
 11486  per che ’l mortal per vostro mondo reco.
 11487  
 11488  Ma se la vostra maggior voglia sazia
 11489  tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi
 11490  ch’è pien d’amore e più ampio si spazia,
 11491  
 11492  ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi,
 11493  chi siete voi, e chi è quella turba
 11494  che se ne va di retro a’ vostri terghi».
 11495  
 11496  Non altrimenti stupido si turba
 11497  lo montanaro, e rimirando ammuta,
 11498  quando rozzo e salvatico s’inurba,
 11499  
 11500  che ciascun’ ombra fece in sua paruta;
 11501  ma poi che furon di stupore scarche,
 11502  lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta,
 11503  
 11504  «Beato te, che de le nostre marche»,
 11505  ricominciò colei che pria m’inchiese,
 11506  «per morir meglio, esperïenza imbarche!
 11507  
 11508  La gente che non vien con noi, offese
 11509  di ciò per che già Cesar, trïunfando,
 11510  “Regina” contra sé chiamar s’intese:
 11511  
 11512  però si parton “Soddoma” gridando,
 11513  rimproverando a sé com’ hai udito,
 11514  e aiutan l’arsura vergognando.
 11515  
 11516  Nostro peccato fu ermafrodito;
 11517  ma perché non servammo umana legge,
 11518  seguendo come bestie l’appetito,
 11519  
 11520  in obbrobrio di noi, per noi si legge,
 11521  quando partinci, il nome di colei
 11522  che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge.
 11523  
 11524  Or sai nostri atti e di che fummo rei:
 11525  se forse a nome vuo’ saper chi semo,
 11526  tempo non è di dire, e non saprei.
 11527  
 11528  Farotti ben di me volere scemo:
 11529  son Guido Guinizzelli, e già mi purgo
 11530  per ben dolermi prima ch’a lo stremo».
 11531  
 11532  Quali ne la tristizia di Ligurgo
 11533  si fer due figli a riveder la madre,
 11534  tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo,
 11535  
 11536  quand’ io odo nomar sé stesso il padre
 11537  mio e de li altri miei miglior che mai
 11538  rime d’amore usar dolci e leggiadre;
 11539  
 11540  e sanza udire e dir pensoso andai
 11541  lunga fïata rimirando lui,
 11542  né, per lo foco, in là più m’appressai.
 11543  
 11544  Poi che di riguardar pasciuto fui,
 11545  tutto m’offersi pronto al suo servigio
 11546  con l’affermar che fa credere altrui.
 11547  
 11548  Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio,
 11549  per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,
 11550  che Letè nol può tòrre né far bigio.
 11551  
 11552  Ma se le tue parole or ver giuraro,
 11553  dimmi che è cagion per che dimostri
 11554  nel dire e nel guardar d’avermi caro».
 11555  
 11556  E io a lui: «Li dolci detti vostri,
 11557  che, quanto durerà l’uso moderno,
 11558  faranno cari ancora i loro incostri».
 11559  
 11560  «O frate», disse, «questi ch’io ti cerno
 11561  col dito», e additò un spirto innanzi,
 11562  «fu miglior fabbro del parlar materno.
 11563  
 11564  Versi d’amore e prose di romanzi
 11565  soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
 11566  che quel di Lemosì credon ch’avanzi.
 11567  
 11568  A voce più ch’al ver drizzan li volti,
 11569  e così ferman sua oppinïone
 11570  prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.
 11571  
 11572  Così fer molti antichi di Guittone,
 11573  di grido in grido pur lui dando pregio,
 11574  fin che l’ha vinto il ver con più persone.
 11575  
 11576  Or se tu hai sì ampio privilegio,
 11577  che licito ti sia l’andare al chiostro
 11578  nel quale è Cristo abate del collegio,
 11579  
 11580  falli per me un dir d’un paternostro,
 11581  quanto bisogna a noi di questo mondo,
 11582  dove poter peccar non è più nostro».
 11583  
 11584  Poi, forse per dar luogo altrui secondo
 11585  che presso avea, disparve per lo foco,
 11586  come per l’acqua il pesce andando al fondo.
 11587  
 11588  Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
 11589  e dissi ch’al suo nome il mio disire
 11590  apparecchiava grazïoso loco.
 11591  
 11592  El cominciò liberamente a dire:
 11593  «Tan m’abellis vostre cortes deman,
 11594  qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
 11595  
 11596  Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
 11597  consiros vei la passada folor,
 11598  e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
 11599  
 11600  Ara vos prec, per aquella valor
 11601  que vos guida al som de l’escalina,
 11602  sovenha vos a temps de ma dolor!».
 11603  
 11604  Poi s’ascose nel foco che li affina.
 11605  
 11606  
 11607  
 11608  Purgatorio · Canto XXVII
 11609  
 11610  
 11611  Sì come quando i primi raggi vibra
 11612  là dove il suo fattor lo sangue sparse,
 11613  cadendo Ibero sotto l’alta Libra,
 11614  
 11615  e l’onde in Gange da nona rïarse,
 11616  sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva,
 11617  come l’angel di Dio lieto ci apparse.
 11618  
 11619  Fuor de la fiamma stava in su la riva,
 11620  e cantava ‘Beati mundo corde!’
 11621  in voce assai più che la nostra viva.
 11622  
 11623  Poscia «Più non si va, se pria non morde,
 11624  anime sante, il foco: intrate in esso,
 11625  e al cantar di là non siate sorde»,
 11626  
 11627  ci disse come noi li fummo presso;
 11628  per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi,
 11629  qual è colui che ne la fossa è messo.
 11630  
 11631  In su le man commesse mi protesi,
 11632  guardando il foco e imaginando forte
 11633  umani corpi già veduti accesi.
 11634  
 11635  Volsersi verso me le buone scorte;
 11636  e Virgilio mi disse: «Figliuol mio,
 11637  qui può esser tormento, ma non morte.
 11638  
 11639  Ricorditi, ricorditi! E se io
 11640  sovresso Gerïon ti guidai salvo,
 11641  che farò ora presso più a Dio?
 11642  
 11643  Credi per certo che se dentro a l’alvo
 11644  di questa fiamma stessi ben mille anni,
 11645  non ti potrebbe far d’un capel calvo.
 11646  
 11647  E se tu forse credi ch’io t’inganni,
 11648  fatti ver’ lei, e fatti far credenza
 11649  con le tue mani al lembo d’i tuoi panni.
 11650  
 11651  Pon giù omai, pon giù ogne temenza;
 11652  volgiti in qua e vieni: entra sicuro!».
 11653  E io pur fermo e contra coscïenza.
 11654  
 11655  Quando mi vide star pur fermo e duro,
 11656  turbato un poco disse: «Or vedi, figlio:
 11657  tra Bëatrice e te è questo muro».
 11658  
 11659  Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
 11660  Piramo in su la morte, e riguardolla,
 11661  allor che ’l gelso diventò vermiglio;
 11662  
 11663  così, la mia durezza fatta solla,
 11664  mi volsi al savio duca, udendo il nome
 11665  che ne la mente sempre mi rampolla.
 11666  
 11667  Ond’ ei crollò la fronte e disse: «Come!
 11668  volenci star di qua?»; indi sorrise
 11669  come al fanciul si fa ch’è vinto al pome.
 11670  
 11671  Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
 11672  pregando Stazio che venisse retro,
 11673  che pria per lunga strada ci divise.
 11674  
 11675  Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro
 11676  gittato mi sarei per rinfrescarmi,
 11677  tant’ era ivi lo ’ncendio sanza metro.
 11678  
 11679  Lo dolce padre mio, per confortarmi,
 11680  pur di Beatrice ragionando andava,
 11681  dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi».
 11682  
 11683  Guidavaci una voce che cantava
 11684  di là; e noi, attenti pur a lei,
 11685  venimmo fuor là ove si montava.
 11686  
 11687  ‘Venite, benedicti Patris mei’,
 11688  sonò dentro a un lume che lì era,
 11689  tal che mi vinse e guardar nol potei.
 11690  
 11691  «Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera;
 11692  non v’arrestate, ma studiate il passo,
 11693  mentre che l’occidente non si annera».
 11694  
 11695  Dritta salia la via per entro ’l sasso
 11696  verso tal parte ch’io toglieva i raggi
 11697  dinanzi a me del sol ch’era già basso.
 11698  
 11699  E di pochi scaglion levammo i saggi,
 11700  che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,
 11701  sentimmo dietro e io e li miei saggi.
 11702  
 11703  E pria che ’n tutte le sue parti immense
 11704  fosse orizzonte fatto d’uno aspetto,
 11705  e notte avesse tutte sue dispense,
 11706  
 11707  ciascun di noi d’un grado fece letto;
 11708  ché la natura del monte ci affranse
 11709  la possa del salir più e ’l diletto.
 11710  
 11711  Quali si stanno ruminando manse
 11712  le capre, state rapide e proterve
 11713  sovra le cime avante che sien pranse,
 11714  
 11715  tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
 11716  guardate dal pastor, che ’n su la verga
 11717  poggiato s’è e lor di posa serve;
 11718  
 11719  e quale il mandrïan che fori alberga,
 11720  lungo il pecuglio suo queto pernotta,
 11721  guardando perché fiera non lo sperga;
 11722  
 11723  tali eravamo tutti e tre allotta,
 11724  io come capra, ed ei come pastori,
 11725  fasciati quinci e quindi d’alta grotta.
 11726  
 11727  Poco parer potea lì del di fori;
 11728  ma, per quel poco, vedea io le stelle
 11729  di lor solere e più chiare e maggiori.
 11730  
 11731  Sì ruminando e sì mirando in quelle,
 11732  mi prese il sonno; il sonno che sovente,
 11733  anzi che ’l fatto sia, sa le novelle.
 11734  
 11735  Ne l’ora, credo, che de l’orïente
 11736  prima raggiò nel monte Citerea,
 11737  che di foco d’amor par sempre ardente,
 11738  
 11739  giovane e bella in sogno mi parea
 11740  donna vedere andar per una landa
 11741  cogliendo fiori; e cantando dicea:
 11742  
 11743  «Sappia qualunque il mio nome dimanda
 11744  ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno
 11745  le belle mani a farmi una ghirlanda.
 11746  
 11747  Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno;
 11748  ma mia suora Rachel mai non si smaga
 11749  dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
 11750  
 11751  Ell’ è d’i suoi belli occhi veder vaga
 11752  com’ io de l’addornarmi con le mani;
 11753  lei lo vedere, e me l’ovrare appaga».
 11754  
 11755  E già per li splendori antelucani,
 11756  che tanto a’ pellegrin surgon più grati,
 11757  quanto, tornando, albergan men lontani,
 11758  
 11759  le tenebre fuggian da tutti lati,
 11760  e ’l sonno mio con esse; ond’ io leva’mi,
 11761  veggendo i gran maestri già levati.
 11762  
 11763  «Quel dolce pome che per tanti rami
 11764  cercando va la cura de’ mortali,
 11765  oggi porrà in pace le tue fami».
 11766  
 11767  Virgilio inverso me queste cotali
 11768  parole usò; e mai non furo strenne
 11769  che fosser di piacere a queste iguali.
 11770  
 11771  Tanto voler sopra voler mi venne
 11772  de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi
 11773  al volo mi sentia crescer le penne.
 11774  
 11775  Come la scala tutta sotto noi
 11776  fu corsa e fummo in su ’l grado superno,
 11777  in me ficcò Virgilio li occhi suoi,
 11778  
 11779  e disse: «Il temporal foco e l’etterno
 11780  veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
 11781  dov’ io per me più oltre non discerno.
 11782  
 11783  Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;
 11784  lo tuo piacere omai prendi per duce;
 11785  fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.
 11786  
 11787  Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
 11788  vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
 11789  che qui la terra sol da sé produce.
 11790  
 11791  Mentre che vegnan lieti li occhi belli
 11792  che, lagrimando, a te venir mi fenno,
 11793  seder ti puoi e puoi andar tra elli.
 11794  
 11795  Non aspettar mio dir più né mio cenno;
 11796  libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
 11797  e fallo fora non fare a suo senno:
 11798  
 11799  per ch’io te sovra te corono e mitrio».
 11800  
 11801  
 11802  
 11803  Purgatorio · Canto XXVIII
 11804  
 11805  
 11806  Vago già di cercar dentro e dintorno
 11807  la divina foresta spessa e viva,
 11808  ch’a li occhi temperava il novo giorno,
 11809  
 11810  sanza più aspettar, lasciai la riva,
 11811  prendendo la campagna lento lento
 11812  su per lo suol che d’ogne parte auliva.
 11813  
 11814  Un’aura dolce, sanza mutamento
 11815  avere in sé, mi feria per la fronte
 11816  non di più colpo che soave vento;
 11817  
 11818  per cui le fronde, tremolando, pronte
 11819  tutte quante piegavano a la parte
 11820  u’ la prim’ ombra gitta il santo monte;
 11821  
 11822  non però dal loro esser dritto sparte
 11823  tanto, che li augelletti per le cime
 11824  lasciasser d’operare ogne lor arte;
 11825  
 11826  ma con piena letizia l’ore prime,
 11827  cantando, ricevieno intra le foglie,
 11828  che tenevan bordone a le sue rime,
 11829  
 11830  tal qual di ramo in ramo si raccoglie
 11831  per la pineta in su ’l lito di Chiassi,
 11832  quand’ Ëolo scilocco fuor discioglie.
 11833  
 11834  Già m’avean trasportato i lenti passi
 11835  dentro a la selva antica tanto, ch’io
 11836  non potea rivedere ond’ io mi ’ntrassi;
 11837  
 11838  ed ecco più andar mi tolse un rio,
 11839  che ’nver’ sinistra con sue picciole onde
 11840  piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo.
 11841  
 11842  Tutte l’acque che son di qua più monde,
 11843  parrieno avere in sé mistura alcuna
 11844  verso di quella, che nulla nasconde,
 11845  
 11846  avvegna che si mova bruna bruna
 11847  sotto l’ombra perpetüa, che mai
 11848  raggiar non lascia sole ivi né luna.
 11849  
 11850  Coi piè ristetti e con li occhi passai
 11851  di là dal fiumicello, per mirare
 11852  la gran varïazion d’i freschi mai;
 11853  
 11854  e là m’apparve, sì com’ elli appare
 11855  subitamente cosa che disvia
 11856  per maraviglia tutto altro pensare,
 11857  
 11858  una donna soletta che si gia
 11859  e cantando e scegliendo fior da fiore
 11860  ond’ era pinta tutta la sua via.
 11861  
 11862  «Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
 11863  ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti
 11864  che soglion esser testimon del core,
 11865  
 11866  vegnati in voglia di trarreti avanti»,
 11867  diss’ io a lei, «verso questa rivera,
 11868  tanto ch’io possa intender che tu canti.
 11869  
 11870  Tu mi fai rimembrar dove e qual era
 11871  Proserpina nel tempo che perdette
 11872  la madre lei, ed ella primavera».
 11873  
 11874  Come si volge, con le piante strette
 11875  a terra e intra sé, donna che balli,
 11876  e piede innanzi piede a pena mette,
 11877  
 11878  volsesi in su i vermigli e in su i gialli
 11879  fioretti verso me, non altrimenti
 11880  che vergine che li occhi onesti avvalli;
 11881  
 11882  e fece i prieghi miei esser contenti,
 11883  sì appressando sé, che ’l dolce suono
 11884  veniva a me co’ suoi intendimenti.
 11885  
 11886  Tosto che fu là dove l’erbe sono
 11887  bagnate già da l’onde del bel fiume,
 11888  di levar li occhi suoi mi fece dono.
 11889  
 11890  Non credo che splendesse tanto lume
 11891  sotto le ciglia a Venere, trafitta
 11892  dal figlio fuor di tutto suo costume.
 11893  
 11894  Ella ridea da l’altra riva dritta,
 11895  trattando più color con le sue mani,
 11896  che l’alta terra sanza seme gitta.
 11897  
 11898  Tre passi ci facea il fiume lontani;
 11899  ma Elesponto, là ’ve passò Serse,
 11900  ancora freno a tutti orgogli umani,
 11901  
 11902  più odio da Leandro non sofferse
 11903  per mareggiare intra Sesto e Abido,
 11904  che quel da me perch’ allor non s’aperse.
 11905  
 11906  «Voi siete nuovi, e forse perch’ io rido»,
 11907  cominciò ella, «in questo luogo eletto
 11908  a l’umana natura per suo nido,
 11909  
 11910  maravigliando tienvi alcun sospetto;
 11911  ma luce rende il salmo Delectasti,
 11912  che puote disnebbiar vostro intelletto.
 11913  
 11914  E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
 11915  dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta
 11916  ad ogne tua question tanto che basti».
 11917  
 11918  «L’acqua», diss’ io, «e ’l suon de la foresta
 11919  impugnan dentro a me novella fede
 11920  di cosa ch’io udi’ contraria a questa».
 11921  
 11922  Ond’ ella: «Io dicerò come procede
 11923  per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,
 11924  e purgherò la nebbia che ti fiede.
 11925  
 11926  Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
 11927  fé l’uom buono e a bene, e questo loco
 11928  diede per arr’ a lui d’etterna pace.
 11929  
 11930  Per sua difalta qui dimorò poco;
 11931  per sua difalta in pianto e in affanno
 11932  cambiò onesto riso e dolce gioco.
 11933  
 11934  Perché ’l turbar che sotto da sé fanno
 11935  l’essalazion de l’acqua e de la terra,
 11936  che quanto posson dietro al calor vanno,
 11937  
 11938  a l’uomo non facesse alcuna guerra,
 11939  questo monte salìo verso ’l ciel tanto,
 11940  e libero n’è d’indi ove si serra.
 11941  
 11942  Or perché in circuito tutto quanto
 11943  l’aere si volge con la prima volta,
 11944  se non li è rotto il cerchio d’alcun canto,
 11945  
 11946  in questa altezza ch’è tutta disciolta
 11947  ne l’aere vivo, tal moto percuote,
 11948  e fa sonar la selva perch’ è folta;
 11949  
 11950  e la percossa pianta tanto puote,
 11951  che de la sua virtute l’aura impregna
 11952  e quella poi, girando, intorno scuote;
 11953  
 11954  e l’altra terra, secondo ch’è degna
 11955  per sé e per suo ciel, concepe e figlia
 11956  di diverse virtù diverse legna.
 11957  
 11958  Non parrebbe di là poi maraviglia,
 11959  udito questo, quando alcuna pianta
 11960  sanza seme palese vi s’appiglia.
 11961  
 11962  E saper dei che la campagna santa
 11963  dove tu se’, d’ogne semenza è piena,
 11964  e frutto ha in sé che di là non si schianta.
 11965  
 11966  L’acqua che vedi non surge di vena
 11967  che ristori vapor che gel converta,
 11968  come fiume ch’acquista e perde lena;
 11969  
 11970  ma esce di fontana salda e certa,
 11971  che tanto dal voler di Dio riprende,
 11972  quant’ ella versa da due parti aperta.
 11973  
 11974  Da questa parte con virtù discende
 11975  che toglie altrui memoria del peccato;
 11976  da l’altra d’ogne ben fatto la rende.
 11977  
 11978  Quinci Letè; così da l’altro lato
 11979  Eünoè si chiama, e non adopra
 11980  se quinci e quindi pria non è gustato:
 11981  
 11982  a tutti altri sapori esto è di sopra.
 11983  E avvegna ch’assai possa esser sazia
 11984  la sete tua perch’ io più non ti scuopra,
 11985  
 11986  darotti un corollario ancor per grazia;
 11987  né credo che ’l mio dir ti sia men caro,
 11988  se oltre promession teco si spazia.
 11989  
 11990  Quelli ch’anticamente poetaro
 11991  l’età de l’oro e suo stato felice,
 11992  forse in Parnaso esto loco sognaro.
 11993  
 11994  Qui fu innocente l’umana radice;
 11995  qui primavera sempre e ogne frutto;
 11996  nettare è questo di che ciascun dice».
 11997  
 11998  Io mi rivolsi ’n dietro allora tutto
 11999  a’ miei poeti, e vidi che con riso
 12000  udito avëan l’ultimo costrutto;
 12001  
 12002  poi a la bella donna torna’ il viso.
 12003  
 12004  
 12005  
 12006  Purgatorio · Canto XXIX
 12007  
 12008  
 12009  Cantando come donna innamorata,
 12010  continüò col fin di sue parole:
 12011  ‘Beati quorum tecta sunt peccata!’.
 12012  
 12013  E come ninfe che si givan sole
 12014  per le salvatiche ombre, disïando
 12015  qual di veder, qual di fuggir lo sole,
 12016  
 12017  allor si mosse contra ’l fiume, andando
 12018  su per la riva; e io pari di lei,
 12019  picciol passo con picciol seguitando.
 12020  
 12021  Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei,
 12022  quando le ripe igualmente dier volta,
 12023  per modo ch’a levante mi rendei.
 12024  
 12025  Né ancor fu così nostra via molta,
 12026  quando la donna tutta a me si torse,
 12027  dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta».
 12028  
 12029  Ed ecco un lustro sùbito trascorse
 12030  da tutte parti per la gran foresta,
 12031  tal che di balenar mi mise in forse.
 12032  
 12033  Ma perché ’l balenar, come vien, resta,
 12034  e quel, durando, più e più splendeva,
 12035  nel mio pensier dicea: ‘Che cosa è questa?’.
 12036  
 12037  E una melodia dolce correva
 12038  per l’aere luminoso; onde buon zelo
 12039  mi fé riprender l’ardimento d’Eva,
 12040  
 12041  che là dove ubidia la terra e ’l cielo,
 12042  femmina, sola e pur testé formata,
 12043  non sofferse di star sotto alcun velo;
 12044  
 12045  sotto ’l qual se divota fosse stata,
 12046  avrei quelle ineffabili delizie
 12047  sentite prima e più lunga fïata.
 12048  
 12049  Mentr’ io m’andava tra tante primizie
 12050  de l’etterno piacer tutto sospeso,
 12051  e disïoso ancora a più letizie,
 12052  
 12053  dinanzi a noi, tal quale un foco acceso,
 12054  ci si fé l’aere sotto i verdi rami;
 12055  e ’l dolce suon per canti era già inteso.
 12056  
 12057  O sacrosante Vergini, se fami,
 12058  freddi o vigilie mai per voi soffersi,
 12059  cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami.
 12060  
 12061  Or convien che Elicona per me versi,
 12062  e Uranìe m’aiuti col suo coro
 12063  forti cose a pensar mettere in versi.
 12064  
 12065  Poco più oltre, sette alberi d’oro
 12066  falsava nel parere il lungo tratto
 12067  del mezzo ch’era ancor tra noi e loro;
 12068  
 12069  ma quand’ i’ fui sì presso di lor fatto,
 12070  che l’obietto comun, che ’l senso inganna,
 12071  non perdea per distanza alcun suo atto,
 12072  
 12073  la virtù ch’a ragion discorso ammanna,
 12074  sì com’ elli eran candelabri apprese,
 12075  e ne le voci del cantare ‘Osanna’.
 12076  
 12077  Di sopra fiammeggiava il bello arnese
 12078  più chiaro assai che luna per sereno
 12079  di mezza notte nel suo mezzo mese.
 12080  
 12081  Io mi rivolsi d’ammirazion pieno
 12082  al buon Virgilio, ed esso mi rispuose
 12083  con vista carca di stupor non meno.
 12084  
 12085  Indi rendei l’aspetto a l’alte cose
 12086  che si movieno incontr’ a noi sì tardi,
 12087  che foran vinte da novelle spose.
 12088  
 12089  La donna mi sgridò: «Perché pur ardi
 12090  sì ne l’affetto de le vive luci,
 12091  e ciò che vien di retro a lor non guardi?».
 12092  
 12093  Genti vid’ io allor, come a lor duci,
 12094  venire appresso, vestite di bianco;
 12095  e tal candor di qua già mai non fuci.
 12096  
 12097  L’acqua imprendëa dal sinistro fianco,
 12098  e rendea me la mia sinistra costa,
 12099  s’io riguardava in lei, come specchio anco.
 12100  
 12101  Quand’ io da la mia riva ebbi tal posta,
 12102  che solo il fiume mi facea distante,
 12103  per veder meglio ai passi diedi sosta,
 12104  
 12105  e vidi le fiammelle andar davante,
 12106  lasciando dietro a sé l’aere dipinto,
 12107  e di tratti pennelli avean sembiante;
 12108  
 12109  sì che lì sopra rimanea distinto
 12110  di sette liste, tutte in quei colori
 12111  onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto.
 12112  
 12113  Questi ostendali in dietro eran maggiori
 12114  che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
 12115  diece passi distavan quei di fori.
 12116  
 12117  Sotto così bel ciel com’ io diviso,
 12118  ventiquattro seniori, a due a due,
 12119  coronati venien di fiordaliso.
 12120  
 12121  Tutti cantavan: «Benedicta tue
 12122  ne le figlie d’Adamo, e benedette
 12123  sieno in etterno le bellezze tue!».
 12124  
 12125  Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette
 12126  a rimpetto di me da l’altra sponda
 12127  libere fuor da quelle genti elette,
 12128  
 12129  sì come luce luce in ciel seconda,
 12130  vennero appresso lor quattro animali,
 12131  coronati ciascun di verde fronda.
 12132  
 12133  Ognuno era pennuto di sei ali;
 12134  le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo,
 12135  se fosser vivi, sarebber cotali.
 12136  
 12137  A descriver lor forme più non spargo
 12138  rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne,
 12139  tanto ch’a questa non posso esser largo;
 12140  
 12141  ma leggi Ezechïel, che li dipigne
 12142  come li vide da la fredda parte
 12143  venir con vento e con nube e con igne;
 12144  
 12145  e quali i troverai ne le sue carte,
 12146  tali eran quivi, salvo ch’a le penne
 12147  Giovanni è meco e da lui si diparte.
 12148  
 12149  Lo spazio dentro a lor quattro contenne
 12150  un carro, in su due rote, trïunfale,
 12151  ch’al collo d’un grifon tirato venne.
 12152  
 12153  Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale
 12154  tra la mezzana e le tre e tre liste,
 12155  sì ch’a nulla, fendendo, facea male.
 12156  
 12157  Tanto salivan che non eran viste;
 12158  le membra d’oro avea quant’ era uccello,
 12159  e bianche l’altre, di vermiglio miste.
 12160  
 12161  Non che Roma di carro così bello
 12162  rallegrasse Affricano, o vero Augusto,
 12163  ma quel del Sol saria pover con ello;
 12164  
 12165  quel del Sol che, svïando, fu combusto
 12166  per l’orazion de la Terra devota,
 12167  quando fu Giove arcanamente giusto.
 12168  
 12169  Tre donne in giro da la destra rota
 12170  venian danzando; l’una tanto rossa
 12171  ch’a pena fora dentro al foco nota;
 12172  
 12173  l’altr’ era come se le carni e l’ossa
 12174  fossero state di smeraldo fatte;
 12175  la terza parea neve testé mossa;
 12176  
 12177  e or parëan da la bianca tratte,
 12178  or da la rossa; e dal canto di questa
 12179  l’altre toglien l’andare e tarde e ratte.
 12180  
 12181  Da la sinistra quattro facean festa,
 12182  in porpore vestite, dietro al modo
 12183  d’una di lor ch’avea tre occhi in testa.
 12184  
 12185  Appresso tutto il pertrattato nodo
 12186  vidi due vecchi in abito dispari,
 12187  ma pari in atto e onesto e sodo.
 12188  
 12189  L’un si mostrava alcun de’ famigliari
 12190  di quel sommo Ipocràte che natura
 12191  a li animali fé ch’ell’ ha più cari;
 12192  
 12193  mostrava l’altro la contraria cura
 12194  con una spada lucida e aguta,
 12195  tal che di qua dal rio mi fé paura.
 12196  
 12197  Poi vidi quattro in umile paruta;
 12198  e di retro da tutti un vecchio solo
 12199  venir, dormendo, con la faccia arguta.
 12200  
 12201  E questi sette col primaio stuolo
 12202  erano abitüati, ma di gigli
 12203  dintorno al capo non facëan brolo,
 12204  
 12205  anzi di rose e d’altri fior vermigli;
 12206  giurato avria poco lontano aspetto
 12207  che tutti ardesser di sopra da’ cigli.
 12208  
 12209  E quando il carro a me fu a rimpetto,
 12210  un tuon s’udì, e quelle genti degne
 12211  parvero aver l’andar più interdetto,
 12212  
 12213  fermandosi ivi con le prime insegne.
 12214  
 12215  
 12216  
 12217  Purgatorio · Canto XXX
 12218  
 12219  
 12220  Quando il settentrïon del primo cielo,
 12221  che né occaso mai seppe né orto
 12222  né d’altra nebbia che di colpa velo,
 12223  
 12224  e che faceva lì ciascun accorto
 12225  di suo dover, come ’l più basso face
 12226  qual temon gira per venire a porto,
 12227  
 12228  fermo s’affisse: la gente verace,
 12229  venuta prima tra ’l grifone ed esso,
 12230  al carro volse sé come a sua pace;
 12231  
 12232  e un di loro, quasi da ciel messo,
 12233  ‘Veni, sponsa, de Libano’ cantando
 12234  gridò tre volte, e tutti li altri appresso.
 12235  
 12236  Quali i beati al novissimo bando
 12237  surgeran presti ognun di sua caverna,
 12238  la revestita voce alleluiando,
 12239  
 12240  cotali in su la divina basterna
 12241  si levar cento, ad vocem tanti senis,
 12242  ministri e messaggier di vita etterna.
 12243  
 12244  Tutti dicean: ‘Benedictus qui venis!’,
 12245  e fior gittando e di sopra e dintorno,
 12246  ‘Manibus, oh, date lilïa plenis!’.
 12247  
 12248  Io vidi già nel cominciar del giorno
 12249  la parte orïental tutta rosata,
 12250  e l’altro ciel di bel sereno addorno;
 12251  
 12252  e la faccia del sol nascere ombrata,
 12253  sì che per temperanza di vapori
 12254  l’occhio la sostenea lunga fïata:
 12255  
 12256  così dentro una nuvola di fiori
 12257  che da le mani angeliche saliva
 12258  e ricadeva in giù dentro e di fori,
 12259  
 12260  sovra candido vel cinta d’uliva
 12261  donna m’apparve, sotto verde manto
 12262  vestita di color di fiamma viva.
 12263  
 12264  E lo spirito mio, che già cotanto
 12265  tempo era stato ch’a la sua presenza
 12266  non era di stupor, tremando, affranto,
 12267  
 12268  sanza de li occhi aver più conoscenza,
 12269  per occulta virtù che da lei mosse,
 12270  d’antico amor sentì la gran potenza.
 12271  
 12272  Tosto che ne la vista mi percosse
 12273  l’alta virtù che già m’avea trafitto
 12274  prima ch’io fuor di püerizia fosse,
 12275  
 12276  volsimi a la sinistra col respitto
 12277  col quale il fantolin corre a la mamma
 12278  quando ha paura o quando elli è afflitto,
 12279  
 12280  per dicere a Virgilio: ‘Men che dramma
 12281  di sangue m’è rimaso che non tremi:
 12282  conosco i segni de l’antica fiamma’.
 12283  
 12284  Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
 12285  di sé, Virgilio dolcissimo patre,
 12286  Virgilio a cui per mia salute die’mi;
 12287  
 12288  né quantunque perdeo l’antica matre,
 12289  valse a le guance nette di rugiada,
 12290  che, lagrimando, non tornasser atre.
 12291  
 12292  «Dante, perché Virgilio se ne vada,
 12293  non pianger anco, non piangere ancora;
 12294  ché pianger ti conven per altra spada».
 12295  
 12296  Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
 12297  viene a veder la gente che ministra
 12298  per li altri legni, e a ben far l’incora;
 12299  
 12300  in su la sponda del carro sinistra,
 12301  quando mi volsi al suon del nome mio,
 12302  che di necessità qui si registra,
 12303  
 12304  vidi la donna che pria m’appario
 12305  velata sotto l’angelica festa,
 12306  drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.
 12307  
 12308  Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
 12309  cerchiato de le fronde di Minerva,
 12310  non la lasciasse parer manifesta,
 12311  
 12312  regalmente ne l’atto ancor proterva
 12313  continüò come colui che dice
 12314  e ’l più caldo parlar dietro reserva:
 12315  
 12316  «Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
 12317  Come degnasti d’accedere al monte?
 12318  non sapei tu che qui è l’uom felice?».
 12319  
 12320  Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
 12321  ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
 12322  tanta vergogna mi gravò la fronte.
 12323  
 12324  Così la madre al figlio par superba,
 12325  com’ ella parve a me; perché d’amaro
 12326  sente il sapor de la pietade acerba.
 12327  
 12328  Ella si tacque; e li angeli cantaro
 12329  di sùbito ‘In te, Domine, speravi’;
 12330  ma oltre ‘pedes meos’ non passaro.
 12331  
 12332  Sì come neve tra le vive travi
 12333  per lo dosso d’Italia si congela,
 12334  soffiata e stretta da li venti schiavi,
 12335  
 12336  poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
 12337  pur che la terra che perde ombra spiri,
 12338  sì che par foco fonder la candela;
 12339  
 12340  così fui sanza lagrime e sospiri
 12341  anzi ’l cantar di quei che notan sempre
 12342  dietro a le note de li etterni giri;
 12343  
 12344  ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre
 12345  lor compatire a me, par che se detto
 12346  avesser: ‘Donna, perché sì lo stempre?’,
 12347  
 12348  lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
 12349  spirito e acqua fessi, e con angoscia
 12350  de la bocca e de li occhi uscì del petto.
 12351  
 12352  Ella, pur ferma in su la detta coscia
 12353  del carro stando, a le sustanze pie
 12354  volse le sue parole così poscia:
 12355  
 12356  «Voi vigilate ne l’etterno die,
 12357  sì che notte né sonno a voi non fura
 12358  passo che faccia il secol per sue vie;
 12359  
 12360  onde la mia risposta è con più cura
 12361  che m’intenda colui che di là piagne,
 12362  perché sia colpa e duol d’una misura.
 12363  
 12364  Non pur per ovra de le rote magne,
 12365  che drizzan ciascun seme ad alcun fine
 12366  secondo che le stelle son compagne,
 12367  
 12368  ma per larghezza di grazie divine,
 12369  che sì alti vapori hanno a lor piova,
 12370  che nostre viste là non van vicine,
 12371  
 12372  questi fu tal ne la sua vita nova
 12373  virtüalmente, ch’ogne abito destro
 12374  fatto averebbe in lui mirabil prova.
 12375  
 12376  Ma tanto più maligno e più silvestro
 12377  si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
 12378  quant’ elli ha più di buon vigor terrestro.
 12379  
 12380  Alcun tempo il sostenni col mio volto:
 12381  mostrando li occhi giovanetti a lui,
 12382  meco il menava in dritta parte vòlto.
 12383  
 12384  Sì tosto come in su la soglia fui
 12385  di mia seconda etade e mutai vita,
 12386  questi si tolse a me, e diessi altrui.
 12387  
 12388  Quando di carne a spirto era salita,
 12389  e bellezza e virtù cresciuta m’era,
 12390  fu’ io a lui men cara e men gradita;
 12391  
 12392  e volse i passi suoi per via non vera,
 12393  imagini di ben seguendo false,
 12394  che nulla promession rendono intera.
 12395  
 12396  Né l’impetrare ispirazion mi valse,
 12397  con le quali e in sogno e altrimenti
 12398  lo rivocai: sì poco a lui ne calse!
 12399  
 12400  Tanto giù cadde, che tutti argomenti
 12401  a la salute sua eran già corti,
 12402  fuor che mostrarli le perdute genti.
 12403  
 12404  Per questo visitai l’uscio d’i morti,
 12405  e a colui che l’ha qua sù condotto,
 12406  li prieghi miei, piangendo, furon porti.
 12407  
 12408  Alto fato di Dio sarebbe rotto,
 12409  se Letè si passasse e tal vivanda
 12410  fosse gustata sanza alcuno scotto
 12411  
 12412  di pentimento che lagrime spanda».
 12413  
 12414  
 12415  
 12416  Purgatorio · Canto XXXI
 12417  
 12418  
 12419  «O tu che se’ di là dal fiume sacro»,
 12420  volgendo suo parlare a me per punta,
 12421  che pur per taglio m’era paruto acro,
 12422  
 12423  ricominciò, seguendo sanza cunta,
 12424  «dì, dì se questo è vero: a tanta accusa
 12425  tua confession conviene esser congiunta».
 12426  
 12427  Era la mia virtù tanto confusa,
 12428  che la voce si mosse, e pria si spense
 12429  che da li organi suoi fosse dischiusa.
 12430  
 12431  Poco sofferse; poi disse: «Che pense?
 12432  Rispondi a me; ché le memorie triste
 12433  in te non sono ancor da l’acqua offense».
 12434  
 12435  Confusione e paura insieme miste
 12436  mi pinsero un tal «sì» fuor de la bocca,
 12437  al quale intender fuor mestier le viste.
 12438  
 12439  Come balestro frange, quando scocca
 12440  da troppa tesa, la sua corda e l’arco,
 12441  e con men foga l’asta il segno tocca,
 12442  
 12443  sì scoppia’ io sottesso grave carco,
 12444  fuori sgorgando lagrime e sospiri,
 12445  e la voce allentò per lo suo varco.
 12446  
 12447  Ond’ ella a me: «Per entro i mie’ disiri,
 12448  che ti menavano ad amar lo bene
 12449  di là dal qual non è a che s’aspiri,
 12450  
 12451  quai fossi attraversati o quai catene
 12452  trovasti, per che del passare innanzi
 12453  dovessiti così spogliar la spene?
 12454  
 12455  E quali agevolezze o quali avanzi
 12456  ne la fronte de li altri si mostraro,
 12457  per che dovessi lor passeggiare anzi?».
 12458  
 12459  Dopo la tratta d’un sospiro amaro,
 12460  a pena ebbi la voce che rispuose,
 12461  e le labbra a fatica la formaro.
 12462  
 12463  Piangendo dissi: «Le presenti cose
 12464  col falso lor piacer volser miei passi,
 12465  tosto che ’l vostro viso si nascose».
 12466  
 12467  Ed ella: «Se tacessi o se negassi
 12468  ciò che confessi, non fora men nota
 12469  la colpa tua: da tal giudice sassi!
 12470  
 12471  Ma quando scoppia de la propria gota
 12472  l’accusa del peccato, in nostra corte
 12473  rivolge sé contra ’l taglio la rota.
 12474  
 12475  Tuttavia, perché mo vergogna porte
 12476  del tuo errore, e perché altra volta,
 12477  udendo le serene, sie più forte,
 12478  
 12479  pon giù il seme del piangere e ascolta:
 12480  sì udirai come in contraria parte
 12481  mover dovieti mia carne sepolta.
 12482  
 12483  Mai non t’appresentò natura o arte
 12484  piacer, quanto le belle membra in ch’io
 12485  rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;
 12486  
 12487  e se ’l sommo piacer sì ti fallio
 12488  per la mia morte, qual cosa mortale
 12489  dovea poi trarre te nel suo disio?
 12490  
 12491  Ben ti dovevi, per lo primo strale
 12492  de le cose fallaci, levar suso
 12493  di retro a me che non era più tale.
 12494  
 12495  Non ti dovea gravar le penne in giuso,
 12496  ad aspettar più colpo, o pargoletta
 12497  o altra novità con sì breve uso.
 12498  
 12499  Novo augelletto due o tre aspetta;
 12500  ma dinanzi da li occhi d’i pennuti
 12501  rete si spiega indarno o si saetta».
 12502  
 12503  Quali fanciulli, vergognando, muti
 12504  con li occhi a terra stannosi, ascoltando
 12505  e sé riconoscendo e ripentuti,
 12506  
 12507  tal mi stav’ io; ed ella disse: «Quando
 12508  per udir se’ dolente, alza la barba,
 12509  e prenderai più doglia riguardando».
 12510  
 12511  Con men di resistenza si dibarba
 12512  robusto cerro, o vero al nostral vento
 12513  o vero a quel de la terra di Iarba,
 12514  
 12515  ch’io non levai al suo comando il mento;
 12516  e quando per la barba il viso chiese,
 12517  ben conobbi il velen de l’argomento.
 12518  
 12519  E come la mia faccia si distese,
 12520  posarsi quelle prime creature
 12521  da loro aspersïon l’occhio comprese;
 12522  
 12523  e le mie luci, ancor poco sicure,
 12524  vider Beatrice volta in su la fiera
 12525  ch’è sola una persona in due nature.
 12526  
 12527  Sotto ’l suo velo e oltre la rivera
 12528  vincer pariemi più sé stessa antica,
 12529  vincer che l’altre qui, quand’ ella c’era.
 12530  
 12531  Di penter sì mi punse ivi l’ortica,
 12532  che di tutte altre cose qual mi torse
 12533  più nel suo amor, più mi si fé nemica.
 12534  
 12535  Tanta riconoscenza il cor mi morse,
 12536  ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,
 12537  salsi colei che la cagion mi porse.
 12538  
 12539  Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
 12540  la donna ch’io avea trovata sola
 12541  sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!».
 12542  
 12543  Tratto m’avea nel fiume infin la gola,
 12544  e tirandosi me dietro sen giva
 12545  sovresso l’acqua lieve come scola.
 12546  
 12547  Quando fui presso a la beata riva,
 12548  ‘Asperges me’ sì dolcemente udissi,
 12549  che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.
 12550  
 12551  La bella donna ne le braccia aprissi;
 12552  abbracciommi la testa e mi sommerse
 12553  ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.
 12554  
 12555  Indi mi tolse, e bagnato m’offerse
 12556  dentro a la danza de le quattro belle;
 12557  e ciascuna del braccio mi coperse.
 12558  
 12559  «Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
 12560  pria che Beatrice discendesse al mondo,
 12561  fummo ordinate a lei per sue ancelle.
 12562  
 12563  Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo
 12564  lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi
 12565  le tre di là, che miran più profondo».
 12566  
 12567  Così cantando cominciaro; e poi
 12568  al petto del grifon seco menarmi,
 12569  ove Beatrice stava volta a noi.
 12570  
 12571  Disser: «Fa che le viste non risparmi;
 12572  posto t’avem dinanzi a li smeraldi
 12573  ond’ Amor già ti trasse le sue armi».
 12574  
 12575  Mille disiri più che fiamma caldi
 12576  strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,
 12577  che pur sopra ’l grifone stavan saldi.
 12578  
 12579  Come in lo specchio il sol, non altrimenti
 12580  la doppia fiera dentro vi raggiava,
 12581  or con altri, or con altri reggimenti.
 12582  
 12583  Pensa, lettor, s’io mi maravigliava,
 12584  quando vedea la cosa in sé star queta,
 12585  e ne l’idolo suo si trasmutava.
 12586  
 12587  Mentre che piena di stupore e lieta
 12588  l’anima mia gustava di quel cibo
 12589  che, saziando di sé, di sé asseta,
 12590  
 12591  sé dimostrando di più alto tribo
 12592  ne li atti, l’altre tre si fero avanti,
 12593  danzando al loro angelico caribo.
 12594  
 12595  «Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi»,
 12596  era la sua canzone, «al tuo fedele
 12597  che, per vederti, ha mossi passi tanti!
 12598  
 12599  Per grazia fa noi grazia che disvele
 12600  a lui la bocca tua, sì che discerna
 12601  la seconda bellezza che tu cele».
 12602  
 12603  O isplendor di viva luce etterna,
 12604  chi palido si fece sotto l’ombra
 12605  sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
 12606  
 12607  che non paresse aver la mente ingombra,
 12608  tentando a render te qual tu paresti
 12609  là dove armonizzando il ciel t’adombra,
 12610  
 12611  quando ne l’aere aperto ti solvesti?
 12612  
 12613  
 12614  
 12615  Purgatorio · Canto XXXII
 12616  
 12617  
 12618  Tant’ eran li occhi miei fissi e attenti
 12619  a disbramarsi la decenne sete,
 12620  che li altri sensi m’eran tutti spenti.
 12621  
 12622  Ed essi quinci e quindi avien parete
 12623  di non caler—così lo santo riso
 12624  a sé traéli con l’antica rete!—;
 12625  
 12626  quando per forza mi fu vòlto il viso
 12627  ver’ la sinistra mia da quelle dee,
 12628  perch’ io udi’ da loro un «Troppo fiso!»;
 12629  
 12630  e la disposizion ch’a veder èe
 12631  ne li occhi pur testé dal sol percossi,
 12632  sanza la vista alquanto esser mi fée.
 12633  
 12634  Ma poi ch’al poco il viso riformossi
 12635  (e dico ‘al poco’ per rispetto al molto
 12636  sensibile onde a forza mi rimossi),
 12637  
 12638  vidi ’n sul braccio destro esser rivolto
 12639  lo glorïoso essercito, e tornarsi
 12640  col sole e con le sette fiamme al volto.
 12641  
 12642  Come sotto li scudi per salvarsi
 12643  volgesi schiera, e sé gira col segno,
 12644  prima che possa tutta in sé mutarsi;
 12645  
 12646  quella milizia del celeste regno
 12647  che procedeva, tutta trapassonne
 12648  pria che piegasse il carro il primo legno.
 12649  
 12650  Indi a le rote si tornar le donne,
 12651  e ’l grifon mosse il benedetto carco
 12652  sì, che però nulla penna crollonne.
 12653  
 12654  La bella donna che mi trasse al varco
 12655  e Stazio e io seguitavam la rota
 12656  che fé l’orbita sua con minore arco.
 12657  
 12658  Sì passeggiando l’alta selva vòta,
 12659  colpa di quella ch’al serpente crese,
 12660  temprava i passi un’angelica nota.
 12661  
 12662  Forse in tre voli tanto spazio prese
 12663  disfrenata saetta, quanto eramo
 12664  rimossi, quando Bëatrice scese.
 12665  
 12666  Io senti’ mormorare a tutti «Adamo»;
 12667  poi cerchiaro una pianta dispogliata
 12668  di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.
 12669  
 12670  La coma sua, che tanto si dilata
 12671  più quanto più è sù, fora da l’Indi
 12672  ne’ boschi lor per altezza ammirata.
 12673  
 12674  «Beato se’, grifon, che non discindi
 12675  col becco d’esto legno dolce al gusto,
 12676  poscia che mal si torce il ventre quindi».
 12677  
 12678  Così dintorno a l’albero robusto
 12679  gridaron li altri; e l’animal binato:
 12680  «Sì si conserva il seme d’ogne giusto».
 12681  
 12682  E vòlto al temo ch’elli avea tirato,
 12683  trasselo al piè de la vedova frasca,
 12684  e quel di lei a lei lasciò legato.
 12685  
 12686  Come le nostre piante, quando casca
 12687  giù la gran luce mischiata con quella
 12688  che raggia dietro a la celeste lasca,
 12689  
 12690  turgide fansi, e poi si rinovella
 12691  di suo color ciascuna, pria che ’l sole
 12692  giunga li suoi corsier sotto altra stella;
 12693  
 12694  men che di rose e più che di vïole
 12695  colore aprendo, s’innovò la pianta,
 12696  che prima avea le ramora sì sole.
 12697  
 12698  Io non lo ’ntesi, né qui non si canta
 12699  l’inno che quella gente allor cantaro,
 12700  né la nota soffersi tutta quanta.
 12701  
 12702  S’io potessi ritrar come assonnaro
 12703  li occhi spietati udendo di Siringa,
 12704  li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro;
 12705  
 12706  come pintor che con essempro pinga,
 12707  disegnerei com’ io m’addormentai;
 12708  ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga.
 12709  
 12710  Però trascorro a quando mi svegliai,
 12711  e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo
 12712  del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?».
 12713  
 12714  Quali a veder de’ fioretti del melo
 12715  che del suo pome li angeli fa ghiotti
 12716  e perpetüe nozze fa nel cielo,
 12717  
 12718  Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
 12719  e vinti, ritornaro a la parola
 12720  da la qual furon maggior sonni rotti,
 12721  
 12722  e videro scemata loro scuola
 12723  così di Moïsè come d’Elia,
 12724  e al maestro suo cangiata stola;
 12725  
 12726  tal torna’ io, e vidi quella pia
 12727  sovra me starsi che conducitrice
 12728  fu de’ miei passi lungo ’l fiume pria.
 12729  
 12730  E tutto in dubbio dissi: «Ov’ è Beatrice?».
 12731  Ond’ ella: «Vedi lei sotto la fronda
 12732  nova sedere in su la sua radice.
 12733  
 12734  Vedi la compagnia che la circonda:
 12735  li altri dopo ’l grifon sen vanno suso
 12736  con più dolce canzone e più profonda».
 12737  
 12738  E se più fu lo suo parlar diffuso,
 12739  non so, però che già ne li occhi m’era
 12740  quella ch’ad altro intender m’avea chiuso.
 12741  
 12742  Sola sedeasi in su la terra vera,
 12743  come guardia lasciata lì del plaustro
 12744  che legar vidi a la biforme fera.
 12745  
 12746  In cerchio le facevan di sé claustro
 12747  le sette ninfe, con quei lumi in mano
 12748  che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.
 12749  
 12750  «Qui sarai tu poco tempo silvano;
 12751  e sarai meco sanza fine cive
 12752  di quella Roma onde Cristo è romano.
 12753  
 12754  Però, in pro del mondo che mal vive,
 12755  al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
 12756  ritornato di là, fa che tu scrive».
 12757  
 12758  Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi
 12759  d’i suoi comandamenti era divoto,
 12760  la mente e li occhi ov’ ella volle diedi.
 12761  
 12762  Non scese mai con sì veloce moto
 12763  foco di spessa nube, quando piove
 12764  da quel confine che più va remoto,
 12765  
 12766  com’ io vidi calar l’uccel di Giove
 12767  per l’alber giù, rompendo de la scorza,
 12768  non che d’i fiori e de le foglie nove;
 12769  
 12770  e ferì ’l carro di tutta sua forza;
 12771  ond’ el piegò come nave in fortuna,
 12772  vinta da l’onda, or da poggia, or da orza.
 12773  
 12774  Poscia vidi avventarsi ne la cuna
 12775  del trïunfal veiculo una volpe
 12776  che d’ogne pasto buon parea digiuna;
 12777  
 12778  ma, riprendendo lei di laide colpe,
 12779  la donna mia la volse in tanta futa
 12780  quanto sofferser l’ossa sanza polpe.
 12781  
 12782  Poscia per indi ond’ era pria venuta,
 12783  l’aguglia vidi scender giù ne l’arca
 12784  del carro e lasciar lei di sé pennuta;
 12785  
 12786  e qual esce di cuor che si rammarca,
 12787  tal voce uscì del cielo e cotal disse:
 12788  «O navicella mia, com’ mal se’ carca!».
 12789  
 12790  Poi parve a me che la terra s’aprisse
 12791  tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
 12792  che per lo carro sù la coda fisse;
 12793  
 12794  e come vespa che ritragge l’ago,
 12795  a sé traendo la coda maligna,
 12796  trasse del fondo, e gissen vago vago.
 12797  
 12798  Quel che rimase, come da gramigna
 12799  vivace terra, da la piuma, offerta
 12800  forse con intenzion sana e benigna,
 12801  
 12802  si ricoperse, e funne ricoperta
 12803  e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto
 12804  che più tiene un sospir la bocca aperta.
 12805  
 12806  Trasformato così ’l dificio santo
 12807  mise fuor teste per le parti sue,
 12808  tre sovra ’l temo e una in ciascun canto.
 12809  
 12810  Le prime eran cornute come bue,
 12811  ma le quattro un sol corno avean per fronte:
 12812  simile mostro visto ancor non fue.
 12813  
 12814  Sicura, quasi rocca in alto monte,
 12815  seder sovresso una puttana sciolta
 12816  m’apparve con le ciglia intorno pronte;
 12817  
 12818  e come perché non li fosse tolta,
 12819  vidi di costa a lei dritto un gigante;
 12820  e basciavansi insieme alcuna volta.
 12821  
 12822  Ma perché l’occhio cupido e vagante
 12823  a me rivolse, quel feroce drudo
 12824  la flagellò dal capo infin le piante;
 12825  
 12826  poi, di sospetto pieno e d’ira crudo,
 12827  disciolse il mostro, e trassel per la selva,
 12828  tanto che sol di lei mi fece scudo
 12829  
 12830  a la puttana e a la nova belva.
 12831  
 12832  
 12833  
 12834  Purgatorio · Canto XXXIII
 12835  
 12836  
 12837  ‘Deus, venerunt gentes’, alternando
 12838  or tre or quattro dolce salmodia,
 12839  le donne incominciaro, e lagrimando;
 12840  
 12841  e Bëatrice, sospirosa e pia,
 12842  quelle ascoltava sì fatta, che poco
 12843  più a la croce si cambiò Maria.
 12844  
 12845  Ma poi che l’altre vergini dier loco
 12846  a lei di dir, levata dritta in pè,
 12847  rispuose, colorata come foco:
 12848  
 12849  ‘Modicum, et non videbitis me;
 12850  et iterum, sorelle mie dilette,
 12851  modicum, et vos videbitis me’.
 12852  
 12853  Poi le si mise innanzi tutte e sette,
 12854  e dopo sé, solo accennando, mosse
 12855  me e la donna e ’l savio che ristette.
 12856  
 12857  Così sen giva; e non credo che fosse
 12858  lo decimo suo passo in terra posto,
 12859  quando con li occhi li occhi mi percosse;
 12860  
 12861  e con tranquillo aspetto «Vien più tosto»,
 12862  mi disse, «tanto che, s’io parlo teco,
 12863  ad ascoltarmi tu sie ben disposto».
 12864  
 12865  Sì com’ io fui, com’ io dovëa, seco,
 12866  dissemi: «Frate, perché non t’attenti
 12867  a domandarmi omai venendo meco?».
 12868  
 12869  Come a color che troppo reverenti
 12870  dinanzi a suo maggior parlando sono,
 12871  che non traggon la voce viva ai denti,
 12872  
 12873  avvenne a me, che sanza intero suono
 12874  incominciai: «Madonna, mia bisogna
 12875  voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono».
 12876  
 12877  Ed ella a me: «Da tema e da vergogna
 12878  voglio che tu omai ti disviluppe,
 12879  sì che non parli più com’ om che sogna.
 12880  
 12881  Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe,
 12882  fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda
 12883  che vendetta di Dio non teme suppe.
 12884  
 12885  Non sarà tutto tempo sanza reda
 12886  l’aguglia che lasciò le penne al carro,
 12887  per che divenne mostro e poscia preda;
 12888  
 12889  ch’io veggio certamente, e però il narro,
 12890  a darne tempo già stelle propinque,
 12891  secure d’ogn’ intoppo e d’ogne sbarro,
 12892  
 12893  nel quale un cinquecento diece e cinque,
 12894  messo di Dio, anciderà la fuia
 12895  con quel gigante che con lei delinque.
 12896  
 12897  E forse che la mia narrazion buia,
 12898  qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
 12899  perch’ a lor modo lo ’ntelletto attuia;
 12900  
 12901  ma tosto fier li fatti le Naiade,
 12902  che solveranno questo enigma forte
 12903  sanza danno di pecore o di biade.
 12904  
 12905  Tu nota; e sì come da me son porte,
 12906  così queste parole segna a’ vivi
 12907  del viver ch’è un correre a la morte.
 12908  
 12909  E aggi a mente, quando tu le scrivi,
 12910  di non celar qual hai vista la pianta
 12911  ch’è or due volte dirubata quivi.
 12912  
 12913  Qualunque ruba quella o quella schianta,
 12914  con bestemmia di fatto offende a Dio,
 12915  che solo a l’uso suo la creò santa.
 12916  
 12917  Per morder quella, in pena e in disio
 12918  cinquemilia anni e più l’anima prima
 12919  bramò colui che ’l morso in sé punio.
 12920  
 12921  Dorme lo ’ngegno tuo, se non estima
 12922  per singular cagione esser eccelsa
 12923  lei tanto e sì travolta ne la cima.
 12924  
 12925  E se stati non fossero acqua d’Elsa
 12926  li pensier vani intorno a la tua mente,
 12927  e ’l piacer loro un Piramo a la gelsa,
 12928  
 12929  per tante circostanze solamente
 12930  la giustizia di Dio, ne l’interdetto,
 12931  conosceresti a l’arbor moralmente.
 12932  
 12933  Ma perch’ io veggio te ne lo ’ntelletto
 12934  fatto di pietra e, impetrato, tinto,
 12935  sì che t’abbaglia il lume del mio detto,
 12936  
 12937  voglio anco, e se non scritto, almen dipinto,
 12938  che ’l te ne porti dentro a te per quello
 12939  che si reca il bordon di palma cinto».
 12940  
 12941  E io: «Sì come cera da suggello,
 12942  che la figura impressa non trasmuta,
 12943  segnato è or da voi lo mio cervello.
 12944  
 12945  Ma perché tanto sovra mia veduta
 12946  vostra parola disïata vola,
 12947  che più la perde quanto più s’aiuta?».
 12948  
 12949  «Perché conoschi», disse, «quella scuola
 12950  c’hai seguitata, e veggi sua dottrina
 12951  come può seguitar la mia parola;
 12952  
 12953  e veggi vostra via da la divina
 12954  distar cotanto, quanto si discorda
 12955  da terra il ciel che più alto festina».
 12956  
 12957  Ond’ io rispuosi lei: «Non mi ricorda
 12958  ch’i’ stranïasse me già mai da voi,
 12959  né honne coscïenza che rimorda».
 12960  
 12961  «E se tu ricordar non te ne puoi»,
 12962  sorridendo rispuose, «or ti rammenta
 12963  come bevesti di Letè ancoi;
 12964  
 12965  e se dal fummo foco s’argomenta,
 12966  cotesta oblivïon chiaro conchiude
 12967  colpa ne la tua voglia altrove attenta.
 12968  
 12969  Veramente oramai saranno nude
 12970  le mie parole, quanto converrassi
 12971  quelle scovrire a la tua vista rude».
 12972  
 12973  E più corusco e con più lenti passi
 12974  teneva il sole il cerchio di merigge,
 12975  che qua e là, come li aspetti, fassi,
 12976  
 12977  quando s’affisser, sì come s’affigge
 12978  chi va dinanzi a gente per iscorta
 12979  se trova novitate o sue vestigge,
 12980  
 12981  le sette donne al fin d’un’ombra smorta,
 12982  qual sotto foglie verdi e rami nigri
 12983  sovra suoi freddi rivi l’alpe porta.
 12984  
 12985  Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri
 12986  veder mi parve uscir d’una fontana,
 12987  e, quasi amici, dipartirsi pigri.
 12988  
 12989  «O luce, o gloria de la gente umana,
 12990  che acqua è questa che qui si dispiega
 12991  da un principio e sé da sé lontana?».
 12992  
 12993  Per cotal priego detto mi fu: «Priega
 12994  Matelda che ’l ti dica». E qui rispuose,
 12995  come fa chi da colpa si dislega,
 12996  
 12997  la bella donna: «Questo e altre cose
 12998  dette li son per me; e son sicura
 12999  che l’acqua di Letè non gliel nascose».
 13000  
 13001  E Bëatrice: «Forse maggior cura,
 13002  che spesse volte la memoria priva,
 13003  fatt’ ha la mente sua ne li occhi oscura.
 13004  
 13005  Ma vedi Eünoè che là diriva:
 13006  menalo ad esso, e come tu se’ usa,
 13007  la tramortita sua virtù ravviva».
 13008  
 13009  Come anima gentil, che non fa scusa,
 13010  ma fa sua voglia de la voglia altrui
 13011  tosto che è per segno fuor dischiusa;
 13012  
 13013  così, poi che da essa preso fui,
 13014  la bella donna mossesi, e a Stazio
 13015  donnescamente disse: «Vien con lui».
 13016  
 13017  S’io avessi, lettor, più lungo spazio
 13018  da scrivere, i’ pur cantere’ in parte
 13019  lo dolce ber che mai non m’avria sazio;
 13020  
 13021  ma perché piene son tutte le carte
 13022  ordite a questa cantica seconda,
 13023  non mi lascia più ir lo fren de l’arte.
 13024  
 13025  Io ritornai da la santissima onda
 13026  rifatto sì come piante novelle
 13027  rinovellate di novella fronda,
 13028  
 13029  puro e disposto a salire a le stelle.
 13030  
 13031  
 13032  
 13033  
 13034  
 13035  PARADISO
 13036  
 13037  
 13038  
 13039  
 13040  Paradiso · Canto I
 13041  
 13042  
 13043  La gloria di colui che tutto move
 13044  per l’universo penetra, e risplende
 13045  in una parte più e meno altrove.
 13046  
 13047  Nel ciel che più de la sua luce prende
 13048  fu’ io, e vidi cose che ridire
 13049  né sa né può chi di là sù discende;
 13050  
 13051  perché appressando sé al suo disire,
 13052  nostro intelletto si profonda tanto,
 13053  che dietro la memoria non può ire.
 13054  
 13055  Veramente quant’ io del regno santo
 13056  ne la mia mente potei far tesoro,
 13057  sarà ora materia del mio canto.
 13058  
 13059  O buono Appollo, a l’ultimo lavoro
 13060  fammi del tuo valor sì fatto vaso,
 13061  come dimandi a dar l’amato alloro.
 13062  
 13063  Infino a qui l’un giogo di Parnaso
 13064  assai mi fu; ma or con amendue
 13065  m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.
 13066  
 13067  Entra nel petto mio, e spira tue
 13068  sì come quando Marsïa traesti
 13069  de la vagina de le membra sue.
 13070  
 13071  O divina virtù, se mi ti presti
 13072  tanto che l’ombra del beato regno
 13073  segnata nel mio capo io manifesti,
 13074  
 13075  vedra’mi al piè del tuo diletto legno
 13076  venire, e coronarmi de le foglie
 13077  che la materia e tu mi farai degno.
 13078  
 13079  Sì rade volte, padre, se ne coglie
 13080  per trïunfare o cesare o poeta,
 13081  colpa e vergogna de l’umane voglie,
 13082  
 13083  che parturir letizia in su la lieta
 13084  delfica deïtà dovria la fronda
 13085  peneia, quando alcun di sé asseta.
 13086  
 13087  Poca favilla gran fiamma seconda:
 13088  forse di retro a me con miglior voci
 13089  si pregherà perché Cirra risponda.
 13090  
 13091  Surge ai mortali per diverse foci
 13092  la lucerna del mondo; ma da quella
 13093  che quattro cerchi giugne con tre croci,
 13094  
 13095  con miglior corso e con migliore stella
 13096  esce congiunta, e la mondana cera
 13097  più a suo modo tempera e suggella.
 13098  
 13099  Fatto avea di là mane e di qua sera
 13100  tal foce, e quasi tutto era là bianco
 13101  quello emisperio, e l’altra parte nera,
 13102  
 13103  quando Beatrice in sul sinistro fianco
 13104  vidi rivolta e riguardar nel sole:
 13105  aguglia sì non li s’affisse unquanco.
 13106  
 13107  E sì come secondo raggio suole
 13108  uscir del primo e risalire in suso,
 13109  pur come pelegrin che tornar vuole,
 13110  
 13111  così de l’atto suo, per li occhi infuso
 13112  ne l’imagine mia, il mio si fece,
 13113  e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso.
 13114  
 13115  Molto è licito là, che qui non lece
 13116  a le nostre virtù, mercé del loco
 13117  fatto per proprio de l’umana spece.
 13118  
 13119  Io nol soffersi molto, né sì poco,
 13120  ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,
 13121  com’ ferro che bogliente esce del foco;
 13122  
 13123  e di sùbito parve giorno a giorno
 13124  essere aggiunto, come quei che puote
 13125  avesse il ciel d’un altro sole addorno.
 13126  
 13127  Beatrice tutta ne l’etterne rote
 13128  fissa con li occhi stava; e io in lei
 13129  le luci fissi, di là sù rimote.
 13130  
 13131  Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
 13132  qual si fé Glauco nel gustar de l’erba
 13133  che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.
 13134  
 13135  Trasumanar significar per verba
 13136  non si poria; però l’essemplo basti
 13137  a cui esperïenza grazia serba.
 13138  
 13139  S’i’ era sol di me quel che creasti
 13140  novellamente, amor che ’l ciel governi,
 13141  tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
 13142  
 13143  Quando la rota che tu sempiterni
 13144  desiderato, a sé mi fece atteso
 13145  con l’armonia che temperi e discerni,
 13146  
 13147  parvemi tanto allor del cielo acceso
 13148  de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
 13149  lago non fece alcun tanto disteso.
 13150  
 13151  La novità del suono e ’l grande lume
 13152  di lor cagion m’accesero un disio
 13153  mai non sentito di cotanto acume.
 13154  
 13155  Ond’ ella, che vedea me sì com’ io,
 13156  a quïetarmi l’animo commosso,
 13157  pria ch’io a dimandar, la bocca aprio
 13158  
 13159  e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
 13160  col falso imaginar, sì che non vedi
 13161  ciò che vedresti se l’avessi scosso.
 13162  
 13163  Tu non se’ in terra, sì come tu credi;
 13164  ma folgore, fuggendo il proprio sito,
 13165  non corse come tu ch’ad esso riedi».
 13166  
 13167  S’io fui del primo dubbio disvestito
 13168  per le sorrise parolette brevi,
 13169  dentro ad un nuovo più fu’ inretito
 13170  
 13171  e dissi: «Già contento requïevi
 13172  di grande ammirazion; ma ora ammiro
 13173  com’ io trascenda questi corpi levi».
 13174  
 13175  Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro,
 13176  li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante
 13177  che madre fa sovra figlio deliro,
 13178  
 13179  e cominciò: «Le cose tutte quante
 13180  hanno ordine tra loro, e questo è forma
 13181  che l’universo a Dio fa simigliante.
 13182  
 13183  Qui veggion l’alte creature l’orma
 13184  de l’etterno valore, il qual è fine
 13185  al quale è fatta la toccata norma.
 13186  
 13187  Ne l’ordine ch’io dico sono accline
 13188  tutte nature, per diverse sorti,
 13189  più al principio loro e men vicine;
 13190  
 13191  onde si muovono a diversi porti
 13192  per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
 13193  con istinto a lei dato che la porti.
 13194  
 13195  Questi ne porta il foco inver’ la luna;
 13196  questi ne’ cor mortali è permotore;
 13197  questi la terra in sé stringe e aduna;
 13198  
 13199  né pur le creature che son fore
 13200  d’intelligenza quest’ arco saetta,
 13201  ma quelle c’hanno intelletto e amore.
 13202  
 13203  La provedenza, che cotanto assetta,
 13204  del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto
 13205  nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;
 13206  
 13207  e ora lì, come a sito decreto,
 13208  cen porta la virtù di quella corda
 13209  che ciò che scocca drizza in segno lieto.
 13210  
 13211  Vero è che, come forma non s’accorda
 13212  molte fïate a l’intenzion de l’arte,
 13213  perch’ a risponder la materia è sorda,
 13214  
 13215  così da questo corso si diparte
 13216  talor la creatura, c’ha podere
 13217  di piegar, così pinta, in altra parte;
 13218  
 13219  e sì come veder si può cadere
 13220  foco di nube, sì l’impeto primo
 13221  l’atterra torto da falso piacere.
 13222  
 13223  Non dei più ammirar, se bene stimo,
 13224  lo tuo salir, se non come d’un rivo
 13225  se d’alto monte scende giuso ad imo.
 13226  
 13227  Maraviglia sarebbe in te se, privo
 13228  d’impedimento, giù ti fossi assiso,
 13229  com’ a terra quïete in foco vivo».
 13230  
 13231  Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.
 13232  
 13233  
 13234  
 13235  Paradiso · Canto II
 13236  
 13237  
 13238  O voi che siete in piccioletta barca,
 13239  desiderosi d’ascoltar, seguiti
 13240  dietro al mio legno che cantando varca,
 13241  
 13242  tornate a riveder li vostri liti:
 13243  non vi mettete in pelago, ché forse,
 13244  perdendo me, rimarreste smarriti.
 13245  
 13246  L’acqua ch’io prendo già mai non si corse;
 13247  Minerva spira, e conducemi Appollo,
 13248  e nove Muse mi dimostran l’Orse.
 13249  
 13250  Voialtri pochi che drizzaste il collo
 13251  per tempo al pan de li angeli, del quale
 13252  vivesi qui ma non sen vien satollo,
 13253  
 13254  metter potete ben per l’alto sale
 13255  vostro navigio, servando mio solco
 13256  dinanzi a l’acqua che ritorna equale.
 13257  
 13258  Que’ glorïosi che passaro al Colco
 13259  non s’ammiraron come voi farete,
 13260  quando Iasón vider fatto bifolco.
 13261  
 13262  La concreata e perpetüa sete
 13263  del deïforme regno cen portava
 13264  veloci quasi come ’l ciel vedete.
 13265  
 13266  Beatrice in suso, e io in lei guardava;
 13267  e forse in tanto in quanto un quadrel posa
 13268  e vola e da la noce si dischiava,
 13269  
 13270  giunto mi vidi ove mirabil cosa
 13271  mi torse il viso a sé; e però quella
 13272  cui non potea mia cura essere ascosa,
 13273  
 13274  volta ver’ me, sì lieta come bella,
 13275  «Drizza la mente in Dio grata», mi disse,
 13276  «che n’ha congiunti con la prima stella».
 13277  
 13278  Parev’ a me che nube ne coprisse
 13279  lucida, spessa, solida e pulita,
 13280  quasi adamante che lo sol ferisse.
 13281  
 13282  Per entro sé l’etterna margarita
 13283  ne ricevette, com’ acqua recepe
 13284  raggio di luce permanendo unita.
 13285  
 13286  S’io era corpo, e qui non si concepe
 13287  com’ una dimensione altra patio,
 13288  ch’esser convien se corpo in corpo repe,
 13289  
 13290  accender ne dovria più il disio
 13291  di veder quella essenza in che si vede
 13292  come nostra natura e Dio s’unio.
 13293  
 13294  Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
 13295  non dimostrato, ma fia per sé noto
 13296  a guisa del ver primo che l’uom crede.
 13297  
 13298  Io rispuosi: «Madonna, sì devoto
 13299  com’ esser posso più, ringrazio lui
 13300  lo qual dal mortal mondo m’ha remoto.
 13301  
 13302  Ma ditemi: che son li segni bui
 13303  di questo corpo, che là giuso in terra
 13304  fan di Cain favoleggiare altrui?».
 13305  
 13306  Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra
 13307  l’oppinïon», mi disse, «d’i mortali
 13308  dove chiave di senso non diserra,
 13309  
 13310  certo non ti dovrien punger li strali
 13311  d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi
 13312  vedi che la ragione ha corte l’ali.
 13313  
 13314  Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
 13315  E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso
 13316  credo che fanno i corpi rari e densi».
 13317  
 13318  Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso
 13319  nel falso il creder tuo, se bene ascolti
 13320  l’argomentar ch’io li farò avverso.
 13321  
 13322  La spera ottava vi dimostra molti
 13323  lumi, li quali e nel quale e nel quanto
 13324  notar si posson di diversi volti.
 13325  
 13326  Se raro e denso ciò facesser tanto,
 13327  una sola virtù sarebbe in tutti,
 13328  più e men distributa e altrettanto.
 13329  
 13330  Virtù diverse esser convegnon frutti
 13331  di princìpi formali, e quei, for ch’uno,
 13332  seguiterieno a tua ragion distrutti.
 13333  
 13334  Ancor, se raro fosse di quel bruno
 13335  cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
 13336  fora di sua materia sì digiuno
 13337  
 13338  esto pianeto, o, sì come comparte
 13339  lo grasso e ’l magro un corpo, così questo
 13340  nel suo volume cangerebbe carte.
 13341  
 13342  Se ’l primo fosse, fora manifesto
 13343  ne l’eclissi del sol, per trasparere
 13344  lo lume come in altro raro ingesto.
 13345  
 13346  Questo non è: però è da vedere
 13347  de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,
 13348  falsificato fia lo tuo parere.
 13349  
 13350  S’elli è che questo raro non trapassi,
 13351  esser conviene un termine da onde
 13352  lo suo contrario più passar non lassi;
 13353  
 13354  e indi l’altrui raggio si rifonde
 13355  così come color torna per vetro
 13356  lo qual di retro a sé piombo nasconde.
 13357  
 13358  Or dirai tu ch’el si dimostra tetro
 13359  ivi lo raggio più che in altre parti,
 13360  per esser lì refratto più a retro.
 13361  
 13362  Da questa instanza può deliberarti
 13363  esperïenza, se già mai la provi,
 13364  ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti.
 13365  
 13366  Tre specchi prenderai; e i due rimovi
 13367  da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
 13368  tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
 13369  
 13370  Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
 13371  ti stea un lume che i tre specchi accenda
 13372  e torni a te da tutti ripercosso.
 13373  
 13374  Ben che nel quanto tanto non si stenda
 13375  la vista più lontana, lì vedrai
 13376  come convien ch’igualmente risplenda.
 13377  
 13378  Or, come ai colpi de li caldi rai
 13379  de la neve riman nudo il suggetto
 13380  e dal colore e dal freddo primai,
 13381  
 13382  così rimaso te ne l’intelletto
 13383  voglio informar di luce sì vivace,
 13384  che ti tremolerà nel suo aspetto.
 13385  
 13386  Dentro dal ciel de la divina pace
 13387  si gira un corpo ne la cui virtute
 13388  l’esser di tutto suo contento giace.
 13389  
 13390  Lo ciel seguente, c’ha tante vedute,
 13391  quell’ esser parte per diverse essenze,
 13392  da lui distratte e da lui contenute.
 13393  
 13394  Li altri giron per varie differenze
 13395  le distinzion che dentro da sé hanno
 13396  dispongono a lor fini e lor semenze.
 13397  
 13398  Questi organi del mondo così vanno,
 13399  come tu vedi omai, di grado in grado,
 13400  che di sù prendono e di sotto fanno.
 13401  
 13402  Riguarda bene omai sì com’ io vado
 13403  per questo loco al vero che disiri,
 13404  sì che poi sappi sol tener lo guado.
 13405  
 13406  Lo moto e la virtù d’i santi giri,
 13407  come dal fabbro l’arte del martello,
 13408  da’ beati motor convien che spiri;
 13409  
 13410  e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello,
 13411  de la mente profonda che lui volve
 13412  prende l’image e fassene suggello.
 13413  
 13414  E come l’alma dentro a vostra polve
 13415  per differenti membra e conformate
 13416  a diverse potenze si risolve,
 13417  
 13418  così l’intelligenza sua bontate
 13419  multiplicata per le stelle spiega,
 13420  girando sé sovra sua unitate.
 13421  
 13422  Virtù diversa fa diversa lega
 13423  col prezïoso corpo ch’ella avviva,
 13424  nel qual, sì come vita in voi, si lega.
 13425  
 13426  Per la natura lieta onde deriva,
 13427  la virtù mista per lo corpo luce
 13428  come letizia per pupilla viva.
 13429  
 13430  Da essa vien ciò che da luce a luce
 13431  par differente, non da denso e raro;
 13432  essa è formal principio che produce,
 13433  
 13434  conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro».
 13435  
 13436  
 13437  
 13438  Paradiso · Canto III
 13439  
 13440  
 13441  Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,
 13442  di bella verità m’avea scoverto,
 13443  provando e riprovando, il dolce aspetto;
 13444  
 13445  e io, per confessar corretto e certo
 13446  me stesso, tanto quanto si convenne
 13447  leva’ il capo a proferer più erto;
 13448  
 13449  ma visïone apparve che ritenne
 13450  a sé me tanto stretto, per vedersi,
 13451  che di mia confession non mi sovvenne.
 13452  
 13453  Quali per vetri trasparenti e tersi,
 13454  o ver per acque nitide e tranquille,
 13455  non sì profonde che i fondi sien persi,
 13456  
 13457  tornan d’i nostri visi le postille
 13458  debili sì, che perla in bianca fronte
 13459  non vien men forte a le nostre pupille;
 13460  
 13461  tali vid’ io più facce a parlar pronte;
 13462  per ch’io dentro a l’error contrario corsi
 13463  a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.
 13464  
 13465  Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi,
 13466  quelle stimando specchiati sembianti,
 13467  per veder di cui fosser, li occhi torsi;
 13468  
 13469  e nulla vidi, e ritorsili avanti
 13470  dritti nel lume de la dolce guida,
 13471  che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
 13472  
 13473  «Non ti maravigliar perch’ io sorrida»,
 13474  mi disse, «appresso il tuo püeril coto,
 13475  poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida,
 13476  
 13477  ma te rivolve, come suole, a vòto:
 13478  vere sustanze son ciò che tu vedi,
 13479  qui rilegate per manco di voto.
 13480  
 13481  Però parla con esse e odi e credi;
 13482  ché la verace luce che le appaga
 13483  da sé non lascia lor torcer li piedi».
 13484  
 13485  E io a l’ombra che parea più vaga
 13486  di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
 13487  quasi com’ uom cui troppa voglia smaga:
 13488  
 13489  «O ben creato spirito, che a’ rai
 13490  di vita etterna la dolcezza senti
 13491  che, non gustata, non s’intende mai,
 13492  
 13493  grazïoso mi fia se mi contenti
 13494  del nome tuo e de la vostra sorte».
 13495  Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti:
 13496  
 13497  «La nostra carità non serra porte
 13498  a giusta voglia, se non come quella
 13499  che vuol simile a sé tutta sua corte.
 13500  
 13501  I’ fui nel mondo vergine sorella;
 13502  e se la mente tua ben sé riguarda,
 13503  non mi ti celerà l’esser più bella,
 13504  
 13505  ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,
 13506  che, posta qui con questi altri beati,
 13507  beata sono in la spera più tarda.
 13508  
 13509  Li nostri affetti, che solo infiammati
 13510  son nel piacer de lo Spirito Santo,
 13511  letizian del suo ordine formati.
 13512  
 13513  E questa sorte che par giù cotanto,
 13514  però n’è data, perché fuor negletti
 13515  li nostri voti, e vòti in alcun canto».
 13516  
 13517  Ond’ io a lei: «Ne’ mirabili aspetti
 13518  vostri risplende non so che divino
 13519  che vi trasmuta da’ primi concetti:
 13520  
 13521  però non fui a rimembrar festino;
 13522  ma or m’aiuta ciò che tu mi dici,
 13523  sì che raffigurar m’è più latino.
 13524  
 13525  Ma dimmi: voi che siete qui felici,
 13526  disiderate voi più alto loco
 13527  per più vedere e per più farvi amici?».
 13528  
 13529  Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco;
 13530  da indi mi rispuose tanto lieta,
 13531  ch’arder parea d’amor nel primo foco:
 13532  
 13533  «Frate, la nostra volontà quïeta
 13534  virtù di carità, che fa volerne
 13535  sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
 13536  
 13537  Se disïassimo esser più superne,
 13538  foran discordi li nostri disiri
 13539  dal voler di colui che qui ne cerne;
 13540  
 13541  che vedrai non capere in questi giri,
 13542  s’essere in carità è qui necesse,
 13543  e se la sua natura ben rimiri.
 13544  
 13545  Anzi è formale ad esto beato esse
 13546  tenersi dentro a la divina voglia,
 13547  per ch’una fansi nostre voglie stesse;
 13548  
 13549  sì che, come noi sem di soglia in soglia
 13550  per questo regno, a tutto il regno piace
 13551  com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
 13552  
 13553  E ’n la sua volontade è nostra pace:
 13554  ell’ è quel mare al qual tutto si move
 13555  ciò ch’ella crïa o che natura face».
 13556  
 13557  Chiaro mi fu allor come ogne dove
 13558  in cielo è paradiso, etsi la grazia
 13559  del sommo ben d’un modo non vi piove.
 13560  
 13561  Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia
 13562  e d’un altro rimane ancor la gola,
 13563  che quel si chere e di quel si ringrazia,
 13564  
 13565  così fec’ io con atto e con parola,
 13566  per apprender da lei qual fu la tela
 13567  onde non trasse infino a co la spuola.
 13568  
 13569  «Perfetta vita e alto merto inciela
 13570  donna più sù», mi disse, «a la cui norma
 13571  nel vostro mondo giù si veste e vela,
 13572  
 13573  perché fino al morir si vegghi e dorma
 13574  con quello sposo ch’ogne voto accetta
 13575  che caritate a suo piacer conforma.
 13576  
 13577  Dal mondo, per seguirla, giovinetta
 13578  fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi
 13579  e promisi la via de la sua setta.
 13580  
 13581  Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,
 13582  fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
 13583  Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
 13584  
 13585  E quest’ altro splendor che ti si mostra
 13586  da la mia destra parte e che s’accende
 13587  di tutto il lume de la spera nostra,
 13588  
 13589  ciò ch’io dico di me, di sé intende;
 13590  sorella fu, e così le fu tolta
 13591  di capo l’ombra de le sacre bende.
 13592  
 13593  Ma poi che pur al mondo fu rivolta
 13594  contra suo grado e contra buona usanza,
 13595  non fu dal vel del cor già mai disciolta.
 13596  
 13597  Quest’ è la luce de la gran Costanza
 13598  che del secondo vento di Soave
 13599  generò ’l terzo e l’ultima possanza».
 13600  
 13601  Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave,
 13602  Maria’ cantando, e cantando vanio
 13603  come per acqua cupa cosa grave.
 13604  
 13605  La vista mia, che tanto lei seguio
 13606  quanto possibil fu, poi che la perse,
 13607  volsesi al segno di maggior disio,
 13608  
 13609  e a Beatrice tutta si converse;
 13610  ma quella folgorò nel mïo sguardo
 13611  sì che da prima il viso non sofferse;
 13612  
 13613  e ciò mi fece a dimandar più tardo.
 13614  
 13615  
 13616  
 13617  Paradiso · Canto IV
 13618  
 13619  
 13620  Intra due cibi, distanti e moventi
 13621  d’un modo, prima si morria di fame,
 13622  che liber’ omo l’un recasse ai denti;
 13623  
 13624  sì si starebbe un agno intra due brame
 13625  di fieri lupi, igualmente temendo;
 13626  sì si starebbe un cane intra due dame:
 13627  
 13628  per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,
 13629  da li miei dubbi d’un modo sospinto,
 13630  poi ch’era necessario, né commendo.
 13631  
 13632  Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto
 13633  m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,
 13634  più caldo assai che per parlar distinto.
 13635  
 13636  Fé sì Beatrice qual fé Danïello,
 13637  Nabuccodonosor levando d’ira,
 13638  che l’avea fatto ingiustamente fello;
 13639  
 13640  e disse: «Io veggio ben come ti tira
 13641  uno e altro disio, sì che tua cura
 13642  sé stessa lega sì che fuor non spira.
 13643  
 13644  Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura,
 13645  la vïolenza altrui per qual ragione
 13646  di meritar mi scema la misura?”.
 13647  
 13648  Ancor di dubitar ti dà cagione
 13649  parer tornarsi l’anime a le stelle,
 13650  secondo la sentenza di Platone.
 13651  
 13652  Queste son le question che nel tuo velle
 13653  pontano igualmente; e però pria
 13654  tratterò quella che più ha di felle.
 13655  
 13656  D’i Serafin colui che più s’india,
 13657  Moïsè, Samuel, e quel Giovanni
 13658  che prender vuoli, io dico, non Maria,
 13659  
 13660  non hanno in altro cielo i loro scanni
 13661  che questi spirti che mo t’appariro,
 13662  né hanno a l’esser lor più o meno anni;
 13663  
 13664  ma tutti fanno bello il primo giro,
 13665  e differentemente han dolce vita
 13666  per sentir più e men l’etterno spiro.
 13667  
 13668  Qui si mostraro, non perché sortita
 13669  sia questa spera lor, ma per far segno
 13670  de la celestïal c’ha men salita.
 13671  
 13672  Così parlar conviensi al vostro ingegno,
 13673  però che solo da sensato apprende
 13674  ciò che fa poscia d’intelletto degno.
 13675  
 13676  Per questo la Scrittura condescende
 13677  a vostra facultate, e piedi e mano
 13678  attribuisce a Dio e altro intende;
 13679  
 13680  e Santa Chiesa con aspetto umano
 13681  Gabrïel e Michel vi rappresenta,
 13682  e l’altro che Tobia rifece sano.
 13683  
 13684  Quel che Timeo de l’anime argomenta
 13685  non è simile a ciò che qui si vede,
 13686  però che, come dice, par che senta.
 13687  
 13688  Dice che l’alma a la sua stella riede,
 13689  credendo quella quindi esser decisa
 13690  quando natura per forma la diede;
 13691  
 13692  e forse sua sentenza è d’altra guisa
 13693  che la voce non suona, ed esser puote
 13694  con intenzion da non esser derisa.
 13695  
 13696  S’elli intende tornare a queste ruote
 13697  l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse
 13698  in alcun vero suo arco percuote.
 13699  
 13700  Questo principio, male inteso, torse
 13701  già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
 13702  Mercurio e Marte a nominar trascorse.
 13703  
 13704  L’altra dubitazion che ti commove
 13705  ha men velen, però che sua malizia
 13706  non ti poria menar da me altrove.
 13707  
 13708  Parere ingiusta la nostra giustizia
 13709  ne li occhi d’i mortali, è argomento
 13710  di fede e non d’eretica nequizia.
 13711  
 13712  Ma perché puote vostro accorgimento
 13713  ben penetrare a questa veritate,
 13714  come disiri, ti farò contento.
 13715  
 13716  Se vïolenza è quando quel che pate
 13717  nïente conferisce a quel che sforza,
 13718  non fuor quest’ alme per essa scusate:
 13719  
 13720  ché volontà, se non vuol, non s’ammorza,
 13721  ma fa come natura face in foco,
 13722  se mille volte vïolenza il torza.
 13723  
 13724  Per che, s’ella si piega assai o poco,
 13725  segue la forza; e così queste fero
 13726  possendo rifuggir nel santo loco.
 13727  
 13728  Se fosse stato lor volere intero,
 13729  come tenne Lorenzo in su la grada,
 13730  e fece Muzio a la sua man severo,
 13731  
 13732  così l’avria ripinte per la strada
 13733  ond’ eran tratte, come fuoro sciolte;
 13734  ma così salda voglia è troppo rada.
 13735  
 13736  E per queste parole, se ricolte
 13737  l’hai come dei, è l’argomento casso
 13738  che t’avria fatto noia ancor più volte.
 13739  
 13740  Ma or ti s’attraversa un altro passo
 13741  dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
 13742  non usciresti: pria saresti lasso.
 13743  
 13744  Io t’ho per certo ne la mente messo
 13745  ch’alma beata non poria mentire,
 13746  però ch’è sempre al primo vero appresso;
 13747  
 13748  e poi potesti da Piccarda udire
 13749  che l’affezion del vel Costanza tenne;
 13750  sì ch’ella par qui meco contradire.
 13751  
 13752  Molte fïate già, frate, addivenne
 13753  che, per fuggir periglio, contra grato
 13754  si fé di quel che far non si convenne;
 13755  
 13756  come Almeone, che, di ciò pregato
 13757  dal padre suo, la propria madre spense,
 13758  per non perder pietà si fé spietato.
 13759  
 13760  A questo punto voglio che tu pense
 13761  che la forza al voler si mischia, e fanno
 13762  sì che scusar non si posson l’offense.
 13763  
 13764  Voglia assoluta non consente al danno;
 13765  ma consentevi in tanto in quanto teme,
 13766  se si ritrae, cadere in più affanno.
 13767  
 13768  Però, quando Piccarda quello spreme,
 13769  de la voglia assoluta intende, e io
 13770  de l’altra; sì che ver diciamo insieme».
 13771  
 13772  Cotal fu l’ondeggiar del santo rio
 13773  ch’uscì del fonte ond’ ogne ver deriva;
 13774  tal puose in pace uno e altro disio.
 13775  
 13776  «O amanza del primo amante, o diva»,
 13777  diss’ io appresso, «il cui parlar m’inonda
 13778  e scalda sì, che più e più m’avviva,
 13779  
 13780  non è l’affezion mia tanto profonda,
 13781  che basti a render voi grazia per grazia;
 13782  ma quei che vede e puote a ciò risponda.
 13783  
 13784  Io veggio ben che già mai non si sazia
 13785  nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra
 13786  di fuor dal qual nessun vero si spazia.
 13787  
 13788  Posasi in esso, come fera in lustra,
 13789  tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
 13790  se non, ciascun disio sarebbe frustra.
 13791  
 13792  Nasce per quello, a guisa di rampollo,
 13793  a piè del vero il dubbio; ed è natura
 13794  ch’al sommo pinge noi di collo in collo.
 13795  
 13796  Questo m’invita, questo m’assicura
 13797  con reverenza, donna, a dimandarvi
 13798  d’un’altra verità che m’è oscura.
 13799  
 13800  Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi
 13801  ai voti manchi sì con altri beni,
 13802  ch’a la vostra statera non sien parvi».
 13803  
 13804  Beatrice mi guardò con li occhi pieni
 13805  di faville d’amor così divini,
 13806  che, vinta, mia virtute diè le reni,
 13807  
 13808  e quasi mi perdei con li occhi chini.
 13809  
 13810  
 13811  
 13812  Paradiso · Canto V
 13813  
 13814  
 13815  «S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore
 13816  di là dal modo che ’n terra si vede,
 13817  sì che del viso tuo vinco il valore,
 13818  
 13819  non ti maravigliar, ché ciò procede
 13820  da perfetto veder, che, come apprende,
 13821  così nel bene appreso move il piede.
 13822  
 13823  Io veggio ben sì come già resplende
 13824  ne l’intelletto tuo l’etterna luce,
 13825  che, vista, sola e sempre amore accende;
 13826  
 13827  e s’altra cosa vostro amor seduce,
 13828  non è se non di quella alcun vestigio,
 13829  mal conosciuto, che quivi traluce.
 13830  
 13831  Tu vuo’ saper se con altro servigio,
 13832  per manco voto, si può render tanto
 13833  che l’anima sicuri di letigio».
 13834  
 13835  Sì cominciò Beatrice questo canto;
 13836  e sì com’ uom che suo parlar non spezza,
 13837  continüò così ’l processo santo:
 13838  
 13839  «Lo maggior don che Dio per sua larghezza
 13840  fesse creando, e a la sua bontate
 13841  più conformato, e quel ch’e’ più apprezza,
 13842  
 13843  fu de la volontà la libertate;
 13844  di che le creature intelligenti,
 13845  e tutte e sole, fuoro e son dotate.
 13846  
 13847  Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
 13848  l’alto valor del voto, s’è sì fatto
 13849  che Dio consenta quando tu consenti;
 13850  
 13851  ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto,
 13852  vittima fassi di questo tesoro,
 13853  tal quale io dico; e fassi col suo atto.
 13854  
 13855  Dunque che render puossi per ristoro?
 13856  Se credi bene usar quel c’hai offerto,
 13857  di maltolletto vuo’ far buon lavoro.
 13858  
 13859  Tu se’ omai del maggior punto certo;
 13860  ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
 13861  che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto,
 13862  
 13863  convienti ancor sedere un poco a mensa,
 13864  però che ’l cibo rigido c’hai preso,
 13865  richiede ancora aiuto a tua dispensa.
 13866  
 13867  Apri la mente a quel ch’io ti paleso
 13868  e fermalvi entro; ché non fa scïenza,
 13869  sanza lo ritenere, avere inteso.
 13870  
 13871  Due cose si convegnono a l’essenza
 13872  di questo sacrificio: l’una è quella
 13873  di che si fa; l’altr’ è la convenenza.
 13874  
 13875  Quest’ ultima già mai non si cancella
 13876  se non servata; e intorno di lei
 13877  sì preciso di sopra si favella:
 13878  
 13879  però necessitato fu a li Ebrei
 13880  pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta
 13881  sì permutasse, come saver dei.
 13882  
 13883  L’altra, che per materia t’è aperta,
 13884  puote ben esser tal, che non si falla
 13885  se con altra materia si converta.
 13886  
 13887  Ma non trasmuti carco a la sua spalla
 13888  per suo arbitrio alcun, sanza la volta
 13889  e de la chiave bianca e de la gialla;
 13890  
 13891  e ogne permutanza credi stolta,
 13892  se la cosa dimessa in la sorpresa
 13893  come ’l quattro nel sei non è raccolta.
 13894  
 13895  Però qualunque cosa tanto pesa
 13896  per suo valor che tragga ogne bilancia,
 13897  sodisfar non si può con altra spesa.
 13898  
 13899  Non prendan li mortali il voto a ciancia;
 13900  siate fedeli, e a ciò far non bieci,
 13901  come Ieptè a la sua prima mancia;
 13902  
 13903  cui più si convenia dicer ‘Mal feci’,
 13904  che, servando, far peggio; e così stolto
 13905  ritrovar puoi il gran duca de’ Greci,
 13906  
 13907  onde pianse Efigènia il suo bel volto,
 13908  e fé pianger di sé i folli e i savi
 13909  ch’udir parlar di così fatto cólto.
 13910  
 13911  Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
 13912  non siate come penna ad ogne vento,
 13913  e non crediate ch’ogne acqua vi lavi.
 13914  
 13915  Avete il novo e ’l vecchio Testamento,
 13916  e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
 13917  questo vi basti a vostro salvamento.
 13918  
 13919  Se mala cupidigia altro vi grida,
 13920  uomini siate, e non pecore matte,
 13921  sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida!
 13922  
 13923  Non fate com’ agnel che lascia il latte
 13924  de la sua madre, e semplice e lascivo
 13925  seco medesmo a suo piacer combatte!».
 13926  
 13927  Così Beatrice a me com’ ïo scrivo;
 13928  poi si rivolse tutta disïante
 13929  a quella parte ove ’l mondo è più vivo.
 13930  
 13931  Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante
 13932  puoser silenzio al mio cupido ingegno,
 13933  che già nuove questioni avea davante;
 13934  
 13935  e sì come saetta che nel segno
 13936  percuote pria che sia la corda queta,
 13937  così corremmo nel secondo regno.
 13938  
 13939  Quivi la donna mia vid’ io sì lieta,
 13940  come nel lume di quel ciel si mise,
 13941  che più lucente se ne fé ’l pianeta.
 13942  
 13943  E se la stella si cambiò e rise,
 13944  qual mi fec’ io che pur da mia natura
 13945  trasmutabile son per tutte guise!
 13946  
 13947  Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura
 13948  traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
 13949  per modo che lo stimin lor pastura,
 13950  
 13951  sì vid’ io ben più di mille splendori
 13952  trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:
 13953  «Ecco chi crescerà li nostri amori».
 13954  
 13955  E sì come ciascuno a noi venìa,
 13956  vedeasi l’ombra piena di letizia
 13957  nel folgór chiaro che di lei uscia.
 13958  
 13959  Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia
 13960  non procedesse, come tu avresti
 13961  di più savere angosciosa carizia;
 13962  
 13963  e per te vederai come da questi
 13964  m’era in disio d’udir lor condizioni,
 13965  sì come a li occhi mi fur manifesti.
 13966  
 13967  «O bene nato a cui veder li troni
 13968  del trïunfo etternal concede grazia
 13969  prima che la milizia s’abbandoni,
 13970  
 13971  del lume che per tutto il ciel si spazia
 13972  noi semo accesi; e però, se disii
 13973  di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».
 13974  
 13975  Così da un di quelli spirti pii
 13976  detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
 13977  sicuramente, e credi come a dii».
 13978  
 13979  «Io veggio ben sì come tu t’annidi
 13980  nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
 13981  perch’ e’ corusca sì come tu ridi;
 13982  
 13983  ma non so chi tu se’, né perché aggi,
 13984  anima degna, il grado de la spera
 13985  che si vela a’ mortai con altrui raggi».
 13986  
 13987  Questo diss’ io diritto a la lumera
 13988  che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi
 13989  lucente più assai di quel ch’ell’ era.
 13990  
 13991  Sì come il sol che si cela elli stessi
 13992  per troppa luce, come ’l caldo ha róse
 13993  le temperanze d’i vapori spessi,
 13994  
 13995  per più letizia sì mi si nascose
 13996  dentro al suo raggio la figura santa;
 13997  e così chiusa chiusa mi rispuose
 13998  
 13999  nel modo che ’l seguente canto canta.
 14000  
 14001  
 14002  
 14003  Paradiso · Canto VI
 14004  
 14005  
 14006  «Poscia che Costantin l’aquila volse
 14007  contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio
 14008  dietro a l’antico che Lavina tolse,
 14009  
 14010  cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio
 14011  ne lo stremo d’Europa si ritenne,
 14012  vicino a’ monti de’ quai prima uscìo;
 14013  
 14014  e sotto l’ombra de le sacre penne
 14015  governò ’l mondo lì di mano in mano,
 14016  e, sì cangiando, in su la mia pervenne.
 14017  
 14018  Cesare fui e son Iustinïano,
 14019  che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
 14020  d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano.
 14021  
 14022  E prima ch’io a l’ovra fossi attento,
 14023  una natura in Cristo esser, non piùe,
 14024  credea, e di tal fede era contento;
 14025  
 14026  ma ’l benedetto Agapito, che fue
 14027  sommo pastore, a la fede sincera
 14028  mi dirizzò con le parole sue.
 14029  
 14030  Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,
 14031  vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi
 14032  ogni contradizione e falsa e vera.
 14033  
 14034  Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
 14035  a Dio per grazia piacque di spirarmi
 14036  l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi;
 14037  
 14038  e al mio Belisar commendai l’armi,
 14039  cui la destra del ciel fu sì congiunta,
 14040  che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.
 14041  
 14042  Or qui a la question prima s’appunta
 14043  la mia risposta; ma sua condizione
 14044  mi stringe a seguitare alcuna giunta,
 14045  
 14046  perché tu veggi con quanta ragione
 14047  si move contr’ al sacrosanto segno
 14048  e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone.
 14049  
 14050  Vedi quanta virtù l’ha fatto degno
 14051  di reverenza; e cominciò da l’ora
 14052  che Pallante morì per darli regno.
 14053  
 14054  Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora
 14055  per trecento anni e oltre, infino al fine
 14056  che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.
 14057  
 14058  E sai ch’el fé dal mal de le Sabine
 14059  al dolor di Lucrezia in sette regi,
 14060  vincendo intorno le genti vicine.
 14061  
 14062  Sai quel ch’el fé portato da li egregi
 14063  Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
 14064  incontro a li altri principi e collegi;
 14065  
 14066  onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
 14067  negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi
 14068  ebber la fama che volontier mirro.
 14069  
 14070  Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi
 14071  che di retro ad Anibale passaro
 14072  l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.
 14073  
 14074  Sott’ esso giovanetti trïunfaro
 14075  Scipïone e Pompeo; e a quel colle
 14076  sotto ’l qual tu nascesti parve amaro.
 14077  
 14078  Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle
 14079  redur lo mondo a suo modo sereno,
 14080  Cesare per voler di Roma il tolle.
 14081  
 14082  E quel che fé da Varo infino a Reno,
 14083  Isara vide ed Era e vide Senna
 14084  e ogne valle onde Rodano è pieno.
 14085  
 14086  Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna
 14087  e saltò Rubicon, fu di tal volo,
 14088  che nol seguiteria lingua né penna.
 14089  
 14090  Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,
 14091  poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse
 14092  sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo.
 14093  
 14094  Antandro e Simeonta, onde si mosse,
 14095  rivide e là dov’ Ettore si cuba;
 14096  e mal per Tolomeo poscia si scosse.
 14097  
 14098  Da indi scese folgorando a Iuba;
 14099  onde si volse nel vostro occidente,
 14100  ove sentia la pompeana tuba.
 14101  
 14102  Di quel che fé col baiulo seguente,
 14103  Bruto con Cassio ne l’inferno latra,
 14104  e Modena e Perugia fu dolente.
 14105  
 14106  Piangene ancor la trista Cleopatra,
 14107  che, fuggendoli innanzi, dal colubro
 14108  la morte prese subitana e atra.
 14109  
 14110  Con costui corse infino al lito rubro;
 14111  con costui puose il mondo in tanta pace,
 14112  che fu serrato a Giano il suo delubro.
 14113  
 14114  Ma ciò che ’l segno che parlar mi face
 14115  fatto avea prima e poi era fatturo
 14116  per lo regno mortal ch’a lui soggiace,
 14117  
 14118  diventa in apparenza poco e scuro,
 14119  se in mano al terzo Cesare si mira
 14120  con occhio chiaro e con affetto puro;
 14121  
 14122  ché la viva giustizia che mi spira,
 14123  li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,
 14124  gloria di far vendetta a la sua ira.
 14125  
 14126  Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:
 14127  poscia con Tito a far vendetta corse
 14128  de la vendetta del peccato antico.
 14129  
 14130  E quando il dente longobardo morse
 14131  la Santa Chiesa, sotto le sue ali
 14132  Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
 14133  
 14134  Omai puoi giudicar di quei cotali
 14135  ch’io accusai di sopra e di lor falli,
 14136  che son cagion di tutti vostri mali.
 14137  
 14138  L’uno al pubblico segno i gigli gialli
 14139  oppone, e l’altro appropria quello a parte,
 14140  sì ch’è forte a veder chi più si falli.
 14141  
 14142  Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
 14143  sott’ altro segno, ché mal segue quello
 14144  sempre chi la giustizia e lui diparte;
 14145  
 14146  e non l’abbatta esto Carlo novello
 14147  coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
 14148  ch’a più alto leon trasser lo vello.
 14149  
 14150  Molte fïate già pianser li figli
 14151  per la colpa del padre, e non si creda
 14152  che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!
 14153  
 14154  Questa picciola stella si correda
 14155  d’i buoni spirti che son stati attivi
 14156  perché onore e fama li succeda:
 14157  
 14158  e quando li disiri poggian quivi,
 14159  sì disvïando, pur convien che i raggi
 14160  del vero amore in sù poggin men vivi.
 14161  
 14162  Ma nel commensurar d’i nostri gaggi
 14163  col merto è parte di nostra letizia,
 14164  perché non li vedem minor né maggi.
 14165  
 14166  Quindi addolcisce la viva giustizia
 14167  in noi l’affetto sì, che non si puote
 14168  torcer già mai ad alcuna nequizia.
 14169  
 14170  Diverse voci fanno dolci note;
 14171  così diversi scanni in nostra vita
 14172  rendon dolce armonia tra queste rote.
 14173  
 14174  E dentro a la presente margarita
 14175  luce la luce di Romeo, di cui
 14176  fu l’ovra grande e bella mal gradita.
 14177  
 14178  Ma i Provenzai che fecer contra lui
 14179  non hanno riso; e però mal cammina
 14180  qual si fa danno del ben fare altrui.
 14181  
 14182  Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
 14183  Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
 14184  Romeo, persona umìle e peregrina.
 14185  
 14186  E poi il mosser le parole biece
 14187  a dimandar ragione a questo giusto,
 14188  che li assegnò sette e cinque per diece,
 14189  
 14190  indi partissi povero e vetusto;
 14191  e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe
 14192  mendicando sua vita a frusto a frusto,
 14193  
 14194  assai lo loda, e più lo loderebbe».
 14195  
 14196  
 14197  
 14198  Paradiso · Canto VII
 14199  
 14200  
 14201  «Osanna, sanctus Deus sabaòth,
 14202  superillustrans claritate tua
 14203  felices ignes horum malacòth!».
 14204  
 14205  Così, volgendosi a la nota sua,
 14206  fu viso a me cantare essa sustanza,
 14207  sopra la qual doppio lume s’addua;
 14208  
 14209  ed essa e l’altre mossero a sua danza,
 14210  e quasi velocissime faville
 14211  mi si velar di sùbita distanza.
 14212  
 14213  Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’
 14214  fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna
 14215  che mi diseta con le dolci stille’.
 14216  
 14217  Ma quella reverenza che s’indonna
 14218  di tutto me, pur per Be e per ice,
 14219  mi richinava come l’uom ch’assonna.
 14220  
 14221  Poco sofferse me cotal Beatrice
 14222  e cominciò, raggiandomi d’un riso
 14223  tal, che nel foco faria l’uom felice:
 14224  
 14225  «Secondo mio infallibile avviso,
 14226  come giusta vendetta giustamente
 14227  punita fosse, t’ha in pensier miso;
 14228  
 14229  ma io ti solverò tosto la mente;
 14230  e tu ascolta, ché le mie parole
 14231  di gran sentenza ti faran presente.
 14232  
 14233  Per non soffrire a la virtù che vole
 14234  freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,
 14235  dannando sé, dannò tutta sua prole;
 14236  
 14237  onde l’umana specie inferma giacque
 14238  giù per secoli molti in grande errore,
 14239  fin ch’al Verbo di Dio discender piacque
 14240  
 14241  u’ la natura, che dal suo fattore
 14242  s’era allungata, unì a sé in persona
 14243  con l’atto sol del suo etterno amore.
 14244  
 14245  Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona:
 14246  questa natura al suo fattore unita,
 14247  qual fu creata, fu sincera e buona;
 14248  
 14249  ma per sé stessa pur fu ella sbandita
 14250  di paradiso, però che si torse
 14251  da via di verità e da sua vita.
 14252  
 14253  La pena dunque che la croce porse
 14254  s’a la natura assunta si misura,
 14255  nulla già mai sì giustamente morse;
 14256  
 14257  e così nulla fu di tanta ingiura,
 14258  guardando a la persona che sofferse,
 14259  in che era contratta tal natura.
 14260  
 14261  Però d’un atto uscir cose diverse:
 14262  ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;
 14263  per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.
 14264  
 14265  Non ti dee oramai parer più forte,
 14266  quando si dice che giusta vendetta
 14267  poscia vengiata fu da giusta corte.
 14268  
 14269  Ma io veggi’ or la tua mente ristretta
 14270  di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
 14271  del qual con gran disio solver s’aspetta.
 14272  
 14273  Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo;
 14274  ma perché Dio volesse, m’è occulto,
 14275  a nostra redenzion pur questo modo”.
 14276  
 14277  Questo decreto, frate, sta sepulto
 14278  a li occhi di ciascuno il cui ingegno
 14279  ne la fiamma d’amor non è adulto.
 14280  
 14281  Veramente, però ch’a questo segno
 14282  molto si mira e poco si discerne,
 14283  dirò perché tal modo fu più degno.
 14284  
 14285  La divina bontà, che da sé sperne
 14286  ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
 14287  sì che dispiega le bellezze etterne.
 14288  
 14289  Ciò che da lei sanza mezzo distilla
 14290  non ha poi fine, perché non si move
 14291  la sua imprenta quand’ ella sigilla.
 14292  
 14293  Ciò che da essa sanza mezzo piove
 14294  libero è tutto, perché non soggiace
 14295  a la virtute de le cose nove.
 14296  
 14297  Più l’è conforme, e però più le piace;
 14298  ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia,
 14299  ne la più somigliante è più vivace.
 14300  
 14301  Di tutte queste dote s’avvantaggia
 14302  l’umana creatura, e s’una manca,
 14303  di sua nobilità convien che caggia.
 14304  
 14305  Solo il peccato è quel che la disfranca
 14306  e falla dissimìle al sommo bene,
 14307  per che del lume suo poco s’imbianca;
 14308  
 14309  e in sua dignità mai non rivene,
 14310  se non rïempie, dove colpa vòta,
 14311  contra mal dilettar con giuste pene.
 14312  
 14313  Vostra natura, quando peccò tota
 14314  nel seme suo, da queste dignitadi,
 14315  come di paradiso, fu remota;
 14316  
 14317  né ricovrar potiensi, se tu badi
 14318  ben sottilmente, per alcuna via,
 14319  sanza passar per un di questi guadi:
 14320  
 14321  o che Dio solo per sua cortesia
 14322  dimesso avesse, o che l’uom per sé isso
 14323  avesse sodisfatto a sua follia.
 14324  
 14325  Ficca mo l’occhio per entro l’abisso
 14326  de l’etterno consiglio, quanto puoi
 14327  al mio parlar distrettamente fisso.
 14328  
 14329  Non potea l’uomo ne’ termini suoi
 14330  mai sodisfar, per non potere ir giuso
 14331  con umiltate obedïendo poi,
 14332  
 14333  quanto disobediendo intese ir suso;
 14334  e questa è la cagion per che l’uom fue
 14335  da poter sodisfar per sé dischiuso.
 14336  
 14337  Dunque a Dio convenia con le vie sue
 14338  riparar l’omo a sua intera vita,
 14339  dico con l’una, o ver con amendue.
 14340  
 14341  Ma perché l’ovra tanto è più gradita
 14342  da l’operante, quanto più appresenta
 14343  de la bontà del core ond’ ell’ è uscita,
 14344  
 14345  la divina bontà che ’l mondo imprenta,
 14346  di proceder per tutte le sue vie,
 14347  a rilevarvi suso, fu contenta.
 14348  
 14349  Né tra l’ultima notte e ’l primo die
 14350  sì alto o sì magnifico processo,
 14351  o per l’una o per l’altra, fu o fie:
 14352  
 14353  ché più largo fu Dio a dar sé stesso
 14354  per far l’uom sufficiente a rilevarsi,
 14355  che s’elli avesse sol da sé dimesso;
 14356  
 14357  e tutti li altri modi erano scarsi
 14358  a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio
 14359  non fosse umilïato ad incarnarsi.
 14360  
 14361  Or per empierti bene ogne disio,
 14362  ritorno a dichiararti in alcun loco,
 14363  perché tu veggi lì così com’ io.
 14364  
 14365  Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco,
 14366  l’aere e la terra e tutte lor misture
 14367  venire a corruzione, e durar poco;
 14368  
 14369  e queste cose pur furon creature;
 14370  per che, se ciò ch’è detto è stato vero,
 14371  esser dovrien da corruzion sicure”.
 14372  
 14373  Li angeli, frate, e ’l paese sincero
 14374  nel qual tu se’, dir si posson creati,
 14375  sì come sono, in loro essere intero;
 14376  
 14377  ma li alimenti che tu hai nomati
 14378  e quelle cose che di lor si fanno
 14379  da creata virtù sono informati.
 14380  
 14381  Creata fu la materia ch’elli hanno;
 14382  creata fu la virtù informante
 14383  in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.
 14384  
 14385  L’anima d’ogne bruto e de le piante
 14386  di complession potenzïata tira
 14387  lo raggio e ’l moto de le luci sante;
 14388  
 14389  ma vostra vita sanza mezzo spira
 14390  la somma beninanza, e la innamora
 14391  di sé sì che poi sempre la disira.
 14392  
 14393  E quinci puoi argomentare ancora
 14394  vostra resurrezion, se tu ripensi
 14395  come l’umana carne fessi allora
 14396  
 14397  che li primi parenti intrambo fensi».
 14398  
 14399  
 14400  
 14401  Paradiso · Canto VIII
 14402  
 14403  
 14404  Solea creder lo mondo in suo periclo
 14405  che la bella Ciprigna il folle amore
 14406  raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
 14407  
 14408  per che non pur a lei faceano onore
 14409  di sacrificio e di votivo grido
 14410  le genti antiche ne l’antico errore;
 14411  
 14412  ma Dïone onoravano e Cupido,
 14413  quella per madre sua, questo per figlio,
 14414  e dicean ch’el sedette in grembo a Dido;
 14415  
 14416  e da costei ond’ io principio piglio
 14417  pigliavano il vocabol de la stella
 14418  che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
 14419  
 14420  Io non m’accorsi del salire in ella;
 14421  ma d’esservi entro mi fé assai fede
 14422  la donna mia ch’i’ vidi far più bella.
 14423  
 14424  E come in fiamma favilla si vede,
 14425  e come in voce voce si discerne,
 14426  quand’ una è ferma e altra va e riede,
 14427  
 14428  vid’ io in essa luce altre lucerne
 14429  muoversi in giro più e men correnti,
 14430  al modo, credo, di lor viste interne.
 14431  
 14432  Di fredda nube non disceser venti,
 14433  o visibili o no, tanto festini,
 14434  che non paressero impediti e lenti
 14435  
 14436  a chi avesse quei lumi divini
 14437  veduti a noi venir, lasciando il giro
 14438  pria cominciato in li alti Serafini;
 14439  
 14440  e dentro a quei che più innanzi appariro
 14441  sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi
 14442  di rïudir non fui sanza disiro.
 14443  
 14444  Indi si fece l’un più presso a noi
 14445  e solo incominciò: «Tutti sem presti
 14446  al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
 14447  
 14448  Noi ci volgiam coi principi celesti
 14449  d’un giro e d’un girare e d’una sete,
 14450  ai quali tu del mondo già dicesti:
 14451  
 14452  ‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;
 14453  e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
 14454  non fia men dolce un poco di quïete».
 14455  
 14456  Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
 14457  a la mia donna reverenti, ed essa
 14458  fatti li avea di sé contenti e certi,
 14459  
 14460  rivolsersi a la luce che promessa
 14461  tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue
 14462  la voce mia di grande affetto impressa.
 14463  
 14464  E quanta e quale vid’ io lei far piùe
 14465  per allegrezza nova che s’accrebbe,
 14466  quando parlai, a l’allegrezze sue!
 14467  
 14468  Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe
 14469  giù poco tempo; e se più fosse stato,
 14470  molto sarà di mal, che non sarebbe.
 14471  
 14472  La mia letizia mi ti tien celato
 14473  che mi raggia dintorno e mi nasconde
 14474  quasi animal di sua seta fasciato.
 14475  
 14476  Assai m’amasti, e avesti ben onde;
 14477  che s’io fossi giù stato, io ti mostrava
 14478  di mio amor più oltre che le fronde.
 14479  
 14480  Quella sinistra riva che si lava
 14481  di Rodano poi ch’è misto con Sorga,
 14482  per suo segnore a tempo m’aspettava,
 14483  
 14484  e quel corno d’Ausonia che s’imborga
 14485  di Bari e di Gaeta e di Catona,
 14486  da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
 14487  
 14488  Fulgeami già in fronte la corona
 14489  di quella terra che ’l Danubio riga
 14490  poi che le ripe tedesche abbandona.
 14491  
 14492  E la bella Trinacria, che caliga
 14493  tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo
 14494  che riceve da Euro maggior briga,
 14495  
 14496  non per Tifeo ma per nascente solfo,
 14497  attesi avrebbe li suoi regi ancora,
 14498  nati per me di Carlo e di Ridolfo,
 14499  
 14500  se mala segnoria, che sempre accora
 14501  li popoli suggetti, non avesse
 14502  mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.
 14503  
 14504  E se mio frate questo antivedesse,
 14505  l’avara povertà di Catalogna
 14506  già fuggeria, perché non li offendesse;
 14507  
 14508  ché veramente proveder bisogna
 14509  per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca
 14510  carcata più d’incarco non si pogna.
 14511  
 14512  La sua natura, che di larga parca
 14513  discese, avria mestier di tal milizia
 14514  che non curasse di mettere in arca».
 14515  
 14516  «Però ch’i’ credo che l’alta letizia
 14517  che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
 14518  là ’ve ogne ben si termina e s’inizia,
 14519  
 14520  per te si veggia come la vegg’ io,
 14521  grata m’è più; e anco quest’ ho caro
 14522  perché ’l discerni rimirando in Dio.
 14523  
 14524  Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,
 14525  poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
 14526  com’ esser può, di dolce seme, amaro».
 14527  
 14528  Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso
 14529  mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
 14530  terrai lo viso come tien lo dosso.
 14531  
 14532  Lo ben che tutto il regno che tu scandi
 14533  volge e contenta, fa esser virtute
 14534  sua provedenza in questi corpi grandi.
 14535  
 14536  E non pur le nature provedute
 14537  sono in la mente ch’è da sé perfetta,
 14538  ma esse insieme con la lor salute:
 14539  
 14540  per che quantunque quest’ arco saetta
 14541  disposto cade a proveduto fine,
 14542  sì come cosa in suo segno diretta.
 14543  
 14544  Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
 14545  producerebbe sì li suoi effetti,
 14546  che non sarebbero arti, ma ruine;
 14547  
 14548  e ciò esser non può, se li ’ntelletti
 14549  che muovon queste stelle non son manchi,
 14550  e manco il primo, che non li ha perfetti.
 14551  
 14552  Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?».
 14553  E io: «Non già; ché impossibil veggio
 14554  che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi».
 14555  
 14556  Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
 14557  per l’omo in terra, se non fosse cive?».
 14558  «Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio».
 14559  
 14560  «E puot’ elli esser, se giù non si vive
 14561  diversamente per diversi offici?
 14562  Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive».
 14563  
 14564  Sì venne deducendo infino a quici;
 14565  poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
 14566  convien di vostri effetti le radici:
 14567  
 14568  per ch’un nasce Solone e altro Serse,
 14569  altro Melchisedèch e altro quello
 14570  che, volando per l’aere, il figlio perse.
 14571  
 14572  La circular natura, ch’è suggello
 14573  a la cera mortal, fa ben sua arte,
 14574  ma non distingue l’un da l’altro ostello.
 14575  
 14576  Quinci addivien ch’Esaù si diparte
 14577  per seme da Iacòb; e vien Quirino
 14578  da sì vil padre, che si rende a Marte.
 14579  
 14580  Natura generata il suo cammino
 14581  simil farebbe sempre a’ generanti,
 14582  se non vincesse il proveder divino.
 14583  
 14584  Or quel che t’era dietro t’è davanti:
 14585  ma perché sappi che di te mi giova,
 14586  un corollario voglio che t’ammanti.
 14587  
 14588  Sempre natura, se fortuna trova
 14589  discorde a sé, com’ ogne altra semente
 14590  fuor di sua regïon, fa mala prova.
 14591  
 14592  E se ’l mondo là giù ponesse mente
 14593  al fondamento che natura pone,
 14594  seguendo lui, avria buona la gente.
 14595  
 14596  Ma voi torcete a la religïone
 14597  tal che fia nato a cignersi la spada,
 14598  e fate re di tal ch’è da sermone;
 14599  
 14600  onde la traccia vostra è fuor di strada».
 14601  
 14602  
 14603  
 14604  Paradiso · Canto IX
 14605  
 14606  
 14607  Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
 14608  m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni
 14609  che ricever dovea la sua semenza;
 14610  
 14611  ma disse: «Taci e lascia muover li anni»;
 14612  sì ch’io non posso dir se non che pianto
 14613  giusto verrà di retro ai vostri danni.
 14614  
 14615  E già la vita di quel lume santo
 14616  rivolta s’era al Sol che la rïempie
 14617  come quel ben ch’a ogne cosa è tanto.
 14618  
 14619  Ahi anime ingannate e fatture empie,
 14620  che da sì fatto ben torcete i cuori,
 14621  drizzando in vanità le vostre tempie!
 14622  
 14623  Ed ecco un altro di quelli splendori
 14624  ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi
 14625  significava nel chiarir di fori.
 14626  
 14627  Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi
 14628  sovra me, come pria, di caro assenso
 14629  al mio disio certificato fermi.
 14630  
 14631  «Deh, metti al mio voler tosto compenso,
 14632  beato spirto», dissi, «e fammi prova
 14633  ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!».
 14634  
 14635  Onde la luce che m’era ancor nova,
 14636  del suo profondo, ond’ ella pria cantava,
 14637  seguette come a cui di ben far giova:
 14638  
 14639  «In quella parte de la terra prava
 14640  italica che siede tra Rïalto
 14641  e le fontane di Brenta e di Piava,
 14642  
 14643  si leva un colle, e non surge molt’ alto,
 14644  là onde scese già una facella
 14645  che fece a la contrada un grande assalto.
 14646  
 14647  D’una radice nacqui e io ed ella:
 14648  Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
 14649  perché mi vinse il lume d’esta stella;
 14650  
 14651  ma lietamente a me medesma indulgo
 14652  la cagion di mia sorte, e non mi noia;
 14653  che parria forse forte al vostro vulgo.
 14654  
 14655  Di questa luculenta e cara gioia
 14656  del nostro cielo che più m’è propinqua,
 14657  grande fama rimase; e pria che moia,
 14658  
 14659  questo centesimo anno ancor s’incinqua:
 14660  vedi se far si dee l’omo eccellente,
 14661  sì ch’altra vita la prima relinqua.
 14662  
 14663  E ciò non pensa la turba presente
 14664  che Tagliamento e Adice richiude,
 14665  né per esser battuta ancor si pente;
 14666  
 14667  ma tosto fia che Padova al palude
 14668  cangerà l’acqua che Vincenza bagna,
 14669  per essere al dover le genti crude;
 14670  
 14671  e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
 14672  tal signoreggia e va con la testa alta,
 14673  che già per lui carpir si fa la ragna.
 14674  
 14675  Piangerà Feltro ancora la difalta
 14676  de l’empio suo pastor, che sarà sconcia
 14677  sì, che per simil non s’entrò in malta.
 14678  
 14679  Troppo sarebbe larga la bigoncia
 14680  che ricevesse il sangue ferrarese,
 14681  e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia,
 14682  
 14683  che donerà questo prete cortese
 14684  per mostrarsi di parte; e cotai doni
 14685  conformi fieno al viver del paese.
 14686  
 14687  Sù sono specchi, voi dicete Troni,
 14688  onde refulge a noi Dio giudicante;
 14689  sì che questi parlar ne paion buoni».
 14690  
 14691  Qui si tacette; e fecemi sembiante
 14692  che fosse ad altro volta, per la rota
 14693  in che si mise com’ era davante.
 14694  
 14695  L’altra letizia, che m’era già nota
 14696  per cara cosa, mi si fece in vista
 14697  qual fin balasso in che lo sol percuota.
 14698  
 14699  Per letiziar là sù fulgor s’acquista,
 14700  sì come riso qui; ma giù s’abbuia
 14701  l’ombra di fuor, come la mente è trista.
 14702  
 14703  «Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia»,
 14704  diss’ io, «beato spirto, sì che nulla
 14705  voglia di sé a te puot’ esser fuia.
 14706  
 14707  Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla
 14708  sempre col canto di quei fuochi pii
 14709  che di sei ali facen la coculla,
 14710  
 14711  perché non satisface a’ miei disii?
 14712  Già non attendere’ io tua dimanda,
 14713  s’io m’intuassi, come tu t’inmii».
 14714  
 14715  «La maggior valle in che l’acqua si spanda»,
 14716  incominciaro allor le sue parole,
 14717  «fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
 14718  
 14719  tra ’ discordanti liti contra ’l sole
 14720  tanto sen va, che fa meridïano
 14721  là dove l’orizzonte pria far suole.
 14722  
 14723  Di quella valle fu’ io litorano
 14724  tra Ebro e Macra, che per cammin corto
 14725  parte lo Genovese dal Toscano.
 14726  
 14727  Ad un occaso quasi e ad un orto
 14728  Buggea siede e la terra ond’ io fui,
 14729  che fé del sangue suo già caldo il porto.
 14730  
 14731  Folco mi disse quella gente a cui
 14732  fu noto il nome mio; e questo cielo
 14733  di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui;
 14734  
 14735  ché più non arse la figlia di Belo,
 14736  noiando e a Sicheo e a Creusa,
 14737  di me, infin che si convenne al pelo;
 14738  
 14739  né quella Rodopëa che delusa
 14740  fu da Demofoonte, né Alcide
 14741  quando Iole nel core ebbe rinchiusa.
 14742  
 14743  Non però qui si pente, ma si ride,
 14744  non de la colpa, ch’a mente non torna,
 14745  ma del valor ch’ordinò e provide.
 14746  
 14747  Qui si rimira ne l’arte ch’addorna
 14748  cotanto affetto, e discernesi ’l bene
 14749  per che ’l mondo di sù quel di giù torna.
 14750  
 14751  Ma perché tutte le tue voglie piene
 14752  ten porti che son nate in questa spera,
 14753  proceder ancor oltre mi convene.
 14754  
 14755  Tu vuo’ saper chi è in questa lumera
 14756  che qui appresso me così scintilla
 14757  come raggio di sole in acqua mera.
 14758  
 14759  Or sappi che là entro si tranquilla
 14760  Raab; e a nostr’ ordine congiunta,
 14761  di lei nel sommo grado si sigilla.
 14762  
 14763  Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta
 14764  che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma
 14765  del trïunfo di Cristo fu assunta.
 14766  
 14767  Ben si convenne lei lasciar per palma
 14768  in alcun cielo de l’alta vittoria
 14769  che s’acquistò con l’una e l’altra palma,
 14770  
 14771  perch’ ella favorò la prima gloria
 14772  di Iosüè in su la Terra Santa,
 14773  che poco tocca al papa la memoria.
 14774  
 14775  La tua città, che di colui è pianta
 14776  che pria volse le spalle al suo fattore
 14777  e di cui è la ’nvidia tanto pianta,
 14778  
 14779  produce e spande il maladetto fiore
 14780  c’ha disvïate le pecore e li agni,
 14781  però che fatto ha lupo del pastore.
 14782  
 14783  Per questo l’Evangelio e i dottor magni
 14784  son derelitti, e solo ai Decretali
 14785  si studia, sì che pare a’ lor vivagni.
 14786  
 14787  A questo intende il papa e ’ cardinali;
 14788  non vanno i lor pensieri a Nazarette,
 14789  là dove Gabrïello aperse l’ali.
 14790  
 14791  Ma Vaticano e l’altre parti elette
 14792  di Roma che son state cimitero
 14793  a la milizia che Pietro seguette,
 14794  
 14795  tosto libere fien de l’avoltero».
 14796  
 14797  
 14798  
 14799  Paradiso · Canto X
 14800  
 14801  
 14802  Guardando nel suo Figlio con l’Amore
 14803  che l’uno e l’altro etternalmente spira,
 14804  lo primo e ineffabile Valore
 14805  
 14806  quanto per mente e per loco si gira
 14807  con tant’ ordine fé, ch’esser non puote
 14808  sanza gustar di lui chi ciò rimira.
 14809  
 14810  Leva dunque, lettore, a l’alte rote
 14811  meco la vista, dritto a quella parte
 14812  dove l’un moto e l’altro si percuote;
 14813  
 14814  e lì comincia a vagheggiar ne l’arte
 14815  di quel maestro che dentro a sé l’ama,
 14816  tanto che mai da lei l’occhio non parte.
 14817  
 14818  Vedi come da indi si dirama
 14819  l’oblico cerchio che i pianeti porta,
 14820  per sodisfare al mondo che li chiama.
 14821  
 14822  Che se la strada lor non fosse torta,
 14823  molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
 14824  e quasi ogne potenza qua giù morta;
 14825  
 14826  e se dal dritto più o men lontano
 14827  fosse ’l partire, assai sarebbe manco
 14828  e giù e sù de l’ordine mondano.
 14829  
 14830  Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco,
 14831  dietro pensando a ciò che si preliba,
 14832  s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.
 14833  
 14834  Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba;
 14835  ché a sé torce tutta la mia cura
 14836  quella materia ond’ io son fatto scriba.
 14837  
 14838  Lo ministro maggior de la natura,
 14839  che del valor del ciel lo mondo imprenta
 14840  e col suo lume il tempo ne misura,
 14841  
 14842  con quella parte che sù si rammenta
 14843  congiunto, si girava per le spire
 14844  in che più tosto ognora s’appresenta;
 14845  
 14846  e io era con lui; ma del salire
 14847  non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge,
 14848  anzi ’l primo pensier, del suo venire.
 14849  
 14850  È Bëatrice quella che sì scorge
 14851  di bene in meglio, sì subitamente
 14852  che l’atto suo per tempo non si sporge.
 14853  
 14854  Quant’ esser convenia da sé lucente
 14855  quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi,
 14856  non per color, ma per lume parvente!
 14857  
 14858  Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami,
 14859  sì nol direi che mai s’imaginasse;
 14860  ma creder puossi e di veder si brami.
 14861  
 14862  E se le fantasie nostre son basse
 14863  a tanta altezza, non è maraviglia;
 14864  ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse.
 14865  
 14866  Tal era quivi la quarta famiglia
 14867  de l’alto Padre, che sempre la sazia,
 14868  mostrando come spira e come figlia.
 14869  
 14870  E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
 14871  ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo
 14872  sensibil t’ha levato per sua grazia».
 14873  
 14874  Cor di mortal non fu mai sì digesto
 14875  a divozione e a rendersi a Dio
 14876  con tutto ’l suo gradir cotanto presto,
 14877  
 14878  come a quelle parole mi fec’ io;
 14879  e sì tutto ’l mio amore in lui si mise,
 14880  che Bëatrice eclissò ne l’oblio.
 14881  
 14882  Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
 14883  che lo splendor de li occhi suoi ridenti
 14884  mia mente unita in più cose divise.
 14885  
 14886  Io vidi più folgór vivi e vincenti
 14887  far di noi centro e di sé far corona,
 14888  più dolci in voce che in vista lucenti:
 14889  
 14890  così cinger la figlia di Latona
 14891  vedem talvolta, quando l’aere è pregno,
 14892  sì che ritenga il fil che fa la zona.
 14893  
 14894  Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno,
 14895  si trovan molte gioie care e belle
 14896  tanto che non si posson trar del regno;
 14897  
 14898  e ’l canto di quei lumi era di quelle;
 14899  chi non s’impenna sì che là sù voli,
 14900  dal muto aspetti quindi le novelle.
 14901  
 14902  Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
 14903  si fuor girati intorno a noi tre volte,
 14904  come stelle vicine a’ fermi poli,
 14905  
 14906  donne mi parver, non da ballo sciolte,
 14907  ma che s’arrestin tacite, ascoltando
 14908  fin che le nove note hanno ricolte.
 14909  
 14910  E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando
 14911  lo raggio de la grazia, onde s’accende
 14912  verace amore e che poi cresce amando,
 14913  
 14914  multiplicato in te tanto resplende,
 14915  che ti conduce su per quella scala
 14916  u’ sanza risalir nessun discende;
 14917  
 14918  qual ti negasse il vin de la sua fiala
 14919  per la tua sete, in libertà non fora
 14920  se non com’ acqua ch’al mar non si cala.
 14921  
 14922  Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora
 14923  questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia
 14924  la bella donna ch’al ciel t’avvalora.
 14925  
 14926  Io fui de li agni de la santa greggia
 14927  che Domenico mena per cammino
 14928  u’ ben s’impingua se non si vaneggia.
 14929  
 14930  Questi che m’è a destra più vicino,
 14931  frate e maestro fummi, ed esso Alberto
 14932  è di Cologna, e io Thomas d’Aquino.
 14933  
 14934  Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo,
 14935  di retro al mio parlar ten vien col viso
 14936  girando su per lo beato serto.
 14937  
 14938  Quell’ altro fiammeggiare esce del riso
 14939  di Grazïan, che l’uno e l’altro foro
 14940  aiutò sì che piace in paradiso.
 14941  
 14942  L’altro ch’appresso addorna il nostro coro,
 14943  quel Pietro fu che con la poverella
 14944  offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
 14945  
 14946  La quinta luce, ch’è tra noi più bella,
 14947  spira di tale amor, che tutto ’l mondo
 14948  là giù ne gola di saper novella:
 14949  
 14950  entro v’è l’alta mente u’ sì profondo
 14951  saver fu messo, che, se ’l vero è vero,
 14952  a veder tanto non surse il secondo.
 14953  
 14954  Appresso vedi il lume di quel cero
 14955  che giù in carne più a dentro vide
 14956  l’angelica natura e ’l ministero.
 14957  
 14958  Ne l’altra piccioletta luce ride
 14959  quello avvocato de’ tempi cristiani
 14960  del cui latino Augustin si provide.
 14961  
 14962  Or se tu l’occhio de la mente trani
 14963  di luce in luce dietro a le mie lode,
 14964  già de l’ottava con sete rimani.
 14965  
 14966  Per vedere ogne ben dentro vi gode
 14967  l’anima santa che ’l mondo fallace
 14968  fa manifesto a chi di lei ben ode.
 14969  
 14970  Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace
 14971  giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
 14972  e da essilio venne a questa pace.
 14973  
 14974  Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro
 14975  d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
 14976  che a considerar fu più che viro.
 14977  
 14978  Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
 14979  è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri
 14980  gravi a morir li parve venir tardo:
 14981  
 14982  essa è la luce etterna di Sigieri,
 14983  che, leggendo nel Vico de li Strami,
 14984  silogizzò invidïosi veri».
 14985  
 14986  Indi, come orologio che ne chiami
 14987  ne l’ora che la sposa di Dio surge
 14988  a mattinar lo sposo perché l’ami,
 14989  
 14990  che l’una parte e l’altra tira e urge,
 14991  tin tin sonando con sì dolce nota,
 14992  che ’l ben disposto spirto d’amor turge;
 14993  
 14994  così vid’ ïo la gloriosa rota
 14995  muoversi e render voce a voce in tempra
 14996  e in dolcezza ch’esser non pò nota
 14997  
 14998  se non colà dove gioir s’insempra.
 14999  
 15000  
 15001  
 15002  Paradiso · Canto XI
 15003  
 15004  
 15005  O insensata cura de’ mortali,
 15006  quanto son difettivi silogismi
 15007  quei che ti fanno in basso batter l’ali!
 15008  
 15009  Chi dietro a iura e chi ad amforismi
 15010  sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
 15011  e chi regnar per forza o per sofismi,
 15012  
 15013  e chi rubare e chi civil negozio,
 15014  chi nel diletto de la carne involto
 15015  s’affaticava e chi si dava a l’ozio,
 15016  
 15017  quando, da tutte queste cose sciolto,
 15018  con Bëatrice m’era suso in cielo
 15019  cotanto glorïosamente accolto.
 15020  
 15021  Poi che ciascuno fu tornato ne lo
 15022  punto del cerchio in che avanti s’era,
 15023  fermossi, come a candellier candelo.
 15024  
 15025  E io senti’ dentro a quella lumera
 15026  che pria m’avea parlato, sorridendo
 15027  incominciar, faccendosi più mera:
 15028  
 15029  «Così com’ io del suo raggio resplendo,
 15030  sì, riguardando ne la luce etterna,
 15031  li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.
 15032  
 15033  Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
 15034  in sì aperta e ’n sì distesa lingua
 15035  lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna,
 15036  
 15037  ove dinanzi dissi: “U’ ben s’impingua”,
 15038  e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”;
 15039  e qui è uopo che ben si distingua.
 15040  
 15041  La provedenza, che governa il mondo
 15042  con quel consiglio nel quale ogne aspetto
 15043  creato è vinto pria che vada al fondo,
 15044  
 15045  però che andasse ver’ lo suo diletto
 15046  la sposa di colui ch’ad alte grida
 15047  disposò lei col sangue benedetto,
 15048  
 15049  in sé sicura e anche a lui più fida,
 15050  due principi ordinò in suo favore,
 15051  che quinci e quindi le fosser per guida.
 15052  
 15053  L’un fu tutto serafico in ardore;
 15054  l’altro per sapïenza in terra fue
 15055  di cherubica luce uno splendore.
 15056  
 15057  De l’un dirò, però che d’amendue
 15058  si dice l’un pregiando, qual ch’om prende,
 15059  perch’ ad un fine fur l’opere sue.
 15060  
 15061  Intra Tupino e l’acqua che discende
 15062  del colle eletto dal beato Ubaldo,
 15063  fertile costa d’alto monte pende,
 15064  
 15065  onde Perugia sente freddo e caldo
 15066  da Porta Sole; e di rietro le piange
 15067  per grave giogo Nocera con Gualdo.
 15068  
 15069  Di questa costa, là dov’ ella frange
 15070  più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
 15071  come fa questo talvolta di Gange.
 15072  
 15073  Però chi d’esso loco fa parole,
 15074  non dica Ascesi, ché direbbe corto,
 15075  ma Orïente, se proprio dir vuole.
 15076  
 15077  Non era ancor molto lontan da l’orto,
 15078  ch’el cominciò a far sentir la terra
 15079  de la sua gran virtute alcun conforto;
 15080  
 15081  ché per tal donna, giovinetto, in guerra
 15082  del padre corse, a cui, come a la morte,
 15083  la porta del piacer nessun diserra;
 15084  
 15085  e dinanzi a la sua spirital corte
 15086  et coram patre le si fece unito;
 15087  poscia di dì in dì l’amò più forte.
 15088  
 15089  Questa, privata del primo marito,
 15090  millecent’ anni e più dispetta e scura
 15091  fino a costui si stette sanza invito;
 15092  
 15093  né valse udir che la trovò sicura
 15094  con Amiclate, al suon de la sua voce,
 15095  colui ch’a tutto ’l mondo fé paura;
 15096  
 15097  né valse esser costante né feroce,
 15098  sì che, dove Maria rimase giuso,
 15099  ella con Cristo pianse in su la croce.
 15100  
 15101  Ma perch’ io non proceda troppo chiuso,
 15102  Francesco e Povertà per questi amanti
 15103  prendi oramai nel mio parlar diffuso.
 15104  
 15105  La lor concordia e i lor lieti sembianti,
 15106  amore e maraviglia e dolce sguardo
 15107  facieno esser cagion di pensier santi;
 15108  
 15109  tanto che ’l venerabile Bernardo
 15110  si scalzò prima, e dietro a tanta pace
 15111  corse e, correndo, li parve esser tardo.
 15112  
 15113  Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
 15114  Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
 15115  dietro a lo sposo, sì la sposa piace.
 15116  
 15117  Indi sen va quel padre e quel maestro
 15118  con la sua donna e con quella famiglia
 15119  che già legava l’umile capestro.
 15120  
 15121  Né li gravò viltà di cuor le ciglia
 15122  per esser fi’ di Pietro Bernardone,
 15123  né per parer dispetto a maraviglia;
 15124  
 15125  ma regalmente sua dura intenzione
 15126  ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
 15127  primo sigillo a sua religïone.
 15128  
 15129  Poi che la gente poverella crebbe
 15130  dietro a costui, la cui mirabil vita
 15131  meglio in gloria del ciel si canterebbe,
 15132  
 15133  di seconda corona redimita
 15134  fu per Onorio da l’Etterno Spiro
 15135  la santa voglia d’esto archimandrita.
 15136  
 15137  E poi che, per la sete del martiro,
 15138  ne la presenza del Soldan superba
 15139  predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,
 15140  
 15141  e per trovare a conversione acerba
 15142  troppo la gente e per non stare indarno,
 15143  redissi al frutto de l’italica erba,
 15144  
 15145  nel crudo sasso intra Tevero e Arno
 15146  da Cristo prese l’ultimo sigillo,
 15147  che le sue membra due anni portarno.
 15148  
 15149  Quando a colui ch’a tanto ben sortillo
 15150  piacque di trarlo suso a la mercede
 15151  ch’el meritò nel suo farsi pusillo,
 15152  
 15153  a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede,
 15154  raccomandò la donna sua più cara,
 15155  e comandò che l’amassero a fede;
 15156  
 15157  e del suo grembo l’anima preclara
 15158  mover si volle, tornando al suo regno,
 15159  e al suo corpo non volle altra bara.
 15160  
 15161  Pensa oramai qual fu colui che degno
 15162  collega fu a mantener la barca
 15163  di Pietro in alto mar per dritto segno;
 15164  
 15165  e questo fu il nostro patrïarca;
 15166  per che qual segue lui, com’ el comanda,
 15167  discerner puoi che buone merce carca.
 15168  
 15169  Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda
 15170  è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote
 15171  che per diversi salti non si spanda;
 15172  
 15173  e quanto le sue pecore remote
 15174  e vagabunde più da esso vanno,
 15175  più tornano a l’ovil di latte vòte.
 15176  
 15177  Ben son di quelle che temono ’l danno
 15178  e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
 15179  che le cappe fornisce poco panno.
 15180  
 15181  Or, se le mie parole non son fioche,
 15182  se la tua audïenza è stata attenta,
 15183  se ciò ch’è detto a la mente revoche,
 15184  
 15185  in parte fia la tua voglia contenta,
 15186  perché vedrai la pianta onde si scheggia,
 15187  e vedra’ il corrègger che argomenta
 15188  
 15189  “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”».
 15190  
 15191  
 15192  
 15193  Paradiso · Canto XII
 15194  
 15195  
 15196  Sì tosto come l’ultima parola
 15197  la benedetta fiamma per dir tolse,
 15198  a rotar cominciò la santa mola;
 15199  
 15200  e nel suo giro tutta non si volse
 15201  prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,
 15202  e moto a moto e canto a canto colse;
 15203  
 15204  canto che tanto vince nostre muse,
 15205  nostre serene in quelle dolci tube,
 15206  quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.
 15207  
 15208  Come si volgon per tenera nube
 15209  due archi paralelli e concolori,
 15210  quando Iunone a sua ancella iube,
 15211  
 15212  nascendo di quel d’entro quel di fori,
 15213  a guisa del parlar di quella vaga
 15214  ch’amor consunse come sol vapori,
 15215  
 15216  e fanno qui la gente esser presaga,
 15217  per lo patto che Dio con Noè puose,
 15218  del mondo che già mai più non s’allaga:
 15219  
 15220  così di quelle sempiterne rose
 15221  volgiensi circa noi le due ghirlande,
 15222  e sì l’estrema a l’intima rispuose.
 15223  
 15224  Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
 15225  sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
 15226  luce con luce gaudïose e blande,
 15227  
 15228  insieme a punto e a voler quetarsi,
 15229  pur come li occhi ch’al piacer che i move
 15230  conviene insieme chiudere e levarsi;
 15231  
 15232  del cor de l’una de le luci nove
 15233  si mosse voce, che l’ago a la stella
 15234  parer mi fece in volgermi al suo dove;
 15235  
 15236  e cominciò: «L’amor che mi fa bella
 15237  mi tragge a ragionar de l’altro duca
 15238  per cui del mio sì ben ci si favella.
 15239  
 15240  Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca:
 15241  sì che, com’ elli ad una militaro,
 15242  così la gloria loro insieme luca.
 15243  
 15244  L’essercito di Cristo, che sì caro
 15245  costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna
 15246  si movea tardo, sospeccioso e raro,
 15247  
 15248  quando lo ’mperador che sempre regna
 15249  provide a la milizia, ch’era in forse,
 15250  per sola grazia, non per esser degna;
 15251  
 15252  e, come è detto, a sua sposa soccorse
 15253  con due campioni, al cui fare, al cui dire
 15254  lo popol disvïato si raccorse.
 15255  
 15256  In quella parte ove surge ad aprire
 15257  Zefiro dolce le novelle fronde
 15258  di che si vede Europa rivestire,
 15259  
 15260  non molto lungi al percuoter de l’onde
 15261  dietro a le quali, per la lunga foga,
 15262  lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
 15263  
 15264  siede la fortunata Calaroga
 15265  sotto la protezion del grande scudo
 15266  in che soggiace il leone e soggioga:
 15267  
 15268  dentro vi nacque l’amoroso drudo
 15269  de la fede cristiana, il santo atleta
 15270  benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;
 15271  
 15272  e come fu creata, fu repleta
 15273  sì la sua mente di viva vertute
 15274  che, ne la madre, lei fece profeta.
 15275  
 15276  Poi che le sponsalizie fuor compiute
 15277  al sacro fonte intra lui e la Fede,
 15278  u’ si dotar di mutüa salute,
 15279  
 15280  la donna che per lui l’assenso diede,
 15281  vide nel sonno il mirabile frutto
 15282  ch’uscir dovea di lui e de le rede;
 15283  
 15284  e perché fosse qual era in costrutto,
 15285  quinci si mosse spirito a nomarlo
 15286  del possessivo di cui era tutto.
 15287  
 15288  Domenico fu detto; e io ne parlo
 15289  sì come de l’agricola che Cristo
 15290  elesse a l’orto suo per aiutarlo.
 15291  
 15292  Ben parve messo e famigliar di Cristo:
 15293  che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,
 15294  fu al primo consiglio che diè Cristo.
 15295  
 15296  Spesse fïate fu tacito e desto
 15297  trovato in terra da la sua nutrice,
 15298  come dicesse: ‘Io son venuto a questo’.
 15299  
 15300  Oh padre suo veramente Felice!
 15301  oh madre sua veramente Giovanna,
 15302  se, interpretata, val come si dice!
 15303  
 15304  Non per lo mondo, per cui mo s’affanna
 15305  di retro ad Ostïense e a Taddeo,
 15306  ma per amor de la verace manna
 15307  
 15308  in picciol tempo gran dottor si feo;
 15309  tal che si mise a circüir la vigna
 15310  che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo.
 15311  
 15312  E a la sedia che fu già benigna
 15313  più a’ poveri giusti, non per lei,
 15314  ma per colui che siede, che traligna,
 15315  
 15316  non dispensare o due o tre per sei,
 15317  non la fortuna di prima vacante,
 15318  non decimas, quae sunt pauperum Dei,
 15319  
 15320  addimandò, ma contro al mondo errante
 15321  licenza di combatter per lo seme
 15322  del qual ti fascian ventiquattro piante.
 15323  
 15324  Poi, con dottrina e con volere insieme,
 15325  con l’officio appostolico si mosse
 15326  quasi torrente ch’alta vena preme;
 15327  
 15328  e ne li sterpi eretici percosse
 15329  l’impeto suo, più vivamente quivi
 15330  dove le resistenze eran più grosse.
 15331  
 15332  Di lui si fecer poi diversi rivi
 15333  onde l’orto catolico si riga,
 15334  sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
 15335  
 15336  Se tal fu l’una rota de la biga
 15337  in che la Santa Chiesa si difese
 15338  e vinse in campo la sua civil briga,
 15339  
 15340  ben ti dovrebbe assai esser palese
 15341  l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
 15342  dinanzi al mio venir fu sì cortese.
 15343  
 15344  Ma l’orbita che fé la parte somma
 15345  di sua circunferenza, è derelitta,
 15346  sì ch’è la muffa dov’ era la gromma.
 15347  
 15348  La sua famiglia, che si mosse dritta
 15349  coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
 15350  che quel dinanzi a quel di retro gitta;
 15351  
 15352  e tosto si vedrà de la ricolta
 15353  de la mala coltura, quando il loglio
 15354  si lagnerà che l’arca li sia tolta.
 15355  
 15356  Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
 15357  nostro volume, ancor troveria carta
 15358  u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”;
 15359  
 15360  ma non fia da Casal né d’Acquasparta,
 15361  là onde vegnon tali a la scrittura,
 15362  ch’uno la fugge e altro la coarta.
 15363  
 15364  Io son la vita di Bonaventura
 15365  da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
 15366  sempre pospuosi la sinistra cura.
 15367  
 15368  Illuminato e Augustin son quici,
 15369  che fuor de’ primi scalzi poverelli
 15370  che nel capestro a Dio si fero amici.
 15371  
 15372  Ugo da San Vittore è qui con elli,
 15373  e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
 15374  lo qual giù luce in dodici libelli;
 15375  
 15376  Natàn profeta e ’l metropolitano
 15377  Crisostomo e Anselmo e quel Donato
 15378  ch’a la prim’ arte degnò porre mano.
 15379  
 15380  Rabano è qui, e lucemi dallato
 15381  il calavrese abate Giovacchino
 15382  di spirito profetico dotato.
 15383  
 15384  Ad inveggiar cotanto paladino
 15385  mi mosse l’infiammata cortesia
 15386  di fra Tommaso e ’l discreto latino;
 15387  
 15388  e mosse meco questa compagnia».
 15389  
 15390  
 15391  
 15392  Paradiso · Canto XIII
 15393  
 15394  
 15395  Imagini, chi bene intender cupe
 15396  quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image,
 15397  mentre ch’io dico, come ferma rupe—,
 15398  
 15399  quindici stelle che ’n diverse plage
 15400  lo ciel avvivan di tanto sereno
 15401  che soperchia de l’aere ogne compage;
 15402  
 15403  imagini quel carro a cu’ il seno
 15404  basta del nostro cielo e notte e giorno,
 15405  sì ch’al volger del temo non vien meno;
 15406  
 15407  imagini la bocca di quel corno
 15408  che si comincia in punta de lo stelo
 15409  a cui la prima rota va dintorno,
 15410  
 15411  aver fatto di sé due segni in cielo,
 15412  qual fece la figliuola di Minoi
 15413  allora che sentì di morte il gelo;
 15414  
 15415  e l’un ne l’altro aver li raggi suoi,
 15416  e amendue girarsi per maniera
 15417  che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;
 15418  
 15419  e avrà quasi l’ombra de la vera
 15420  costellazione e de la doppia danza
 15421  che circulava il punto dov’ io era:
 15422  
 15423  poi ch’è tanto di là da nostra usanza,
 15424  quanto di là dal mover de la Chiana
 15425  si move il ciel che tutti li altri avanza.
 15426  
 15427  Lì si cantò non Bacco, non Peana,
 15428  ma tre persone in divina natura,
 15429  e in una persona essa e l’umana.
 15430  
 15431  Compié ’l cantare e ’l volger sua misura;
 15432  e attesersi a noi quei santi lumi,
 15433  felicitando sé di cura in cura.
 15434  
 15435  Ruppe il silenzio ne’ concordi numi
 15436  poscia la luce in che mirabil vita
 15437  del poverel di Dio narrata fumi,
 15438  
 15439  e disse: «Quando l’una paglia è trita,
 15440  quando la sua semenza è già riposta,
 15441  a batter l’altra dolce amor m’invita.
 15442  
 15443  Tu credi che nel petto onde la costa
 15444  si trasse per formar la bella guancia
 15445  il cui palato a tutto ’l mondo costa,
 15446  
 15447  e in quel che, forato da la lancia,
 15448  e prima e poscia tanto sodisfece,
 15449  che d’ogne colpa vince la bilancia,
 15450  
 15451  quantunque a la natura umana lece
 15452  aver di lume, tutto fosse infuso
 15453  da quel valor che l’uno e l’altro fece;
 15454  
 15455  e però miri a ciò ch’io dissi suso,
 15456  quando narrai che non ebbe ’l secondo
 15457  lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
 15458  
 15459  Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo,
 15460  e vedräi il tuo credere e ’l mio dire
 15461  nel vero farsi come centro in tondo.
 15462  
 15463  Ciò che non more e ciò che può morire
 15464  non è se non splendor di quella idea
 15465  che partorisce, amando, il nostro Sire;
 15466  
 15467  ché quella viva luce che sì mea
 15468  dal suo lucente, che non si disuna
 15469  da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea,
 15470  
 15471  per sua bontate il suo raggiare aduna,
 15472  quasi specchiato, in nove sussistenze,
 15473  etternalmente rimanendosi una.
 15474  
 15475  Quindi discende a l’ultime potenze
 15476  giù d’atto in atto, tanto divenendo,
 15477  che più non fa che brevi contingenze;
 15478  
 15479  e queste contingenze essere intendo
 15480  le cose generate, che produce
 15481  con seme e sanza seme il ciel movendo.
 15482  
 15483  La cera di costoro e chi la duce
 15484  non sta d’un modo; e però sotto ’l segno
 15485  idëale poi più e men traluce.
 15486  
 15487  Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno,
 15488  secondo specie, meglio e peggio frutta;
 15489  e voi nascete con diverso ingegno.
 15490  
 15491  Se fosse a punto la cera dedutta
 15492  e fosse il cielo in sua virtù supprema,
 15493  la luce del suggel parrebbe tutta;
 15494  
 15495  ma la natura la dà sempre scema,
 15496  similemente operando a l’artista
 15497  ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.
 15498  
 15499  Però se ’l caldo amor la chiara vista
 15500  de la prima virtù dispone e segna,
 15501  tutta la perfezion quivi s’acquista.
 15502  
 15503  Così fu fatta già la terra degna
 15504  di tutta l’animal perfezïone;
 15505  così fu fatta la Vergine pregna;
 15506  
 15507  sì ch’io commendo tua oppinïone,
 15508  che l’umana natura mai non fue
 15509  né fia qual fu in quelle due persone.
 15510  
 15511  Or s’i’ non procedesse avanti piùe,
 15512  ‘Dunque, come costui fu sanza pare?’
 15513  comincerebber le parole tue.
 15514  
 15515  Ma perché paia ben ciò che non pare,
 15516  pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
 15517  quando fu detto “Chiedi”, a dimandare.
 15518  
 15519  Non ho parlato sì, che tu non posse
 15520  ben veder ch’el fu re, che chiese senno
 15521  acciò che re sufficïente fosse;
 15522  
 15523  non per sapere il numero in che enno
 15524  li motor di qua sù, o se necesse
 15525  con contingente mai necesse fenno;
 15526  
 15527  non si est dare primum motum esse,
 15528  o se del mezzo cerchio far si puote
 15529  trïangol sì ch’un retto non avesse.
 15530  
 15531  Onde, se ciò ch’io dissi e questo note,
 15532  regal prudenza è quel vedere impari
 15533  in che lo stral di mia intenzion percuote;
 15534  
 15535  e se al “surse” drizzi li occhi chiari,
 15536  vedrai aver solamente respetto
 15537  ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.
 15538  
 15539  Con questa distinzion prendi ’l mio detto;
 15540  e così puote star con quel che credi
 15541  del primo padre e del nostro Diletto.
 15542  
 15543  E questo ti sia sempre piombo a’ piedi,
 15544  per farti mover lento com’ uom lasso
 15545  e al sì e al no che tu non vedi:
 15546  
 15547  ché quelli è tra li stolti bene a basso,
 15548  che sanza distinzione afferma e nega
 15549  ne l’un così come ne l’altro passo;
 15550  
 15551  perch’ elli ’ncontra che più volte piega
 15552  l’oppinïon corrente in falsa parte,
 15553  e poi l’affetto l’intelletto lega.
 15554  
 15555  Vie più che ’ndarno da riva si parte,
 15556  perché non torna tal qual e’ si move,
 15557  chi pesca per lo vero e non ha l’arte.
 15558  
 15559  E di ciò sono al mondo aperte prove
 15560  Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
 15561  li quali andaro e non sapëan dove;
 15562  
 15563  sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti
 15564  che furon come spade a le Scritture
 15565  in render torti li diritti volti.
 15566  
 15567  Non sien le genti, ancor, troppo sicure
 15568  a giudicar, sì come quei che stima
 15569  le biade in campo pria che sien mature;
 15570  
 15571  ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima
 15572  lo prun mostrarsi rigido e feroce,
 15573  poscia portar la rosa in su la cima;
 15574  
 15575  e legno vidi già dritto e veloce
 15576  correr lo mar per tutto suo cammino,
 15577  perire al fine a l’intrar de la foce.
 15578  
 15579  Non creda donna Berta e ser Martino,
 15580  per vedere un furare, altro offerere,
 15581  vederli dentro al consiglio divino;
 15582  
 15583  ché quel può surgere, e quel può cadere».
 15584  
 15585  
 15586  
 15587  Paradiso · Canto XIV
 15588  
 15589  
 15590  Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
 15591  movesi l’acqua in un ritondo vaso,
 15592  secondo ch’è percosso fuori o dentro:
 15593  
 15594  ne la mia mente fé sùbito caso
 15595  questo ch’io dico, sì come si tacque
 15596  la glorïosa vita di Tommaso,
 15597  
 15598  per la similitudine che nacque
 15599  del suo parlare e di quel di Beatrice,
 15600  a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:
 15601  
 15602  «A costui fa mestieri, e nol vi dice
 15603  né con la voce né pensando ancora,
 15604  d’un altro vero andare a la radice.
 15605  
 15606  Diteli se la luce onde s’infiora
 15607  vostra sustanza, rimarrà con voi
 15608  etternalmente sì com’ ell’ è ora;
 15609  
 15610  e se rimane, dite come, poi
 15611  che sarete visibili rifatti,
 15612  esser porà ch’al veder non vi nòi».
 15613  
 15614  Come, da più letizia pinti e tratti,
 15615  a la fïata quei che vanno a rota
 15616  levan la voce e rallegrano li atti,
 15617  
 15618  così, a l’orazion pronta e divota,
 15619  li santi cerchi mostrar nova gioia
 15620  nel torneare e ne la mira nota.
 15621  
 15622  Qual si lamenta perché qui si moia
 15623  per viver colà sù, non vide quive
 15624  lo refrigerio de l’etterna ploia.
 15625  
 15626  Quell’ uno e due e tre che sempre vive
 15627  e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,
 15628  non circunscritto, e tutto circunscrive,
 15629  
 15630  tre volte era cantato da ciascuno
 15631  di quelli spirti con tal melodia,
 15632  ch’ad ogne merto saria giusto muno.
 15633  
 15634  E io udi’ ne la luce più dia
 15635  del minor cerchio una voce modesta,
 15636  forse qual fu da l’angelo a Maria,
 15637  
 15638  risponder: «Quanto fia lunga la festa
 15639  di paradiso, tanto il nostro amore
 15640  si raggerà dintorno cotal vesta.
 15641  
 15642  La sua chiarezza séguita l’ardore;
 15643  l’ardor la visïone, e quella è tanta,
 15644  quant’ ha di grazia sovra suo valore.
 15645  
 15646  Come la carne glorïosa e santa
 15647  fia rivestita, la nostra persona
 15648  più grata fia per esser tutta quanta;
 15649  
 15650  per che s’accrescerà ciò che ne dona
 15651  di gratüito lume il sommo bene,
 15652  lume ch’a lui veder ne condiziona;
 15653  
 15654  onde la visïon crescer convene,
 15655  crescer l’ardor che di quella s’accende,
 15656  crescer lo raggio che da esso vene.
 15657  
 15658  Ma sì come carbon che fiamma rende,
 15659  e per vivo candor quella soverchia,
 15660  sì che la sua parvenza si difende;
 15661  
 15662  così questo folgór che già ne cerchia
 15663  fia vinto in apparenza da la carne
 15664  che tutto dì la terra ricoperchia;
 15665  
 15666  né potrà tanta luce affaticarne:
 15667  ché li organi del corpo saran forti
 15668  a tutto ciò che potrà dilettarne».
 15669  
 15670  Tanto mi parver sùbiti e accorti
 15671  e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!»,
 15672  che ben mostrar disio d’i corpi morti:
 15673  
 15674  forse non pur per lor, ma per le mamme,
 15675  per li padri e per li altri che fuor cari
 15676  anzi che fosser sempiterne fiamme.
 15677  
 15678  Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
 15679  nascere un lustro sopra quel che v’era,
 15680  per guisa d’orizzonte che rischiari.
 15681  
 15682  E sì come al salir di prima sera
 15683  comincian per lo ciel nove parvenze,
 15684  sì che la vista pare e non par vera,
 15685  
 15686  parvemi lì novelle sussistenze
 15687  cominciare a vedere, e fare un giro
 15688  di fuor da l’altre due circunferenze.
 15689  
 15690  Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
 15691  come si fece sùbito e candente
 15692  a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
 15693  
 15694  Ma Bëatrice sì bella e ridente
 15695  mi si mostrò, che tra quelle vedute
 15696  si vuol lasciar che non seguir la mente.
 15697  
 15698  Quindi ripreser li occhi miei virtute
 15699  a rilevarsi; e vidimi translato
 15700  sol con mia donna in più alta salute.
 15701  
 15702  Ben m’accors’ io ch’io era più levato,
 15703  per l’affocato riso de la stella,
 15704  che mi parea più roggio che l’usato.
 15705  
 15706  Con tutto ’l core e con quella favella
 15707  ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto,
 15708  qual conveniesi a la grazia novella.
 15709  
 15710  E non er’ anco del mio petto essausto
 15711  l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi
 15712  esso litare stato accetto e fausto;
 15713  
 15714  ché con tanto lucore e tanto robbi
 15715  m’apparvero splendor dentro a due raggi,
 15716  ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».
 15717  
 15718  Come distinta da minori e maggi
 15719  lumi biancheggia tra ’ poli del mondo
 15720  Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
 15721  
 15722  sì costellati facean nel profondo
 15723  Marte quei raggi il venerabil segno
 15724  che fan giunture di quadranti in tondo.
 15725  
 15726  Qui vince la memoria mia lo ’ngegno;
 15727  ché quella croce lampeggiava Cristo,
 15728  sì ch’io non so trovare essempro degno;
 15729  
 15730  ma chi prende sua croce e segue Cristo,
 15731  ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
 15732  vedendo in quell’ albor balenar Cristo.
 15733  
 15734  Di corno in corno e tra la cima e ’l basso
 15735  si movien lumi, scintillando forte
 15736  nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
 15737  
 15738  così si veggion qui diritte e torte,
 15739  veloci e tarde, rinovando vista,
 15740  le minuzie d’i corpi, lunghe e corte,
 15741  
 15742  moversi per lo raggio onde si lista
 15743  talvolta l’ombra che, per sua difesa,
 15744  la gente con ingegno e arte acquista.
 15745  
 15746  E come giga e arpa, in tempra tesa
 15747  di molte corde, fa dolce tintinno
 15748  a tal da cui la nota non è intesa,
 15749  
 15750  così da’ lumi che lì m’apparinno
 15751  s’accogliea per la croce una melode
 15752  che mi rapiva, sanza intender l’inno.
 15753  
 15754  Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,
 15755  però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
 15756  come a colui che non intende e ode.
 15757  
 15758  Ïo m’innamorava tanto quinci,
 15759  che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
 15760  che mi legasse con sì dolci vinci.
 15761  
 15762  Forse la mia parola par troppo osa,
 15763  posponendo il piacer de li occhi belli,
 15764  ne’ quai mirando mio disio ha posa;
 15765  
 15766  ma chi s’avvede che i vivi suggelli
 15767  d’ogne bellezza più fanno più suso,
 15768  e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,
 15769  
 15770  escusar puommi di quel ch’io m’accuso
 15771  per escusarmi, e vedermi dir vero:
 15772  ché ’l piacer santo non è qui dischiuso,
 15773  
 15774  perché si fa, montando, più sincero.
 15775  
 15776  
 15777  
 15778  Paradiso · Canto XV
 15779  
 15780  
 15781  Benigna volontade in che si liqua
 15782  sempre l’amor che drittamente spira,
 15783  come cupidità fa ne la iniqua,
 15784  
 15785  silenzio puose a quella dolce lira,
 15786  e fece quïetar le sante corde
 15787  che la destra del cielo allenta e tira.
 15788  
 15789  Come saranno a’ giusti preghi sorde
 15790  quelle sustanze che, per darmi voglia
 15791  ch’io le pregassi, a tacer fur concorde?
 15792  
 15793  Bene è che sanza termine si doglia
 15794  chi, per amor di cosa che non duri
 15795  etternalmente, quello amor si spoglia.
 15796  
 15797  Quale per li seren tranquilli e puri
 15798  discorre ad ora ad or sùbito foco,
 15799  movendo li occhi che stavan sicuri,
 15800  
 15801  e pare stella che tramuti loco,
 15802  se non che da la parte ond’ e’ s’accende
 15803  nulla sen perde, ed esso dura poco:
 15804  
 15805  tale dal corno che ’n destro si stende
 15806  a piè di quella croce corse un astro
 15807  de la costellazion che lì resplende;
 15808  
 15809  né si partì la gemma dal suo nastro,
 15810  ma per la lista radïal trascorse,
 15811  che parve foco dietro ad alabastro.
 15812  
 15813  Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse,
 15814  se fede merta nostra maggior musa,
 15815  quando in Eliso del figlio s’accorse.
 15816  
 15817  «O sanguis meus, o superinfusa
 15818  gratïa Deï, sicut tibi cui
 15819  bis unquam celi ianüa reclusa?».
 15820  
 15821  Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui;
 15822  poscia rivolsi a la mia donna il viso,
 15823  e quinci e quindi stupefatto fui;
 15824  
 15825  ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
 15826  tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo
 15827  de la mia gloria e del mio paradiso.
 15828  
 15829  Indi, a udire e a veder giocondo,
 15830  giunse lo spirto al suo principio cose,
 15831  ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo;
 15832  
 15833  né per elezïon mi si nascose,
 15834  ma per necessità, ché ’l suo concetto
 15835  al segno d’i mortal si soprapuose.
 15836  
 15837  E quando l’arco de l’ardente affetto
 15838  fu sì sfogato, che ’l parlar discese
 15839  inver’ lo segno del nostro intelletto,
 15840  
 15841  la prima cosa che per me s’intese,
 15842  «Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
 15843  che nel mio seme se’ tanto cortese!».
 15844  
 15845  E seguì: «Grato e lontano digiuno,
 15846  tratto leggendo del magno volume
 15847  du’ non si muta mai bianco né bruno,
 15848  
 15849  solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
 15850  in ch’io ti parlo, mercè di colei
 15851  ch’a l’alto volo ti vestì le piume.
 15852  
 15853  Tu credi che a me tuo pensier mei
 15854  da quel ch’è primo, così come raia
 15855  da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei;
 15856  
 15857  e però ch’io mi sia e perch’ io paia
 15858  più gaudïoso a te, non mi domandi,
 15859  che alcun altro in questa turba gaia.
 15860  
 15861  Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
 15862  di questa vita miran ne lo speglio
 15863  in che, prima che pensi, il pensier pandi;
 15864  
 15865  ma perché ’l sacro amore in che io veglio
 15866  con perpetüa vista e che m’asseta
 15867  di dolce disïar, s’adempia meglio,
 15868  
 15869  la voce tua sicura, balda e lieta
 15870  suoni la volontà, suoni ’l disio,
 15871  a che la mia risposta è già decreta!».
 15872  
 15873  Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
 15874  pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
 15875  che fece crescer l’ali al voler mio.
 15876  
 15877  Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,
 15878  come la prima equalità v’apparse,
 15879  d’un peso per ciascun di voi si fenno,
 15880  
 15881  però che ’l sol che v’allumò e arse,
 15882  col caldo e con la luce è sì iguali,
 15883  che tutte simiglianze sono scarse.
 15884  
 15885  Ma voglia e argomento ne’ mortali,
 15886  per la cagion ch’a voi è manifesta,
 15887  diversamente son pennuti in ali;
 15888  
 15889  ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
 15890  disagguaglianza, e però non ringrazio
 15891  se non col core a la paterna festa.
 15892  
 15893  Ben supplico io a te, vivo topazio
 15894  che questa gioia prezïosa ingemmi,
 15895  perché mi facci del tuo nome sazio».
 15896  
 15897  «O fronda mia in che io compiacemmi
 15898  pur aspettando, io fui la tua radice»:
 15899  cotal principio, rispondendo, femmi.
 15900  
 15901  Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
 15902  tua cognazione e che cent’ anni e piùe
 15903  girato ha ’l monte in la prima cornice,
 15904  
 15905  mio figlio fu e tuo bisavol fue:
 15906  ben si convien che la lunga fatica
 15907  tu li raccorci con l’opere tue.
 15908  
 15909  Fiorenza dentro da la cerchia antica,
 15910  ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
 15911  si stava in pace, sobria e pudica.
 15912  
 15913  Non avea catenella, non corona,
 15914  non gonne contigiate, non cintura
 15915  che fosse a veder più che la persona.
 15916  
 15917  Non faceva, nascendo, ancor paura
 15918  la figlia al padre, che ’l tempo e la dote
 15919  non fuggien quinci e quindi la misura.
 15920  
 15921  Non avea case di famiglia vòte;
 15922  non v’era giunto ancor Sardanapalo
 15923  a mostrar ciò che ’n camera si puote.
 15924  
 15925  Non era vinto ancora Montemalo
 15926  dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto
 15927  nel montar sù, così sarà nel calo.
 15928  
 15929  Bellincion Berti vid’ io andar cinto
 15930  di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
 15931  la donna sua sanza ’l viso dipinto;
 15932  
 15933  e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
 15934  esser contenti a la pelle scoperta,
 15935  e le sue donne al fuso e al pennecchio.
 15936  
 15937  Oh fortunate! ciascuna era certa
 15938  de la sua sepultura, e ancor nulla
 15939  era per Francia nel letto diserta.
 15940  
 15941  L’una vegghiava a studio de la culla,
 15942  e, consolando, usava l’idïoma
 15943  che prima i padri e le madri trastulla;
 15944  
 15945  l’altra, traendo a la rocca la chioma,
 15946  favoleggiava con la sua famiglia
 15947  d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.
 15948  
 15949  Saria tenuta allor tal maraviglia
 15950  una Cianghella, un Lapo Salterello,
 15951  qual or saria Cincinnato e Corniglia.
 15952  
 15953  A così riposato, a così bello
 15954  viver di cittadini, a così fida
 15955  cittadinanza, a così dolce ostello,
 15956  
 15957  Maria mi diè, chiamata in alte grida;
 15958  e ne l’antico vostro Batisteo
 15959  insieme fui cristiano e Cacciaguida.
 15960  
 15961  Moronto fu mio frate ed Eliseo;
 15962  mia donna venne a me di val di Pado,
 15963  e quindi il sopranome tuo si feo.
 15964  
 15965  Poi seguitai lo ’mperador Currado;
 15966  ed el mi cinse de la sua milizia,
 15967  tanto per bene ovrar li venni in grado.
 15968  
 15969  Dietro li andai incontro a la nequizia
 15970  di quella legge il cui popolo usurpa,
 15971  per colpa d’i pastor, vostra giustizia.
 15972  
 15973  Quivi fu’ io da quella gente turpa
 15974  disviluppato dal mondo fallace,
 15975  lo cui amor molt’ anime deturpa;
 15976  
 15977  e venni dal martiro a questa pace».
 15978  
 15979  
 15980  
 15981  Paradiso · Canto XVI
 15982  
 15983  
 15984  O poca nostra nobiltà di sangue,
 15985  se glorïar di te la gente fai
 15986  qua giù dove l’affetto nostro langue,
 15987  
 15988  mirabil cosa non mi sarà mai:
 15989  ché là dove appetito non si torce,
 15990  dico nel cielo, io me ne gloriai.
 15991  
 15992  Ben se’ tu manto che tosto raccorce:
 15993  sì che, se non s’appon di dì in die,
 15994  lo tempo va dintorno con le force.
 15995  
 15996  Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie,
 15997  in che la sua famiglia men persevra,
 15998  ricominciaron le parole mie;
 15999  
 16000  onde Beatrice, ch’era un poco scevra,
 16001  ridendo, parve quella che tossio
 16002  al primo fallo scritto di Ginevra.
 16003  
 16004  Io cominciai: «Voi siete il padre mio;
 16005  voi mi date a parlar tutta baldezza;
 16006  voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io.
 16007  
 16008  Per tanti rivi s’empie d’allegrezza
 16009  la mente mia, che di sé fa letizia
 16010  perché può sostener che non si spezza.
 16011  
 16012  Ditemi dunque, cara mia primizia,
 16013  quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
 16014  che si segnaro in vostra püerizia;
 16015  
 16016  ditemi de l’ovil di San Giovanni
 16017  quanto era allora, e chi eran le genti
 16018  tra esso degne di più alti scanni».
 16019  
 16020  Come s’avviva a lo spirar d’i venti
 16021  carbone in fiamma, così vid’ io quella
 16022  luce risplendere a’ miei blandimenti;
 16023  
 16024  e come a li occhi miei si fé più bella,
 16025  così con voce più dolce e soave,
 16026  ma non con questa moderna favella,
 16027  
 16028  dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’
 16029  al parto in che mia madre, ch’è or santa,
 16030  s’allevïò di me ond’ era grave,
 16031  
 16032  al suo Leon cinquecento cinquanta
 16033  e trenta fiate venne questo foco
 16034  a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
 16035  
 16036  Li antichi miei e io nacqui nel loco
 16037  dove si truova pria l’ultimo sesto
 16038  da quei che corre il vostro annüal gioco.
 16039  
 16040  Basti d’i miei maggiori udirne questo:
 16041  chi ei si fosser e onde venner quivi,
 16042  più è tacer che ragionare onesto.
 16043  
 16044  Tutti color ch’a quel tempo eran ivi
 16045  da poter arme tra Marte e ’l Batista,
 16046  eran il quinto di quei ch’or son vivi.
 16047  
 16048  Ma la cittadinanza, ch’è or mista
 16049  di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
 16050  pura vediesi ne l’ultimo artista.
 16051  
 16052  Oh quanto fora meglio esser vicine
 16053  quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo
 16054  e a Trespiano aver vostro confine,
 16055  
 16056  che averle dentro e sostener lo puzzo
 16057  del villan d’Aguglion, di quel da Signa,
 16058  che già per barattare ha l’occhio aguzzo!
 16059  
 16060  Se la gente ch’al mondo più traligna
 16061  non fosse stata a Cesare noverca,
 16062  ma come madre a suo figlio benigna,
 16063  
 16064  tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
 16065  che si sarebbe vòlto a Simifonti,
 16066  là dove andava l’avolo a la cerca;
 16067  
 16068  sariesi Montemurlo ancor de’ Conti;
 16069  sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone,
 16070  e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
 16071  
 16072  Sempre la confusion de le persone
 16073  principio fu del mal de la cittade,
 16074  come del vostro il cibo che s’appone;
 16075  
 16076  e cieco toro più avaccio cade
 16077  che cieco agnello; e molte volte taglia
 16078  più e meglio una che le cinque spade.
 16079  
 16080  Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
 16081  come sono ite, e come se ne vanno
 16082  di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
 16083  
 16084  udir come le schiatte si disfanno
 16085  non ti parrà nova cosa né forte,
 16086  poscia che le cittadi termine hanno.
 16087  
 16088  Le vostre cose tutte hanno lor morte,
 16089  sì come voi; ma celasi in alcuna
 16090  che dura molto, e le vite son corte.
 16091  
 16092  E come ’l volger del ciel de la luna
 16093  cuopre e discuopre i liti sanza posa,
 16094  così fa di Fiorenza la Fortuna:
 16095  
 16096  per che non dee parer mirabil cosa
 16097  ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini
 16098  onde è la fama nel tempo nascosa.
 16099  
 16100  Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
 16101  Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
 16102  già nel calare, illustri cittadini;
 16103  
 16104  e vidi così grandi come antichi,
 16105  con quel de la Sannella, quel de l’Arca,
 16106  e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
 16107  
 16108  Sovra la porta ch’al presente è carca
 16109  di nova fellonia di tanto peso
 16110  che tosto fia iattura de la barca,
 16111  
 16112  erano i Ravignani, ond’ è disceso
 16113  il conte Guido e qualunque del nome
 16114  de l’alto Bellincione ha poscia preso.
 16115  
 16116  Quel de la Pressa sapeva già come
 16117  regger si vuole, e avea Galigaio
 16118  dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome.
 16119  
 16120  Grand’ era già la colonna del Vaio,
 16121  Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
 16122  e Galli e quei ch’arrossan per lo staio.
 16123  
 16124  Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
 16125  era già grande, e già eran tratti
 16126  a le curule Sizii e Arrigucci.
 16127  
 16128  Oh quali io vidi quei che son disfatti
 16129  per lor superbia! e le palle de l’oro
 16130  fiorian Fiorenza in tutt’ i suoi gran fatti.
 16131  
 16132  Così facieno i padri di coloro
 16133  che, sempre che la vostra chiesa vaca,
 16134  si fanno grassi stando a consistoro.
 16135  
 16136  L’oltracotata schiatta che s’indraca
 16137  dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente
 16138  o ver la borsa, com’ agnel si placa,
 16139  
 16140  già venìa sù, ma di picciola gente;
 16141  sì che non piacque ad Ubertin Donato
 16142  che poï il suocero il fé lor parente.
 16143  
 16144  Già era ’l Caponsacco nel mercato
 16145  disceso giù da Fiesole, e già era
 16146  buon cittadino Giuda e Infangato.
 16147  
 16148  Io dirò cosa incredibile e vera:
 16149  nel picciol cerchio s’entrava per porta
 16150  che si nomava da quei de la Pera.
 16151  
 16152  Ciascun che de la bella insegna porta
 16153  del gran barone il cui nome e ’l cui pregio
 16154  la festa di Tommaso riconforta,
 16155  
 16156  da esso ebbe milizia e privilegio;
 16157  avvegna che con popol si rauni
 16158  oggi colui che la fascia col fregio.
 16159  
 16160  Già eran Gualterotti e Importuni;
 16161  e ancor saria Borgo più quïeto,
 16162  se di novi vicin fosser digiuni.
 16163  
 16164  La casa di che nacque il vostro fleto,
 16165  per lo giusto disdegno che v’ha morti
 16166  e puose fine al vostro viver lieto,
 16167  
 16168  era onorata, essa e suoi consorti:
 16169  o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
 16170  le nozze süe per li altrui conforti!
 16171  
 16172  Molti sarebber lieti, che son tristi,
 16173  se Dio t’avesse conceduto ad Ema
 16174  la prima volta ch’a città venisti.
 16175  
 16176  Ma conveniesi a quella pietra scema
 16177  che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse
 16178  vittima ne la sua pace postrema.
 16179  
 16180  Con queste genti, e con altre con esse,
 16181  vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo,
 16182  che non avea cagione onde piangesse.
 16183  
 16184  Con queste genti vid’io glorïoso
 16185  e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio
 16186  non era ad asta mai posto a ritroso,
 16187  
 16188  né per divisïon fatto vermiglio».
 16189  
 16190  
 16191  
 16192  Paradiso · Canto XVII
 16193  
 16194  
 16195  Qual venne a Climenè, per accertarsi
 16196  di ciò ch’avëa incontro a sé udito,
 16197  quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi;
 16198  
 16199  tal era io, e tal era sentito
 16200  e da Beatrice e da la santa lampa
 16201  che pria per me avea mutato sito.
 16202  
 16203  Per che mia donna «Manda fuor la vampa
 16204  del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca
 16205  segnata bene de la interna stampa:
 16206  
 16207  non perché nostra conoscenza cresca
 16208  per tuo parlare, ma perché t’ausi
 16209  a dir la sete, sì che l’uom ti mesca».
 16210  
 16211  «O cara piota mia che sì t’insusi,
 16212  che, come veggion le terrene menti
 16213  non capere in trïangol due ottusi,
 16214  
 16215  così vedi le cose contingenti
 16216  anzi che sieno in sé, mirando il punto
 16217  a cui tutti li tempi son presenti;
 16218  
 16219  mentre ch’io era a Virgilio congiunto
 16220  su per lo monte che l’anime cura
 16221  e discendendo nel mondo defunto,
 16222  
 16223  dette mi fuor di mia vita futura
 16224  parole gravi, avvegna ch’io mi senta
 16225  ben tetragono ai colpi di ventura;
 16226  
 16227  per che la voglia mia saria contenta
 16228  d’intender qual fortuna mi s’appressa:
 16229  ché saetta previsa vien più lenta».
 16230  
 16231  Così diss’ io a quella luce stessa
 16232  che pria m’avea parlato; e come volle
 16233  Beatrice, fu la mia voglia confessa.
 16234  
 16235  Né per ambage, in che la gente folle
 16236  già s’inviscava pria che fosse anciso
 16237  l’Agnel di Dio che le peccata tolle,
 16238  
 16239  ma per chiare parole e con preciso
 16240  latin rispuose quello amor paterno,
 16241  chiuso e parvente del suo proprio riso:
 16242  
 16243  «La contingenza, che fuor del quaderno
 16244  de la vostra matera non si stende,
 16245  tutta è dipinta nel cospetto etterno;
 16246  
 16247  necessità però quindi non prende
 16248  se non come dal viso in che si specchia
 16249  nave che per torrente giù discende.
 16250  
 16251  Da indi, sì come viene ad orecchia
 16252  dolce armonia da organo, mi viene
 16253  a vista il tempo che ti s’apparecchia.
 16254  
 16255  Qual si partio Ipolito d’Atene
 16256  per la spietata e perfida noverca,
 16257  tal di Fiorenza partir ti convene.
 16258  
 16259  Questo si vuole e questo già si cerca,
 16260  e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
 16261  là dove Cristo tutto dì si merca.
 16262  
 16263  La colpa seguirà la parte offensa
 16264  in grido, come suol; ma la vendetta
 16265  fia testimonio al ver che la dispensa.
 16266  
 16267  Tu lascerai ogne cosa diletta
 16268  più caramente; e questo è quello strale
 16269  che l’arco de lo essilio pria saetta.
 16270  
 16271  Tu proverai sì come sa di sale
 16272  lo pane altrui, e come è duro calle
 16273  lo scendere e ’l salir per l’altrui scale.
 16274  
 16275  E quel che più ti graverà le spalle,
 16276  sarà la compagnia malvagia e scempia
 16277  con la qual tu cadrai in questa valle;
 16278  
 16279  che tutta ingrata, tutta matta ed empia
 16280  si farà contr’ a te; ma, poco appresso,
 16281  ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.
 16282  
 16283  Di sua bestialitate il suo processo
 16284  farà la prova; sì ch’a te fia bello
 16285  averti fatta parte per te stesso.
 16286  
 16287  Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello
 16288  sarà la cortesia del gran Lombardo
 16289  che ’n su la scala porta il santo uccello;
 16290  
 16291  ch’in te avrà sì benigno riguardo,
 16292  che del fare e del chieder, tra voi due,
 16293  fia primo quel che tra li altri è più tardo.
 16294  
 16295  Con lui vedrai colui che ’mpresso fue,
 16296  nascendo, sì da questa stella forte,
 16297  che notabili fier l’opere sue.
 16298  
 16299  Non se ne son le genti ancora accorte
 16300  per la novella età, ché pur nove anni
 16301  son queste rote intorno di lui torte;
 16302  
 16303  ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni,
 16304  parran faville de la sua virtute
 16305  in non curar d’argento né d’affanni.
 16306  
 16307  Le sue magnificenze conosciute
 16308  saranno ancora, sì che ’ suoi nemici
 16309  non ne potran tener le lingue mute.
 16310  
 16311  A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
 16312  per lui fia trasmutata molta gente,
 16313  cambiando condizion ricchi e mendici;
 16314  
 16315  e portera’ne scritto ne la mente
 16316  di lui, e nol dirai»; e disse cose
 16317  incredibili a quei che fier presente.
 16318  
 16319  Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose
 16320  di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie
 16321  che dietro a pochi giri son nascose.
 16322  
 16323  Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie,
 16324  poscia che s’infutura la tua vita
 16325  vie più là che ’l punir di lor perfidie».
 16326  
 16327  Poi che, tacendo, si mostrò spedita
 16328  l’anima santa di metter la trama
 16329  in quella tela ch’io le porsi ordita,
 16330  
 16331  io cominciai, come colui che brama,
 16332  dubitando, consiglio da persona
 16333  che vede e vuol dirittamente e ama:
 16334  
 16335  «Ben veggio, padre mio, sì come sprona
 16336  lo tempo verso me, per colpo darmi
 16337  tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona;
 16338  
 16339  per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
 16340  sì che, se loco m’è tolto più caro,
 16341  io non perdessi li altri per miei carmi.
 16342  
 16343  Giù per lo mondo sanza fine amaro,
 16344  e per lo monte del cui bel cacume
 16345  li occhi de la mia donna mi levaro,
 16346  
 16347  e poscia per lo ciel, di lume in lume,
 16348  ho io appreso quel che s’io ridico,
 16349  a molti fia sapor di forte agrume;
 16350  
 16351  e s’io al vero son timido amico,
 16352  temo di perder viver tra coloro
 16353  che questo tempo chiameranno antico».
 16354  
 16355  La luce in che rideva il mio tesoro
 16356  ch’io trovai lì, si fé prima corusca,
 16357  quale a raggio di sole specchio d’oro;
 16358  
 16359  indi rispuose: «Coscïenza fusca
 16360  o de la propria o de l’altrui vergogna
 16361  pur sentirà la tua parola brusca.
 16362  
 16363  Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
 16364  tutta tua visïon fa manifesta;
 16365  e lascia pur grattar dov’ è la rogna.
 16366  
 16367  Ché se la voce tua sarà molesta
 16368  nel primo gusto, vital nodrimento
 16369  lascerà poi, quando sarà digesta.
 16370  
 16371  Questo tuo grido farà come vento,
 16372  che le più alte cime più percuote;
 16373  e ciò non fa d’onor poco argomento.
 16374  
 16375  Però ti son mostrate in queste rote,
 16376  nel monte e ne la valle dolorosa
 16377  pur l’anime che son di fama note,
 16378  
 16379  che l’animo di quel ch’ode, non posa
 16380  né ferma fede per essempro ch’aia
 16381  la sua radice incognita e ascosa,
 16382  
 16383  né per altro argomento che non paia».
 16384  
 16385  
 16386  
 16387  Paradiso · Canto XVIII
 16388  
 16389  
 16390  Già si godeva solo del suo verbo
 16391  quello specchio beato, e io gustava
 16392  lo mio, temprando col dolce l’acerbo;
 16393  
 16394  e quella donna ch’a Dio mi menava
 16395  disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono
 16396  presso a colui ch’ogne torto disgrava».
 16397  
 16398  Io mi rivolsi a l’amoroso suono
 16399  del mio conforto; e qual io allor vidi
 16400  ne li occhi santi amor, qui l’abbandono:
 16401  
 16402  non perch’ io pur del mio parlar diffidi,
 16403  ma per la mente che non può redire
 16404  sovra sé tanto, s’altri non la guidi.
 16405  
 16406  Tanto poss’ io di quel punto ridire,
 16407  che, rimirando lei, lo mio affetto
 16408  libero fu da ogne altro disire,
 16409  
 16410  fin che ’l piacere etterno, che diretto
 16411  raggiava in Bëatrice, dal bel viso
 16412  mi contentava col secondo aspetto.
 16413  
 16414  Vincendo me col lume d’un sorriso,
 16415  ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
 16416  ché non pur ne’ miei occhi è paradiso».
 16417  
 16418  Come si vede qui alcuna volta
 16419  l’affetto ne la vista, s’elli è tanto,
 16420  che da lui sia tutta l’anima tolta,
 16421  
 16422  così nel fiammeggiar del folgór santo,
 16423  a ch’io mi volsi, conobbi la voglia
 16424  in lui di ragionarmi ancora alquanto.
 16425  
 16426  El cominciò: «In questa quinta soglia
 16427  de l’albero che vive de la cima
 16428  e frutta sempre e mai non perde foglia,
 16429  
 16430  spiriti son beati, che giù, prima
 16431  che venissero al ciel, fuor di gran voce,
 16432  sì ch’ogne musa ne sarebbe opima.
 16433  
 16434  Però mira ne’ corni de la croce:
 16435  quello ch’io nomerò, lì farà l’atto
 16436  che fa in nube il suo foco veloce».
 16437  
 16438  Io vidi per la croce un lume tratto
 16439  dal nomar Iosuè, com’ el si feo;
 16440  né mi fu noto il dir prima che ’l fatto.
 16441  
 16442  E al nome de l’alto Macabeo
 16443  vidi moversi un altro roteando,
 16444  e letizia era ferza del paleo.
 16445  
 16446  Così per Carlo Magno e per Orlando
 16447  due ne seguì lo mio attento sguardo,
 16448  com’ occhio segue suo falcon volando.
 16449  
 16450  Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
 16451  e ’l duca Gottifredi la mia vista
 16452  per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
 16453  
 16454  Indi, tra l’altre luci mota e mista,
 16455  mostrommi l’alma che m’avea parlato
 16456  qual era tra i cantor del cielo artista.
 16457  
 16458  Io mi rivolsi dal mio destro lato
 16459  per vedere in Beatrice il mio dovere,
 16460  o per parlare o per atto, segnato;
 16461  
 16462  e vidi le sue luci tanto mere,
 16463  tanto gioconde, che la sua sembianza
 16464  vinceva li altri e l’ultimo solere.
 16465  
 16466  E come, per sentir più dilettanza
 16467  bene operando, l’uom di giorno in giorno
 16468  s’accorge che la sua virtute avanza,
 16469  
 16470  sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno
 16471  col cielo insieme avea cresciuto l’arco,
 16472  veggendo quel miracol più addorno.
 16473  
 16474  E qual è ’l trasmutare in picciol varco
 16475  di tempo in bianca donna, quando ’l volto
 16476  suo si discarchi di vergogna il carco,
 16477  
 16478  tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
 16479  per lo candor de la temprata stella
 16480  sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.
 16481  
 16482  Io vidi in quella giovïal facella
 16483  lo sfavillar de l’amor che lì era
 16484  segnare a li occhi miei nostra favella.
 16485  
 16486  E come augelli surti di rivera,
 16487  quasi congratulando a lor pasture,
 16488  fanno di sé or tonda or altra schiera,
 16489  
 16490  sì dentro ai lumi sante creature
 16491  volitando cantavano, e faciensi
 16492  or D, or I, or L in sue figure.
 16493  
 16494  Prima, cantando, a sua nota moviensi;
 16495  poi, diventando l’un di questi segni,
 16496  un poco s’arrestavano e taciensi.
 16497  
 16498  O diva Pegasëa che li ’ngegni
 16499  fai glorïosi e rendili longevi,
 16500  ed essi teco le cittadi e ’ regni,
 16501  
 16502  illustrami di te, sì ch’io rilevi
 16503  le lor figure com’ io l’ho concette:
 16504  paia tua possa in questi versi brevi!
 16505  
 16506  Mostrarsi dunque in cinque volte sette
 16507  vocali e consonanti; e io notai
 16508  le parti sì, come mi parver dette.
 16509  
 16510  ‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai
 16511  fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;
 16512  ‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai.
 16513  
 16514  Poscia ne l’emme del vocabol quinto
 16515  rimasero ordinate; sì che Giove
 16516  pareva argento lì d’oro distinto.
 16517  
 16518  E vidi scendere altre luci dove
 16519  era il colmo de l’emme, e lì quetarsi
 16520  cantando, credo, il ben ch’a sé le move.
 16521  
 16522  Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi
 16523  surgono innumerabili faville,
 16524  onde li stolti sogliono agurarsi,
 16525  
 16526  resurger parver quindi più di mille
 16527  luci e salir, qual assai e qual poco,
 16528  sì come ’l sol che l’accende sortille;
 16529  
 16530  e quïetata ciascuna in suo loco,
 16531  la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi
 16532  rappresentare a quel distinto foco.
 16533  
 16534  Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi;
 16535  ma esso guida, e da lui si rammenta
 16536  quella virtù ch’è forma per li nidi.
 16537  
 16538  L’altra bëatitudo, che contenta
 16539  pareva prima d’ingigliarsi a l’emme,
 16540  con poco moto seguitò la ’mprenta.
 16541  
 16542  O dolce stella, quali e quante gemme
 16543  mi dimostraro che nostra giustizia
 16544  effetto sia del ciel che tu ingemme!
 16545  
 16546  Per ch’io prego la mente in che s’inizia
 16547  tuo moto e tua virtute, che rimiri
 16548  ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia;
 16549  
 16550  sì ch’un’altra fïata omai s’adiri
 16551  del comperare e vender dentro al templo
 16552  che si murò di segni e di martìri.
 16553  
 16554  O milizia del ciel cu’ io contemplo,
 16555  adora per color che sono in terra
 16556  tutti svïati dietro al malo essemplo!
 16557  
 16558  Già si solea con le spade far guerra;
 16559  ma or si fa togliendo or qui or quivi
 16560  lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra.
 16561  
 16562  Ma tu che sol per cancellare scrivi,
 16563  pensa che Pietro e Paulo, che moriro
 16564  per la vigna che guasti, ancor son vivi.
 16565  
 16566  Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro
 16567  sì a colui che volle viver solo
 16568  e che per salti fu tratto al martiro,
 16569  
 16570  ch’io non conosco il pescator né Polo».
 16571  
 16572  
 16573  
 16574  Paradiso · Canto XIX
 16575  
 16576  
 16577  Parea dinanzi a me con l’ali aperte
 16578  la bella image che nel dolce frui
 16579  liete facevan l’anime conserte;
 16580  
 16581  parea ciascuna rubinetto in cui
 16582  raggio di sole ardesse sì acceso,
 16583  che ne’ miei occhi rifrangesse lui.
 16584  
 16585  E quel che mi convien ritrar testeso,
 16586  non portò voce mai, né scrisse incostro,
 16587  né fu per fantasia già mai compreso;
 16588  
 16589  ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,
 16590  e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
 16591  quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’.
 16592  
 16593  E cominciò: «Per esser giusto e pio
 16594  son io qui essaltato a quella gloria
 16595  che non si lascia vincere a disio;
 16596  
 16597  e in terra lasciai la mia memoria
 16598  sì fatta, che le genti lì malvage
 16599  commendan lei, ma non seguon la storia».
 16600  
 16601  Così un sol calor di molte brage
 16602  si fa sentir, come di molti amori
 16603  usciva solo un suon di quella image.
 16604  
 16605  Ond’ io appresso: «O perpetüi fiori
 16606  de l’etterna letizia, che pur uno
 16607  parer mi fate tutti vostri odori,
 16608  
 16609  solvetemi, spirando, il gran digiuno
 16610  che lungamente m’ha tenuto in fame,
 16611  non trovandoli in terra cibo alcuno.
 16612  
 16613  Ben so io che, se ’n cielo altro reame
 16614  la divina giustizia fa suo specchio,
 16615  che ’l vostro non l’apprende con velame.
 16616  
 16617  Sapete come attento io m’apparecchio
 16618  ad ascoltar; sapete qual è quello
 16619  dubbio che m’è digiun cotanto vecchio».
 16620  
 16621  Quasi falcone ch’esce del cappello,
 16622  move la testa e con l’ali si plaude,
 16623  voglia mostrando e faccendosi bello,
 16624  
 16625  vid’ io farsi quel segno, che di laude
 16626  de la divina grazia era contesto,
 16627  con canti quai si sa chi là sù gaude.
 16628  
 16629  Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
 16630  a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
 16631  distinse tanto occulto e manifesto,
 16632  
 16633  non poté suo valor sì fare impresso
 16634  in tutto l’universo, che ’l suo verbo
 16635  non rimanesse in infinito eccesso.
 16636  
 16637  E ciò fa certo che ’l primo superbo,
 16638  che fu la somma d’ogne creatura,
 16639  per non aspettar lume, cadde acerbo;
 16640  
 16641  e quinci appar ch’ogne minor natura
 16642  è corto recettacolo a quel bene
 16643  che non ha fine e sé con sé misura.
 16644  
 16645  Dunque vostra veduta, che convene
 16646  esser alcun de’ raggi de la mente
 16647  di che tutte le cose son ripiene,
 16648  
 16649  non pò da sua natura esser possente
 16650  tanto, che suo principio discerna
 16651  molto di là da quel che l’è parvente.
 16652  
 16653  Però ne la giustizia sempiterna
 16654  la vista che riceve il vostro mondo,
 16655  com’ occhio per lo mare, entro s’interna;
 16656  
 16657  che, ben che da la proda veggia il fondo,
 16658  in pelago nol vede; e nondimeno
 16659  èli, ma cela lui l’esser profondo.
 16660  
 16661  Lume non è, se non vien dal sereno
 16662  che non si turba mai; anzi è tenèbra
 16663  od ombra de la carne o suo veleno.
 16664  
 16665  Assai t’è mo aperta la latebra
 16666  che t’ascondeva la giustizia viva,
 16667  di che facei question cotanto crebra;
 16668  
 16669  ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva
 16670  de l’Indo, e quivi non è chi ragioni
 16671  di Cristo né chi legga né chi scriva;
 16672  
 16673  e tutti suoi voleri e atti buoni
 16674  sono, quanto ragione umana vede,
 16675  sanza peccato in vita o in sermoni.
 16676  
 16677  Muore non battezzato e sanza fede:
 16678  ov’ è questa giustizia che ’l condanna?
 16679  ov’ è la colpa sua, se ei non crede?”.
 16680  
 16681  Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,
 16682  per giudicar di lungi mille miglia
 16683  con la veduta corta d’una spanna?
 16684  
 16685  Certo a colui che meco s’assottiglia,
 16686  se la Scrittura sovra voi non fosse,
 16687  da dubitar sarebbe a maraviglia.
 16688  
 16689  Oh terreni animali! oh menti grosse!
 16690  La prima volontà, ch’è da sé buona,
 16691  da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse.
 16692  
 16693  Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
 16694  nullo creato bene a sé la tira,
 16695  ma essa, radïando, lui cagiona».
 16696  
 16697  Quale sovresso il nido si rigira
 16698  poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,
 16699  e come quel ch’è pasto la rimira;
 16700  
 16701  cotal si fece, e sì leväi i cigli,
 16702  la benedetta imagine, che l’ali
 16703  movea sospinte da tanti consigli.
 16704  
 16705  Roteando cantava, e dicea: «Quali
 16706  son le mie note a te, che non le ’ntendi,
 16707  tal è il giudicio etterno a voi mortali».
 16708  
 16709  Poi si quetaro quei lucenti incendi
 16710  de lo Spirito Santo ancor nel segno
 16711  che fé i Romani al mondo reverendi,
 16712  
 16713  esso ricominciò: «A questo regno
 16714  non salì mai chi non credette ’n Cristo,
 16715  né pria né poi ch’el si chiavasse al legno.
 16716  
 16717  Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”,
 16718  che saranno in giudicio assai men prope
 16719  a lui, che tal che non conosce Cristo;
 16720  
 16721  e tai Cristian dannerà l’Etïòpe,
 16722  quando si partiranno i due collegi,
 16723  l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe.
 16724  
 16725  Che poran dir li Perse a’ vostri regi,
 16726  come vedranno quel volume aperto
 16727  nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
 16728  
 16729  Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto,
 16730  quella che tosto moverà la penna,
 16731  per che ’l regno di Praga fia diserto.
 16732  
 16733  Lì si vedrà il duol che sovra Senna
 16734  induce, falseggiando la moneta,
 16735  quel che morrà di colpo di cotenna.
 16736  
 16737  Lì si vedrà la superbia ch’asseta,
 16738  che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
 16739  sì che non può soffrir dentro a sua meta.
 16740  
 16741  Vedrassi la lussuria e ’l viver molle
 16742  di quel di Spagna e di quel di Boemme,
 16743  che mai valor non conobbe né volle.
 16744  
 16745  Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
 16746  segnata con un i la sua bontate,
 16747  quando ’l contrario segnerà un emme.
 16748  
 16749  Vedrassi l’avarizia e la viltate
 16750  di quei che guarda l’isola del foco,
 16751  ove Anchise finì la lunga etate;
 16752  
 16753  e a dare ad intender quanto è poco,
 16754  la sua scrittura fian lettere mozze,
 16755  che noteranno molto in parvo loco.
 16756  
 16757  E parranno a ciascun l’opere sozze
 16758  del barba e del fratel, che tanto egregia
 16759  nazione e due corone han fatte bozze.
 16760  
 16761  E quel di Portogallo e di Norvegia
 16762  lì si conosceranno, e quel di Rascia
 16763  che male ha visto il conio di Vinegia.
 16764  
 16765  Oh beata Ungheria, se non si lascia
 16766  più malmenare! e beata Navarra,
 16767  se s’armasse del monte che la fascia!
 16768  
 16769  E creder de’ ciascun che già, per arra
 16770  di questo, Niccosïa e Famagosta
 16771  per la lor bestia si lamenti e garra,
 16772  
 16773  che dal fianco de l’altre non si scosta».
 16774  
 16775  
 16776  
 16777  Paradiso · Canto XX
 16778  
 16779  
 16780  Quando colui che tutto ’l mondo alluma
 16781  de l’emisperio nostro sì discende,
 16782  che ’l giorno d’ogne parte si consuma,
 16783  
 16784  lo ciel, che sol di lui prima s’accende,
 16785  subitamente si rifà parvente
 16786  per molte luci, in che una risplende;
 16787  
 16788  e questo atto del ciel mi venne a mente,
 16789  come ’l segno del mondo e de’ suoi duci
 16790  nel benedetto rostro fu tacente;
 16791  
 16792  però che tutte quelle vive luci,
 16793  vie più lucendo, cominciaron canti
 16794  da mia memoria labili e caduci.
 16795  
 16796  O dolce amor che di riso t’ammanti,
 16797  quanto parevi ardente in que’ flailli,
 16798  ch’avieno spirto sol di pensier santi!
 16799  
 16800  Poscia che i cari e lucidi lapilli
 16801  ond’ io vidi ingemmato il sesto lume
 16802  puoser silenzio a li angelici squilli,
 16803  
 16804  udir mi parve un mormorar di fiume
 16805  che scende chiaro giù di pietra in pietra,
 16806  mostrando l’ubertà del suo cacume.
 16807  
 16808  E come suono al collo de la cetra
 16809  prende sua forma, e sì com’ al pertugio
 16810  de la sampogna vento che penètra,
 16811  
 16812  così, rimosso d’aspettare indugio,
 16813  quel mormorar de l’aguglia salissi
 16814  su per lo collo, come fosse bugio.
 16815  
 16816  Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
 16817  per lo suo becco in forma di parole,
 16818  quali aspettava il core ov’ io le scrissi.
 16819  
 16820  «La parte in me che vede e pate il sole
 16821  ne l’aguglie mortali», incominciommi,
 16822  «or fisamente riguardar si vole,
 16823  
 16824  perché d’i fuochi ond’ io figura fommi,
 16825  quelli onde l’occhio in testa mi scintilla,
 16826  e’ di tutti lor gradi son li sommi.
 16827  
 16828  Colui che luce in mezzo per pupilla,
 16829  fu il cantor de lo Spirito Santo,
 16830  che l’arca traslatò di villa in villa:
 16831  
 16832  ora conosce il merto del suo canto,
 16833  in quanto effetto fu del suo consiglio,
 16834  per lo remunerar ch’è altrettanto.
 16835  
 16836  Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
 16837  colui che più al becco mi s’accosta,
 16838  la vedovella consolò del figlio:
 16839  
 16840  ora conosce quanto caro costa
 16841  non seguir Cristo, per l’esperïenza
 16842  di questa dolce vita e de l’opposta.
 16843  
 16844  E quel che segue in la circunferenza
 16845  di che ragiono, per l’arco superno,
 16846  morte indugiò per vera penitenza:
 16847  
 16848  ora conosce che ’l giudicio etterno
 16849  non si trasmuta, quando degno preco
 16850  fa crastino là giù de l’odïerno.
 16851  
 16852  L’altro che segue, con le leggi e meco,
 16853  sotto buona intenzion che fé mal frutto,
 16854  per cedere al pastor si fece greco:
 16855  
 16856  ora conosce come il mal dedutto
 16857  dal suo bene operar non li è nocivo,
 16858  avvegna che sia ’l mondo indi distrutto.
 16859  
 16860  E quel che vedi ne l’arco declivo,
 16861  Guiglielmo fu, cui quella terra plora
 16862  che piagne Carlo e Federigo vivo:
 16863  
 16864  ora conosce come s’innamora
 16865  lo ciel del giusto rege, e al sembiante
 16866  del suo fulgore il fa vedere ancora.
 16867  
 16868  Chi crederebbe giù nel mondo errante
 16869  che Rifëo Troiano in questo tondo
 16870  fosse la quinta de le luci sante?
 16871  
 16872  Ora conosce assai di quel che ’l mondo
 16873  veder non può de la divina grazia,
 16874  ben che sua vista non discerna il fondo».
 16875  
 16876  Quale allodetta che ’n aere si spazia
 16877  prima cantando, e poi tace contenta
 16878  de l’ultima dolcezza che la sazia,
 16879  
 16880  tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta
 16881  de l’etterno piacere, al cui disio
 16882  ciascuna cosa qual ell’ è diventa.
 16883  
 16884  E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio
 16885  lì quasi vetro a lo color ch’el veste,
 16886  tempo aspettar tacendo non patio,
 16887  
 16888  ma de la bocca, «Che cose son queste?»,
 16889  mi pinse con la forza del suo peso:
 16890  per ch’io di coruscar vidi gran feste.
 16891  
 16892  Poi appresso, con l’occhio più acceso,
 16893  lo benedetto segno mi rispuose
 16894  per non tenermi in ammirar sospeso:
 16895  
 16896  «Io veggio che tu credi queste cose
 16897  perch’ io le dico, ma non vedi come;
 16898  sì che, se son credute, sono ascose.
 16899  
 16900  Fai come quei che la cosa per nome
 16901  apprende ben, ma la sua quiditate
 16902  veder non può se altri non la prome.
 16903  
 16904  Regnum celorum vïolenza pate
 16905  da caldo amore e da viva speranza,
 16906  che vince la divina volontate:
 16907  
 16908  non a guisa che l’omo a l’om sobranza,
 16909  ma vince lei perché vuole esser vinta,
 16910  e, vinta, vince con sua beninanza.
 16911  
 16912  La prima vita del ciglio e la quinta
 16913  ti fa maravigliar, perché ne vedi
 16914  la regïon de li angeli dipinta.
 16915  
 16916  D’i corpi suoi non uscir, come credi,
 16917  Gentili, ma Cristiani, in ferma fede
 16918  quel d’i passuri e quel d’i passi piedi.
 16919  
 16920  Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede
 16921  già mai a buon voler, tornò a l’ossa;
 16922  e ciò di viva spene fu mercede:
 16923  
 16924  di viva spene, che mise la possa
 16925  ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla,
 16926  sì che potesse sua voglia esser mossa.
 16927  
 16928  L’anima glorïosa onde si parla,
 16929  tornata ne la carne, in che fu poco,
 16930  credette in lui che potëa aiutarla;
 16931  
 16932  e credendo s’accese in tanto foco
 16933  di vero amor, ch’a la morte seconda
 16934  fu degna di venire a questo gioco.
 16935  
 16936  L’altra, per grazia che da sì profonda
 16937  fontana stilla, che mai creatura
 16938  non pinse l’occhio infino a la prima onda,
 16939  
 16940  tutto suo amor là giù pose a drittura:
 16941  per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
 16942  l’occhio a la nostra redenzion futura;
 16943  
 16944  ond’ ei credette in quella, e non sofferse
 16945  da indi il puzzo più del paganesmo;
 16946  e riprendiene le genti perverse.
 16947  
 16948  Quelle tre donne li fur per battesmo
 16949  che tu vedesti da la destra rota,
 16950  dinanzi al battezzar più d’un millesmo.
 16951  
 16952  O predestinazion, quanto remota
 16953  è la radice tua da quelli aspetti
 16954  che la prima cagion non veggion tota!
 16955  
 16956  E voi, mortali, tenetevi stretti
 16957  a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,
 16958  non conosciamo ancor tutti li eletti;
 16959  
 16960  ed ènne dolce così fatto scemo,
 16961  perché il ben nostro in questo ben s’affina,
 16962  che quel che vole Iddio, e noi volemo».
 16963  
 16964  Così da quella imagine divina,
 16965  per farmi chiara la mia corta vista,
 16966  data mi fu soave medicina.
 16967  
 16968  E come a buon cantor buon citarista
 16969  fa seguitar lo guizzo de la corda,
 16970  in che più di piacer lo canto acquista,
 16971  
 16972  sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda
 16973  ch’io vidi le due luci benedette,
 16974  pur come batter d’occhi si concorda,
 16975  
 16976  con le parole mover le fiammette.
 16977  
 16978  
 16979  
 16980  Paradiso · Canto XXI
 16981  
 16982  
 16983  Già eran li occhi miei rifissi al volto
 16984  de la mia donna, e l’animo con essi,
 16985  e da ogne altro intento s’era tolto.
 16986  
 16987  E quella non ridea; ma «S’io ridessi»,
 16988  mi cominciò, «tu ti faresti quale
 16989  fu Semelè quando di cener fessi:
 16990  
 16991  ché la bellezza mia, che per le scale
 16992  de l’etterno palazzo più s’accende,
 16993  com’ hai veduto, quanto più si sale,
 16994  
 16995  se non si temperasse, tanto splende,
 16996  che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore,
 16997  sarebbe fronda che trono scoscende.
 16998  
 16999  Noi sem levati al settimo splendore,
 17000  che sotto ’l petto del Leone ardente
 17001  raggia mo misto giù del suo valore.
 17002  
 17003  Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
 17004  e fa di quelli specchi a la figura
 17005  che ’n questo specchio ti sarà parvente».
 17006  
 17007  Qual savesse qual era la pastura
 17008  del viso mio ne l’aspetto beato
 17009  quand’ io mi trasmutai ad altra cura,
 17010  
 17011  conoscerebbe quanto m’era a grato
 17012  ubidire a la mia celeste scorta,
 17013  contrapesando l’un con l’altro lato.
 17014  
 17015  Dentro al cristallo che ’l vocabol porta,
 17016  cerchiando il mondo, del suo caro duce
 17017  sotto cui giacque ogne malizia morta,
 17018  
 17019  di color d’oro in che raggio traluce
 17020  vid’ io uno scaleo eretto in suso
 17021  tanto, che nol seguiva la mia luce.
 17022  
 17023  Vidi anche per li gradi scender giuso
 17024  tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume
 17025  che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
 17026  
 17027  E come, per lo natural costume,
 17028  le pole insieme, al cominciar del giorno,
 17029  si movono a scaldar le fredde piume;
 17030  
 17031  poi altre vanno via sanza ritorno,
 17032  altre rivolgon sé onde son mosse,
 17033  e altre roteando fan soggiorno;
 17034  
 17035  tal modo parve me che quivi fosse
 17036  in quello sfavillar che ’nsieme venne,
 17037  sì come in certo grado si percosse.
 17038  
 17039  E quel che presso più ci si ritenne,
 17040  si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando:
 17041  ‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne.
 17042  
 17043  Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando
 17044  del dire e del tacer, si sta; ond’ io,
 17045  contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando’.
 17046  
 17047  Per ch’ella, che vedëa il tacer mio
 17048  nel veder di colui che tutto vede,
 17049  mi disse: «Solvi il tuo caldo disio».
 17050  
 17051  E io incominciai: «La mia mercede
 17052  non mi fa degno de la tua risposta;
 17053  ma per colei che ’l chieder mi concede,
 17054  
 17055  vita beata che ti stai nascosta
 17056  dentro a la tua letizia, fammi nota
 17057  la cagion che sì presso mi t’ha posta;
 17058  
 17059  e dì perché si tace in questa rota
 17060  la dolce sinfonia di paradiso,
 17061  che giù per l’altre suona sì divota».
 17062  
 17063  «Tu hai l’udir mortal sì come il viso»,
 17064  rispuose a me; «onde qui non si canta
 17065  per quel che Bëatrice non ha riso.
 17066  
 17067  Giù per li gradi de la scala santa
 17068  discesi tanto sol per farti festa
 17069  col dire e con la luce che mi ammanta;
 17070  
 17071  né più amor mi fece esser più presta,
 17072  ché più e tanto amor quinci sù ferve,
 17073  sì come il fiammeggiar ti manifesta.
 17074  
 17075  Ma l’alta carità, che ci fa serve
 17076  pronte al consiglio che ’l mondo governa,
 17077  sorteggia qui sì come tu osserve».
 17078  
 17079  «Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna,
 17080  come libero amore in questa corte
 17081  basta a seguir la provedenza etterna;
 17082  
 17083  ma questo è quel ch’a cerner mi par forte,
 17084  perché predestinata fosti sola
 17085  a questo officio tra le tue consorte».
 17086  
 17087  Né venni prima a l’ultima parola,
 17088  che del suo mezzo fece il lume centro,
 17089  girando sé come veloce mola;
 17090  
 17091  poi rispuose l’amor che v’era dentro:
 17092  «Luce divina sopra me s’appunta,
 17093  penetrando per questa in ch’io m’inventro,
 17094  
 17095  la cui virtù, col mio veder congiunta,
 17096  mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio
 17097  la somma essenza de la quale è munta.
 17098  
 17099  Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio;
 17100  per ch’a la vista mia, quant’ ella è chiara,
 17101  la chiarità de la fiamma pareggio.
 17102  
 17103  Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara,
 17104  quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso,
 17105  a la dimanda tua non satisfara,
 17106  
 17107  però che sì s’innoltra ne lo abisso
 17108  de l’etterno statuto quel che chiedi,
 17109  che da ogne creata vista è scisso.
 17110  
 17111  E al mondo mortal, quando tu riedi,
 17112  questo rapporta, sì che non presumma
 17113  a tanto segno più mover li piedi.
 17114  
 17115  La mente, che qui luce, in terra fumma;
 17116  onde riguarda come può là giùe
 17117  quel che non pote perché ’l ciel l’assumma».
 17118  
 17119  Sì mi prescrisser le parole sue,
 17120  ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi
 17121  a dimandarla umilmente chi fue.
 17122  
 17123  «Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi,
 17124  e non molto distanti a la tua patria,
 17125  tanto che ’ troni assai suonan più bassi,
 17126  
 17127  e fanno un gibbo che si chiama Catria,
 17128  di sotto al quale è consecrato un ermo,
 17129  che suole esser disposto a sola latria».
 17130  
 17131  Così ricominciommi il terzo sermo;
 17132  e poi, continüando, disse: «Quivi
 17133  al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,
 17134  
 17135  che pur con cibi di liquor d’ulivi
 17136  lievemente passava caldi e geli,
 17137  contento ne’ pensier contemplativi.
 17138  
 17139  Render solea quel chiostro a questi cieli
 17140  fertilemente; e ora è fatto vano,
 17141  sì che tosto convien che si riveli.
 17142  
 17143  In quel loco fu’ io Pietro Damiano,
 17144  e Pietro Peccator fu’ ne la casa
 17145  di Nostra Donna in sul lito adriano.
 17146  
 17147  Poca vita mortal m’era rimasa,
 17148  quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
 17149  che pur di male in peggio si travasa.
 17150  
 17151  Venne Cefàs e venne il gran vasello
 17152  de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
 17153  prendendo il cibo da qualunque ostello.
 17154  
 17155  Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
 17156  li moderni pastori e chi li meni,
 17157  tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
 17158  
 17159  Cuopron d’i manti loro i palafreni,
 17160  sì che due bestie van sott’ una pelle:
 17161  oh pazïenza che tanto sostieni!».
 17162  
 17163  A questa voce vid’ io più fiammelle
 17164  di grado in grado scendere e girarsi,
 17165  e ogne giro le facea più belle.
 17166  
 17167  Dintorno a questa vennero e fermarsi,
 17168  e fero un grido di sì alto suono,
 17169  che non potrebbe qui assomigliarsi;
 17170  
 17171  né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono.
 17172  
 17173  
 17174  
 17175  Paradiso · Canto XXII
 17176  
 17177  
 17178  Oppresso di stupore, a la mia guida
 17179  mi volsi, come parvol che ricorre
 17180  sempre colà dove più si confida;
 17181  
 17182  e quella, come madre che soccorre
 17183  sùbito al figlio palido e anelo
 17184  con la sua voce, che ’l suol ben disporre,
 17185  
 17186  mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo?
 17187  e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,
 17188  e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
 17189  
 17190  Come t’avrebbe trasmutato il canto,
 17191  e io ridendo, mo pensar lo puoi,
 17192  poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto;
 17193  
 17194  nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi,
 17195  già ti sarebbe nota la vendetta
 17196  che tu vedrai innanzi che tu muoi.
 17197  
 17198  La spada di qua sù non taglia in fretta
 17199  né tardo, ma’ ch’al parer di colui
 17200  che disïando o temendo l’aspetta.
 17201  
 17202  Ma rivolgiti omai inverso altrui;
 17203  ch’assai illustri spiriti vedrai,
 17204  se com’ io dico l’aspetto redui».
 17205  
 17206  Come a lei piacque, li occhi ritornai,
 17207  e vidi cento sperule che ’nsieme
 17208  più s’abbellivan con mutüi rai.
 17209  
 17210  Io stava come quei che ’n sé repreme
 17211  la punta del disio, e non s’attenta
 17212  di domandar, sì del troppo si teme;
 17213  
 17214  e la maggiore e la più luculenta
 17215  di quelle margherite innanzi fessi,
 17216  per far di sé la mia voglia contenta.
 17217  
 17218  Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi
 17219  com’ io la carità che tra noi arde,
 17220  li tuoi concetti sarebbero espressi.
 17221  
 17222  Ma perché tu, aspettando, non tarde
 17223  a l’alto fine, io ti farò risposta
 17224  pur al pensier, da che sì ti riguarde.
 17225  
 17226  Quel monte a cui Cassino è ne la costa
 17227  fu frequentato già in su la cima
 17228  da la gente ingannata e mal disposta;
 17229  
 17230  e quel son io che sù vi portai prima
 17231  lo nome di colui che ’n terra addusse
 17232  la verità che tanto ci soblima;
 17233  
 17234  e tanta grazia sopra me relusse,
 17235  ch’io ritrassi le ville circunstanti
 17236  da l’empio cólto che ’l mondo sedusse.
 17237  
 17238  Questi altri fuochi tutti contemplanti
 17239  uomini fuoro, accesi di quel caldo
 17240  che fa nascere i fiori e ’ frutti santi.
 17241  
 17242  Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
 17243  qui son li frati miei che dentro ai chiostri
 17244  fermar li piedi e tennero il cor saldo».
 17245  
 17246  E io a lui: «L’affetto che dimostri
 17247  meco parlando, e la buona sembianza
 17248  ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
 17249  
 17250  così m’ha dilatata mia fidanza,
 17251  come ’l sol fa la rosa quando aperta
 17252  tanto divien quant’ ell’ ha di possanza.
 17253  
 17254  Però ti priego, e tu, padre, m’accerta
 17255  s’io posso prender tanta grazia, ch’io
 17256  ti veggia con imagine scoverta».
 17257  
 17258  Ond’ elli: «Frate, il tuo alto disio
 17259  s’adempierà in su l’ultima spera,
 17260  ove s’adempion tutti li altri e ’l mio.
 17261  
 17262  Ivi è perfetta, matura e intera
 17263  ciascuna disïanza; in quella sola
 17264  è ogne parte là ove sempr’ era,
 17265  
 17266  perché non è in loco e non s’impola;
 17267  e nostra scala infino ad essa varca,
 17268  onde così dal viso ti s’invola.
 17269  
 17270  Infin là sù la vide il patriarca
 17271  Iacobbe porger la superna parte,
 17272  quando li apparve d’angeli sì carca.
 17273  
 17274  Ma, per salirla, mo nessun diparte
 17275  da terra i piedi, e la regola mia
 17276  rimasa è per danno de le carte.
 17277  
 17278  Le mura che solieno esser badia
 17279  fatte sono spelonche, e le cocolle
 17280  sacca son piene di farina ria.
 17281  
 17282  Ma grave usura tanto non si tolle
 17283  contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto
 17284  che fa il cor de’ monaci sì folle;
 17285  
 17286  ché quantunque la Chiesa guarda, tutto
 17287  è de la gente che per Dio dimanda;
 17288  non di parenti né d’altro più brutto.
 17289  
 17290  La carne d’i mortali è tanto blanda,
 17291  che giù non basta buon cominciamento
 17292  dal nascer de la quercia al far la ghianda.
 17293  
 17294  Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento,
 17295  e io con orazione e con digiuno,
 17296  e Francesco umilmente il suo convento;
 17297  
 17298  e se guardi ’l principio di ciascuno,
 17299  poscia riguardi là dov’ è trascorso,
 17300  tu vederai del bianco fatto bruno.
 17301  
 17302  Veramente Iordan vòlto retrorso
 17303  più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse,
 17304  mirabile a veder che qui ’l soccorso».
 17305  
 17306  Così mi disse, e indi si raccolse
 17307  al suo collegio, e ’l collegio si strinse;
 17308  poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse.
 17309  
 17310  La dolce donna dietro a lor mi pinse
 17311  con un sol cenno su per quella scala,
 17312  sì sua virtù la mia natura vinse;
 17313  
 17314  né mai qua giù dove si monta e cala
 17315  naturalmente, fu sì ratto moto
 17316  ch’agguagliar si potesse a la mia ala.
 17317  
 17318  S’io torni mai, lettore, a quel divoto
 17319  trïunfo per lo quale io piango spesso
 17320  le mie peccata e ’l petto mi percuoto,
 17321  
 17322  tu non avresti in tanto tratto e messo
 17323  nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno
 17324  che segue il Tauro e fui dentro da esso.
 17325  
 17326  O glorïose stelle, o lume pregno
 17327  di gran virtù, dal quale io riconosco
 17328  tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
 17329  
 17330  con voi nasceva e s’ascondeva vosco
 17331  quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,
 17332  quand’ io senti’ di prima l’aere tosco;
 17333  
 17334  e poi, quando mi fu grazia largita
 17335  d’entrar ne l’alta rota che vi gira,
 17336  la vostra regïon mi fu sortita.
 17337  
 17338  A voi divotamente ora sospira
 17339  l’anima mia, per acquistar virtute
 17340  al passo forte che a sé la tira.
 17341  
 17342  «Tu se’ sì presso a l’ultima salute»,
 17343  cominciò Bëatrice, «che tu dei
 17344  aver le luci tue chiare e acute;
 17345  
 17346  e però, prima che tu più t’inlei,
 17347  rimira in giù, e vedi quanto mondo
 17348  sotto li piedi già esser ti fei;
 17349  
 17350  sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo
 17351  s’appresenti a la turba trïunfante
 17352  che lieta vien per questo etera tondo».
 17353  
 17354  Col viso ritornai per tutte quante
 17355  le sette spere, e vidi questo globo
 17356  tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
 17357  
 17358  e quel consiglio per migliore approbo
 17359  che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
 17360  chiamar si puote veramente probo.
 17361  
 17362  Vidi la figlia di Latona incensa
 17363  sanza quell’ ombra che mi fu cagione
 17364  per che già la credetti rara e densa.
 17365  
 17366  L’aspetto del tuo nato, Iperïone,
 17367  quivi sostenni, e vidi com’ si move
 17368  circa e vicino a lui Maia e Dïone.
 17369  
 17370  Quindi m’apparve il temperar di Giove
 17371  tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro
 17372  il varïar che fanno di lor dove;
 17373  
 17374  e tutti e sette mi si dimostraro
 17375  quanto son grandi e quanto son veloci
 17376  e come sono in distante riparo.
 17377  
 17378  L’aiuola che ci fa tanto feroci,
 17379  volgendom’ io con li etterni Gemelli,
 17380  tutta m’apparve da’ colli a le foci;
 17381  
 17382  poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
 17383  
 17384  
 17385  
 17386  Paradiso · Canto XXIII
 17387  
 17388  
 17389  Come l’augello, intra l’amate fronde,
 17390  posato al nido de’ suoi dolci nati
 17391  la notte che le cose ci nasconde,
 17392  
 17393  che, per veder li aspetti disïati
 17394  e per trovar lo cibo onde li pasca,
 17395  in che gravi labor li sono aggrati,
 17396  
 17397  previene il tempo in su aperta frasca,
 17398  e con ardente affetto il sole aspetta,
 17399  fiso guardando pur che l’alba nasca;
 17400  
 17401  così la donna mïa stava eretta
 17402  e attenta, rivolta inver’ la plaga
 17403  sotto la quale il sol mostra men fretta:
 17404  
 17405  sì che, veggendola io sospesa e vaga,
 17406  fecimi qual è quei che disïando
 17407  altro vorria, e sperando s’appaga.
 17408  
 17409  Ma poco fu tra uno e altro quando,
 17410  del mio attender, dico, e del vedere
 17411  lo ciel venir più e più rischiarando;
 17412  
 17413  e Bëatrice disse: «Ecco le schiere
 17414  del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto
 17415  ricolto del girar di queste spere!».
 17416  
 17417  Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto,
 17418  e li occhi avea di letizia sì pieni,
 17419  che passarmen convien sanza costrutto.
 17420  
 17421  Quale ne’ plenilunïi sereni
 17422  Trivïa ride tra le ninfe etterne
 17423  che dipingon lo ciel per tutti i seni,
 17424  
 17425  vid’ i’ sopra migliaia di lucerne
 17426  un sol che tutte quante l’accendea,
 17427  come fa ’l nostro le viste superne;
 17428  
 17429  e per la viva luce trasparea
 17430  la lucente sustanza tanto chiara
 17431  nel viso mio, che non la sostenea.
 17432  
 17433  Oh Bëatrice, dolce guida e cara!
 17434  Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
 17435  è virtù da cui nulla si ripara.
 17436  
 17437  Quivi è la sapïenza e la possanza
 17438  ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra,
 17439  onde fu già sì lunga disïanza».
 17440  
 17441  Come foco di nube si diserra
 17442  per dilatarsi sì che non vi cape,
 17443  e fuor di sua natura in giù s’atterra,
 17444  
 17445  la mente mia così, tra quelle dape
 17446  fatta più grande, di sé stessa uscìo,
 17447  e che si fesse rimembrar non sape.
 17448  
 17449  «Apri li occhi e riguarda qual son io;
 17450  tu hai vedute cose, che possente
 17451  se’ fatto a sostener lo riso mio».
 17452  
 17453  Io era come quei che si risente
 17454  di visïone oblita e che s’ingegna
 17455  indarno di ridurlasi a la mente,
 17456  
 17457  quand’ io udi’ questa proferta, degna
 17458  di tanto grato, che mai non si stingue
 17459  del libro che ’l preterito rassegna.
 17460  
 17461  Se mo sonasser tutte quelle lingue
 17462  che Polimnïa con le suore fero
 17463  del latte lor dolcissimo più pingue,
 17464  
 17465  per aiutarmi, al millesmo del vero
 17466  non si verria, cantando il santo riso
 17467  e quanto il santo aspetto facea mero;
 17468  
 17469  e così, figurando il paradiso,
 17470  convien saltar lo sacrato poema,
 17471  come chi trova suo cammin riciso.
 17472  
 17473  Ma chi pensasse il ponderoso tema
 17474  e l’omero mortal che se ne carca,
 17475  nol biasmerebbe se sott’ esso trema:
 17476  
 17477  non è pareggio da picciola barca
 17478  quel che fendendo va l’ardita prora,
 17479  né da nocchier ch’a sé medesmo parca.
 17480  
 17481  «Perché la faccia mia sì t’innamora,
 17482  che tu non ti rivolgi al bel giardino
 17483  che sotto i raggi di Cristo s’infiora?
 17484  
 17485  Quivi è la rosa in che ’l verbo divino
 17486  carne si fece; quivi son li gigli
 17487  al cui odor si prese il buon cammino».
 17488  
 17489  Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli
 17490  tutto era pronto, ancora mi rendei
 17491  a la battaglia de’ debili cigli.
 17492  
 17493  Come a raggio di sol, che puro mei
 17494  per fratta nube, già prato di fiori
 17495  vider, coverti d’ombra, li occhi miei;
 17496  
 17497  vid’ io così più turbe di splendori,
 17498  folgorate di sù da raggi ardenti,
 17499  sanza veder principio di folgóri.
 17500  
 17501  O benigna vertù che sì li ’mprenti,
 17502  sù t’essaltasti, per largirmi loco
 17503  a li occhi lì che non t’eran possenti.
 17504  
 17505  Il nome del bel fior ch’io sempre invoco
 17506  e mane e sera, tutto mi ristrinse
 17507  l’animo ad avvisar lo maggior foco;
 17508  
 17509  e come ambo le luci mi dipinse
 17510  il quale e il quanto de la viva stella
 17511  che là sù vince come qua giù vinse,
 17512  
 17513  per entro il cielo scese una facella,
 17514  formata in cerchio a guisa di corona,
 17515  e cinsela e girossi intorno ad ella.
 17516  
 17517  Qualunque melodia più dolce suona
 17518  qua giù e più a sé l’anima tira,
 17519  parrebbe nube che squarciata tona,
 17520  
 17521  comparata al sonar di quella lira
 17522  onde si coronava il bel zaffiro
 17523  del quale il ciel più chiaro s’inzaffira.
 17524  
 17525  «Io sono amore angelico, che giro
 17526  l’alta letizia che spira del ventre
 17527  che fu albergo del nostro disiro;
 17528  
 17529  e girerommi, donna del ciel, mentre
 17530  che seguirai tuo figlio, e farai dia
 17531  più la spera suprema perché lì entre».
 17532  
 17533  Così la circulata melodia
 17534  si sigillava, e tutti li altri lumi
 17535  facean sonare il nome di Maria.
 17536  
 17537  Lo real manto di tutti i volumi
 17538  del mondo, che più ferve e più s’avviva
 17539  ne l’alito di Dio e nei costumi,
 17540  
 17541  avea sopra di noi l’interna riva
 17542  tanto distante, che la sua parvenza,
 17543  là dov’ io era, ancor non appariva:
 17544  
 17545  però non ebber li occhi miei potenza
 17546  di seguitar la coronata fiamma
 17547  che si levò appresso sua semenza.
 17548  
 17549  E come fantolin che ’nver’ la mamma
 17550  tende le braccia, poi che ’l latte prese,
 17551  per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma;
 17552  
 17553  ciascun di quei candori in sù si stese
 17554  con la sua cima, sì che l’alto affetto
 17555  ch’elli avieno a Maria mi fu palese.
 17556  
 17557  Indi rimaser lì nel mio cospetto,
 17558  ‘Regina celi’ cantando sì dolce,
 17559  che mai da me non si partì ’l diletto.
 17560  
 17561  Oh quanta è l’ubertà che si soffolce
 17562  in quelle arche ricchissime che fuoro
 17563  a seminar qua giù buone bobolce!
 17564  
 17565  Quivi si vive e gode del tesoro
 17566  che s’acquistò piangendo ne lo essilio
 17567  di Babillòn, ove si lasciò l’oro.
 17568  
 17569  Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio
 17570  di Dio e di Maria, di sua vittoria,
 17571  e con l’antico e col novo concilio,
 17572  
 17573  colui che tien le chiavi di tal gloria.
 17574  
 17575  
 17576  
 17577  Paradiso · Canto XXIV
 17578  
 17579  
 17580  «O sodalizio eletto a la gran cena
 17581  del benedetto Agnello, il qual vi ciba
 17582  sì, che la vostra voglia è sempre piena,
 17583  
 17584  se per grazia di Dio questi preliba
 17585  di quel che cade de la vostra mensa,
 17586  prima che morte tempo li prescriba,
 17587  
 17588  ponete mente a l’affezione immensa
 17589  e roratelo alquanto: voi bevete
 17590  sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa».
 17591  
 17592  Così Beatrice; e quelle anime liete
 17593  si fero spere sopra fissi poli,
 17594  fiammando, a volte, a guisa di comete.
 17595  
 17596  E come cerchi in tempra d’orïuoli
 17597  si giran sì, che ’l primo a chi pon mente
 17598  quïeto pare, e l’ultimo che voli;
 17599  
 17600  così quelle carole, differente-
 17601  mente danzando, de la sua ricchezza
 17602  mi facieno stimar, veloci e lente.
 17603  
 17604  Di quella ch’io notai di più carezza
 17605  vid’ ïo uscire un foco sì felice,
 17606  che nullo vi lasciò di più chiarezza;
 17607  
 17608  e tre fïate intorno di Beatrice
 17609  si volse con un canto tanto divo,
 17610  che la mia fantasia nol mi ridice.
 17611  
 17612  Però salta la penna e non lo scrivo:
 17613  ché l’imagine nostra a cotai pieghe,
 17614  non che ’l parlare, è troppo color vivo.
 17615  
 17616  «O santa suora mia che sì ne prieghe
 17617  divota, per lo tuo ardente affetto
 17618  da quella bella spera mi disleghe».
 17619  
 17620  Poscia fermato, il foco benedetto
 17621  a la mia donna dirizzò lo spiro,
 17622  che favellò così com’ i’ ho detto.
 17623  
 17624  Ed ella: «O luce etterna del gran viro
 17625  a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
 17626  ch’ei portò giù, di questo gaudio miro,
 17627  
 17628  tenta costui di punti lievi e gravi,
 17629  come ti piace, intorno de la fede,
 17630  per la qual tu su per lo mare andavi.
 17631  
 17632  S’elli ama bene e bene spera e crede,
 17633  non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi
 17634  dov’ ogne cosa dipinta si vede;
 17635  
 17636  ma perché questo regno ha fatto civi
 17637  per la verace fede, a glorïarla,
 17638  di lei parlare è ben ch’a lui arrivi».
 17639  
 17640  Sì come il baccialier s’arma e non parla
 17641  fin che ’l maestro la question propone,
 17642  per approvarla, non per terminarla,
 17643  
 17644  così m’armava io d’ogne ragione
 17645  mentre ch’ella dicea, per esser presto
 17646  a tal querente e a tal professione.
 17647  
 17648  «Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:
 17649  fede che è?». Ond’ io levai la fronte
 17650  in quella luce onde spirava questo;
 17651  
 17652  poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
 17653  sembianze femmi perch’ ïo spandessi
 17654  l’acqua di fuor del mio interno fonte.
 17655  
 17656  «La Grazia che mi dà ch’io mi confessi»,
 17657  comincia’ io, «da l’alto primipilo,
 17658  faccia li miei concetti bene espressi».
 17659  
 17660  E seguitai: «Come ’l verace stilo
 17661  ne scrisse, padre, del tuo caro frate
 17662  che mise teco Roma nel buon filo,
 17663  
 17664  fede è sustanza di cose sperate
 17665  e argomento de le non parventi;
 17666  e questa pare a me sua quiditate».
 17667  
 17668  Allora udi’: «Dirittamente senti,
 17669  se bene intendi perché la ripuose
 17670  tra le sustanze, e poi tra li argomenti».
 17671  
 17672  E io appresso: «Le profonde cose
 17673  che mi largiscon qui la lor parvenza,
 17674  a li occhi di là giù son sì ascose,
 17675  
 17676  che l’esser loro v’è in sola credenza,
 17677  sopra la qual si fonda l’alta spene;
 17678  e però di sustanza prende intenza.
 17679  
 17680  E da questa credenza ci convene
 17681  silogizzar, sanz’ avere altra vista:
 17682  però intenza d’argomento tene».
 17683  
 17684  Allora udi’: «Se quantunque s’acquista
 17685  giù per dottrina, fosse così ’nteso,
 17686  non lì avria loco ingegno di sofista».
 17687  
 17688  Così spirò di quello amore acceso;
 17689  indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
 17690  d’esta moneta già la lega e ’l peso;
 17691  
 17692  ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa».
 17693  Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
 17694  che nel suo conio nulla mi s’inforsa».
 17695  
 17696  Appresso uscì de la luce profonda
 17697  che lì splendeva: «Questa cara gioia
 17698  sopra la quale ogne virtù si fonda,
 17699  
 17700  onde ti venne?». E io: «La larga ploia
 17701  de lo Spirito Santo, ch’è diffusa
 17702  in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia,
 17703  
 17704  è silogismo che la m’ha conchiusa
 17705  acutamente sì, che ’nverso d’ella
 17706  ogne dimostrazion mi pare ottusa».
 17707  
 17708  Io udi’ poi: «L’antica e la novella
 17709  proposizion che così ti conchiude,
 17710  perché l’hai tu per divina favella?».
 17711  
 17712  E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,
 17713  son l’opere seguite, a che natura
 17714  non scalda ferro mai né batte incude».
 17715  
 17716  Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura
 17717  che quell’ opere fosser? Quel medesmo
 17718  che vuol provarsi, non altri, il ti giura».
 17719  
 17720  «Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo»,
 17721  diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno
 17722  è tal, che li altri non sono il centesmo:
 17723  
 17724  ché tu intrasti povero e digiuno
 17725  in campo, a seminar la buona pianta
 17726  che fu già vite e ora è fatta pruno».
 17727  
 17728  Finito questo, l’alta corte santa
 17729  risonò per le spere un ‘Dio laudamo’
 17730  ne la melode che là sù si canta.
 17731  
 17732  E quel baron che sì di ramo in ramo,
 17733  essaminando, già tratto m’avea,
 17734  che a l’ultime fronde appressavamo,
 17735  
 17736  ricominciò: «La Grazia, che donnea
 17737  con la tua mente, la bocca t’aperse
 17738  infino a qui come aprir si dovea,
 17739  
 17740  sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;
 17741  ma or convien espremer quel che credi,
 17742  e onde a la credenza tua s’offerse».
 17743  
 17744  «O santo padre, e spirito che vedi
 17745  ciò che credesti sì, che tu vincesti
 17746  ver’ lo sepulcro più giovani piedi»,
 17747  
 17748  comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti
 17749  la forma qui del pronto creder mio,
 17750  e anche la cagion di lui chiedesti.
 17751  
 17752  E io rispondo: Io credo in uno Dio
 17753  solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,
 17754  non moto, con amore e con disio;
 17755  
 17756  e a tal creder non ho io pur prove
 17757  fisice e metafisice, ma dalmi
 17758  anche la verità che quinci piove
 17759  
 17760  per Moïsè, per profeti e per salmi,
 17761  per l’Evangelio e per voi che scriveste
 17762  poi che l’ardente Spirto vi fé almi;
 17763  
 17764  e credo in tre persone etterne, e queste
 17765  credo una essenza sì una e sì trina,
 17766  che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’.
 17767  
 17768  De la profonda condizion divina
 17769  ch’io tocco mo, la mente mi sigilla
 17770  più volte l’evangelica dottrina.
 17771  
 17772  Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla
 17773  che si dilata in fiamma poi vivace,
 17774  e come stella in cielo in me scintilla».
 17775  
 17776  Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace,
 17777  da indi abbraccia il servo, gratulando
 17778  per la novella, tosto ch’el si tace;
 17779  
 17780  così, benedicendomi cantando,
 17781  tre volte cinse me, sì com’ io tacqui,
 17782  l’appostolico lume al cui comando
 17783  
 17784  io avea detto: sì nel dir li piacqui!
 17785  
 17786  
 17787  
 17788  Paradiso · Canto XXV
 17789  
 17790  
 17791  Se mai continga che ’l poema sacro
 17792  al quale ha posto mano e cielo e terra,
 17793  sì che m’ha fatto per molti anni macro,
 17794  
 17795  vinca la crudeltà che fuor mi serra
 17796  del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,
 17797  nimico ai lupi che li danno guerra;
 17798  
 17799  con altra voce omai, con altro vello
 17800  ritornerò poeta, e in sul fonte
 17801  del mio battesmo prenderò ’l cappello;
 17802  
 17803  però che ne la fede, che fa conte
 17804  l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi
 17805  Pietro per lei sì mi girò la fronte.
 17806  
 17807  Indi si mosse un lume verso noi
 17808  di quella spera ond’ uscì la primizia
 17809  che lasciò Cristo d’i vicari suoi;
 17810  
 17811  e la mia donna, piena di letizia,
 17812  mi disse: «Mira, mira: ecco il barone
 17813  per cui là giù si vicita Galizia».
 17814  
 17815  Sì come quando il colombo si pone
 17816  presso al compagno, l’uno a l’altro pande,
 17817  girando e mormorando, l’affezione;
 17818  
 17819  così vid’ ïo l’un da l’altro grande
 17820  principe glorïoso essere accolto,
 17821  laudando il cibo che là sù li prande.
 17822  
 17823  Ma poi che ’l gratular si fu assolto,
 17824  tacito coram me ciascun s’affisse,
 17825  ignito sì che vincëa ’l mio volto.
 17826  
 17827  Ridendo allora Bëatrice disse:
 17828  «Inclita vita per cui la larghezza
 17829  de la nostra basilica si scrisse,
 17830  
 17831  fa risonar la spene in questa altezza:
 17832  tu sai, che tante fiate la figuri,
 17833  quante Iesù ai tre fé più carezza».
 17834  
 17835  «Leva la testa e fa che t’assicuri:
 17836  che ciò che vien qua sù del mortal mondo,
 17837  convien ch’ai nostri raggi si maturi».
 17838  
 17839  Questo conforto del foco secondo
 17840  mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti
 17841  che li ’ncurvaron pria col troppo pondo.
 17842  
 17843  «Poi che per grazia vuol che tu t’affronti
 17844  lo nostro Imperadore, anzi la morte,
 17845  ne l’aula più secreta co’ suoi conti,
 17846  
 17847  sì che, veduto il ver di questa corte,
 17848  la spene, che là giù bene innamora,
 17849  in te e in altrui di ciò conforte,
 17850  
 17851  di’ quel ch’ell’ è, di’ come se ne ’nfiora
 17852  la mente tua, e dì onde a te venne».
 17853  Così seguì ’l secondo lume ancora.
 17854  
 17855  E quella pïa che guidò le penne
 17856  de le mie ali a così alto volo,
 17857  a la risposta così mi prevenne:
 17858  
 17859  «La Chiesa militante alcun figliuolo
 17860  non ha con più speranza, com’ è scritto
 17861  nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
 17862  
 17863  però li è conceduto che d’Egitto
 17864  vegna in Ierusalemme per vedere,
 17865  anzi che ’l militar li sia prescritto.
 17866  
 17867  Li altri due punti, che non per sapere
 17868  son dimandati, ma perch’ ei rapporti
 17869  quanto questa virtù t’è in piacere,
 17870  
 17871  a lui lasc’ io, ché non li saran forti
 17872  né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
 17873  e la grazia di Dio ciò li comporti».
 17874  
 17875  Come discente ch’a dottor seconda
 17876  pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
 17877  perché la sua bontà si disasconda,
 17878  
 17879  «Spene», diss’ io, «è uno attender certo
 17880  de la gloria futura, il qual produce
 17881  grazia divina e precedente merto.
 17882  
 17883  Da molte stelle mi vien questa luce;
 17884  ma quei la distillò nel mio cor pria
 17885  che fu sommo cantor del sommo duce.
 17886  
 17887  ‘Sperino in te’, ne la sua tëodia
 17888  dice, ‘color che sanno il nome tuo’:
 17889  e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?
 17890  
 17891  Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
 17892  ne la pistola poi; sì ch’io son pieno,
 17893  e in altrui vostra pioggia repluo».
 17894  
 17895  Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno
 17896  di quello incendio tremolava un lampo
 17897  sùbito e spesso a guisa di baleno.
 17898  
 17899  Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo
 17900  ancor ver’ la virtù che mi seguette
 17901  infin la palma e a l’uscir del campo,
 17902  
 17903  vuol ch’io respiri a te che ti dilette
 17904  di lei; ed emmi a grato che tu diche
 17905  quello che la speranza ti ’mpromette».
 17906  
 17907  E io: «Le nove e le scritture antiche
 17908  pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
 17909  de l’anime che Dio s’ha fatte amiche.
 17910  
 17911  Dice Isaia che ciascuna vestita
 17912  ne la sua terra fia di doppia vesta:
 17913  e la sua terra è questa dolce vita;
 17914  
 17915  e ’l tuo fratello assai vie più digesta,
 17916  là dove tratta de le bianche stole,
 17917  questa revelazion ci manifesta».
 17918  
 17919  E prima, appresso al fin d’este parole,
 17920  ‘Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì;
 17921  a che rispuoser tutte le carole.
 17922  
 17923  Poscia tra esse un lume si schiarì
 17924  sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
 17925  l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì.
 17926  
 17927  E come surge e va ed entra in ballo
 17928  vergine lieta, sol per fare onore
 17929  a la novizia, non per alcun fallo,
 17930  
 17931  così vid’ io lo schiarato splendore
 17932  venire a’ due che si volgieno a nota
 17933  qual conveniesi al loro ardente amore.
 17934  
 17935  Misesi lì nel canto e ne la rota;
 17936  e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
 17937  pur come sposa tacita e immota.
 17938  
 17939  «Questi è colui che giacque sopra ’l petto
 17940  del nostro pellicano, e questi fue
 17941  di su la croce al grande officio eletto».
 17942  
 17943  La donna mia così; né però piùe
 17944  mosser la vista sua di stare attenta
 17945  poscia che prima le parole sue.
 17946  
 17947  Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
 17948  di vedere eclissar lo sole un poco,
 17949  che, per veder, non vedente diventa;
 17950  
 17951  tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco
 17952  mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
 17953  per veder cosa che qui non ha loco?
 17954  
 17955  In terra è terra il mio corpo, e saragli
 17956  tanto con li altri, che ’l numero nostro
 17957  con l’etterno proposito s’agguagli.
 17958  
 17959  Con le due stole nel beato chiostro
 17960  son le due luci sole che saliro;
 17961  e questo apporterai nel mondo vostro».
 17962  
 17963  A questa voce l’infiammato giro
 17964  si quïetò con esso il dolce mischio
 17965  che si facea nel suon del trino spiro,
 17966  
 17967  sì come, per cessar fatica o rischio,
 17968  li remi, pria ne l’acqua ripercossi,
 17969  tutti si posano al sonar d’un fischio.
 17970  
 17971  Ahi quanto ne la mente mi commossi,
 17972  quando mi volsi per veder Beatrice,
 17973  per non poter veder, benché io fossi
 17974  
 17975  presso di lei, e nel mondo felice!
 17976  
 17977  
 17978  
 17979  Paradiso · Canto XXVI
 17980  
 17981  
 17982  Mentr’ io dubbiava per lo viso spento,
 17983  de la fulgida fiamma che lo spense
 17984  uscì un spiro che mi fece attento,
 17985  
 17986  dicendo: «Intanto che tu ti risense
 17987  de la vista che haï in me consunta,
 17988  ben è che ragionando la compense.
 17989  
 17990  Comincia dunque; e dì ove s’appunta
 17991  l’anima tua, e fa ragion che sia
 17992  la vista in te smarrita e non defunta:
 17993  
 17994  perché la donna che per questa dia
 17995  regïon ti conduce, ha ne lo sguardo
 17996  la virtù ch’ebbe la man d’Anania».
 17997  
 17998  Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
 17999  vegna remedio a li occhi, che fuor porte
 18000  quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo.
 18001  
 18002  Lo ben che fa contenta questa corte,
 18003  Alfa e O è di quanta scrittura
 18004  mi legge Amore o lievemente o forte».
 18005  
 18006  Quella medesma voce che paura
 18007  tolta m’avea del sùbito abbarbaglio,
 18008  di ragionare ancor mi mise in cura;
 18009  
 18010  e disse: «Certo a più angusto vaglio
 18011  ti conviene schiarar: dicer convienti
 18012  chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio».
 18013  
 18014  E io: «Per filosofici argomenti
 18015  e per autorità che quinci scende
 18016  cotale amor convien che in me si ’mprenti:
 18017  
 18018  ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende,
 18019  così accende amore, e tanto maggio
 18020  quanto più di bontate in sé comprende.
 18021  
 18022  Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio,
 18023  che ciascun ben che fuor di lei si trova
 18024  altro non è ch’un lume di suo raggio,
 18025  
 18026  più che in altra convien che si mova
 18027  la mente, amando, di ciascun che cerne
 18028  il vero in che si fonda questa prova.
 18029  
 18030  Tal vero a l’intelletto mïo sterne
 18031  colui che mi dimostra il primo amore
 18032  di tutte le sustanze sempiterne.
 18033  
 18034  Sternel la voce del verace autore,
 18035  che dice a Moïsè, di sé parlando:
 18036  ‘Io ti farò vedere ogne valore’.
 18037  
 18038  Sternilmi tu ancora, incominciando
 18039  l’alto preconio che grida l’arcano
 18040  di qui là giù sovra ogne altro bando».
 18041  
 18042  E io udi’: «Per intelletto umano
 18043  e per autoritadi a lui concorde
 18044  d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
 18045  
 18046  Ma dì ancor se tu senti altre corde
 18047  tirarti verso lui, sì che tu suone
 18048  con quanti denti questo amor ti morde».
 18049  
 18050  Non fu latente la santa intenzione
 18051  de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi
 18052  dove volea menar mia professione.
 18053  
 18054  Però ricominciai: «Tutti quei morsi
 18055  che posson far lo cor volgere a Dio,
 18056  a la mia caritate son concorsi:
 18057  
 18058  ché l’essere del mondo e l’esser mio,
 18059  la morte ch’el sostenne perch’ io viva,
 18060  e quel che spera ogne fedel com’ io,
 18061  
 18062  con la predetta conoscenza viva,
 18063  tratto m’hanno del mar de l’amor torto,
 18064  e del diritto m’han posto a la riva.
 18065  
 18066  Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
 18067  de l’ortolano etterno, am’ io cotanto
 18068  quanto da lui a lor di bene è porto».
 18069  
 18070  Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto
 18071  risonò per lo cielo, e la mia donna
 18072  dicea con li altri: «Santo, santo, santo!».
 18073  
 18074  E come a lume acuto si disonna
 18075  per lo spirto visivo che ricorre
 18076  a lo splendor che va di gonna in gonna,
 18077  
 18078  e lo svegliato ciò che vede aborre,
 18079  sì nescïa è la sùbita vigilia
 18080  fin che la stimativa non soccorre;
 18081  
 18082  così de li occhi miei ogne quisquilia
 18083  fugò Beatrice col raggio d’i suoi,
 18084  che rifulgea da più di mille milia:
 18085  
 18086  onde mei che dinanzi vidi poi;
 18087  e quasi stupefatto domandai
 18088  d’un quarto lume ch’io vidi tra noi.
 18089  
 18090  E la mia donna: «Dentro da quei rai
 18091  vagheggia il suo fattor l’anima prima
 18092  che la prima virtù creasse mai».
 18093  
 18094  Come la fronda che flette la cima
 18095  nel transito del vento, e poi si leva
 18096  per la propria virtù che la soblima,
 18097  
 18098  fec’ io in tanto in quant’ ella diceva,
 18099  stupendo, e poi mi rifece sicuro
 18100  un disio di parlare ond’ ïo ardeva.
 18101  
 18102  E cominciai: «O pomo che maturo
 18103  solo prodotto fosti, o padre antico
 18104  a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
 18105  
 18106  divoto quanto posso a te supplìco
 18107  perché mi parli: tu vedi mia voglia,
 18108  e per udirti tosto non la dico».
 18109  
 18110  Talvolta un animal coverto broglia,
 18111  sì che l’affetto convien che si paia
 18112  per lo seguir che face a lui la ’nvoglia;
 18113  
 18114  e similmente l’anima primaia
 18115  mi facea trasparer per la coverta
 18116  quant’ ella a compiacermi venìa gaia.
 18117  
 18118  Indi spirò: «Sanz’ essermi proferta
 18119  da te, la voglia tua discerno meglio
 18120  che tu qualunque cosa t’è più certa;
 18121  
 18122  perch’ io la veggio nel verace speglio
 18123  che fa di sé pareglio a l’altre cose,
 18124  e nulla face lui di sé pareglio.
 18125  
 18126  Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose
 18127  ne l’eccelso giardino, ove costei
 18128  a così lunga scala ti dispuose,
 18129  
 18130  e quanto fu diletto a li occhi miei,
 18131  e la propria cagion del gran disdegno,
 18132  e l’idïoma ch’usai e che fei.
 18133  
 18134  Or, figluol mio, non il gustar del legno
 18135  fu per sé la cagion di tanto essilio,
 18136  ma solamente il trapassar del segno.
 18137  
 18138  Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
 18139  quattromilia trecento e due volumi
 18140  di sol desiderai questo concilio;
 18141  
 18142  e vidi lui tornare a tutt’ i lumi
 18143  de la sua strada novecento trenta
 18144  fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi.
 18145  
 18146  La lingua ch’io parlai fu tutta spenta
 18147  innanzi che a l’ovra inconsummabile
 18148  fosse la gente di Nembròt attenta:
 18149  
 18150  ché nullo effetto mai razïonabile,
 18151  per lo piacere uman che rinovella
 18152  seguendo il cielo, sempre fu durabile.
 18153  
 18154  Opera naturale è ch’uom favella;
 18155  ma così o così, natura lascia
 18156  poi fare a voi secondo che v’abbella.
 18157  
 18158  Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,
 18159  I s’appellava in terra il sommo bene
 18160  onde vien la letizia che mi fascia;
 18161  
 18162  e El si chiamò poi: e ciò convene,
 18163  ché l’uso d’i mortali è come fronda
 18164  in ramo, che sen va e altra vene.
 18165  
 18166  Nel monte che si leva più da l’onda,
 18167  fu’ io, con vita pura e disonesta,
 18168  da la prim’ ora a quella che seconda,
 18169  
 18170  come ’l sol muta quadra, l’ora sesta».
 18171  
 18172  
 18173  
 18174  Paradiso · Canto XXVII
 18175  
 18176  
 18177  ‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
 18178  cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso,
 18179  sì che m’inebrïava il dolce canto.
 18180  
 18181  Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
 18182  de l’universo; per che mia ebbrezza
 18183  intrava per l’udire e per lo viso.
 18184  
 18185  Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
 18186  oh vita intègra d’amore e di pace!
 18187  oh sanza brama sicura ricchezza!
 18188  
 18189  Dinanzi a li occhi miei le quattro face
 18190  stavano accese, e quella che pria venne
 18191  incominciò a farsi più vivace,
 18192  
 18193  e tal ne la sembianza sua divenne,
 18194  qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte
 18195  fossero augelli e cambiassersi penne.
 18196  
 18197  La provedenza, che quivi comparte
 18198  vice e officio, nel beato coro
 18199  silenzio posto avea da ogne parte,
 18200  
 18201  quand’ ïo udi’: «Se io mi trascoloro,
 18202  non ti maravigliar, ché, dicend’ io,
 18203  vedrai trascolorar tutti costoro.
 18204  
 18205  Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,
 18206  il luogo mio, il luogo mio, che vaca
 18207  ne la presenza del Figliuol di Dio,
 18208  
 18209  fatt’ ha del cimitero mio cloaca
 18210  del sangue e de la puzza; onde ’l perverso
 18211  che cadde di qua sù, là giù si placa».
 18212  
 18213  Di quel color che per lo sole avverso
 18214  nube dipigne da sera e da mane,
 18215  vid’ ïo allora tutto ’l ciel cosperso.
 18216  
 18217  E come donna onesta che permane
 18218  di sé sicura, e per l’altrui fallanza,
 18219  pur ascoltando, timida si fane,
 18220  
 18221  così Beatrice trasmutò sembianza;
 18222  e tale eclissi credo che ’n ciel fue
 18223  quando patì la supprema possanza.
 18224  
 18225  Poi procedetter le parole sue
 18226  con voce tanto da sé trasmutata,
 18227  che la sembianza non si mutò piùe:
 18228  
 18229  «Non fu la sposa di Cristo allevata
 18230  del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
 18231  per essere ad acquisto d’oro usata;
 18232  
 18233  ma per acquisto d’esto viver lieto
 18234  e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
 18235  sparser lo sangue dopo molto fleto.
 18236  
 18237  Non fu nostra intenzion ch’a destra mano
 18238  d’i nostri successor parte sedesse,
 18239  parte da l’altra del popol cristiano;
 18240  
 18241  né che le chiavi che mi fuor concesse,
 18242  divenisser signaculo in vessillo
 18243  che contra battezzati combattesse;
 18244  
 18245  né ch’io fossi figura di sigillo
 18246  a privilegi venduti e mendaci,
 18247  ond’ io sovente arrosso e disfavillo.
 18248  
 18249  In vesta di pastor lupi rapaci
 18250  si veggion di qua sù per tutti i paschi:
 18251  o difesa di Dio, perché pur giaci?
 18252  
 18253  Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
 18254  s’apparecchian di bere: o buon principio,
 18255  a che vil fine convien che tu caschi!
 18256  
 18257  Ma l’alta provedenza, che con Scipio
 18258  difese a Roma la gloria del mondo,
 18259  soccorrà tosto, sì com’ io concipio;
 18260  
 18261  e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
 18262  ancor giù tornerai, apri la bocca,
 18263  e non asconder quel ch’io non ascondo».
 18264  
 18265  Sì come di vapor gelati fiocca
 18266  in giuso l’aere nostro, quando ’l corno
 18267  de la capra del ciel col sol si tocca,
 18268  
 18269  in sù vid’ io così l’etera addorno
 18270  farsi e fioccar di vapor trïunfanti
 18271  che fatto avien con noi quivi soggiorno.
 18272  
 18273  Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
 18274  e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,
 18275  li tolse il trapassar del più avanti.
 18276  
 18277  Onde la donna, che mi vide assolto
 18278  de l’attendere in sù, mi disse: «Adima
 18279  il viso e guarda come tu se’ vòlto».
 18280  
 18281  Da l’ora ch’ïo avea guardato prima
 18282  i’ vidi mosso me per tutto l’arco
 18283  che fa dal mezzo al fine il primo clima;
 18284  
 18285  sì ch’io vedea di là da Gade il varco
 18286  folle d’Ulisse, e di qua presso il lito
 18287  nel qual si fece Europa dolce carco.
 18288  
 18289  E più mi fora discoverto il sito
 18290  di questa aiuola; ma ’l sol procedea
 18291  sotto i mie’ piedi un segno e più partito.
 18292  
 18293  La mente innamorata, che donnea
 18294  con la mia donna sempre, di ridure
 18295  ad essa li occhi più che mai ardea;
 18296  
 18297  e se natura o arte fé pasture
 18298  da pigliare occhi, per aver la mente,
 18299  in carne umana o ne le sue pitture,
 18300  
 18301  tutte adunate, parrebber nïente
 18302  ver’ lo piacer divin che mi refulse,
 18303  quando mi volsi al suo viso ridente.
 18304  
 18305  E la virtù che lo sguardo m’indulse,
 18306  del bel nido di Leda mi divelse,
 18307  e nel ciel velocissimo m’impulse.
 18308  
 18309  Le parti sue vivissime ed eccelse
 18310  sì uniforme son, ch’i’ non so dire
 18311  qual Bëatrice per loco mi scelse.
 18312  
 18313  Ma ella, che vedëa ’l mio disire,
 18314  incominciò, ridendo tanto lieta,
 18315  che Dio parea nel suo volto gioire:
 18316  
 18317  «La natura del mondo, che quïeta
 18318  il mezzo e tutto l’altro intorno move,
 18319  quinci comincia come da sua meta;
 18320  
 18321  e questo cielo non ha altro dove
 18322  che la mente divina, in che s’accende
 18323  l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.
 18324  
 18325  Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
 18326  sì come questo li altri; e quel precinto
 18327  colui che ’l cinge solamente intende.
 18328  
 18329  Non è suo moto per altro distinto,
 18330  ma li altri son mensurati da questo,
 18331  sì come diece da mezzo e da quinto;
 18332  
 18333  e come il tempo tegna in cotal testo
 18334  le sue radici e ne li altri le fronde,
 18335  omai a te può esser manifesto.
 18336  
 18337  Oh cupidigia che i mortali affonde
 18338  sì sotto te, che nessuno ha podere
 18339  di trarre li occhi fuor de le tue onde!
 18340  
 18341  Ben fiorisce ne li uomini il volere;
 18342  ma la pioggia continüa converte
 18343  in bozzacchioni le sosine vere.
 18344  
 18345  Fede e innocenza son reperte
 18346  solo ne’ parvoletti; poi ciascuna
 18347  pria fugge che le guance sian coperte.
 18348  
 18349  Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,
 18350  che poi divora, con la lingua sciolta,
 18351  qualunque cibo per qualunque luna;
 18352  
 18353  e tal, balbuzïendo, ama e ascolta
 18354  la madre sua, che, con loquela intera,
 18355  disïa poi di vederla sepolta.
 18356  
 18357  Così si fa la pelle bianca nera
 18358  nel primo aspetto de la bella figlia
 18359  di quel ch’apporta mane e lascia sera.
 18360  
 18361  Tu, perché non ti facci maraviglia,
 18362  pensa che ’n terra non è chi governi;
 18363  onde sì svïa l’umana famiglia.
 18364  
 18365  Ma prima che gennaio tutto si sverni
 18366  per la centesma ch’è là giù negletta,
 18367  raggeran sì questi cerchi superni,
 18368  
 18369  che la fortuna che tanto s’aspetta,
 18370  le poppe volgerà u’ son le prore,
 18371  sì che la classe correrà diretta;
 18372  
 18373  e vero frutto verrà dopo ’l fiore».
 18374  
 18375  
 18376  
 18377  Paradiso · Canto XXVIII
 18378  
 18379  
 18380  Poscia che ’ncontro a la vita presente
 18381  d’i miseri mortali aperse ’l vero
 18382  quella che ’mparadisa la mia mente,
 18383  
 18384  come in lo specchio fiamma di doppiero
 18385  vede colui che se n’alluma retro,
 18386  prima che l’abbia in vista o in pensiero,
 18387  
 18388  e sé rivolge per veder se ’l vetro
 18389  li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
 18390  con esso come nota con suo metro;
 18391  
 18392  così la mia memoria si ricorda
 18393  ch’io feci riguardando ne’ belli occhi
 18394  onde a pigliarmi fece Amor la corda.
 18395  
 18396  E com’ io mi rivolsi e furon tocchi
 18397  li miei da ciò che pare in quel volume,
 18398  quandunque nel suo giro ben s’adocchi,
 18399  
 18400  un punto vidi che raggiava lume
 18401  acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca
 18402  chiuder conviensi per lo forte acume;
 18403  
 18404  e quale stella par quinci più poca,
 18405  parrebbe luna, locata con esso
 18406  come stella con stella si collòca.
 18407  
 18408  Forse cotanto quanto pare appresso
 18409  alo cigner la luce che ’l dipigne
 18410  quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,
 18411  
 18412  distante intorno al punto un cerchio d’igne
 18413  si girava sì ratto, ch’avria vinto
 18414  quel moto che più tosto il mondo cigne;
 18415  
 18416  e questo era d’un altro circumcinto,
 18417  e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
 18418  dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
 18419  
 18420  Sopra seguiva il settimo sì sparto
 18421  già di larghezza, che ’l messo di Iuno
 18422  intero a contenerlo sarebbe arto.
 18423  
 18424  Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno
 18425  più tardo si movea, secondo ch’era
 18426  in numero distante più da l’uno;
 18427  
 18428  e quello avea la fiamma più sincera
 18429  cui men distava la favilla pura,
 18430  credo, però che più di lei s’invera.
 18431  
 18432  La donna mia, che mi vedëa in cura
 18433  forte sospeso, disse: «Da quel punto
 18434  depende il cielo e tutta la natura.
 18435  
 18436  Mira quel cerchio che più li è congiunto;
 18437  e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
 18438  per l’affocato amore ond’ elli è punto».
 18439  
 18440  E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto
 18441  con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,
 18442  sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;
 18443  
 18444  ma nel mondo sensibile si puote
 18445  veder le volte tanto più divine,
 18446  quant’ elle son dal centro più remote.
 18447  
 18448  Onde, se ’l mio disir dee aver fine
 18449  in questo miro e angelico templo
 18450  che solo amore e luce ha per confine,
 18451  
 18452  udir convienmi ancor come l’essemplo
 18453  e l’essemplare non vanno d’un modo,
 18454  ché io per me indarno a ciò contemplo».
 18455  
 18456  «Se li tuoi diti non sono a tal nodo
 18457  sufficïenti, non è maraviglia:
 18458  tanto, per non tentare, è fatto sodo!».
 18459  
 18460  Così la donna mia; poi disse: «Piglia
 18461  quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;
 18462  e intorno da esso t’assottiglia.
 18463  
 18464  Li cerchi corporai sono ampi e arti
 18465  secondo il più e ’l men de la virtute
 18466  che si distende per tutte lor parti.
 18467  
 18468  Maggior bontà vuol far maggior salute;
 18469  maggior salute maggior corpo cape,
 18470  s’elli ha le parti igualmente compiute.
 18471  
 18472  Dunque costui che tutto quanto rape
 18473  l’altro universo seco, corrisponde
 18474  al cerchio che più ama e che più sape:
 18475  
 18476  per che, se tu a la virtù circonde
 18477  la tua misura, non a la parvenza
 18478  de le sustanze che t’appaion tonde,
 18479  
 18480  tu vederai mirabil consequenza
 18481  di maggio a più e di minore a meno,
 18482  in ciascun cielo, a süa intelligenza».
 18483  
 18484  Come rimane splendido e sereno
 18485  l’emisperio de l’aere, quando soffia
 18486  Borea da quella guancia ond’ è più leno,
 18487  
 18488  per che si purga e risolve la roffia
 18489  che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride
 18490  con le bellezze d’ogne sua paroffia;
 18491  
 18492  così fec’ïo, poi che mi provide
 18493  la donna mia del suo risponder chiaro,
 18494  e come stella in cielo il ver si vide.
 18495  
 18496  E poi che le parole sue restaro,
 18497  non altrimenti ferro disfavilla
 18498  che bolle, come i cerchi sfavillaro.
 18499  
 18500  L’incendio suo seguiva ogne scintilla;
 18501  ed eran tante, che ’l numero loro
 18502  più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
 18503  
 18504  Io sentiva osannar di coro in coro
 18505  al punto fisso che li tiene a li ubi,
 18506  e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.
 18507  
 18508  E quella che vedëa i pensier dubi
 18509  ne la mia mente, disse: «I cerchi primi
 18510  t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.
 18511  
 18512  Così veloci seguono i suoi vimi,
 18513  per somigliarsi al punto quanto ponno;
 18514  e posson quanto a veder son soblimi.
 18515  
 18516  Quelli altri amori che ’ntorno li vonno,
 18517  si chiaman Troni del divino aspetto,
 18518  per che ’l primo ternaro terminonno;
 18519  
 18520  e dei saper che tutti hanno diletto
 18521  quanto la sua veduta si profonda
 18522  nel vero in che si queta ogne intelletto.
 18523  
 18524  Quinci si può veder come si fonda
 18525  l’esser beato ne l’atto che vede,
 18526  non in quel ch’ama, che poscia seconda;
 18527  
 18528  e del vedere è misura mercede,
 18529  che grazia partorisce e buona voglia:
 18530  così di grado in grado si procede.
 18531  
 18532  L’altro ternaro, che così germoglia
 18533  in questa primavera sempiterna
 18534  che notturno Arïete non dispoglia,
 18535  
 18536  perpetüalemente ‘Osanna’ sberna
 18537  con tre melode, che suonano in tree
 18538  ordini di letizia onde s’interna.
 18539  
 18540  In essa gerarcia son l’altre dee:
 18541  prima Dominazioni, e poi Virtudi;
 18542  l’ordine terzo di Podestadi èe.
 18543  
 18544  Poscia ne’ due penultimi tripudi
 18545  Principati e Arcangeli si girano;
 18546  l’ultimo è tutto d’Angelici ludi.
 18547  
 18548  Questi ordini di sù tutti s’ammirano,
 18549  e di giù vincon sì, che verso Dio
 18550  tutti tirati sono e tutti tirano.
 18551  
 18552  E Dïonisio con tanto disio
 18553  a contemplar questi ordini si mise,
 18554  che li nomò e distinse com’ io.
 18555  
 18556  Ma Gregorio da lui poi si divise;
 18557  onde, sì tosto come li occhi aperse
 18558  in questo ciel, di sé medesmo rise.
 18559  
 18560  E se tanto secreto ver proferse
 18561  mortale in terra, non voglio ch’ammiri:
 18562  ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse
 18563  
 18564  con altro assai del ver di questi giri».
 18565  
 18566  
 18567  
 18568  Paradiso · Canto XXIX
 18569  
 18570  
 18571  Quando ambedue li figli di Latona,
 18572  coperti del Montone e de la Libra,
 18573  fanno de l’orizzonte insieme zona,
 18574  
 18575  quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra
 18576  infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
 18577  cambiando l’emisperio, si dilibra,
 18578  
 18579  tanto, col volto di riso dipinto,
 18580  si tacque Bëatrice, riguardando
 18581  fiso nel punto che m’avëa vinto.
 18582  
 18583  Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
 18584  quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto
 18585  là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.
 18586  
 18587  Non per aver a sé di bene acquisto,
 18588  ch’esser non può, ma perché suo splendore
 18589  potesse, risplendendo, dir “Subsisto”,
 18590  
 18591  in sua etternità di tempo fore,
 18592  fuor d’ogne altro comprender, come i piacque,
 18593  s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.
 18594  
 18595  Né prima quasi torpente si giacque;
 18596  ché né prima né poscia procedette
 18597  lo discorrer di Dio sovra quest’ acque.
 18598  
 18599  Forma e materia, congiunte e purette,
 18600  usciro ad esser che non avia fallo,
 18601  come d’arco tricordo tre saette.
 18602  
 18603  E come in vetro, in ambra o in cristallo
 18604  raggio resplende sì, che dal venire
 18605  a l’esser tutto non è intervallo,
 18606  
 18607  così ’l triforme effetto del suo sire
 18608  ne l’esser suo raggiò insieme tutto
 18609  sanza distinzïone in essordire.
 18610  
 18611  Concreato fu ordine e costrutto
 18612  a le sustanze; e quelle furon cima
 18613  nel mondo in che puro atto fu produtto;
 18614  
 18615  pura potenza tenne la parte ima;
 18616  nel mezzo strinse potenza con atto
 18617  tal vime, che già mai non si divima.
 18618  
 18619  Ieronimo vi scrisse lungo tratto
 18620  di secoli de li angeli creati
 18621  anzi che l’altro mondo fosse fatto;
 18622  
 18623  ma questo vero è scritto in molti lati
 18624  da li scrittor de lo Spirito Santo,
 18625  e tu te n’avvedrai se bene agguati;
 18626  
 18627  e anche la ragione il vede alquanto,
 18628  che non concederebbe che ’ motori
 18629  sanza sua perfezion fosser cotanto.
 18630  
 18631  Or sai tu dove e quando questi amori
 18632  furon creati e come: sì che spenti
 18633  nel tuo disïo già son tre ardori.
 18634  
 18635  Né giugneriesi, numerando, al venti
 18636  sì tosto, come de li angeli parte
 18637  turbò il suggetto d’i vostri alimenti.
 18638  
 18639  L’altra rimase, e cominciò quest’ arte
 18640  che tu discerni, con tanto diletto,
 18641  che mai da circüir non si diparte.
 18642  
 18643  Principio del cader fu il maladetto
 18644  superbir di colui che tu vedesti
 18645  da tutti i pesi del mondo costretto.
 18646  
 18647  Quelli che vedi qui furon modesti
 18648  a riconoscer sé da la bontate
 18649  che li avea fatti a tanto intender presti:
 18650  
 18651  per che le viste lor furo essaltate
 18652  con grazia illuminante e con lor merto,
 18653  si c’hanno ferma e piena volontate;
 18654  
 18655  e non voglio che dubbi, ma sia certo,
 18656  che ricever la grazia è meritorio
 18657  secondo che l’affetto l’è aperto.
 18658  
 18659  Omai dintorno a questo consistorio
 18660  puoi contemplare assai, se le parole
 18661  mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio.
 18662  
 18663  Ma perché ’n terra per le vostre scole
 18664  si legge che l’angelica natura
 18665  è tal, che ’ntende e si ricorda e vole,
 18666  
 18667  ancor dirò, perché tu veggi pura
 18668  la verità che là giù si confonde,
 18669  equivocando in sì fatta lettura.
 18670  
 18671  Queste sustanze, poi che fur gioconde
 18672  de la faccia di Dio, non volser viso
 18673  da essa, da cui nulla si nasconde:
 18674  
 18675  però non hanno vedere interciso
 18676  da novo obietto, e però non bisogna
 18677  rememorar per concetto diviso;
 18678  
 18679  sì che là giù, non dormendo, si sogna,
 18680  credendo e non credendo dicer vero;
 18681  ma ne l’uno è più colpa e più vergogna.
 18682  
 18683  Voi non andate giù per un sentiero
 18684  filosofando: tanto vi trasporta
 18685  l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero!
 18686  
 18687  E ancor questo qua sù si comporta
 18688  con men disdegno che quando è posposta
 18689  la divina Scrittura o quando è torta.
 18690  
 18691  Non vi si pensa quanto sangue costa
 18692  seminarla nel mondo e quanto piace
 18693  chi umilmente con essa s’accosta.
 18694  
 18695  Per apparer ciascun s’ingegna e face
 18696  sue invenzioni; e quelle son trascorse
 18697  da’ predicanti e ’l Vangelio si tace.
 18698  
 18699  Un dice che la luna si ritorse
 18700  ne la passion di Cristo e s’interpuose,
 18701  per che ’l lume del sol giù non si porse;
 18702  
 18703  e mente, ché la luce si nascose
 18704  da sé: però a li Spani e a l’Indi
 18705  come a’ Giudei tale eclissi rispuose.
 18706  
 18707  Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
 18708  quante sì fatte favole per anno
 18709  in pergamo si gridan quinci e quindi:
 18710  
 18711  sì che le pecorelle, che non sanno,
 18712  tornan del pasco pasciute di vento,
 18713  e non le scusa non veder lo danno.
 18714  
 18715  Non disse Cristo al suo primo convento:
 18716  ‘Andate, e predicate al mondo ciance’;
 18717  ma diede lor verace fondamento;
 18718  
 18719  e quel tanto sonò ne le sue guance,
 18720  sì ch’a pugnar per accender la fede
 18721  de l’Evangelio fero scudo e lance.
 18722  
 18723  Ora si va con motti e con iscede
 18724  a predicare, e pur che ben si rida,
 18725  gonfia il cappuccio e più non si richiede.
 18726  
 18727  Ma tale uccel nel becchetto s’annida,
 18728  che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe
 18729  la perdonanza di ch’el si confida:
 18730  
 18731  per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
 18732  che, sanza prova d’alcun testimonio,
 18733  ad ogne promession si correrebbe.
 18734  
 18735  Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio,
 18736  e altri assai che sono ancor più porci,
 18737  pagando di moneta sanza conio.
 18738  
 18739  Ma perché siam digressi assai, ritorci
 18740  li occhi oramai verso la dritta strada,
 18741  sì che la via col tempo si raccorci.
 18742  
 18743  Questa natura sì oltre s’ingrada
 18744  in numero, che mai non fu loquela
 18745  né concetto mortal che tanto vada;
 18746  
 18747  e se tu guardi quel che si revela
 18748  per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia
 18749  determinato numero si cela.
 18750  
 18751  La prima luce, che tutta la raia,
 18752  per tanti modi in essa si recepe,
 18753  quanti son li splendori a chi s’appaia.
 18754  
 18755  Onde, però che a l’atto che concepe
 18756  segue l’affetto, d’amar la dolcezza
 18757  diversamente in essa ferve e tepe.
 18758  
 18759  Vedi l’eccelso omai e la larghezza
 18760  de l’etterno valor, poscia che tanti
 18761  speculi fatti s’ha in che si spezza,
 18762  
 18763  uno manendo in sé come davanti».
 18764  
 18765  
 18766  
 18767  Paradiso · Canto XXX
 18768  
 18769  
 18770  Forse semilia miglia di lontano
 18771  ci ferve l’ora sesta, e questo mondo
 18772  china già l’ombra quasi al letto piano,
 18773  
 18774  quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo,
 18775  comincia a farsi tal, ch’alcuna stella
 18776  perde il parere infino a questo fondo;
 18777  
 18778  e come vien la chiarissima ancella
 18779  del sol più oltre, così ’l ciel si chiude
 18780  di vista in vista infino a la più bella.
 18781  
 18782  Non altrimenti il trïunfo che lude
 18783  sempre dintorno al punto che mi vinse,
 18784  parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude,
 18785  
 18786  a poco a poco al mio veder si stinse:
 18787  per che tornar con li occhi a Bëatrice
 18788  nulla vedere e amor mi costrinse.
 18789  
 18790  Se quanto infino a qui di lei si dice
 18791  fosse conchiuso tutto in una loda,
 18792  poca sarebbe a fornir questa vice.
 18793  
 18794  La bellezza ch’io vidi si trasmoda
 18795  non pur di là da noi, ma certo io credo
 18796  che solo il suo fattor tutta la goda.
 18797  
 18798  Da questo passo vinto mi concedo
 18799  più che già mai da punto di suo tema
 18800  soprato fosse comico o tragedo:
 18801  
 18802  ché, come sole in viso che più trema,
 18803  così lo rimembrar del dolce riso
 18804  la mente mia da me medesmo scema.
 18805  
 18806  Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso
 18807  in questa vita, infino a questa vista,
 18808  non m’è il seguire al mio cantar preciso;
 18809  
 18810  ma or convien che mio seguir desista
 18811  più dietro a sua bellezza, poetando,
 18812  come a l’ultimo suo ciascuno artista.
 18813  
 18814  Cotal qual io lascio a maggior bando
 18815  che quel de la mia tuba, che deduce
 18816  l’ardüa sua matera terminando,
 18817  
 18818  con atto e voce di spedito duce
 18819  ricominciò: «Noi siamo usciti fore
 18820  del maggior corpo al ciel ch’è pura luce:
 18821  
 18822  luce intellettüal, piena d’amore;
 18823  amor di vero ben, pien di letizia;
 18824  letizia che trascende ogne dolzore.
 18825  
 18826  Qui vederai l’una e l’altra milizia
 18827  di paradiso, e l’una in quelli aspetti
 18828  che tu vedrai a l’ultima giustizia».
 18829  
 18830  Come sùbito lampo che discetti
 18831  li spiriti visivi, sì che priva
 18832  da l’atto l’occhio di più forti obietti,
 18833  
 18834  così mi circunfulse luce viva,
 18835  e lasciommi fasciato di tal velo
 18836  del suo fulgor, che nulla m’appariva.
 18837  
 18838  «Sempre l’amor che queta questo cielo
 18839  accoglie in sé con sì fatta salute,
 18840  per far disposto a sua fiamma il candelo».
 18841  
 18842  Non fur più tosto dentro a me venute
 18843  queste parole brievi, ch’io compresi
 18844  me sormontar di sopr’ a mia virtute;
 18845  
 18846  e di novella vista mi raccesi
 18847  tale, che nulla luce è tanto mera,
 18848  che li occhi miei non si fosser difesi;
 18849  
 18850  e vidi lume in forma di rivera
 18851  fulvido di fulgore, intra due rive
 18852  dipinte di mirabil primavera.
 18853  
 18854  Di tal fiumana uscian faville vive,
 18855  e d’ogne parte si mettien ne’ fiori,
 18856  quasi rubin che oro circunscrive;
 18857  
 18858  poi, come inebrïate da li odori,
 18859  riprofondavan sé nel miro gurge,
 18860  e s’una intrava, un’altra n’uscia fori.
 18861  
 18862  «L’alto disio che mo t’infiamma e urge,
 18863  d’aver notizia di ciò che tu vei,
 18864  tanto mi piace più quanto più turge;
 18865  
 18866  ma di quest’ acqua convien che tu bei
 18867  prima che tanta sete in te si sazi»:
 18868  così mi disse il sol de li occhi miei.
 18869  
 18870  Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
 18871  ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe
 18872  son di lor vero umbriferi prefazi.
 18873  
 18874  Non che da sé sian queste cose acerbe;
 18875  ma è difetto da la parte tua,
 18876  che non hai viste ancor tanto superbe».
 18877  
 18878  Non è fantin che sì sùbito rua
 18879  col volto verso il latte, se si svegli
 18880  molto tardato da l’usanza sua,
 18881  
 18882  come fec’ io, per far migliori spegli
 18883  ancor de li occhi, chinandomi a l’onda
 18884  che si deriva perché vi s’immegli;
 18885  
 18886  e sì come di lei bevve la gronda
 18887  de le palpebre mie, così mi parve
 18888  di sua lunghezza divenuta tonda.
 18889  
 18890  Poi, come gente stata sotto larve,
 18891  che pare altro che prima, se si sveste
 18892  la sembianza non süa in che disparve,
 18893  
 18894  così mi si cambiaro in maggior feste
 18895  li fiori e le faville, sì ch’io vidi
 18896  ambo le corti del ciel manifeste.
 18897  
 18898  O isplendor di Dio, per cu’ io vidi
 18899  l’alto trïunfo del regno verace,
 18900  dammi virtù a dir com’ ïo il vidi!
 18901  
 18902  Lume è là sù che visibile face
 18903  lo creatore a quella creatura
 18904  che solo in lui vedere ha la sua pace.
 18905  
 18906  E’ si distende in circular figura,
 18907  in tanto che la sua circunferenza
 18908  sarebbe al sol troppo larga cintura.
 18909  
 18910  Fassi di raggio tutta sua parvenza
 18911  reflesso al sommo del mobile primo,
 18912  che prende quindi vivere e potenza.
 18913  
 18914  E come clivo in acqua di suo imo
 18915  si specchia, quasi per vedersi addorno,
 18916  quando è nel verde e ne’ fioretti opimo,
 18917  
 18918  sì, soprastando al lume intorno intorno,
 18919  vidi specchiarsi in più di mille soglie
 18920  quanto di noi là sù fatto ha ritorno.
 18921  
 18922  E se l’infimo grado in sé raccoglie
 18923  sì grande lume, quanta è la larghezza
 18924  di questa rosa ne l’estreme foglie!
 18925  
 18926  La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza
 18927  non si smarriva, ma tutto prendeva
 18928  il quanto e ’l quale di quella allegrezza.
 18929  
 18930  Presso e lontano, lì, né pon né leva:
 18931  ché dove Dio sanza mezzo governa,
 18932  la legge natural nulla rileva.
 18933  
 18934  Nel giallo de la rosa sempiterna,
 18935  che si digrada e dilata e redole
 18936  odor di lode al sol che sempre verna,
 18937  
 18938  qual è colui che tace e dicer vole,
 18939  mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira
 18940  quanto è ’l convento de le bianche stole!
 18941  
 18942  Vedi nostra città quant’ ella gira;
 18943  vedi li nostri scanni sì ripieni,
 18944  che poca gente più ci si disira.
 18945  
 18946  E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
 18947  per la corona che già v’è sù posta,
 18948  prima che tu a queste nozze ceni,
 18949  
 18950  sederà l’alma, che fia giù agosta,
 18951  de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia
 18952  verrà in prima ch’ella sia disposta.
 18953  
 18954  La cieca cupidigia che v’ammalia
 18955  simili fatti v’ha al fantolino
 18956  che muor per fame e caccia via la balia.
 18957  
 18958  E fia prefetto nel foro divino
 18959  allora tal, che palese e coverto
 18960  non anderà con lui per un cammino.
 18961  
 18962  Ma poco poi sarà da Dio sofferto
 18963  nel santo officio; ch’el sarà detruso
 18964  là dove Simon mago è per suo merto,
 18965  
 18966  e farà quel d’Alagna intrar più giuso».
 18967  
 18968  
 18969  
 18970  Paradiso · Canto XXXI
 18971  
 18972  
 18973  In forma dunque di candida rosa
 18974  mi si mostrava la milizia santa
 18975  che nel suo sangue Cristo fece sposa;
 18976  
 18977  ma l’altra, che volando vede e canta
 18978  la gloria di colui che la ’nnamora
 18979  e la bontà che la fece cotanta,
 18980  
 18981  sì come schiera d’ape che s’infiora
 18982  una fïata e una si ritorna
 18983  là dove suo laboro s’insapora,
 18984  
 18985  nel gran fior discendeva che s’addorna
 18986  di tante foglie, e quindi risaliva
 18987  là dove ’l süo amor sempre soggiorna.
 18988  
 18989  Le facce tutte avean di fiamma viva
 18990  e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco,
 18991  che nulla neve a quel termine arriva.
 18992  
 18993  Quando scendean nel fior, di banco in banco
 18994  porgevan de la pace e de l’ardore
 18995  ch’elli acquistavan ventilando il fianco.
 18996  
 18997  Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore
 18998  di tanta moltitudine volante
 18999  impediva la vista e lo splendore:
 19000  
 19001  ché la luce divina è penetrante
 19002  per l’universo secondo ch’è degno,
 19003  sì che nulla le puote essere ostante.
 19004  
 19005  Questo sicuro e gaudïoso regno,
 19006  frequente in gente antica e in novella,
 19007  viso e amore avea tutto ad un segno.
 19008  
 19009  O trina luce che ’n unica stella
 19010  scintillando a lor vista, sì li appaga!
 19011  guarda qua giuso a la nostra procella!
 19012  
 19013  Se i barbari, venendo da tal plaga
 19014  che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
 19015  rotante col suo figlio ond’ ella è vaga,
 19016  
 19017  veggendo Roma e l’ardüa sua opra,
 19018  stupefaciensi, quando Laterano
 19019  a le cose mortali andò di sopra;
 19020  
 19021  ïo, che al divino da l’umano,
 19022  a l’etterno dal tempo era venuto,
 19023  e di Fiorenza in popol giusto e sano,
 19024  
 19025  di che stupor dovea esser compiuto!
 19026  Certo tra esso e ’l gaudio mi facea
 19027  libito non udire e starmi muto.
 19028  
 19029  E quasi peregrin che si ricrea
 19030  nel tempio del suo voto riguardando,
 19031  e spera già ridir com’ ello stea,
 19032  
 19033  su per la viva luce passeggiando,
 19034  menava ïo li occhi per li gradi,
 19035  mo sù, mo giù e mo recirculando.
 19036  
 19037  Vedëa visi a carità süadi,
 19038  d’altrui lume fregiati e di suo riso,
 19039  e atti ornati di tutte onestadi.
 19040  
 19041  La forma general di paradiso
 19042  già tutta mïo sguardo avea compresa,
 19043  in nulla parte ancor fermato fiso;
 19044  
 19045  e volgeami con voglia rïaccesa
 19046  per domandar la mia donna di cose
 19047  di che la mente mia era sospesa.
 19048  
 19049  Uno intendëa, e altro mi rispuose:
 19050  credea veder Beatrice e vidi un sene
 19051  vestito con le genti glorïose.
 19052  
 19053  Diffuso era per li occhi e per le gene
 19054  di benigna letizia, in atto pio
 19055  quale a tenero padre si convene.
 19056  
 19057  E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io.
 19058  Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro
 19059  mosse Beatrice me del loco mio;
 19060  
 19061  e se riguardi sù nel terzo giro
 19062  dal sommo grado, tu la rivedrai
 19063  nel trono che suoi merti le sortiro».
 19064  
 19065  Sanza risponder, li occhi sù levai,
 19066  e vidi lei che si facea corona
 19067  reflettendo da sé li etterni rai.
 19068  
 19069  Da quella regïon che più sù tona
 19070  occhio mortale alcun tanto non dista,
 19071  qualunque in mare più giù s’abbandona,
 19072  
 19073  quanto lì da Beatrice la mia vista;
 19074  ma nulla mi facea, ché süa effige
 19075  non discendëa a me per mezzo mista.
 19076  
 19077  «O donna in cui la mia speranza vige,
 19078  e che soffristi per la mia salute
 19079  in inferno lasciar le tue vestige,
 19080  
 19081  di tante cose quant’ i’ ho vedute,
 19082  dal tuo podere e da la tua bontate
 19083  riconosco la grazia e la virtute.
 19084  
 19085  Tu m’hai di servo tratto a libertate
 19086  per tutte quelle vie, per tutt’ i modi
 19087  che di ciò fare avei la potestate.
 19088  
 19089  La tua magnificenza in me custodi,
 19090  sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,
 19091  piacente a te dal corpo si disnodi».
 19092  
 19093  Così orai; e quella, sì lontana
 19094  come parea, sorrise e riguardommi;
 19095  poi si tornò a l’etterna fontana.
 19096  
 19097  E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi
 19098  perfettamente», disse, «il tuo cammino,
 19099  a che priego e amor santo mandommi,
 19100  
 19101  vola con li occhi per questo giardino;
 19102  ché veder lui t’acconcerà lo sguardo
 19103  più al montar per lo raggio divino.
 19104  
 19105  E la regina del cielo, ond’ ïo ardo
 19106  tutto d’amor, ne farà ogne grazia,
 19107  però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo».
 19108  
 19109  Qual è colui che forse di Croazia
 19110  viene a veder la Veronica nostra,
 19111  che per l’antica fame non sen sazia,
 19112  
 19113  ma dice nel pensier, fin che si mostra:
 19114  ‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
 19115  or fu sì fatta la sembianza vostra?’;
 19116  
 19117  tal era io mirando la vivace
 19118  carità di colui che ’n questo mondo,
 19119  contemplando, gustò di quella pace.
 19120  
 19121  «Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo»,
 19122  cominciò elli, «non ti sarà noto,
 19123  tenendo li occhi pur qua giù al fondo;
 19124  
 19125  ma guarda i cerchi infino al più remoto,
 19126  tanto che veggi seder la regina
 19127  cui questo regno è suddito e devoto».
 19128  
 19129  Io levai li occhi; e come da mattina
 19130  la parte orïental de l’orizzonte
 19131  soverchia quella dove ’l sol declina,
 19132  
 19133  così, quasi di valle andando a monte
 19134  con li occhi, vidi parte ne lo stremo
 19135  vincer di lume tutta l’altra fronte.
 19136  
 19137  E come quivi ove s’aspetta il temo
 19138  che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,
 19139  e quinci e quindi il lume si fa scemo,
 19140  
 19141  così quella pacifica oriafiamma
 19142  nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte
 19143  per igual modo allentava la fiamma;
 19144  
 19145  e a quel mezzo, con le penne sparte,
 19146  vid’ io più di mille angeli festanti,
 19147  ciascun distinto di fulgore e d’arte.
 19148  
 19149  Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
 19150  ridere una bellezza, che letizia
 19151  era ne li occhi a tutti li altri santi;
 19152  
 19153  e s’io avessi in dir tanta divizia
 19154  quanta ad imaginar, non ardirei
 19155  lo minimo tentar di sua delizia.
 19156  
 19157  Bernardo, come vide li occhi miei
 19158  nel caldo suo caler fissi e attenti,
 19159  li suoi con tanto affetto volse a lei,
 19160  
 19161  che ’ miei di rimirar fé più ardenti.
 19162  
 19163  
 19164  
 19165  Paradiso · Canto XXXII
 19166  
 19167  
 19168  Affetto al suo piacer, quel contemplante
 19169  libero officio di dottore assunse,
 19170  e cominciò queste parole sante:
 19171  
 19172  «La piaga che Maria richiuse e unse,
 19173  quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi
 19174  è colei che l’aperse e che la punse.
 19175  
 19176  Ne l’ordine che fanno i terzi sedi,
 19177  siede Rachel di sotto da costei
 19178  con Bëatrice, sì come tu vedi.
 19179  
 19180  Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
 19181  che fu bisava al cantor che per doglia
 19182  del fallo disse ‘Miserere mei’,
 19183  
 19184  puoi tu veder così di soglia in soglia
 19185  giù digradar, com’ io ch’a proprio nome
 19186  vo per la rosa giù di foglia in foglia.
 19187  
 19188  E dal settimo grado in giù, sì come
 19189  infino ad esso, succedono Ebree,
 19190  dirimendo del fior tutte le chiome;
 19191  
 19192  perché, secondo lo sguardo che fée
 19193  la fede in Cristo, queste sono il muro
 19194  a che si parton le sacre scalee.
 19195  
 19196  Da questa parte onde ’l fiore è maturo
 19197  di tutte le sue foglie, sono assisi
 19198  quei che credettero in Cristo venturo;
 19199  
 19200  da l’altra parte onde sono intercisi
 19201  di vòti i semicirculi, si stanno
 19202  quei ch’a Cristo venuto ebber li visi.
 19203  
 19204  E come quinci il glorïoso scanno
 19205  de la donna del cielo e li altri scanni
 19206  di sotto lui cotanta cerna fanno,
 19207  
 19208  così di contra quel del gran Giovanni,
 19209  che sempre santo ’l diserto e ’l martiro
 19210  sofferse, e poi l’inferno da due anni;
 19211  
 19212  e sotto lui così cerner sortiro
 19213  Francesco, Benedetto e Augustino
 19214  e altri fin qua giù di giro in giro.
 19215  
 19216  Or mira l’alto proveder divino:
 19217  ché l’uno e l’altro aspetto de la fede
 19218  igualmente empierà questo giardino.
 19219  
 19220  E sappi che dal grado in giù che fiede
 19221  a mezzo il tratto le due discrezioni,
 19222  per nullo proprio merito si siede,
 19223  
 19224  ma per l’altrui, con certe condizioni:
 19225  ché tutti questi son spiriti ascolti
 19226  prima ch’avesser vere elezïoni.
 19227  
 19228  Ben te ne puoi accorger per li volti
 19229  e anche per le voci püerili,
 19230  se tu li guardi bene e se li ascolti.
 19231  
 19232  Or dubbi tu e dubitando sili;
 19233  ma io discioglierò ’l forte legame
 19234  in che ti stringon li pensier sottili.
 19235  
 19236  Dentro a l’ampiezza di questo reame
 19237  casüal punto non puote aver sito,
 19238  se non come tristizia o sete o fame:
 19239  
 19240  ché per etterna legge è stabilito
 19241  quantunque vedi, sì che giustamente
 19242  ci si risponde da l’anello al dito;
 19243  
 19244  e però questa festinata gente
 19245  a vera vita non è sine causa
 19246  intra sé qui più e meno eccellente.
 19247  
 19248  Lo rege per cui questo regno pausa
 19249  in tanto amore e in tanto diletto,
 19250  che nulla volontà è di più ausa,
 19251  
 19252  le menti tutte nel suo lieto aspetto
 19253  creando, a suo piacer di grazia dota
 19254  diversamente; e qui basti l’effetto.
 19255  
 19256  E ciò espresso e chiaro vi si nota
 19257  ne la Scrittura santa in quei gemelli
 19258  che ne la madre ebber l’ira commota.
 19259  
 19260  Però, secondo il color d’i capelli,
 19261  di cotal grazia l’altissimo lume
 19262  degnamente convien che s’incappelli.
 19263  
 19264  Dunque, sanza mercé di lor costume,
 19265  locati son per gradi differenti,
 19266  sol differendo nel primiero acume.
 19267  
 19268  Bastavasi ne’ secoli recenti
 19269  con l’innocenza, per aver salute,
 19270  solamente la fede d’i parenti;
 19271  
 19272  poi che le prime etadi fuor compiute,
 19273  convenne ai maschi a l’innocenti penne
 19274  per circuncidere acquistar virtute;
 19275  
 19276  ma poi che ’l tempo de la grazia venne,
 19277  sanza battesmo perfetto di Cristo
 19278  tale innocenza là giù si ritenne.
 19279  
 19280  Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
 19281  più si somiglia, ché la sua chiarezza
 19282  sola ti può disporre a veder Cristo».
 19283  
 19284  Io vidi sopra lei tanta allegrezza
 19285  piover, portata ne le menti sante
 19286  create a trasvolar per quella altezza,
 19287  
 19288  che quantunque io avea visto davante,
 19289  di tanta ammirazion non mi sospese,
 19290  né mi mostrò di Dio tanto sembiante;
 19291  
 19292  e quello amor che primo lì discese,
 19293  cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’,
 19294  dinanzi a lei le sue ali distese.
 19295  
 19296  Rispuose a la divina cantilena
 19297  da tutte parti la beata corte,
 19298  sì ch’ogne vista sen fé più serena.
 19299  
 19300  «O santo padre, che per me comporte
 19301  l’esser qua giù, lasciando il dolce loco
 19302  nel qual tu siedi per etterna sorte,
 19303  
 19304  qual è quell’ angel che con tanto gioco
 19305  guarda ne li occhi la nostra regina,
 19306  innamorato sì che par di foco?».
 19307  
 19308  Così ricorsi ancora a la dottrina
 19309  di colui ch’abbelliva di Maria,
 19310  come del sole stella mattutina.
 19311  
 19312  Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
 19313  quant’ esser puote in angelo e in alma,
 19314  tutta è in lui; e sì volem che sia,
 19315  
 19316  perch’ elli è quelli che portò la palma
 19317  giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio
 19318  carcar si volse de la nostra salma.
 19319  
 19320  Ma vieni omai con li occhi sì com’ io
 19321  andrò parlando, e nota i gran patrici
 19322  di questo imperio giustissimo e pio.
 19323  
 19324  Quei due che seggon là sù più felici
 19325  per esser propinquissimi ad Agusta,
 19326  son d’esta rosa quasi due radici:
 19327  
 19328  colui che da sinistra le s’aggiusta
 19329  è il padre per lo cui ardito gusto
 19330  l’umana specie tanto amaro gusta;
 19331  
 19332  dal destro vedi quel padre vetusto
 19333  di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi
 19334  raccomandò di questo fior venusto.
 19335  
 19336  E quei che vide tutti i tempi gravi,
 19337  pria che morisse, de la bella sposa
 19338  che s’acquistò con la lancia e coi clavi,
 19339  
 19340  siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa
 19341  quel duca sotto cui visse di manna
 19342  la gente ingrata, mobile e retrosa.
 19343  
 19344  Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna,
 19345  tanto contenta di mirar sua figlia,
 19346  che non move occhio per cantare osanna;
 19347  
 19348  e contro al maggior padre di famiglia
 19349  siede Lucia, che mosse la tua donna
 19350  quando chinavi, a rovinar, le ciglia.
 19351  
 19352  Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna,
 19353  qui farem punto, come buon sartore
 19354  che com’ elli ha del panno fa la gonna;
 19355  
 19356  e drizzeremo li occhi al primo amore,
 19357  sì che, guardando verso lui, penètri
 19358  quant’ è possibil per lo suo fulgore.
 19359  
 19360  Veramente, ne forse tu t’arretri
 19361  movendo l’ali tue, credendo oltrarti,
 19362  orando grazia conven che s’impetri
 19363  
 19364  grazia da quella che puote aiutarti;
 19365  e tu mi seguirai con l’affezione,
 19366  sì che dal dicer mio lo cor non parti».
 19367  
 19368  E cominciò questa santa orazione:
 19369  
 19370  
 19371  
 19372  Paradiso · Canto XXXIII
 19373  
 19374  
 19375  «Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
 19376  umile e alta più che creatura,
 19377  termine fisso d’etterno consiglio,
 19378  
 19379  tu se’ colei che l’umana natura
 19380  nobilitasti sì, che ’l suo fattore
 19381  non disdegnò di farsi sua fattura.
 19382  
 19383  Nel ventre tuo si raccese l’amore,
 19384  per lo cui caldo ne l’etterna pace
 19385  così è germinato questo fiore.
 19386  
 19387  Qui se’ a noi meridïana face
 19388  di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
 19389  se’ di speranza fontana vivace.
 19390  
 19391  Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
 19392  che qual vuol grazia e a te non ricorre,
 19393  sua disïanza vuol volar sanz’ ali.
 19394  
 19395  La tua benignità non pur soccorre
 19396  a chi domanda, ma molte fïate
 19397  liberamente al dimandar precorre.
 19398  
 19399  In te misericordia, in te pietate,
 19400  in te magnificenza, in te s’aduna
 19401  quantunque in creatura è di bontate.
 19402  
 19403  Or questi, che da l’infima lacuna
 19404  de l’universo infin qui ha vedute
 19405  le vite spiritali ad una ad una,
 19406  
 19407  supplica a te, per grazia, di virtute
 19408  tanto, che possa con li occhi levarsi
 19409  più alto verso l’ultima salute.
 19410  
 19411  E io, che mai per mio veder non arsi
 19412  più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
 19413  ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
 19414  
 19415  perché tu ogne nube li disleghi
 19416  di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
 19417  sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.
 19418  
 19419  Ancor ti priego, regina, che puoi
 19420  ciò che tu vuoli, che conservi sani,
 19421  dopo tanto veder, li affetti suoi.
 19422  
 19423  Vinca tua guardia i movimenti umani:
 19424  vedi Beatrice con quanti beati
 19425  per li miei prieghi ti chiudon le mani!».
 19426  
 19427  Li occhi da Dio diletti e venerati,
 19428  fissi ne l’orator, ne dimostraro
 19429  quanto i devoti prieghi le son grati;
 19430  
 19431  indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
 19432  nel qual non si dee creder che s’invii
 19433  per creatura l’occhio tanto chiaro.
 19434  
 19435  E io ch’al fine di tutt’ i disii
 19436  appropinquava, sì com’ io dovea,
 19437  l’ardor del desiderio in me finii.
 19438  
 19439  Bernardo m’accennava, e sorridea,
 19440  perch’ io guardassi suso; ma io era
 19441  già per me stesso tal qual ei volea:
 19442  
 19443  ché la mia vista, venendo sincera,
 19444  e più e più intrava per lo raggio
 19445  de l’alta luce che da sé è vera.
 19446  
 19447  Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
 19448  che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
 19449  e cede la memoria a tanto oltraggio.
 19450  
 19451  Qual è colüi che sognando vede,
 19452  che dopo ’l sogno la passione impressa
 19453  rimane, e l’altro a la mente non riede,
 19454  
 19455  cotal son io, ché quasi tutta cessa
 19456  mia visïone, e ancor mi distilla
 19457  nel core il dolce che nacque da essa.
 19458  
 19459  Così la neve al sol si disigilla;
 19460  così al vento ne le foglie levi
 19461  si perdea la sentenza di Sibilla.
 19462  
 19463  O somma luce che tanto ti levi
 19464  da’ concetti mortali, a la mia mente
 19465  ripresta un poco di quel che parevi,
 19466  
 19467  e fa la lingua mia tanto possente,
 19468  ch’una favilla sol de la tua gloria
 19469  possa lasciare a la futura gente;
 19470  
 19471  ché, per tornare alquanto a mia memoria
 19472  e per sonare un poco in questi versi,
 19473  più si conceperà di tua vittoria.
 19474  
 19475  Io credo, per l’acume ch’io soffersi
 19476  del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
 19477  se li occhi miei da lui fossero aversi.
 19478  
 19479  E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
 19480  per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
 19481  l’aspetto mio col valore infinito.
 19482  
 19483  Oh abbondante grazia ond’ io presunsi
 19484  ficcar lo viso per la luce etterna,
 19485  tanto che la veduta vi consunsi!
 19486  
 19487  Nel suo profondo vidi che s’interna,
 19488  legato con amore in un volume,
 19489  ciò che per l’universo si squaderna:
 19490  
 19491  sustanze e accidenti e lor costume
 19492  quasi conflati insieme, per tal modo
 19493  che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
 19494  
 19495  La forma universal di questo nodo
 19496  credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
 19497  dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
 19498  
 19499  Un punto solo m’è maggior letargo
 19500  che venticinque secoli a la ’mpresa
 19501  che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
 19502  
 19503  Così la mente mia, tutta sospesa,
 19504  mirava fissa, immobile e attenta,
 19505  e sempre di mirar faceasi accesa.
 19506  
 19507  A quella luce cotal si diventa,
 19508  che volgersi da lei per altro aspetto
 19509  è impossibil che mai si consenta;
 19510  
 19511  però che ’l ben, ch’è del volere obietto,
 19512  tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
 19513  è defettivo ciò ch’è lì perfetto.
 19514  
 19515  Omai sarà più corta mia favella,
 19516  pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
 19517  che bagni ancor la lingua a la mammella.
 19518  
 19519  Non perché più ch’un semplice sembiante
 19520  fosse nel vivo lume ch’io mirava,
 19521  che tal è sempre qual s’era davante;
 19522  
 19523  ma per la vista che s’avvalorava
 19524  in me guardando, una sola parvenza,
 19525  mutandom’ io, a me si travagliava.
 19526  
 19527  Ne la profonda e chiara sussistenza
 19528  de l’alto lume parvermi tre giri
 19529  di tre colori e d’una contenenza;
 19530  
 19531  e l’un da l’altro come iri da iri
 19532  parea reflesso, e ’l terzo parea foco
 19533  che quinci e quindi igualmente si spiri.
 19534  
 19535  Oh quanto è corto il dire e come fioco
 19536  al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
 19537  è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.
 19538  
 19539  O luce etterna che sola in te sidi,
 19540  sola t’intendi, e da te intelletta
 19541  e intendente te ami e arridi!
 19542  
 19543  Quella circulazion che sì concetta
 19544  pareva in te come lume reflesso,
 19545  da li occhi miei alquanto circunspetta,
 19546  
 19547  dentro da sé, del suo colore stesso,
 19548  mi parve pinta de la nostra effige:
 19549  per che ’l mio viso in lei tutto era messo.
 19550  
 19551  Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
 19552  per misurar lo cerchio, e non ritrova,
 19553  pensando, quel principio ond’ elli indige,
 19554  
 19555  tal era io a quella vista nova:
 19556  veder voleva come si convenne
 19557  l’imago al cerchio e come vi s’indova;
 19558  
 19559  ma non eran da ciò le proprie penne:
 19560  se non che la mia mente fu percossa
 19561  da un fulgore in che sua voglia venne.
 19562  
 19563  A l’alta fantasia qui mancò possa;
 19564  ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
 19565  sì come rota ch’igualmente è mossa,
 19566  
 19567  l’amor che move il sole e l’altre stelle.