github.com/PandaGoAdmin/utils@v0.0.0-20211208134815-d5461603a00f/testdata/dante.txt (about) 1 LA DIVINA COMMEDIA 2 di Dante Alighieri 3 4 5 6 7 8 INFERNO 9 10 11 12 13 Inferno · Canto I 14 15 16 Nel mezzo del cammin di nostra vita 17 mi ritrovai per una selva oscura, 18 ché la diritta via era smarrita. 19 20 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura 21 esta selva selvaggia e aspra e forte 22 che nel pensier rinova la paura! 23 24 Tant’ è amara che poco è più morte; 25 ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, 26 dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. 27 28 Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai, 29 tant’ era pien di sonno a quel punto 30 che la verace via abbandonai. 31 32 Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, 33 là dove terminava quella valle 34 che m’avea di paura il cor compunto, 35 36 guardai in alto e vidi le sue spalle 37 vestite già de’ raggi del pianeta 38 che mena dritto altrui per ogne calle. 39 40 Allor fu la paura un poco queta, 41 che nel lago del cor m’era durata 42 la notte ch’i’ passai con tanta pieta. 43 44 E come quei che con lena affannata, 45 uscito fuor del pelago a la riva, 46 si volge a l’acqua perigliosa e guata, 47 48 così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, 49 si volse a retro a rimirar lo passo 50 che non lasciò già mai persona viva. 51 52 Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, 53 ripresi via per la piaggia diserta, 54 sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso. 55 56 Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, 57 una lonza leggera e presta molto, 58 che di pel macolato era coverta; 59 60 e non mi si partia dinanzi al volto, 61 anzi ’mpediva tanto il mio cammino, 62 ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto. 63 64 Temp’ era dal principio del mattino, 65 e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle 66 ch’eran con lui quando l’amor divino 67 68 mosse di prima quelle cose belle; 69 sì ch’a bene sperar m’era cagione 70 di quella fiera a la gaetta pelle 71 72 l’ora del tempo e la dolce stagione; 73 ma non sì che paura non mi desse 74 la vista che m’apparve d’un leone. 75 76 Questi parea che contra me venisse 77 con la test’ alta e con rabbiosa fame, 78 sì che parea che l’aere ne tremesse. 79 80 Ed una lupa, che di tutte brame 81 sembiava carca ne la sua magrezza, 82 e molte genti fé già viver grame, 83 84 questa mi porse tanto di gravezza 85 con la paura ch’uscia di sua vista, 86 ch’io perdei la speranza de l’altezza. 87 88 E qual è quei che volontieri acquista, 89 e giugne ’l tempo che perder lo face, 90 che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista; 91 92 tal mi fece la bestia sanza pace, 93 che, venendomi ’ncontro, a poco a poco 94 mi ripigneva là dove ’l sol tace. 95 96 Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, 97 dinanzi a li occhi mi si fu offerto 98 chi per lungo silenzio parea fioco. 99 100 Quando vidi costui nel gran diserto, 101 «Miserere di me», gridai a lui, 102 «qual che tu sii, od ombra od omo certo!». 103 104 Rispuosemi: «Non omo, omo già fui, 105 e li parenti miei furon lombardi, 106 mantoani per patrïa ambedui. 107 108 Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, 109 e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto 110 nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. 111 112 Poeta fui, e cantai di quel giusto 113 figliuol d’Anchise che venne di Troia, 114 poi che ’l superbo Ilïón fu combusto. 115 116 Ma tu perché ritorni a tanta noia? 117 perché non sali il dilettoso monte 118 ch’è principio e cagion di tutta gioia?». 119 120 «Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte 121 che spandi di parlar sì largo fiume?», 122 rispuos’ io lui con vergognosa fronte. 123 124 «O de li altri poeti onore e lume, 125 vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore 126 che m’ha fatto cercar lo tuo volume. 127 128 Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore, 129 tu se’ solo colui da cu’ io tolsi 130 lo bello stilo che m’ha fatto onore. 131 132 Vedi la bestia per cu’ io mi volsi; 133 aiutami da lei, famoso saggio, 134 ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi». 135 136 «A te convien tenere altro vïaggio», 137 rispuose, poi che lagrimar mi vide, 138 «se vuo’ campar d’esto loco selvaggio; 139 140 ché questa bestia, per la qual tu gride, 141 non lascia altrui passar per la sua via, 142 ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; 143 144 e ha natura sì malvagia e ria, 145 che mai non empie la bramosa voglia, 146 e dopo ’l pasto ha più fame che pria. 147 148 Molti son li animali a cui s’ammoglia, 149 e più saranno ancora, infin che ’l veltro 150 verrà, che la farà morir con doglia. 151 152 Questi non ciberà terra né peltro, 153 ma sapïenza, amore e virtute, 154 e sua nazion sarà tra feltro e feltro. 155 156 Di quella umile Italia fia salute 157 per cui morì la vergine Cammilla, 158 Eurialo e Turno e Niso di ferute. 159 160 Questi la caccerà per ogne villa, 161 fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, 162 là onde ’nvidia prima dipartilla. 163 164 Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno 165 che tu mi segui, e io sarò tua guida, 166 e trarrotti di qui per loco etterno; 167 168 ove udirai le disperate strida, 169 vedrai li antichi spiriti dolenti, 170 ch’a la seconda morte ciascun grida; 171 172 e vederai color che son contenti 173 nel foco, perché speran di venire 174 quando che sia a le beate genti. 175 176 A le quai poi se tu vorrai salire, 177 anima fia a ciò più di me degna: 178 con lei ti lascerò nel mio partire; 179 180 ché quello imperador che là sù regna, 181 perch’ i’ fu’ ribellante a la sua legge, 182 non vuol che ’n sua città per me si vegna. 183 184 In tutte parti impera e quivi regge; 185 quivi è la sua città e l’alto seggio: 186 oh felice colui cu’ ivi elegge!». 187 188 E io a lui: «Poeta, io ti richeggio 189 per quello Dio che tu non conoscesti, 190 acciò ch’io fugga questo male e peggio, 191 192 che tu mi meni là dov’ or dicesti, 193 sì ch’io veggia la porta di san Pietro 194 e color cui tu fai cotanto mesti». 195 196 Allor si mosse, e io li tenni dietro. 197 198 199 200 Inferno · Canto II 201 202 203 Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno 204 toglieva li animai che sono in terra 205 da le fatiche loro; e io sol uno 206 207 m’apparecchiava a sostener la guerra 208 sì del cammino e sì de la pietate, 209 che ritrarrà la mente che non erra. 210 211 O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; 212 o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, 213 qui si parrà la tua nobilitate. 214 215 Io cominciai: «Poeta che mi guidi, 216 guarda la mia virtù s’ell’ è possente, 217 prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. 218 219 Tu dici che di Silvïo il parente, 220 corruttibile ancora, ad immortale 221 secolo andò, e fu sensibilmente. 222 223 Però, se l’avversario d’ogne male 224 cortese i fu, pensando l’alto effetto 225 ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale 226 227 non pare indegno ad omo d’intelletto; 228 ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero 229 ne l’empireo ciel per padre eletto: 230 231 la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, 232 fu stabilita per lo loco santo 233 u’ siede il successor del maggior Piero. 234 235 Per quest’ andata onde li dai tu vanto, 236 intese cose che furon cagione 237 di sua vittoria e del papale ammanto. 238 239 Andovvi poi lo Vas d’elezïone, 240 per recarne conforto a quella fede 241 ch’è principio a la via di salvazione. 242 243 Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede? 244 Io non Enëa, io non Paulo sono; 245 me degno a ciò né io né altri ’l crede. 246 247 Per che, se del venire io m’abbandono, 248 temo che la venuta non sia folle. 249 Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». 250 251 E qual è quei che disvuol ciò che volle 252 e per novi pensier cangia proposta, 253 sì che dal cominciar tutto si tolle, 254 255 tal mi fec’ ïo ’n quella oscura costa, 256 perché, pensando, consumai la ’mpresa 257 che fu nel cominciar cotanto tosta. 258 259 «S’i’ ho ben la parola tua intesa», 260 rispuose del magnanimo quell’ ombra, 261 «l’anima tua è da viltade offesa; 262 263 la qual molte fïate l’omo ingombra 264 sì che d’onrata impresa lo rivolve, 265 come falso veder bestia quand’ ombra. 266 267 Da questa tema acciò che tu ti solve, 268 dirotti perch’ io venni e quel ch’io ’ntesi 269 nel primo punto che di te mi dolve. 270 271 Io era tra color che son sospesi, 272 e donna mi chiamò beata e bella, 273 tal che di comandare io la richiesi. 274 275 Lucevan li occhi suoi più che la stella; 276 e cominciommi a dir soave e piana, 277 con angelica voce, in sua favella: 278 279 “O anima cortese mantoana, 280 di cui la fama ancor nel mondo dura, 281 e durerà quanto ’l mondo lontana, 282 283 l’amico mio, e non de la ventura, 284 ne la diserta piaggia è impedito 285 sì nel cammin, che vòlt’ è per paura; 286 287 e temo che non sia già sì smarrito, 288 ch’io mi sia tardi al soccorso levata, 289 per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. 290 291 Or movi, e con la tua parola ornata 292 e con ciò c’ha mestieri al suo campare, 293 l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata. 294 295 I’ son Beatrice che ti faccio andare; 296 vegno del loco ove tornar disio; 297 amor mi mosse, che mi fa parlare. 298 299 Quando sarò dinanzi al segnor mio, 300 di te mi loderò sovente a lui”. 301 Tacette allora, e poi comincia’ io: 302 303 “O donna di virtù sola per cui 304 l’umana spezie eccede ogne contento 305 di quel ciel c’ha minor li cerchi sui, 306 307 tanto m’aggrada il tuo comandamento, 308 che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi; 309 più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. 310 311 Ma dimmi la cagion che non ti guardi 312 de lo scender qua giuso in questo centro 313 de l’ampio loco ove tornar tu ardi”. 314 315 “Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, 316 dirotti brievemente”, mi rispuose, 317 “perch’ i’ non temo di venir qua entro. 318 319 Temer si dee di sole quelle cose 320 c’hanno potenza di fare altrui male; 321 de l’altre no, ché non son paurose. 322 323 I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, 324 che la vostra miseria non mi tange, 325 né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale. 326 327 Donna è gentil nel ciel che si compiange 328 di questo ’mpedimento ov’ io ti mando, 329 sì che duro giudicio là sù frange. 330 331 Questa chiese Lucia in suo dimando 332 e disse:—Or ha bisogno il tuo fedele 333 di te, e io a te lo raccomando—. 334 335 Lucia, nimica di ciascun crudele, 336 si mosse, e venne al loco dov’ i’ era, 337 che mi sedea con l’antica Rachele. 338 339 Disse:—Beatrice, loda di Dio vera, 340 ché non soccorri quei che t’amò tanto, 341 ch’uscì per te de la volgare schiera? 342 343 Non odi tu la pieta del suo pianto, 344 non vedi tu la morte che ’l combatte 345 su la fiumana ove ’l mar non ha vanto?—. 346 347 Al mondo non fur mai persone ratte 348 a far lor pro o a fuggir lor danno, 349 com’ io, dopo cotai parole fatte, 350 351 venni qua giù del mio beato scanno, 352 fidandomi del tuo parlare onesto, 353 ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”. 354 355 Poscia che m’ebbe ragionato questo, 356 li occhi lucenti lagrimando volse, 357 per che mi fece del venir più presto. 358 359 E venni a te così com’ ella volse: 360 d’inanzi a quella fiera ti levai 361 che del bel monte il corto andar ti tolse. 362 363 Dunque: che è? perché, perché restai, 364 perché tanta viltà nel core allette, 365 perché ardire e franchezza non hai, 366 367 poscia che tai tre donne benedette 368 curan di te ne la corte del cielo, 369 e ’l mio parlar tanto ben ti promette?». 370 371 Quali fioretti dal notturno gelo 372 chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca, 373 si drizzan tutti aperti in loro stelo, 374 375 tal mi fec’ io di mia virtude stanca, 376 e tanto buono ardire al cor mi corse, 377 ch’i’ cominciai come persona franca: 378 379 «Oh pietosa colei che mi soccorse! 380 e te cortese ch’ubidisti tosto 381 a le vere parole che ti porse! 382 383 Tu m’hai con disiderio il cor disposto 384 sì al venir con le parole tue, 385 ch’i’ son tornato nel primo proposto. 386 387 Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: 388 tu duca, tu segnore e tu maestro». 389 Così li dissi; e poi che mosso fue, 390 391 intrai per lo cammino alto e silvestro. 392 393 394 395 Inferno · Canto III 396 397 398 ‘Per me si va ne la città dolente, 399 per me si va ne l’etterno dolore, 400 per me si va tra la perduta gente. 401 402 Giustizia mosse il mio alto fattore; 403 fecemi la divina podestate, 404 la somma sapïenza e ’l primo amore. 405 406 Dinanzi a me non fuor cose create 407 se non etterne, e io etterno duro. 408 Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’. 409 410 Queste parole di colore oscuro 411 vid’ ïo scritte al sommo d’una porta; 412 per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro». 413 414 Ed elli a me, come persona accorta: 415 «Qui si convien lasciare ogne sospetto; 416 ogne viltà convien che qui sia morta. 417 418 Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto 419 che tu vedrai le genti dolorose 420 c’hanno perduto il ben de l’intelletto». 421 422 E poi che la sua mano a la mia puose 423 con lieto volto, ond’ io mi confortai, 424 mi mise dentro a le segrete cose. 425 426 Quivi sospiri, pianti e alti guai 427 risonavan per l’aere sanza stelle, 428 per ch’io al cominciar ne lagrimai. 429 430 Diverse lingue, orribili favelle, 431 parole di dolore, accenti d’ira, 432 voci alte e fioche, e suon di man con elle 433 434 facevano un tumulto, il qual s’aggira 435 sempre in quell’ aura sanza tempo tinta, 436 come la rena quando turbo spira. 437 438 E io ch’avea d’error la testa cinta, 439 dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo? 440 e che gent’ è che par nel duol sì vinta?». 441 442 Ed elli a me: «Questo misero modo 443 tegnon l’anime triste di coloro 444 che visser sanza ’nfamia e sanza lodo. 445 446 Mischiate sono a quel cattivo coro 447 de li angeli che non furon ribelli 448 né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro. 449 450 Caccianli i ciel per non esser men belli, 451 né lo profondo inferno li riceve, 452 ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli». 453 454 E io: «Maestro, che è tanto greve 455 a lor che lamentar li fa sì forte?». 456 Rispuose: «Dicerolti molto breve. 457 458 Questi non hanno speranza di morte, 459 e la lor cieca vita è tanto bassa, 460 che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte. 461 462 Fama di loro il mondo esser non lassa; 463 misericordia e giustizia li sdegna: 464 non ragioniam di lor, ma guarda e passa». 465 466 E io, che riguardai, vidi una ’nsegna 467 che girando correva tanto ratta, 468 che d’ogne posa mi parea indegna; 469 470 e dietro le venìa sì lunga tratta 471 di gente, ch’i’ non averei creduto 472 che morte tanta n’avesse disfatta. 473 474 Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, 475 vidi e conobbi l’ombra di colui 476 che fece per viltade il gran rifiuto. 477 478 Incontanente intesi e certo fui 479 che questa era la setta d’i cattivi, 480 a Dio spiacenti e a’ nemici sui. 481 482 Questi sciaurati, che mai non fur vivi, 483 erano ignudi e stimolati molto 484 da mosconi e da vespe ch’eran ivi. 485 486 Elle rigavan lor di sangue il volto, 487 che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi 488 da fastidiosi vermi era ricolto. 489 490 E poi ch’a riguardar oltre mi diedi, 491 vidi genti a la riva d’un gran fiume; 492 per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi 493 494 ch’i’ sappia quali sono, e qual costume 495 le fa di trapassar parer sì pronte, 496 com’ i’ discerno per lo fioco lume». 497 498 Ed elli a me: «Le cose ti fier conte 499 quando noi fermerem li nostri passi 500 su la trista riviera d’Acheronte». 501 502 Allor con li occhi vergognosi e bassi, 503 temendo no ’l mio dir li fosse grave, 504 infino al fiume del parlar mi trassi. 505 506 Ed ecco verso noi venir per nave 507 un vecchio, bianco per antico pelo, 508 gridando: «Guai a voi, anime prave! 509 510 Non isperate mai veder lo cielo: 511 i’ vegno per menarvi a l’altra riva 512 ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. 513 514 E tu che se’ costì, anima viva, 515 pàrtiti da cotesti che son morti». 516 Ma poi che vide ch’io non mi partiva, 517 518 disse: «Per altra via, per altri porti 519 verrai a piaggia, non qui, per passare: 520 più lieve legno convien che ti porti». 521 522 E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare: 523 vuolsi così colà dove si puote 524 ciò che si vuole, e più non dimandare». 525 526 Quinci fuor quete le lanose gote 527 al nocchier de la livida palude, 528 che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote. 529 530 Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude, 531 cangiar colore e dibattero i denti, 532 ratto che ’nteser le parole crude. 533 534 Bestemmiavano Dio e lor parenti, 535 l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme 536 di lor semenza e di lor nascimenti. 537 538 Poi si ritrasser tutte quante insieme, 539 forte piangendo, a la riva malvagia 540 ch’attende ciascun uom che Dio non teme. 541 542 Caron dimonio, con occhi di bragia 543 loro accennando, tutte le raccoglie; 544 batte col remo qualunque s’adagia. 545 546 Come d’autunno si levan le foglie 547 l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo 548 vede a la terra tutte le sue spoglie, 549 550 similemente il mal seme d’Adamo 551 gittansi di quel lito ad una ad una, 552 per cenni come augel per suo richiamo. 553 554 Così sen vanno su per l’onda bruna, 555 e avanti che sien di là discese, 556 anche di qua nuova schiera s’auna. 557 558 «Figliuol mio», disse ’l maestro cortese, 559 «quelli che muoion ne l’ira di Dio 560 tutti convegnon qui d’ogne paese; 561 562 e pronti sono a trapassar lo rio, 563 ché la divina giustizia li sprona, 564 sì che la tema si volve in disio. 565 566 Quinci non passa mai anima buona; 567 e però, se Caron di te si lagna, 568 ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona». 569 570 Finito questo, la buia campagna 571 tremò sì forte, che de lo spavento 572 la mente di sudore ancor mi bagna. 573 574 La terra lagrimosa diede vento, 575 che balenò una luce vermiglia 576 la qual mi vinse ciascun sentimento; 577 578 e caddi come l’uom cui sonno piglia. 579 580 581 582 Inferno · Canto IV 583 584 585 Ruppemi l’alto sonno ne la testa 586 un greve truono, sì ch’io mi riscossi 587 come persona ch’è per forza desta; 588 589 e l’occhio riposato intorno mossi, 590 dritto levato, e fiso riguardai 591 per conoscer lo loco dov’ io fossi. 592 593 Vero è che ’n su la proda mi trovai 594 de la valle d’abisso dolorosa 595 che ’ntrono accoglie d’infiniti guai. 596 597 Oscura e profonda era e nebulosa 598 tanto che, per ficcar lo viso a fondo, 599 io non vi discernea alcuna cosa. 600 601 «Or discendiam qua giù nel cieco mondo», 602 cominciò il poeta tutto smorto. 603 «Io sarò primo, e tu sarai secondo». 604 605 E io, che del color mi fui accorto, 606 dissi: «Come verrò, se tu paventi 607 che suoli al mio dubbiare esser conforto?». 608 609 Ed elli a me: «L’angoscia de le genti 610 che son qua giù, nel viso mi dipigne 611 quella pietà che tu per tema senti. 612 613 Andiam, ché la via lunga ne sospigne». 614 Così si mise e così mi fé intrare 615 nel primo cerchio che l’abisso cigne. 616 617 Quivi, secondo che per ascoltare, 618 non avea pianto mai che di sospiri 619 che l’aura etterna facevan tremare; 620 621 ciò avvenia di duol sanza martìri, 622 ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi, 623 d’infanti e di femmine e di viri. 624 625 Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi 626 che spiriti son questi che tu vedi? 627 Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, 628 629 ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, 630 non basta, perché non ebber battesmo, 631 ch’è porta de la fede che tu credi; 632 633 e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, 634 non adorar debitamente a Dio: 635 e di questi cotai son io medesmo. 636 637 Per tai difetti, non per altro rio, 638 semo perduti, e sol di tanto offesi 639 che sanza speme vivemo in disio». 640 641 Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi, 642 però che gente di molto valore 643 conobbi che ’n quel limbo eran sospesi. 644 645 «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore», 646 comincia’ io per voler esser certo 647 di quella fede che vince ogne errore: 648 649 «uscicci mai alcuno, o per suo merto 650 o per altrui, che poi fosse beato?». 651 E quei che ’ntese il mio parlar coverto, 652 653 rispuose: «Io era nuovo in questo stato, 654 quando ci vidi venire un possente, 655 con segno di vittoria coronato. 656 657 Trasseci l’ombra del primo parente, 658 d’Abèl suo figlio e quella di Noè, 659 di Moïsè legista e ubidente; 660 661 Abraàm patrïarca e Davìd re, 662 Israèl con lo padre e co’ suoi nati 663 e con Rachele, per cui tanto fé, 664 665 e altri molti, e feceli beati. 666 E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi, 667 spiriti umani non eran salvati». 668 669 Non lasciavam l’andar perch’ ei dicessi, 670 ma passavam la selva tuttavia, 671 la selva, dico, di spiriti spessi. 672 673 Non era lunga ancor la nostra via 674 di qua dal sonno, quand’ io vidi un foco 675 ch’emisperio di tenebre vincia. 676 677 Di lungi n’eravamo ancora un poco, 678 ma non sì ch’io non discernessi in parte 679 ch’orrevol gente possedea quel loco. 680 681 «O tu ch’onori scïenzïa e arte, 682 questi chi son c’hanno cotanta onranza, 683 che dal modo de li altri li diparte?». 684 685 E quelli a me: «L’onrata nominanza 686 che di lor suona sù ne la tua vita, 687 grazïa acquista in ciel che sì li avanza». 688 689 Intanto voce fu per me udita: 690 «Onorate l’altissimo poeta; 691 l’ombra sua torna, ch’era dipartita». 692 693 Poi che la voce fu restata e queta, 694 vidi quattro grand’ ombre a noi venire: 695 sembianz’ avevan né trista né lieta. 696 697 Lo buon maestro cominciò a dire: 698 «Mira colui con quella spada in mano, 699 che vien dinanzi ai tre sì come sire: 700 701 quelli è Omero poeta sovrano; 702 l’altro è Orazio satiro che vene; 703 Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano. 704 705 Però che ciascun meco si convene 706 nel nome che sonò la voce sola, 707 fannomi onore, e di ciò fanno bene». 708 709 Così vid’ i’ adunar la bella scola 710 di quel segnor de l’altissimo canto 711 che sovra li altri com’ aquila vola. 712 713 Da ch’ebber ragionato insieme alquanto, 714 volsersi a me con salutevol cenno, 715 e ’l mio maestro sorrise di tanto; 716 717 e più d’onore ancora assai mi fenno, 718 ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera, 719 sì ch’io fui sesto tra cotanto senno. 720 721 Così andammo infino a la lumera, 722 parlando cose che ’l tacere è bello, 723 sì com’ era ’l parlar colà dov’ era. 724 725 Venimmo al piè d’un nobile castello, 726 sette volte cerchiato d’alte mura, 727 difeso intorno d’un bel fiumicello. 728 729 Questo passammo come terra dura; 730 per sette porte intrai con questi savi: 731 giugnemmo in prato di fresca verdura. 732 733 Genti v’eran con occhi tardi e gravi, 734 di grande autorità ne’ lor sembianti: 735 parlavan rado, con voci soavi. 736 737 Traemmoci così da l’un de’ canti, 738 in loco aperto, luminoso e alto, 739 sì che veder si potien tutti quanti. 740 741 Colà diritto, sovra ’l verde smalto, 742 mi fuor mostrati li spiriti magni, 743 che del vedere in me stesso m’essalto. 744 745 I’ vidi Eletra con molti compagni, 746 tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea, 747 Cesare armato con li occhi grifagni. 748 749 Vidi Cammilla e la Pantasilea; 750 da l’altra parte vidi ’l re Latino 751 che con Lavina sua figlia sedea. 752 753 Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, 754 Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia; 755 e solo, in parte, vidi ’l Saladino. 756 757 Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, 758 vidi ’l maestro di color che sanno 759 seder tra filosofica famiglia. 760 761 Tutti lo miran, tutti onor li fanno: 762 quivi vid’ ïo Socrate e Platone, 763 che ’nnanzi a li altri più presso li stanno; 764 765 Democrito che ’l mondo a caso pone, 766 Dïogenès, Anassagora e Tale, 767 Empedoclès, Eraclito e Zenone; 768 769 e vidi il buono accoglitor del quale, 770 Dïascoride dico; e vidi Orfeo, 771 Tulïo e Lino e Seneca morale; 772 773 Euclide geomètra e Tolomeo, 774 Ipocràte, Avicenna e Galïeno, 775 Averoìs, che ’l gran comento feo. 776 777 Io non posso ritrar di tutti a pieno, 778 però che sì mi caccia il lungo tema, 779 che molte volte al fatto il dir vien meno. 780 781 La sesta compagnia in due si scema: 782 per altra via mi mena il savio duca, 783 fuor de la queta, ne l’aura che trema. 784 785 E vegno in parte ove non è che luca. 786 787 788 789 Inferno · Canto V 790 791 792 Così discesi del cerchio primaio 793 giù nel secondo, che men loco cinghia 794 e tanto più dolor, che punge a guaio. 795 796 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: 797 essamina le colpe ne l’intrata; 798 giudica e manda secondo ch’avvinghia. 799 800 Dico che quando l’anima mal nata 801 li vien dinanzi, tutta si confessa; 802 e quel conoscitor de le peccata 803 804 vede qual loco d’inferno è da essa; 805 cignesi con la coda tante volte 806 quantunque gradi vuol che giù sia messa. 807 808 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: 809 vanno a vicenda ciascuna al giudizio, 810 dicono e odono e poi son giù volte. 811 812 «O tu che vieni al doloroso ospizio», 813 disse Minòs a me quando mi vide, 814 lasciando l’atto di cotanto offizio, 815 816 «guarda com’ entri e di cui tu ti fide; 817 non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». 818 E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride? 819 820 Non impedir lo suo fatale andare: 821 vuolsi così colà dove si puote 822 ciò che si vuole, e più non dimandare». 823 824 Or incomincian le dolenti note 825 a farmisi sentire; or son venuto 826 là dove molto pianto mi percuote. 827 828 Io venni in loco d’ogne luce muto, 829 che mugghia come fa mar per tempesta, 830 se da contrari venti è combattuto. 831 832 La bufera infernal, che mai non resta, 833 mena li spirti con la sua rapina; 834 voltando e percotendo li molesta. 835 836 Quando giungon davanti a la ruina, 837 quivi le strida, il compianto, il lamento; 838 bestemmian quivi la virtù divina. 839 840 Intesi ch’a così fatto tormento 841 enno dannati i peccator carnali, 842 che la ragion sommettono al talento. 843 844 E come li stornei ne portan l’ali 845 nel freddo tempo, a schiera larga e piena, 846 così quel fiato li spiriti mali 847 848 di qua, di là, di giù, di sù li mena; 849 nulla speranza li conforta mai, 850 non che di posa, ma di minor pena. 851 852 E come i gru van cantando lor lai, 853 faccendo in aere di sé lunga riga, 854 così vid’ io venir, traendo guai, 855 856 ombre portate da la detta briga; 857 per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle 858 genti che l’aura nera sì gastiga?». 859 860 «La prima di color di cui novelle 861 tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, 862 «fu imperadrice di molte favelle. 863 864 A vizio di lussuria fu sì rotta, 865 che libito fé licito in sua legge, 866 per tòrre il biasmo in che era condotta. 867 868 Ell’ è Semiramìs, di cui si legge 869 che succedette a Nino e fu sua sposa: 870 tenne la terra che ’l Soldan corregge. 871 872 L’altra è colei che s’ancise amorosa, 873 e ruppe fede al cener di Sicheo; 874 poi è Cleopatràs lussurïosa. 875 876 Elena vedi, per cui tanto reo 877 tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, 878 che con amore al fine combatteo. 879 880 Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille 881 ombre mostrommi e nominommi a dito, 882 ch’amor di nostra vita dipartille. 883 884 Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito 885 nomar le donne antiche e ’ cavalieri, 886 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 887 888 I’ cominciai: «Poeta, volontieri 889 parlerei a quei due che ’nsieme vanno, 890 e paion sì al vento esser leggeri». 891 892 Ed elli a me: «Vedrai quando saranno 893 più presso a noi; e tu allor li priega 894 per quello amor che i mena, ed ei verranno». 895 896 Sì tosto come il vento a noi li piega, 897 mossi la voce: «O anime affannate, 898 venite a noi parlar, s’altri nol niega!». 899 900 Quali colombe dal disio chiamate 901 con l’ali alzate e ferme al dolce nido 902 vegnon per l’aere, dal voler portate; 903 904 cotali uscir de la schiera ov’ è Dido, 905 a noi venendo per l’aere maligno, 906 sì forte fu l’affettüoso grido. 907 908 «O animal grazïoso e benigno 909 che visitando vai per l’aere perso 910 noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 911 912 se fosse amico il re de l’universo, 913 noi pregheremmo lui de la tua pace, 914 poi c’hai pietà del nostro mal perverso. 915 916 Di quel che udire e che parlar vi piace, 917 noi udiremo e parleremo a voi, 918 mentre che ’l vento, come fa, ci tace. 919 920 Siede la terra dove nata fui 921 su la marina dove ’l Po discende 922 per aver pace co’ seguaci sui. 923 924 Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, 925 prese costui de la bella persona 926 che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. 927 928 Amor, ch’a nullo amato amar perdona, 929 mi prese del costui piacer sì forte, 930 che, come vedi, ancor non m’abbandona. 931 932 Amor condusse noi ad una morte. 933 Caina attende chi a vita ci spense». 934 Queste parole da lor ci fuor porte. 935 936 Quand’ io intesi quell’ anime offense, 937 china’ il viso, e tanto il tenni basso, 938 fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?». 939 940 Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, 941 quanti dolci pensier, quanto disio 942 menò costoro al doloroso passo!». 943 944 Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, 945 e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri 946 a lagrimar mi fanno tristo e pio. 947 948 Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, 949 a che e come concedette amore 950 che conosceste i dubbiosi disiri?». 951 952 E quella a me: «Nessun maggior dolore 953 che ricordarsi del tempo felice 954 ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. 955 956 Ma s’a conoscer la prima radice 957 del nostro amor tu hai cotanto affetto, 958 dirò come colui che piange e dice. 959 960 Noi leggiavamo un giorno per diletto 961 di Lancialotto come amor lo strinse; 962 soli eravamo e sanza alcun sospetto. 963 964 Per più fïate li occhi ci sospinse 965 quella lettura, e scolorocci il viso; 966 ma solo un punto fu quel che ci vinse. 967 968 Quando leggemmo il disïato riso 969 esser basciato da cotanto amante, 970 questi, che mai da me non fia diviso, 971 972 la bocca mi basciò tutto tremante. 973 Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: 974 quel giorno più non vi leggemmo avante». 975 976 Mentre che l’uno spirto questo disse, 977 l’altro piangëa; sì che di pietade 978 io venni men così com’ io morisse. 979 980 E caddi come corpo morto cade. 981 982 983 984 Inferno · Canto VI 985 986 987 Al tornar de la mente, che si chiuse 988 dinanzi a la pietà d’i due cognati, 989 che di trestizia tutto mi confuse, 990 991 novi tormenti e novi tormentati 992 mi veggio intorno, come ch’io mi mova 993 e ch’io mi volga, e come che io guati. 994 995 Io sono al terzo cerchio, de la piova 996 etterna, maladetta, fredda e greve; 997 regola e qualità mai non l’è nova. 998 999 Grandine grossa, acqua tinta e neve 1000 per l’aere tenebroso si riversa; 1001 pute la terra che questo riceve. 1002 1003 Cerbero, fiera crudele e diversa, 1004 con tre gole caninamente latra 1005 sovra la gente che quivi è sommersa. 1006 1007 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, 1008 e ’l ventre largo, e unghiate le mani; 1009 graffia li spirti ed iscoia ed isquatra. 1010 1011 Urlar li fa la pioggia come cani; 1012 de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo; 1013 volgonsi spesso i miseri profani. 1014 1015 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, 1016 le bocche aperse e mostrocci le sanne; 1017 non avea membro che tenesse fermo. 1018 1019 E ’l duca mio distese le sue spanne, 1020 prese la terra, e con piene le pugna 1021 la gittò dentro a le bramose canne. 1022 1023 Qual è quel cane ch’abbaiando agogna, 1024 e si racqueta poi che ’l pasto morde, 1025 ché solo a divorarlo intende e pugna, 1026 1027 cotai si fecer quelle facce lorde 1028 de lo demonio Cerbero, che ’ntrona 1029 l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde. 1030 1031 Noi passavam su per l’ombre che adona 1032 la greve pioggia, e ponavam le piante 1033 sovra lor vanità che par persona. 1034 1035 Elle giacean per terra tutte quante, 1036 fuor d’una ch’a seder si levò, ratto 1037 ch’ella ci vide passarsi davante. 1038 1039 «O tu che se’ per questo ’nferno tratto», 1040 mi disse, «riconoscimi, se sai: 1041 tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto». 1042 1043 E io a lui: «L’angoscia che tu hai 1044 forse ti tira fuor de la mia mente, 1045 sì che non par ch’i’ ti vedessi mai. 1046 1047 Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente 1048 loco se’ messo, e hai sì fatta pena, 1049 che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente». 1050 1051 Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena 1052 d’invidia sì che già trabocca il sacco, 1053 seco mi tenne in la vita serena. 1054 1055 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: 1056 per la dannosa colpa de la gola, 1057 come tu vedi, a la pioggia mi fiacco. 1058 1059 E io anima trista non son sola, 1060 ché tutte queste a simil pena stanno 1061 per simil colpa». E più non fé parola. 1062 1063 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno 1064 mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita; 1065 ma dimmi, se tu sai, a che verranno 1066 1067 li cittadin de la città partita; 1068 s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione 1069 per che l’ha tanta discordia assalita». 1070 1071 E quelli a me: «Dopo lunga tencione 1072 verranno al sangue, e la parte selvaggia 1073 caccerà l’altra con molta offensione. 1074 1075 Poi appresso convien che questa caggia 1076 infra tre soli, e che l’altra sormonti 1077 con la forza di tal che testé piaggia. 1078 1079 Alte terrà lungo tempo le fronti, 1080 tenendo l’altra sotto gravi pesi, 1081 come che di ciò pianga o che n’aonti. 1082 1083 Giusti son due, e non vi sono intesi; 1084 superbia, invidia e avarizia sono 1085 le tre faville c’hanno i cuori accesi». 1086 1087 Qui puose fine al lagrimabil suono. 1088 E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni 1089 e che di più parlar mi facci dono. 1090 1091 Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni, 1092 Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca 1093 e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni, 1094 1095 dimmi ove sono e fa ch’io li conosca; 1096 ché gran disio mi stringe di savere 1097 se ’l ciel li addolcia o lo ’nferno li attosca». 1098 1099 E quelli: «Ei son tra l’anime più nere; 1100 diverse colpe giù li grava al fondo: 1101 se tanto scendi, là i potrai vedere. 1102 1103 Ma quando tu sarai nel dolce mondo, 1104 priegoti ch’a la mente altrui mi rechi: 1105 più non ti dico e più non ti rispondo». 1106 1107 Li diritti occhi torse allora in biechi; 1108 guardommi un poco e poi chinò la testa: 1109 cadde con essa a par de li altri ciechi. 1110 1111 E ’l duca disse a me: «Più non si desta 1112 di qua dal suon de l’angelica tromba, 1113 quando verrà la nimica podesta: 1114 1115 ciascun rivederà la trista tomba, 1116 ripiglierà sua carne e sua figura, 1117 udirà quel ch’in etterno rimbomba». 1118 1119 Sì trapassammo per sozza mistura 1120 de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti, 1121 toccando un poco la vita futura; 1122 1123 per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenti 1124 crescerann’ ei dopo la gran sentenza, 1125 o fier minori, o saran sì cocenti?». 1126 1127 Ed elli a me: «Ritorna a tua scïenza, 1128 che vuol, quanto la cosa è più perfetta, 1129 più senta il bene, e così la doglienza. 1130 1131 Tutto che questa gente maladetta 1132 in vera perfezion già mai non vada, 1133 di là più che di qua essere aspetta». 1134 1135 Noi aggirammo a tondo quella strada, 1136 parlando più assai ch’i’ non ridico; 1137 venimmo al punto dove si digrada: 1138 1139 quivi trovammo Pluto, il gran nemico. 1140 1141 1142 1143 Inferno · Canto VII 1144 1145 1146 «Pape Satàn, pape Satàn aleppe!», 1147 cominciò Pluto con la voce chioccia; 1148 e quel savio gentil, che tutto seppe, 1149 1150 disse per confortarmi: «Non ti noccia 1151 la tua paura; ché, poder ch’elli abbia, 1152 non ci torrà lo scender questa roccia». 1153 1154 Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia, 1155 e disse: «Taci, maladetto lupo! 1156 consuma dentro te con la tua rabbia. 1157 1158 Non è sanza cagion l’andare al cupo: 1159 vuolsi ne l’alto, là dove Michele 1160 fé la vendetta del superbo strupo». 1161 1162 Quali dal vento le gonfiate vele 1163 caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca, 1164 tal cadde a terra la fiera crudele. 1165 1166 Così scendemmo ne la quarta lacca, 1167 pigliando più de la dolente ripa 1168 che ’l mal de l’universo tutto insacca. 1169 1170 Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa 1171 nove travaglie e pene quant’ io viddi? 1172 e perché nostra colpa sì ne scipa? 1173 1174 Come fa l’onda là sovra Cariddi, 1175 che si frange con quella in cui s’intoppa, 1176 così convien che qui la gente riddi. 1177 1178 Qui vid’ i’ gente più ch’altrove troppa, 1179 e d’una parte e d’altra, con grand’ urli, 1180 voltando pesi per forza di poppa. 1181 1182 Percotëansi ’ncontro; e poscia pur lì 1183 si rivolgea ciascun, voltando a retro, 1184 gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?». 1185 1186 Così tornavan per lo cerchio tetro 1187 da ogne mano a l’opposito punto, 1188 gridandosi anche loro ontoso metro; 1189 1190 poi si volgea ciascun, quand’ era giunto, 1191 per lo suo mezzo cerchio a l’altra giostra. 1192 E io, ch’avea lo cor quasi compunto, 1193 1194 dissi: «Maestro mio, or mi dimostra 1195 che gente è questa, e se tutti fuor cherci 1196 questi chercuti a la sinistra nostra». 1197 1198 Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci 1199 sì de la mente in la vita primaia, 1200 che con misura nullo spendio ferci. 1201 1202 Assai la voce lor chiaro l’abbaia, 1203 quando vegnono a’ due punti del cerchio 1204 dove colpa contraria li dispaia. 1205 1206 Questi fuor cherci, che non han coperchio 1207 piloso al capo, e papi e cardinali, 1208 in cui usa avarizia il suo soperchio». 1209 1210 E io: «Maestro, tra questi cotali 1211 dovre’ io ben riconoscere alcuni 1212 che furo immondi di cotesti mali». 1213 1214 Ed elli a me: «Vano pensiero aduni: 1215 la sconoscente vita che i fé sozzi, 1216 ad ogne conoscenza or li fa bruni. 1217 1218 In etterno verranno a li due cozzi: 1219 questi resurgeranno del sepulcro 1220 col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi. 1221 1222 Mal dare e mal tener lo mondo pulcro 1223 ha tolto loro, e posti a questa zuffa: 1224 qual ella sia, parole non ci appulcro. 1225 1226 Or puoi, figliuol, veder la corta buffa 1227 d’i ben che son commessi a la fortuna, 1228 per che l’umana gente si rabbuffa; 1229 1230 ché tutto l’oro ch’è sotto la luna 1231 e che già fu, di quest’ anime stanche 1232 non poterebbe farne posare una». 1233 1234 «Maestro mio», diss’ io, «or mi dì anche: 1235 questa fortuna di che tu mi tocche, 1236 che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?». 1237 1238 E quelli a me: «Oh creature sciocche, 1239 quanta ignoranza è quella che v’offende! 1240 Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche. 1241 1242 Colui lo cui saver tutto trascende, 1243 fece li cieli e diè lor chi conduce 1244 sì, ch’ogne parte ad ogne parte splende, 1245 1246 distribuendo igualmente la luce. 1247 Similemente a li splendor mondani 1248 ordinò general ministra e duce 1249 1250 che permutasse a tempo li ben vani 1251 di gente in gente e d’uno in altro sangue, 1252 oltre la difension d’i senni umani; 1253 1254 per ch’una gente impera e l’altra langue, 1255 seguendo lo giudicio di costei, 1256 che è occulto come in erba l’angue. 1257 1258 Vostro saver non ha contasto a lei: 1259 questa provede, giudica, e persegue 1260 suo regno come il loro li altri dèi. 1261 1262 Le sue permutazion non hanno triegue: 1263 necessità la fa esser veloce; 1264 sì spesso vien chi vicenda consegue. 1265 1266 Quest’ è colei ch’è tanto posta in croce 1267 pur da color che le dovrien dar lode, 1268 dandole biasmo a torto e mala voce; 1269 1270 ma ella s’è beata e ciò non ode: 1271 con l’altre prime creature lieta 1272 volve sua spera e beata si gode. 1273 1274 Or discendiamo omai a maggior pieta; 1275 già ogne stella cade che saliva 1276 quand’ io mi mossi, e ’l troppo star si vieta». 1277 1278 Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva 1279 sovr’ una fonte che bolle e riversa 1280 per un fossato che da lei deriva. 1281 1282 L’acqua era buia assai più che persa; 1283 e noi, in compagnia de l’onde bige, 1284 intrammo giù per una via diversa. 1285 1286 In la palude va c’ha nome Stige 1287 questo tristo ruscel, quand’ è disceso 1288 al piè de le maligne piagge grige. 1289 1290 E io, che di mirare stava inteso, 1291 vidi genti fangose in quel pantano, 1292 ignude tutte, con sembiante offeso. 1293 1294 Queste si percotean non pur con mano, 1295 ma con la testa e col petto e coi piedi, 1296 troncandosi co’ denti a brano a brano. 1297 1298 Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi 1299 l’anime di color cui vinse l’ira; 1300 e anche vo’ che tu per certo credi 1301 1302 che sotto l’acqua è gente che sospira, 1303 e fanno pullular quest’ acqua al summo, 1304 come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira. 1305 1306 Fitti nel limo dicon: “Tristi fummo 1307 ne l’aere dolce che dal sol s’allegra, 1308 portando dentro accidïoso fummo: 1309 1310 or ci attristiam ne la belletta negra”. 1311 Quest’ inno si gorgoglian ne la strozza, 1312 ché dir nol posson con parola integra». 1313 1314 Così girammo de la lorda pozza 1315 grand’ arco tra la ripa secca e ’l mézzo, 1316 con li occhi vòlti a chi del fango ingozza. 1317 1318 Venimmo al piè d’una torre al da sezzo. 1319 1320 1321 1322 Inferno · Canto VIII 1323 1324 1325 Io dico, seguitando, ch’assai prima 1326 che noi fossimo al piè de l’alta torre, 1327 li occhi nostri n’andar suso a la cima 1328 1329 per due fiammette che i vedemmo porre, 1330 e un’altra da lungi render cenno, 1331 tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre. 1332 1333 E io mi volsi al mar di tutto ’l senno; 1334 dissi: «Questo che dice? e che risponde 1335 quell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?». 1336 1337 Ed elli a me: «Su per le sucide onde 1338 già scorgere puoi quello che s’aspetta, 1339 se ’l fummo del pantan nol ti nasconde». 1340 1341 Corda non pinse mai da sé saetta 1342 che sì corresse via per l’aere snella, 1343 com’ io vidi una nave piccioletta 1344 1345 venir per l’acqua verso noi in quella, 1346 sotto ’l governo d’un sol galeoto, 1347 che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!». 1348 1349 «Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto», 1350 disse lo mio segnore, «a questa volta: 1351 più non ci avrai che sol passando il loto». 1352 1353 Qual è colui che grande inganno ascolta 1354 che li sia fatto, e poi se ne rammarca, 1355 fecesi Flegïàs ne l’ira accolta. 1356 1357 Lo duca mio discese ne la barca, 1358 e poi mi fece intrare appresso lui; 1359 e sol quand’ io fui dentro parve carca. 1360 1361 Tosto che ’l duca e io nel legno fui, 1362 segando se ne va l’antica prora 1363 de l’acqua più che non suol con altrui. 1364 1365 Mentre noi corravam la morta gora, 1366 dinanzi mi si fece un pien di fango, 1367 e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?». 1368 1369 E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango; 1370 ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?». 1371 Rispuose: «Vedi che son un che piango». 1372 1373 E io a lui: «Con piangere e con lutto, 1374 spirito maladetto, ti rimani; 1375 ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto». 1376 1377 Allor distese al legno ambo le mani; 1378 per che ’l maestro accorto lo sospinse, 1379 dicendo: «Via costà con li altri cani!». 1380 1381 Lo collo poi con le braccia mi cinse; 1382 basciommi ’l volto e disse: «Alma sdegnosa, 1383 benedetta colei che ’n te s’incinse! 1384 1385 Quei fu al mondo persona orgogliosa; 1386 bontà non è che sua memoria fregi: 1387 così s’è l’ombra sua qui furïosa. 1388 1389 Quanti si tegnon or là sù gran regi 1390 che qui staranno come porci in brago, 1391 di sé lasciando orribili dispregi!». 1392 1393 E io: «Maestro, molto sarei vago 1394 di vederlo attuffare in questa broda 1395 prima che noi uscissimo del lago». 1396 1397 Ed elli a me: «Avante che la proda 1398 ti si lasci veder, tu sarai sazio: 1399 di tal disïo convien che tu goda». 1400 1401 Dopo ciò poco vid’ io quello strazio 1402 far di costui a le fangose genti, 1403 che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. 1404 1405 Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»; 1406 e ’l fiorentino spirito bizzarro 1407 in sé medesmo si volvea co’ denti. 1408 1409 Quivi il lasciammo, che più non ne narro; 1410 ma ne l’orecchie mi percosse un duolo, 1411 per ch’io avante l’occhio intento sbarro. 1412 1413 Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo, 1414 s’appressa la città c’ha nome Dite, 1415 coi gravi cittadin, col grande stuolo». 1416 1417 E io: «Maestro, già le sue meschite 1418 là entro certe ne la valle cerno, 1419 vermiglie come se di foco uscite 1420 1421 fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno 1422 ch’entro l’affoca le dimostra rosse, 1423 come tu vedi in questo basso inferno». 1424 1425 Noi pur giugnemmo dentro a l’alte fosse 1426 che vallan quella terra sconsolata: 1427 le mura mi parean che ferro fosse. 1428 1429 Non sanza prima far grande aggirata, 1430 venimmo in parte dove il nocchier forte 1431 «Usciteci», gridò: «qui è l’intrata». 1432 1433 Io vidi più di mille in su le porte 1434 da ciel piovuti, che stizzosamente 1435 dicean: «Chi è costui che sanza morte 1436 1437 va per lo regno de la morta gente?». 1438 E ’l savio mio maestro fece segno 1439 di voler lor parlar segretamente. 1440 1441 Allor chiusero un poco il gran disdegno 1442 e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada 1443 che sì ardito intrò per questo regno. 1444 1445 Sol si ritorni per la folle strada: 1446 pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai, 1447 che li ha’ iscorta sì buia contrada». 1448 1449 Pensa, lettor, se io mi sconfortai 1450 nel suon de le parole maladette, 1451 ché non credetti ritornarci mai. 1452 1453 «O caro duca mio, che più di sette 1454 volte m’hai sicurtà renduta e tratto 1455 d’alto periglio che ’ncontra mi stette, 1456 1457 non mi lasciar», diss’ io, «così disfatto; 1458 e se ’l passar più oltre ci è negato, 1459 ritroviam l’orme nostre insieme ratto». 1460 1461 E quel segnor che lì m’avea menato, 1462 mi disse: «Non temer; ché ’l nostro passo 1463 non ci può tòrre alcun: da tal n’è dato. 1464 1465 Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso 1466 conforta e ciba di speranza buona, 1467 ch’i’ non ti lascerò nel mondo basso». 1468 1469 Così sen va, e quivi m’abbandona 1470 lo dolce padre, e io rimagno in forse, 1471 che sì e no nel capo mi tenciona. 1472 1473 Udir non potti quello ch’a lor porse; 1474 ma ei non stette là con essi guari, 1475 che ciascun dentro a pruova si ricorse. 1476 1477 Chiuser le porte que’ nostri avversari 1478 nel petto al mio segnor, che fuor rimase 1479 e rivolsesi a me con passi rari. 1480 1481 Li occhi a la terra e le ciglia avea rase 1482 d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri: 1483 «Chi m’ha negate le dolenti case!». 1484 1485 E a me disse: «Tu, perch’ io m’adiri, 1486 non sbigottir, ch’io vincerò la prova, 1487 qual ch’a la difension dentro s’aggiri. 1488 1489 Questa lor tracotanza non è nova; 1490 ché già l’usaro a men segreta porta, 1491 la qual sanza serrame ancor si trova. 1492 1493 Sovr’ essa vedestù la scritta morta: 1494 e già di qua da lei discende l’erta, 1495 passando per li cerchi sanza scorta, 1496 1497 tal che per lui ne fia la terra aperta». 1498 1499 1500 1501 Inferno · Canto IX 1502 1503 1504 Quel color che viltà di fuor mi pinse 1505 veggendo il duca mio tornare in volta, 1506 più tosto dentro il suo novo ristrinse. 1507 1508 Attento si fermò com’ uom ch’ascolta; 1509 ché l’occhio nol potea menare a lunga 1510 per l’aere nero e per la nebbia folta. 1511 1512 «Pur a noi converrà vincer la punga», 1513 cominciò el, «se non . . . Tal ne s’offerse. 1514 Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!». 1515 1516 I’ vidi ben sì com’ ei ricoperse 1517 lo cominciar con l’altro che poi venne, 1518 che fur parole a le prime diverse; 1519 1520 ma nondimen paura il suo dir dienne, 1521 perch’ io traeva la parola tronca 1522 forse a peggior sentenzia che non tenne. 1523 1524 «In questo fondo de la trista conca 1525 discende mai alcun del primo grado, 1526 che sol per pena ha la speranza cionca?». 1527 1528 Questa question fec’ io; e quei «Di rado 1529 incontra», mi rispuose, «che di noi 1530 faccia il cammino alcun per qual io vado. 1531 1532 Ver è ch’altra fïata qua giù fui, 1533 congiurato da quella Eritón cruda 1534 che richiamava l’ombre a’ corpi sui. 1535 1536 Di poco era di me la carne nuda, 1537 ch’ella mi fece intrar dentr’ a quel muro, 1538 per trarne un spirto del cerchio di Giuda. 1539 1540 Quell’ è ’l più basso loco e ’l più oscuro, 1541 e ’l più lontan dal ciel che tutto gira: 1542 ben so ’l cammin; però ti fa sicuro. 1543 1544 Questa palude che ’l gran puzzo spira 1545 cigne dintorno la città dolente, 1546 u’ non potemo intrare omai sanz’ ira». 1547 1548 E altro disse, ma non l’ho a mente; 1549 però che l’occhio m’avea tutto tratto 1550 ver’ l’alta torre a la cima rovente, 1551 1552 dove in un punto furon dritte ratto 1553 tre furïe infernal di sangue tinte, 1554 che membra feminine avieno e atto, 1555 1556 e con idre verdissime eran cinte; 1557 serpentelli e ceraste avien per crine, 1558 onde le fiere tempie erano avvinte. 1559 1560 E quei, che ben conobbe le meschine 1561 de la regina de l’etterno pianto, 1562 «Guarda», mi disse, «le feroci Erine. 1563 1564 Quest’ è Megera dal sinistro canto; 1565 quella che piange dal destro è Aletto; 1566 Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto. 1567 1568 Con l’unghie si fendea ciascuna il petto; 1569 battiensi a palme e gridavan sì alto, 1570 ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto. 1571 1572 «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto», 1573 dicevan tutte riguardando in giuso; 1574 «mal non vengiammo in Tesëo l’assalto». 1575 1576 «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso; 1577 ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi, 1578 nulla sarebbe di tornar mai suso». 1579 1580 Così disse ’l maestro; ed elli stessi 1581 mi volse, e non si tenne a le mie mani, 1582 che con le sue ancor non mi chiudessi. 1583 1584 O voi ch’avete li ’ntelletti sani, 1585 mirate la dottrina che s’asconde 1586 sotto ’l velame de li versi strani. 1587 1588 E già venìa su per le torbide onde 1589 un fracasso d’un suon, pien di spavento, 1590 per cui tremavano amendue le sponde, 1591 1592 non altrimenti fatto che d’un vento 1593 impetüoso per li avversi ardori, 1594 che fier la selva e sanz’ alcun rattento 1595 1596 li rami schianta, abbatte e porta fori; 1597 dinanzi polveroso va superbo, 1598 e fa fuggir le fiere e li pastori. 1599 1600 Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo 1601 del viso su per quella schiuma antica 1602 per indi ove quel fummo è più acerbo». 1603 1604 Come le rane innanzi a la nimica 1605 biscia per l’acqua si dileguan tutte, 1606 fin ch’a la terra ciascuna s’abbica, 1607 1608 vid’ io più di mille anime distrutte 1609 fuggir così dinanzi ad un ch’al passo 1610 passava Stige con le piante asciutte. 1611 1612 Dal volto rimovea quell’ aere grasso, 1613 menando la sinistra innanzi spesso; 1614 e sol di quell’ angoscia parea lasso. 1615 1616 Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo, 1617 e volsimi al maestro; e quei fé segno 1618 ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso. 1619 1620 Ahi quanto mi parea pien di disdegno! 1621 Venne a la porta e con una verghetta 1622 l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno. 1623 1624 «O cacciati del ciel, gente dispetta», 1625 cominciò elli in su l’orribil soglia, 1626 «ond’ esta oltracotanza in voi s’alletta? 1627 1628 Perché recalcitrate a quella voglia 1629 a cui non puote il fin mai esser mozzo, 1630 e che più volte v’ha cresciuta doglia? 1631 1632 Che giova ne le fata dar di cozzo? 1633 Cerbero vostro, se ben vi ricorda, 1634 ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo». 1635 1636 Poi si rivolse per la strada lorda, 1637 e non fé motto a noi, ma fé sembiante 1638 d’omo cui altra cura stringa e morda 1639 1640 che quella di colui che li è davante; 1641 e noi movemmo i piedi inver’ la terra, 1642 sicuri appresso le parole sante. 1643 1644 Dentro li ’ntrammo sanz’ alcuna guerra; 1645 e io, ch’avea di riguardar disio 1646 la condizion che tal fortezza serra, 1647 1648 com’ io fui dentro, l’occhio intorno invio: 1649 e veggio ad ogne man grande campagna, 1650 piena di duolo e di tormento rio. 1651 1652 Sì come ad Arli, ove Rodano stagna, 1653 sì com’ a Pola, presso del Carnaro 1654 ch’Italia chiude e suoi termini bagna, 1655 1656 fanno i sepulcri tutt’ il loco varo, 1657 così facevan quivi d’ogne parte, 1658 salvo che ’l modo v’era più amaro; 1659 1660 ché tra li avelli fiamme erano sparte, 1661 per le quali eran sì del tutto accesi, 1662 che ferro più non chiede verun’ arte. 1663 1664 Tutti li lor coperchi eran sospesi, 1665 e fuor n’uscivan sì duri lamenti, 1666 che ben parean di miseri e d’offesi. 1667 1668 E io: «Maestro, quai son quelle genti 1669 che, seppellite dentro da quell’ arche, 1670 si fan sentir coi sospiri dolenti?». 1671 1672 E quelli a me: «Qui son li eresïarche 1673 con lor seguaci, d’ogne setta, e molto 1674 più che non credi son le tombe carche. 1675 1676 Simile qui con simile è sepolto, 1677 e i monimenti son più e men caldi». 1678 E poi ch’a la man destra si fu vòlto, 1679 1680 passammo tra i martìri e li alti spaldi. 1681 1682 1683 1684 Inferno · Canto X 1685 1686 1687 Ora sen va per un secreto calle, 1688 tra ’l muro de la terra e li martìri, 1689 lo mio maestro, e io dopo le spalle. 1690 1691 «O virtù somma, che per li empi giri 1692 mi volvi», cominciai, «com’ a te piace, 1693 parlami, e sodisfammi a’ miei disiri. 1694 1695 La gente che per li sepolcri giace 1696 potrebbesi veder? già son levati 1697 tutt’ i coperchi, e nessun guardia face». 1698 1699 E quelli a me: «Tutti saran serrati 1700 quando di Iosafàt qui torneranno 1701 coi corpi che là sù hanno lasciati. 1702 1703 Suo cimitero da questa parte hanno 1704 con Epicuro tutti suoi seguaci, 1705 che l’anima col corpo morta fanno. 1706 1707 Però a la dimanda che mi faci 1708 quinc’ entro satisfatto sarà tosto, 1709 e al disio ancor che tu mi taci». 1710 1711 E io: «Buon duca, non tegno riposto 1712 a te mio cuor se non per dicer poco, 1713 e tu m’hai non pur mo a ciò disposto». 1714 1715 «O Tosco che per la città del foco 1716 vivo ten vai così parlando onesto, 1717 piacciati di restare in questo loco. 1718 1719 La tua loquela ti fa manifesto 1720 di quella nobil patrïa natio, 1721 a la qual forse fui troppo molesto». 1722 1723 Subitamente questo suono uscìo 1724 d’una de l’arche; però m’accostai, 1725 temendo, un poco più al duca mio. 1726 1727 Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? 1728 Vedi là Farinata che s’è dritto: 1729 da la cintola in sù tutto ’l vedrai». 1730 1731 Io avea già il mio viso nel suo fitto; 1732 ed el s’ergea col petto e con la fronte 1733 com’ avesse l’inferno a gran dispitto. 1734 1735 E l’animose man del duca e pronte 1736 mi pinser tra le sepulture a lui, 1737 dicendo: «Le parole tue sien conte». 1738 1739 Com’ io al piè de la sua tomba fui, 1740 guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, 1741 mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». 1742 1743 Io ch’era d’ubidir disideroso, 1744 non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi; 1745 ond’ ei levò le ciglia un poco in suso; 1746 1747 poi disse: «Fieramente furo avversi 1748 a me e a miei primi e a mia parte, 1749 sì che per due fïate li dispersi». 1750 1751 «S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte», 1752 rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fïata; 1753 ma i vostri non appreser ben quell’ arte». 1754 1755 Allor surse a la vista scoperchiata 1756 un’ombra, lungo questa, infino al mento: 1757 credo che s’era in ginocchie levata. 1758 1759 Dintorno mi guardò, come talento 1760 avesse di veder s’altri era meco; 1761 e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, 1762 1763 piangendo disse: «Se per questo cieco 1764 carcere vai per altezza d’ingegno, 1765 mio figlio ov’ è? e perché non è teco?». 1766 1767 E io a lui: «Da me stesso non vegno: 1768 colui ch’attende là, per qui mi mena 1769 forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». 1770 1771 Le sue parole e ’l modo de la pena 1772 m’avean di costui già letto il nome; 1773 però fu la risposta così piena. 1774 1775 Di sùbito drizzato gridò: «Come? 1776 dicesti “elli ebbe”? non viv’ elli ancora? 1777 non fiere li occhi suoi lo dolce lume?». 1778 1779 Quando s’accorse d’alcuna dimora 1780 ch’io facëa dinanzi a la risposta, 1781 supin ricadde e più non parve fora. 1782 1783 Ma quell’ altro magnanimo, a cui posta 1784 restato m’era, non mutò aspetto, 1785 né mosse collo, né piegò sua costa; 1786 1787 e sé continüando al primo detto, 1788 «S’elli han quell’ arte», disse, «male appresa, 1789 ciò mi tormenta più che questo letto. 1790 1791 Ma non cinquanta volte fia raccesa 1792 la faccia de la donna che qui regge, 1793 che tu saprai quanto quell’ arte pesa. 1794 1795 E se tu mai nel dolce mondo regge, 1796 dimmi: perché quel popolo è sì empio 1797 incontr’ a’ miei in ciascuna sua legge?». 1798 1799 Ond’ io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio 1800 che fece l’Arbia colorata in rosso, 1801 tal orazion fa far nel nostro tempio». 1802 1803 Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso, 1804 «A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo 1805 sanza cagion con li altri sarei mosso. 1806 1807 Ma fu’ io solo, là dove sofferto 1808 fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, 1809 colui che la difesi a viso aperto». 1810 1811 «Deh, se riposi mai vostra semenza», 1812 prega’ io lui, «solvetemi quel nodo 1813 che qui ha ’nviluppata mia sentenza. 1814 1815 El par che voi veggiate, se ben odo, 1816 dinanzi quel che ’l tempo seco adduce, 1817 e nel presente tenete altro modo». 1818 1819 «Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, 1820 le cose», disse, «che ne son lontano; 1821 cotanto ancor ne splende il sommo duce. 1822 1823 Quando s’appressano o son, tutto è vano 1824 nostro intelletto; e s’altri non ci apporta, 1825 nulla sapem di vostro stato umano. 1826 1827 Però comprender puoi che tutta morta 1828 fia nostra conoscenza da quel punto 1829 che del futuro fia chiusa la porta». 1830 1831 Allor, come di mia colpa compunto, 1832 dissi: «Or direte dunque a quel caduto 1833 che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto; 1834 1835 e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto, 1836 fate i saper che ’l fei perché pensava 1837 già ne l’error che m’avete soluto». 1838 1839 E già ’l maestro mio mi richiamava; 1840 per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio 1841 che mi dicesse chi con lu’ istava. 1842 1843 Dissemi: «Qui con più di mille giaccio: 1844 qua dentro è ’l secondo Federico 1845 e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio». 1846 1847 Indi s’ascose; e io inver’ l’antico 1848 poeta volsi i passi, ripensando 1849 a quel parlar che mi parea nemico. 1850 1851 Elli si mosse; e poi, così andando, 1852 mi disse: «Perché se’ tu sì smarrito?». 1853 E io li sodisfeci al suo dimando. 1854 1855 «La mente tua conservi quel ch’udito 1856 hai contra te», mi comandò quel saggio; 1857 «e ora attendi qui», e drizzò ’l dito: 1858 1859 «quando sarai dinanzi al dolce raggio 1860 di quella il cui bell’ occhio tutto vede, 1861 da lei saprai di tua vita il vïaggio». 1862 1863 Appresso mosse a man sinistra il piede: 1864 lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo 1865 per un sentier ch’a una valle fiede, 1866 1867 che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo. 1868 1869 1870 1871 Inferno · Canto XI 1872 1873 1874 In su l’estremità d’un’alta ripa 1875 che facevan gran pietre rotte in cerchio, 1876 venimmo sopra più crudele stipa; 1877 1878 e quivi, per l’orribile soperchio 1879 del puzzo che ’l profondo abisso gitta, 1880 ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio 1881 1882 d’un grand’ avello, ov’ io vidi una scritta 1883 che dicea: ‘Anastasio papa guardo, 1884 lo qual trasse Fotin de la via dritta’. 1885 1886 «Lo nostro scender conviene esser tardo, 1887 sì che s’ausi un poco in prima il senso 1888 al tristo fiato; e poi no i fia riguardo». 1889 1890 Così ’l maestro; e io «Alcun compenso», 1891 dissi lui, «trova che ’l tempo non passi 1892 perduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso». 1893 1894 «Figliuol mio, dentro da cotesti sassi», 1895 cominciò poi a dir, «son tre cerchietti 1896 di grado in grado, come que’ che lassi. 1897 1898 Tutti son pien di spirti maladetti; 1899 ma perché poi ti basti pur la vista, 1900 intendi come e perché son costretti. 1901 1902 D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista, 1903 ingiuria è ’l fine, ed ogne fin cotale 1904 o con forza o con frode altrui contrista. 1905 1906 Ma perché frode è de l’uom proprio male, 1907 più spiace a Dio; e però stan di sotto 1908 li frodolenti, e più dolor li assale. 1909 1910 Di vïolenti il primo cerchio è tutto; 1911 ma perché si fa forza a tre persone, 1912 in tre gironi è distinto e costrutto. 1913 1914 A Dio, a sé, al prossimo si pòne 1915 far forza, dico in loro e in lor cose, 1916 come udirai con aperta ragione. 1917 1918 Morte per forza e ferute dogliose 1919 nel prossimo si danno, e nel suo avere 1920 ruine, incendi e tollette dannose; 1921 1922 onde omicide e ciascun che mal fiere, 1923 guastatori e predon, tutti tormenta 1924 lo giron primo per diverse schiere. 1925 1926 Puote omo avere in sé man vïolenta 1927 e ne’ suoi beni; e però nel secondo 1928 giron convien che sanza pro si penta 1929 1930 qualunque priva sé del vostro mondo, 1931 biscazza e fonde la sua facultade, 1932 e piange là dov’ esser de’ giocondo. 1933 1934 Puossi far forza ne la deïtade, 1935 col cor negando e bestemmiando quella, 1936 e spregiando natura e sua bontade; 1937 1938 e però lo minor giron suggella 1939 del segno suo e Soddoma e Caorsa 1940 e chi, spregiando Dio col cor, favella. 1941 1942 La frode, ond’ ogne coscïenza è morsa, 1943 può l’omo usare in colui che ’n lui fida 1944 e in quel che fidanza non imborsa. 1945 1946 Questo modo di retro par ch’incida 1947 pur lo vinco d’amor che fa natura; 1948 onde nel cerchio secondo s’annida 1949 1950 ipocresia, lusinghe e chi affattura, 1951 falsità, ladroneccio e simonia, 1952 ruffian, baratti e simile lordura. 1953 1954 Per l’altro modo quell’ amor s’oblia 1955 che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto, 1956 di che la fede spezïal si cria; 1957 1958 onde nel cerchio minore, ov’ è ’l punto 1959 de l’universo in su che Dite siede, 1960 qualunque trade in etterno è consunto». 1961 1962 E io: «Maestro, assai chiara procede 1963 la tua ragione, e assai ben distingue 1964 questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede. 1965 1966 Ma dimmi: quei de la palude pingue, 1967 che mena il vento, e che batte la pioggia, 1968 e che s’incontran con sì aspre lingue, 1969 1970 perché non dentro da la città roggia 1971 sono ei puniti, se Dio li ha in ira? 1972 e se non li ha, perché sono a tal foggia?». 1973 1974 Ed elli a me «Perché tanto delira», 1975 disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle? 1976 o ver la mente dove altrove mira? 1977 1978 Non ti rimembra di quelle parole 1979 con le quai la tua Etica pertratta 1980 le tre disposizion che ’l ciel non vole, 1981 1982 incontenenza, malizia e la matta 1983 bestialitade? e come incontenenza 1984 men Dio offende e men biasimo accatta? 1985 1986 Se tu riguardi ben questa sentenza, 1987 e rechiti a la mente chi son quelli 1988 che sù di fuor sostegnon penitenza, 1989 1990 tu vedrai ben perché da questi felli 1991 sien dipartiti, e perché men crucciata 1992 la divina vendetta li martelli». 1993 1994 «O sol che sani ogne vista turbata, 1995 tu mi contenti sì quando tu solvi, 1996 che, non men che saver, dubbiar m’aggrata. 1997 1998 Ancora in dietro un poco ti rivolvi», 1999 diss’ io, «là dove di’ ch’usura offende 2000 la divina bontade, e ’l groppo solvi». 2001 2002 «Filosofia», mi disse, «a chi la ’ntende, 2003 nota, non pure in una sola parte, 2004 come natura lo suo corso prende 2005 2006 dal divino ’ntelletto e da sua arte; 2007 e se tu ben la tua Fisica note, 2008 tu troverai, non dopo molte carte, 2009 2010 che l’arte vostra quella, quanto pote, 2011 segue, come ’l maestro fa ’l discente; 2012 sì che vostr’ arte a Dio quasi è nepote. 2013 2014 Da queste due, se tu ti rechi a mente 2015 lo Genesì dal principio, convene 2016 prender sua vita e avanzar la gente; 2017 2018 e perché l’usuriere altra via tene, 2019 per sé natura e per la sua seguace 2020 dispregia, poi ch’in altro pon la spene. 2021 2022 Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace; 2023 ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta, 2024 e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace, 2025 2026 e ’l balzo via là oltra si dismonta». 2027 2028 2029 2030 Inferno · Canto XII 2031 2032 2033 Era lo loco ov’ a scender la riva 2034 venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco, 2035 tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva. 2036 2037 Qual è quella ruina che nel fianco 2038 di qua da Trento l’Adice percosse, 2039 o per tremoto o per sostegno manco, 2040 2041 che da cima del monte, onde si mosse, 2042 al piano è sì la roccia discoscesa, 2043 ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse: 2044 2045 cotal di quel burrato era la scesa; 2046 e ’n su la punta de la rotta lacca 2047 l’infamïa di Creti era distesa 2048 2049 che fu concetta ne la falsa vacca; 2050 e quando vide noi, sé stesso morse, 2051 sì come quei cui l’ira dentro fiacca. 2052 2053 Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse 2054 tu credi che qui sia ’l duca d’Atene, 2055 che sù nel mondo la morte ti porse? 2056 2057 Pàrtiti, bestia, ché questi non vene 2058 ammaestrato da la tua sorella, 2059 ma vassi per veder le vostre pene». 2060 2061 Qual è quel toro che si slaccia in quella 2062 c’ha ricevuto già ’l colpo mortale, 2063 che gir non sa, ma qua e là saltella, 2064 2065 vid’ io lo Minotauro far cotale; 2066 e quello accorto gridò: «Corri al varco; 2067 mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale». 2068 2069 Così prendemmo via giù per lo scarco 2070 di quelle pietre, che spesso moviensi 2071 sotto i miei piedi per lo novo carco. 2072 2073 Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi 2074 forse a questa ruina, ch’è guardata 2075 da quell’ ira bestial ch’i’ ora spensi. 2076 2077 Or vo’ che sappi che l’altra fïata 2078 ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno, 2079 questa roccia non era ancor cascata. 2080 2081 Ma certo poco pria, se ben discerno, 2082 che venisse colui che la gran preda 2083 levò a Dite del cerchio superno, 2084 2085 da tutte parti l’alta valle feda 2086 tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo 2087 sentisse amor, per lo qual è chi creda 2088 2089 più volte il mondo in caòsso converso; 2090 e in quel punto questa vecchia roccia, 2091 qui e altrove, tal fece riverso. 2092 2093 Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia 2094 la riviera del sangue in la qual bolle 2095 qual che per vïolenza in altrui noccia». 2096 2097 Oh cieca cupidigia e ira folle, 2098 che sì ci sproni ne la vita corta, 2099 e ne l’etterna poi sì mal c’immolle! 2100 2101 Io vidi un’ampia fossa in arco torta, 2102 come quella che tutto ’l piano abbraccia, 2103 secondo ch’avea detto la mia scorta; 2104 2105 e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia 2106 corrien centauri, armati di saette, 2107 come solien nel mondo andare a caccia. 2108 2109 Veggendoci calar, ciascun ristette, 2110 e de la schiera tre si dipartiro 2111 con archi e asticciuole prima elette; 2112 2113 e l’un gridò da lungi: «A qual martiro 2114 venite voi che scendete la costa? 2115 Ditel costinci; se non, l’arco tiro». 2116 2117 Lo mio maestro disse: «La risposta 2118 farem noi a Chirón costà di presso: 2119 mal fu la voglia tua sempre sì tosta». 2120 2121 Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso, 2122 che morì per la bella Deianira, 2123 e fé di sé la vendetta elli stesso. 2124 2125 E quel di mezzo, ch’al petto si mira, 2126 è il gran Chirón, il qual nodrì Achille; 2127 quell’ altro è Folo, che fu sì pien d’ira. 2128 2129 Dintorno al fosso vanno a mille a mille, 2130 saettando qual anima si svelle 2131 del sangue più che sua colpa sortille». 2132 2133 Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle: 2134 Chirón prese uno strale, e con la cocca 2135 fece la barba in dietro a le mascelle. 2136 2137 Quando s’ebbe scoperta la gran bocca, 2138 disse a’ compagni: «Siete voi accorti 2139 che quel di retro move ciò ch’el tocca? 2140 2141 Così non soglion far li piè d’i morti». 2142 E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto, 2143 dove le due nature son consorti, 2144 2145 rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto 2146 mostrar li mi convien la valle buia; 2147 necessità ’l ci ’nduce, e non diletto. 2148 2149 Tal si partì da cantare alleluia 2150 che mi commise quest’ officio novo: 2151 non è ladron, né io anima fuia. 2152 2153 Ma per quella virtù per cu’ io movo 2154 li passi miei per sì selvaggia strada, 2155 danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo, 2156 2157 e che ne mostri là dove si guada, 2158 e che porti costui in su la groppa, 2159 ché non è spirto che per l’aere vada». 2160 2161 Chirón si volse in su la destra poppa, 2162 e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida, 2163 e fa cansar s’altra schiera v’intoppa». 2164 2165 Or ci movemmo con la scorta fida 2166 lungo la proda del bollor vermiglio, 2167 dove i bolliti facieno alte strida. 2168 2169 Io vidi gente sotto infino al ciglio; 2170 e ’l gran centauro disse: «E’ son tiranni 2171 che dier nel sangue e ne l’aver di piglio. 2172 2173 Quivi si piangon li spietati danni; 2174 quivi è Alessandro, e Dïonisio fero 2175 che fé Cicilia aver dolorosi anni. 2176 2177 E quella fronte c’ha ’l pel così nero, 2178 è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo, 2179 è Opizzo da Esti, il qual per vero 2180 2181 fu spento dal figliastro sù nel mondo». 2182 Allor mi volsi al poeta, e quei disse: 2183 «Questi ti sia or primo, e io secondo». 2184 2185 Poco più oltre il centauro s’affisse 2186 sovr’ una gente che ’nfino a la gola 2187 parea che di quel bulicame uscisse. 2188 2189 Mostrocci un’ombra da l’un canto sola, 2190 dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio 2191 lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola». 2192 2193 Poi vidi gente che di fuor del rio 2194 tenean la testa e ancor tutto ’l casso; 2195 e di costoro assai riconobb’ io. 2196 2197 Così a più a più si facea basso 2198 quel sangue, sì che cocea pur li piedi; 2199 e quindi fu del fosso il nostro passo. 2200 2201 «Sì come tu da questa parte vedi 2202 lo bulicame che sempre si scema», 2203 disse ’l centauro, «voglio che tu credi 2204 2205 che da quest’ altra a più a più giù prema 2206 lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge 2207 ove la tirannia convien che gema. 2208 2209 La divina giustizia di qua punge 2210 quell’ Attila che fu flagello in terra, 2211 e Pirro e Sesto; e in etterno munge 2212 2213 le lagrime, che col bollor diserra, 2214 a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo, 2215 che fecero a le strade tanta guerra». 2216 2217 Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo. 2218 2219 2220 2221 Inferno · Canto XIII 2222 2223 2224 Non era ancor di là Nesso arrivato, 2225 quando noi ci mettemmo per un bosco 2226 che da neun sentiero era segnato. 2227 2228 Non fronda verde, ma di color fosco; 2229 non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; 2230 non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco. 2231 2232 Non han sì aspri sterpi né sì folti 2233 quelle fiere selvagge che ’n odio hanno 2234 tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. 2235 2236 Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, 2237 che cacciar de le Strofade i Troiani 2238 con tristo annunzio di futuro danno. 2239 2240 Ali hanno late, e colli e visi umani, 2241 piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre; 2242 fanno lamenti in su li alberi strani. 2243 2244 E ’l buon maestro «Prima che più entre, 2245 sappi che se’ nel secondo girone», 2246 mi cominciò a dire, «e sarai mentre 2247 2248 che tu verrai ne l’orribil sabbione. 2249 Però riguarda ben; sì vederai 2250 cose che torrien fede al mio sermone». 2251 2252 Io sentia d’ogne parte trarre guai 2253 e non vedea persona che ’l facesse; 2254 per ch’io tutto smarrito m’arrestai. 2255 2256 Cred’ ïo ch’ei credette ch’io credesse 2257 che tante voci uscisser, tra quei bronchi, 2258 da gente che per noi si nascondesse. 2259 2260 Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi 2261 qualche fraschetta d’una d’este piante, 2262 li pensier c’hai si faran tutti monchi». 2263 2264 Allor porsi la mano un poco avante 2265 e colsi un ramicel da un gran pruno; 2266 e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». 2267 2268 Da che fatto fu poi di sangue bruno, 2269 ricominciò a dir: «Perché mi scerpi? 2270 non hai tu spirto di pietade alcuno? 2271 2272 Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: 2273 ben dovrebb’ esser la tua man più pia, 2274 se state fossimo anime di serpi». 2275 2276 Come d’un stizzo verde ch’arso sia 2277 da l’un de’ capi, che da l’altro geme 2278 e cigola per vento che va via, 2279 2280 sì de la scheggia rotta usciva insieme 2281 parole e sangue; ond’ io lasciai la cima 2282 cadere, e stetti come l’uom che teme. 2283 2284 «S’elli avesse potuto creder prima», 2285 rispuose ’l savio mio, «anima lesa, 2286 ciò c’ha veduto pur con la mia rima, 2287 2288 non averebbe in te la man distesa; 2289 ma la cosa incredibile mi fece 2290 indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa. 2291 2292 Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece 2293 d’alcun’ ammenda tua fama rinfreschi 2294 nel mondo sù, dove tornar li lece». 2295 2296 E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi, 2297 ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi 2298 perch’ ïo un poco a ragionar m’inveschi. 2299 2300 Io son colui che tenni ambo le chiavi 2301 del cor di Federigo, e che le volsi, 2302 serrando e diserrando, sì soavi, 2303 2304 che dal secreto suo quasi ogn’ uom tolsi; 2305 fede portai al glorïoso offizio, 2306 tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi. 2307 2308 La meretrice che mai da l’ospizio 2309 di Cesare non torse li occhi putti, 2310 morte comune e de le corti vizio, 2311 2312 infiammò contra me li animi tutti; 2313 e li ’nfiammati infiammar sì Augusto, 2314 che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti. 2315 2316 L’animo mio, per disdegnoso gusto, 2317 credendo col morir fuggir disdegno, 2318 ingiusto fece me contra me giusto. 2319 2320 Per le nove radici d’esto legno 2321 vi giuro che già mai non ruppi fede 2322 al mio segnor, che fu d’onor sì degno. 2323 2324 E se di voi alcun nel mondo riede, 2325 conforti la memoria mia, che giace 2326 ancor del colpo che ’nvidia le diede». 2327 2328 Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace», 2329 disse ’l poeta a me, «non perder l’ora; 2330 ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace». 2331 2332 Ond’ ïo a lui: «Domandal tu ancora 2333 di quel che credi ch’a me satisfaccia; 2334 ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora». 2335 2336 Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia 2337 liberamente ciò che ’l tuo dir priega, 2338 spirito incarcerato, ancor ti piaccia 2339 2340 di dirne come l’anima si lega 2341 in questi nocchi; e dinne, se tu puoi, 2342 s’alcuna mai di tai membra si spiega». 2343 2344 Allor soffiò il tronco forte, e poi 2345 si convertì quel vento in cotal voce: 2346 «Brievemente sarà risposto a voi. 2347 2348 Quando si parte l’anima feroce 2349 dal corpo ond’ ella stessa s’è disvelta, 2350 Minòs la manda a la settima foce. 2351 2352 Cade in la selva, e non l’è parte scelta; 2353 ma là dove fortuna la balestra, 2354 quivi germoglia come gran di spelta. 2355 2356 Surge in vermena e in pianta silvestra: 2357 l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie, 2358 fanno dolore, e al dolor fenestra. 2359 2360 Come l’altre verrem per nostre spoglie, 2361 ma non però ch’alcuna sen rivesta, 2362 ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. 2363 2364 Qui le strascineremo, e per la mesta 2365 selva saranno i nostri corpi appesi, 2366 ciascuno al prun de l’ombra sua molesta». 2367 2368 Noi eravamo ancora al tronco attesi, 2369 credendo ch’altro ne volesse dire, 2370 quando noi fummo d’un romor sorpresi, 2371 2372 similemente a colui che venire 2373 sente ’l porco e la caccia a la sua posta, 2374 ch’ode le bestie, e le frasche stormire. 2375 2376 Ed ecco due da la sinistra costa, 2377 nudi e graffiati, fuggendo sì forte, 2378 che de la selva rompieno ogne rosta. 2379 2380 Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!». 2381 E l’altro, cui pareva tardar troppo, 2382 gridava: «Lano, sì non furo accorte 2383 2384 le gambe tue a le giostre dal Toppo!». 2385 E poi che forse li fallia la lena, 2386 di sé e d’un cespuglio fece un groppo. 2387 2388 Di rietro a loro era la selva piena 2389 di nere cagne, bramose e correnti 2390 come veltri ch’uscisser di catena. 2391 2392 In quel che s’appiattò miser li denti, 2393 e quel dilaceraro a brano a brano; 2394 poi sen portar quelle membra dolenti. 2395 2396 Presemi allor la mia scorta per mano, 2397 e menommi al cespuglio che piangea 2398 per le rotture sanguinenti in vano. 2399 2400 «O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea, 2401 che t’è giovato di me fare schermo? 2402 che colpa ho io de la tua vita rea?». 2403 2404 Quando ’l maestro fu sovr’ esso fermo, 2405 disse: «Chi fosti, che per tante punte 2406 soffi con sangue doloroso sermo?». 2407 2408 Ed elli a noi: «O anime che giunte 2409 siete a veder lo strazio disonesto 2410 c’ha le mie fronde sì da me disgiunte, 2411 2412 raccoglietele al piè del tristo cesto. 2413 I’ fui de la città che nel Batista 2414 mutò ’l primo padrone; ond’ ei per questo 2415 2416 sempre con l’arte sua la farà trista; 2417 e se non fosse che ’n sul passo d’Arno 2418 rimane ancor di lui alcuna vista, 2419 2420 que’ cittadin che poi la rifondarno 2421 sovra ’l cener che d’Attila rimase, 2422 avrebber fatto lavorare indarno. 2423 2424 Io fei gibetto a me de le mie case». 2425 2426 2427 2428 Inferno · Canto XIV 2429 2430 2431 Poi che la carità del natio loco 2432 mi strinse, raunai le fronde sparte 2433 e rende’le a colui, ch’era già fioco. 2434 2435 Indi venimmo al fine ove si parte 2436 lo secondo giron dal terzo, e dove 2437 si vede di giustizia orribil arte. 2438 2439 A ben manifestar le cose nove, 2440 dico che arrivammo ad una landa 2441 che dal suo letto ogne pianta rimove. 2442 2443 La dolorosa selva l’è ghirlanda 2444 intorno, come ’l fosso tristo ad essa; 2445 quivi fermammo i passi a randa a randa. 2446 2447 Lo spazzo era una rena arida e spessa, 2448 non d’altra foggia fatta che colei 2449 che fu da’ piè di Caton già soppressa. 2450 2451 O vendetta di Dio, quanto tu dei 2452 esser temuta da ciascun che legge 2453 ciò che fu manifesto a li occhi mei! 2454 2455 D’anime nude vidi molte gregge 2456 che piangean tutte assai miseramente, 2457 e parea posta lor diversa legge. 2458 2459 Supin giacea in terra alcuna gente, 2460 alcuna si sedea tutta raccolta, 2461 e altra andava continüamente. 2462 2463 Quella che giva ’ntorno era più molta, 2464 e quella men che giacëa al tormento, 2465 ma più al duolo avea la lingua sciolta. 2466 2467 Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento, 2468 piovean di foco dilatate falde, 2469 come di neve in alpe sanza vento. 2470 2471 Quali Alessandro in quelle parti calde 2472 d’Indïa vide sopra ’l süo stuolo 2473 fiamme cadere infino a terra salde, 2474 2475 per ch’ei provide a scalpitar lo suolo 2476 con le sue schiere, acciò che lo vapore 2477 mei si stingueva mentre ch’era solo: 2478 2479 tale scendeva l’etternale ardore; 2480 onde la rena s’accendea, com’ esca 2481 sotto focile, a doppiar lo dolore. 2482 2483 Sanza riposo mai era la tresca 2484 de le misere mani, or quindi or quinci 2485 escotendo da sé l’arsura fresca. 2486 2487 I’ cominciai: «Maestro, tu che vinci 2488 tutte le cose, fuor che ’ demon duri 2489 ch’a l’intrar de la porta incontra uscinci, 2490 2491 chi è quel grande che non par che curi 2492 lo ’ncendio e giace dispettoso e torto, 2493 sì che la pioggia non par che ’l marturi?». 2494 2495 E quel medesmo, che si fu accorto 2496 ch’io domandava il mio duca di lui, 2497 gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto. 2498 2499 Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui 2500 crucciato prese la folgore aguta 2501 onde l’ultimo dì percosso fui; 2502 2503 o s’elli stanchi li altri a muta a muta 2504 in Mongibello a la focina negra, 2505 chiamando “Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”, 2506 2507 sì com’ el fece a la pugna di Flegra, 2508 e me saetti con tutta sua forza: 2509 non ne potrebbe aver vendetta allegra». 2510 2511 Allora il duca mio parlò di forza 2512 tanto, ch’i’ non l’avea sì forte udito: 2513 «O Capaneo, in ciò che non s’ammorza 2514 2515 la tua superbia, se’ tu più punito; 2516 nullo martiro, fuor che la tua rabbia, 2517 sarebbe al tuo furor dolor compito». 2518 2519 Poi si rivolse a me con miglior labbia, 2520 dicendo: «Quei fu l’un d’i sette regi 2521 ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia 2522 2523 Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi; 2524 ma, com’ io dissi lui, li suoi dispetti 2525 sono al suo petto assai debiti fregi. 2526 2527 Or mi vien dietro, e guarda che non metti, 2528 ancor, li piedi ne la rena arsiccia; 2529 ma sempre al bosco tien li piedi stretti». 2530 2531 Tacendo divenimmo là ’ve spiccia 2532 fuor de la selva un picciol fiumicello, 2533 lo cui rossore ancor mi raccapriccia. 2534 2535 Quale del Bulicame esce ruscello 2536 che parton poi tra lor le peccatrici, 2537 tal per la rena giù sen giva quello. 2538 2539 Lo fondo suo e ambo le pendici 2540 fatt’ era ’n pietra, e ’ margini dallato; 2541 per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici. 2542 2543 «Tra tutto l’altro ch’i’ t’ho dimostrato, 2544 poscia che noi intrammo per la porta 2545 lo cui sogliare a nessuno è negato, 2546 2547 cosa non fu da li tuoi occhi scorta 2548 notabile com’ è ’l presente rio, 2549 che sovra sé tutte fiammelle ammorta». 2550 2551 Queste parole fuor del duca mio; 2552 per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto 2553 di cui largito m’avëa il disio. 2554 2555 «In mezzo mar siede un paese guasto», 2556 diss’ elli allora, «che s’appella Creta, 2557 sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto. 2558 2559 Una montagna v’è che già fu lieta 2560 d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida; 2561 or è diserta come cosa vieta. 2562 2563 Rëa la scelse già per cuna fida 2564 del suo figliuolo, e per celarlo meglio, 2565 quando piangea, vi facea far le grida. 2566 2567 Dentro dal monte sta dritto un gran veglio, 2568 che tien volte le spalle inver’ Dammiata 2569 e Roma guarda come süo speglio. 2570 2571 La sua testa è di fin oro formata, 2572 e puro argento son le braccia e ’l petto, 2573 poi è di rame infino a la forcata; 2574 2575 da indi in giuso è tutto ferro eletto, 2576 salvo che ’l destro piede è terra cotta; 2577 e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto. 2578 2579 Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta 2580 d’una fessura che lagrime goccia, 2581 le quali, accolte, fóran quella grotta. 2582 2583 Lor corso in questa valle si diroccia; 2584 fanno Acheronte, Stige e Flegetonta; 2585 poi sen van giù per questa stretta doccia, 2586 2587 infin, là ove più non si dismonta, 2588 fanno Cocito; e qual sia quello stagno 2589 tu lo vedrai, però qui non si conta». 2590 2591 E io a lui: «Se ’l presente rigagno 2592 si diriva così dal nostro mondo, 2593 perché ci appar pur a questo vivagno?». 2594 2595 Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo; 2596 e tutto che tu sie venuto molto, 2597 pur a sinistra, giù calando al fondo, 2598 2599 non se’ ancor per tutto ’l cerchio vòlto; 2600 per che, se cosa n’apparisce nova, 2601 non de’ addur maraviglia al tuo volto». 2602 2603 E io ancor: «Maestro, ove si trova 2604 Flegetonta e Letè? ché de l’un taci, 2605 e l’altro di’ che si fa d’esta piova». 2606 2607 «In tutte tue question certo mi piaci», 2608 rispuose, «ma ’l bollor de l’acqua rossa 2609 dovea ben solver l’una che tu faci. 2610 2611 Letè vedrai, ma fuor di questa fossa, 2612 là dove vanno l’anime a lavarsi 2613 quando la colpa pentuta è rimossa». 2614 2615 Poi disse: «Omai è tempo da scostarsi 2616 dal bosco; fa che di retro a me vegne: 2617 li margini fan via, che non son arsi, 2618 2619 e sopra loro ogne vapor si spegne». 2620 2621 2622 2623 Inferno · Canto XV 2624 2625 2626 Ora cen porta l’un de’ duri margini; 2627 e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia, 2628 sì che dal foco salva l’acqua e li argini. 2629 2630 Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, 2631 temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa, 2632 fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia; 2633 2634 e quali Padoan lungo la Brenta, 2635 per difender lor ville e lor castelli, 2636 anzi che Carentana il caldo senta: 2637 2638 a tale imagine eran fatti quelli, 2639 tutto che né sì alti né sì grossi, 2640 qual che si fosse, lo maestro félli. 2641 2642 Già eravam da la selva rimossi 2643 tanto, ch’i’ non avrei visto dov’ era, 2644 perch’ io in dietro rivolto mi fossi, 2645 2646 quando incontrammo d’anime una schiera 2647 che venian lungo l’argine, e ciascuna 2648 ci riguardava come suol da sera 2649 2650 guardare uno altro sotto nuova luna; 2651 e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia 2652 come ’l vecchio sartor fa ne la cruna. 2653 2654 Così adocchiato da cotal famiglia, 2655 fui conosciuto da un, che mi prese 2656 per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!». 2657 2658 E io, quando ’l suo braccio a me distese, 2659 ficcaï li occhi per lo cotto aspetto, 2660 sì che ’l viso abbrusciato non difese 2661 2662 la conoscenza süa al mio ’ntelletto; 2663 e chinando la mano a la sua faccia, 2664 rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?». 2665 2666 E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia 2667 se Brunetto Latino un poco teco 2668 ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia». 2669 2670 I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco; 2671 e se volete che con voi m’asseggia, 2672 faròl, se piace a costui che vo seco». 2673 2674 «O figliuol», disse, «qual di questa greggia 2675 s’arresta punto, giace poi cent’ anni 2676 sanz’ arrostarsi quando ’l foco il feggia. 2677 2678 Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni; 2679 e poi rigiugnerò la mia masnada, 2680 che va piangendo i suoi etterni danni». 2681 2682 Io non osava scender de la strada 2683 per andar par di lui; ma ’l capo chino 2684 tenea com’ uom che reverente vada. 2685 2686 El cominciò: «Qual fortuna o destino 2687 anzi l’ultimo dì qua giù ti mena? 2688 e chi è questi che mostra ’l cammino?». 2689 2690 «Là sù di sopra, in la vita serena», 2691 rispuos’ io lui, «mi smarri’ in una valle, 2692 avanti che l’età mia fosse piena. 2693 2694 Pur ier mattina le volsi le spalle: 2695 questi m’apparve, tornand’ ïo in quella, 2696 e reducemi a ca per questo calle». 2697 2698 Ed elli a me: «Se tu segui tua stella, 2699 non puoi fallire a glorïoso porto, 2700 se ben m’accorsi ne la vita bella; 2701 2702 e s’io non fossi sì per tempo morto, 2703 veggendo il cielo a te così benigno, 2704 dato t’avrei a l’opera conforto. 2705 2706 Ma quello ingrato popolo maligno 2707 che discese di Fiesole ab antico, 2708 e tiene ancor del monte e del macigno, 2709 2710 ti si farà, per tuo ben far, nimico; 2711 ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi 2712 si disconvien fruttare al dolce fico. 2713 2714 Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; 2715 gent’ è avara, invidiosa e superba: 2716 dai lor costumi fa che tu ti forbi. 2717 2718 La tua fortuna tanto onor ti serba, 2719 che l’una parte e l’altra avranno fame 2720 di te; ma lungi fia dal becco l’erba. 2721 2722 Faccian le bestie fiesolane strame 2723 di lor medesme, e non tocchin la pianta, 2724 s’alcuna surge ancora in lor letame, 2725 2726 in cui riviva la sementa santa 2727 di que’ Roman che vi rimaser quando 2728 fu fatto il nido di malizia tanta». 2729 2730 «Se fosse tutto pieno il mio dimando», 2731 rispuos’ io lui, «voi non sareste ancora 2732 de l’umana natura posto in bando; 2733 2734 ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora, 2735 la cara e buona imagine paterna 2736 di voi quando nel mondo ad ora ad ora 2737 2738 m’insegnavate come l’uom s’etterna: 2739 e quant’ io l’abbia in grado, mentr’ io vivo 2740 convien che ne la mia lingua si scerna. 2741 2742 Ciò che narrate di mio corso scrivo, 2743 e serbolo a chiosar con altro testo 2744 a donna che saprà, s’a lei arrivo. 2745 2746 Tanto vogl’ io che vi sia manifesto, 2747 pur che mia coscïenza non mi garra, 2748 ch’a la Fortuna, come vuol, son presto. 2749 2750 Non è nuova a li orecchi miei tal arra: 2751 però giri Fortuna la sua rota 2752 come le piace, e ’l villan la sua marra». 2753 2754 Lo mio maestro allora in su la gota 2755 destra si volse in dietro e riguardommi; 2756 poi disse: «Bene ascolta chi la nota». 2757 2758 Né per tanto di men parlando vommi 2759 con ser Brunetto, e dimando chi sono 2760 li suoi compagni più noti e più sommi. 2761 2762 Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono; 2763 de li altri fia laudabile tacerci, 2764 ché ’l tempo saria corto a tanto suono. 2765 2766 In somma sappi che tutti fur cherci 2767 e litterati grandi e di gran fama, 2768 d’un peccato medesmo al mondo lerci. 2769 2770 Priscian sen va con quella turba grama, 2771 e Francesco d’Accorso anche; e vedervi, 2772 s’avessi avuto di tal tigna brama, 2773 2774 colui potei che dal servo de’ servi 2775 fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione, 2776 dove lasciò li mal protesi nervi. 2777 2778 Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone 2779 più lungo esser non può, però ch’i’ veggio 2780 là surger nuovo fummo del sabbione. 2781 2782 Gente vien con la quale esser non deggio. 2783 Sieti raccomandato il mio Tesoro, 2784 nel qual io vivo ancora, e più non cheggio». 2785 2786 Poi si rivolse, e parve di coloro 2787 che corrono a Verona il drappo verde 2788 per la campagna; e parve di costoro 2789 2790 quelli che vince, non colui che perde. 2791 2792 2793 2794 Inferno · Canto XVI 2795 2796 2797 Già era in loco onde s’udia ’l rimbombo 2798 de l’acqua che cadea ne l’altro giro, 2799 simile a quel che l’arnie fanno rombo, 2800 2801 quando tre ombre insieme si partiro, 2802 correndo, d’una torma che passava 2803 sotto la pioggia de l’aspro martiro. 2804 2805 Venian ver’ noi, e ciascuna gridava: 2806 «Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri 2807 esser alcun di nostra terra prava». 2808 2809 Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri, 2810 ricenti e vecchie, da le fiamme incese! 2811 Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri. 2812 2813 A le lor grida il mio dottor s’attese; 2814 volse ’l viso ver’ me, e «Or aspetta», 2815 disse, «a costor si vuole esser cortese. 2816 2817 E se non fosse il foco che saetta 2818 la natura del loco, i’ dicerei 2819 che meglio stesse a te che a lor la fretta». 2820 2821 Ricominciar, come noi restammo, ei 2822 l’antico verso; e quando a noi fuor giunti, 2823 fenno una rota di sé tutti e trei. 2824 2825 Qual sogliono i campion far nudi e unti, 2826 avvisando lor presa e lor vantaggio, 2827 prima che sien tra lor battuti e punti, 2828 2829 così rotando, ciascuno il visaggio 2830 drizzava a me, sì che ’n contraro il collo 2831 faceva ai piè continüo vïaggio. 2832 2833 E «Se miseria d’esto loco sollo 2834 rende in dispetto noi e nostri prieghi», 2835 cominciò l’uno, «e ’l tinto aspetto e brollo, 2836 2837 la fama nostra il tuo animo pieghi 2838 a dirne chi tu se’, che i vivi piedi 2839 così sicuro per lo ’nferno freghi. 2840 2841 Questi, l’orme di cui pestar mi vedi, 2842 tutto che nudo e dipelato vada, 2843 fu di grado maggior che tu non credi: 2844 2845 nepote fu de la buona Gualdrada; 2846 Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita 2847 fece col senno assai e con la spada. 2848 2849 L’altro, ch’appresso me la rena trita, 2850 è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce 2851 nel mondo sù dovria esser gradita. 2852 2853 E io, che posto son con loro in croce, 2854 Iacopo Rusticucci fui, e certo 2855 la fiera moglie più ch’altro mi nuoce». 2856 2857 S’i’ fossi stato dal foco coperto, 2858 gittato mi sarei tra lor di sotto, 2859 e credo che ’l dottor l’avria sofferto; 2860 2861 ma perch’ io mi sarei brusciato e cotto, 2862 vinse paura la mia buona voglia 2863 che di loro abbracciar mi facea ghiotto. 2864 2865 Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia 2866 la vostra condizion dentro mi fisse, 2867 tanta che tardi tutta si dispoglia, 2868 2869 tosto che questo mio segnor mi disse 2870 parole per le quali i’ mi pensai 2871 che qual voi siete, tal gente venisse. 2872 2873 Di vostra terra sono, e sempre mai 2874 l’ovra di voi e li onorati nomi 2875 con affezion ritrassi e ascoltai. 2876 2877 Lascio lo fele e vo per dolci pomi 2878 promessi a me per lo verace duca; 2879 ma ’nfino al centro pria convien ch’i’ tomi». 2880 2881 «Se lungamente l’anima conduca 2882 le membra tue», rispuose quelli ancora, 2883 «e se la fama tua dopo te luca, 2884 2885 cortesia e valor dì se dimora 2886 ne la nostra città sì come suole, 2887 o se del tutto se n’è gita fora; 2888 2889 ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole 2890 con noi per poco e va là coi compagni, 2891 assai ne cruccia con le sue parole». 2892 2893 «La gente nuova e i sùbiti guadagni 2894 orgoglio e dismisura han generata, 2895 Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni». 2896 2897 Così gridai con la faccia levata; 2898 e i tre, che ciò inteser per risposta, 2899 guardar l’un l’altro com’ al ver si guata. 2900 2901 «Se l’altre volte sì poco ti costa», 2902 rispuoser tutti, «il satisfare altrui, 2903 felice te se sì parli a tua posta! 2904 2905 Però, se campi d’esti luoghi bui 2906 e torni a riveder le belle stelle, 2907 quando ti gioverà dicere “I’ fui”, 2908 2909 fa che di noi a la gente favelle». 2910 Indi rupper la rota, e a fuggirsi 2911 ali sembiar le gambe loro isnelle. 2912 2913 Un amen non saria possuto dirsi 2914 tosto così com’ e’ fuoro spariti; 2915 per ch’al maestro parve di partirsi. 2916 2917 Io lo seguiva, e poco eravam iti, 2918 che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino, 2919 che per parlar saremmo a pena uditi. 2920 2921 Come quel fiume c’ha proprio cammino 2922 prima dal Monte Viso ’nver’ levante, 2923 da la sinistra costa d’Apennino, 2924 2925 che si chiama Acquacheta suso, avante 2926 che si divalli giù nel basso letto, 2927 e a Forlì di quel nome è vacante, 2928 2929 rimbomba là sovra San Benedetto 2930 de l’Alpe per cadere ad una scesa 2931 ove dovea per mille esser recetto; 2932 2933 così, giù d’una ripa discoscesa, 2934 trovammo risonar quell’ acqua tinta, 2935 sì che ’n poc’ ora avria l’orecchia offesa. 2936 2937 Io avea una corda intorno cinta, 2938 e con essa pensai alcuna volta 2939 prender la lonza a la pelle dipinta. 2940 2941 Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta, 2942 sì come ’l duca m’avea comandato, 2943 porsila a lui aggroppata e ravvolta. 2944 2945 Ond’ ei si volse inver’ lo destro lato, 2946 e alquanto di lunge da la sponda 2947 la gittò giuso in quell’ alto burrato. 2948 2949 ‘E’ pur convien che novità risponda’, 2950 dicea fra me medesmo, ‘al novo cenno 2951 che ’l maestro con l’occhio sì seconda’. 2952 2953 Ahi quanto cauti li uomini esser dienno 2954 presso a color che non veggion pur l’ovra, 2955 ma per entro i pensier miran col senno! 2956 2957 El disse a me: «Tosto verrà di sovra 2958 ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna; 2959 tosto convien ch’al tuo viso si scovra». 2960 2961 Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna 2962 de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote, 2963 però che sanza colpa fa vergogna; 2964 2965 ma qui tacer nol posso; e per le note 2966 di questa comedìa, lettor, ti giuro, 2967 s’elle non sien di lunga grazia vòte, 2968 2969 ch’i’ vidi per quell’ aere grosso e scuro 2970 venir notando una figura in suso, 2971 maravigliosa ad ogne cor sicuro, 2972 2973 sì come torna colui che va giuso 2974 talora a solver l’àncora ch’aggrappa 2975 o scoglio o altro che nel mare è chiuso, 2976 2977 che ’n sù si stende e da piè si rattrappa. 2978 2979 2980 2981 Inferno · Canto XVII 2982 2983 2984 «Ecco la fiera con la coda aguzza, 2985 che passa i monti e rompe i muri e l’armi! 2986 Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!». 2987 2988 Sì cominciò lo mio duca a parlarmi; 2989 e accennolle che venisse a proda, 2990 vicino al fin d’i passeggiati marmi. 2991 2992 E quella sozza imagine di froda 2993 sen venne, e arrivò la testa e ’l busto, 2994 ma ’n su la riva non trasse la coda. 2995 2996 La faccia sua era faccia d’uom giusto, 2997 tanto benigna avea di fuor la pelle, 2998 e d’un serpente tutto l’altro fusto; 2999 3000 due branche avea pilose insin l’ascelle; 3001 lo dosso e ’l petto e ambedue le coste 3002 dipinti avea di nodi e di rotelle. 3003 3004 Con più color, sommesse e sovraposte 3005 non fer mai drappi Tartari né Turchi, 3006 né fuor tai tele per Aragne imposte. 3007 3008 Come talvolta stanno a riva i burchi, 3009 che parte sono in acqua e parte in terra, 3010 e come là tra li Tedeschi lurchi 3011 3012 lo bivero s’assetta a far sua guerra, 3013 così la fiera pessima si stava 3014 su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra. 3015 3016 Nel vano tutta sua coda guizzava, 3017 torcendo in sù la venenosa forca 3018 ch’a guisa di scorpion la punta armava. 3019 3020 Lo duca disse: «Or convien che si torca 3021 la nostra via un poco insino a quella 3022 bestia malvagia che colà si corca». 3023 3024 Però scendemmo a la destra mammella, 3025 e diece passi femmo in su lo stremo, 3026 per ben cessar la rena e la fiammella. 3027 3028 E quando noi a lei venuti semo, 3029 poco più oltre veggio in su la rena 3030 gente seder propinqua al loco scemo. 3031 3032 Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena 3033 esperïenza d’esto giron porti», 3034 mi disse, «va, e vedi la lor mena. 3035 3036 Li tuoi ragionamenti sian là corti; 3037 mentre che torni, parlerò con questa, 3038 che ne conceda i suoi omeri forti». 3039 3040 Così ancor su per la strema testa 3041 di quel settimo cerchio tutto solo 3042 andai, dove sedea la gente mesta. 3043 3044 Per li occhi fora scoppiava lor duolo; 3045 di qua, di là soccorrien con le mani 3046 quando a’ vapori, e quando al caldo suolo: 3047 3048 non altrimenti fan di state i cani 3049 or col ceffo or col piè, quando son morsi 3050 o da pulci o da mosche o da tafani. 3051 3052 Poi che nel viso a certi li occhi porsi, 3053 ne’ quali ’l doloroso foco casca, 3054 non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi 3055 3056 che dal collo a ciascun pendea una tasca 3057 ch’avea certo colore e certo segno, 3058 e quindi par che ’l loro occhio si pasca. 3059 3060 E com’ io riguardando tra lor vegno, 3061 in una borsa gialla vidi azzurro 3062 che d’un leone avea faccia e contegno. 3063 3064 Poi, procedendo di mio sguardo il curro, 3065 vidine un’altra come sangue rossa, 3066 mostrando un’oca bianca più che burro. 3067 3068 E un che d’una scrofa azzurra e grossa 3069 segnato avea lo suo sacchetto bianco, 3070 mi disse: «Che fai tu in questa fossa? 3071 3072 Or te ne va; e perché se’ vivo anco, 3073 sappi che ’l mio vicin Vitalïano 3074 sederà qui dal mio sinistro fianco. 3075 3076 Con questi Fiorentin son padoano: 3077 spesse fïate mi ’ntronan li orecchi 3078 gridando: “Vegna ’l cavalier sovrano, 3079 3080 che recherà la tasca con tre becchi!”». 3081 Qui distorse la bocca e di fuor trasse 3082 la lingua, come bue che ’l naso lecchi. 3083 3084 E io, temendo no ’l più star crucciasse 3085 lui che di poco star m’avea ’mmonito, 3086 torna’mi in dietro da l’anime lasse. 3087 3088 Trova’ il duca mio ch’era salito 3089 già su la groppa del fiero animale, 3090 e disse a me: «Or sie forte e ardito. 3091 3092 Omai si scende per sì fatte scale; 3093 monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo, 3094 sì che la coda non possa far male». 3095 3096 Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo 3097 de la quartana, c’ha già l’unghie smorte, 3098 e triema tutto pur guardando ’l rezzo, 3099 3100 tal divenn’ io a le parole porte; 3101 ma vergogna mi fé le sue minacce, 3102 che innanzi a buon segnor fa servo forte. 3103 3104 I’ m’assettai in su quelle spallacce; 3105 sì volli dir, ma la voce non venne 3106 com’ io credetti: ‘Fa che tu m’abbracce’. 3107 3108 Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne 3109 ad altro forse, tosto ch’i’ montai 3110 con le braccia m’avvinse e mi sostenne; 3111 3112 e disse: «Gerïon, moviti omai: 3113 le rote larghe, e lo scender sia poco; 3114 pensa la nova soma che tu hai». 3115 3116 Come la navicella esce di loco 3117 in dietro in dietro, sì quindi si tolse; 3118 e poi ch’al tutto si sentì a gioco, 3119 3120 là ’v’ era ’l petto, la coda rivolse, 3121 e quella tesa, come anguilla, mosse, 3122 e con le branche l’aere a sé raccolse. 3123 3124 Maggior paura non credo che fosse 3125 quando Fetonte abbandonò li freni, 3126 per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse; 3127 3128 né quando Icaro misero le reni 3129 sentì spennar per la scaldata cera, 3130 gridando il padre a lui «Mala via tieni!», 3131 3132 che fu la mia, quando vidi ch’i’ era 3133 ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta 3134 ogne veduta fuor che de la fera. 3135 3136 Ella sen va notando lenta lenta; 3137 rota e discende, ma non me n’accorgo 3138 se non che al viso e di sotto mi venta. 3139 3140 Io sentia già da la man destra il gorgo 3141 far sotto noi un orribile scroscio, 3142 per che con li occhi ’n giù la testa sporgo. 3143 3144 Allor fu’ io più timido a lo stoscio, 3145 però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti; 3146 ond’ io tremando tutto mi raccoscio. 3147 3148 E vidi poi, ché nol vedea davanti, 3149 lo scendere e ’l girar per li gran mali 3150 che s’appressavan da diversi canti. 3151 3152 Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali, 3153 che sanza veder logoro o uccello 3154 fa dire al falconiere «Omè, tu cali!», 3155 3156 discende lasso onde si move isnello, 3157 per cento rote, e da lunge si pone 3158 dal suo maestro, disdegnoso e fello; 3159 3160 così ne puose al fondo Gerïone 3161 al piè al piè de la stagliata rocca, 3162 e, discarcate le nostre persone, 3163 3164 si dileguò come da corda cocca. 3165 3166 3167 3168 Inferno · Canto XVIII 3169 3170 3171 Luogo è in inferno detto Malebolge, 3172 tutto di pietra di color ferrigno, 3173 come la cerchia che dintorno il volge. 3174 3175 Nel dritto mezzo del campo maligno 3176 vaneggia un pozzo assai largo e profondo, 3177 di cui suo loco dicerò l’ordigno. 3178 3179 Quel cinghio che rimane adunque è tondo 3180 tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura, 3181 e ha distinto in dieci valli il fondo. 3182 3183 Quale, dove per guardia de le mura 3184 più e più fossi cingon li castelli, 3185 la parte dove son rende figura, 3186 3187 tale imagine quivi facean quelli; 3188 e come a tai fortezze da’ lor sogli 3189 a la ripa di fuor son ponticelli, 3190 3191 così da imo de la roccia scogli 3192 movien che ricidien li argini e ’ fossi 3193 infino al pozzo che i tronca e raccogli. 3194 3195 In questo luogo, de la schiena scossi 3196 di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta 3197 tenne a sinistra, e io dietro mi mossi. 3198 3199 A la man destra vidi nova pieta, 3200 novo tormento e novi frustatori, 3201 di che la prima bolgia era repleta. 3202 3203 Nel fondo erano ignudi i peccatori; 3204 dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto, 3205 di là con noi, ma con passi maggiori, 3206 3207 come i Roman per l’essercito molto, 3208 l’anno del giubileo, su per lo ponte 3209 hanno a passar la gente modo colto, 3210 3211 che da l’un lato tutti hanno la fronte 3212 verso ’l castello e vanno a Santo Pietro, 3213 da l’altra sponda vanno verso ’l monte. 3214 3215 Di qua, di là, su per lo sasso tetro 3216 vidi demon cornuti con gran ferze, 3217 che li battien crudelmente di retro. 3218 3219 Ahi come facean lor levar le berze 3220 a le prime percosse! già nessuno 3221 le seconde aspettava né le terze. 3222 3223 Mentr’ io andava, li occhi miei in uno 3224 furo scontrati; e io sì tosto dissi: 3225 «Già di veder costui non son digiuno». 3226 3227 Per ch’ïo a figurarlo i piedi affissi; 3228 e ’l dolce duca meco si ristette, 3229 e assentio ch’alquanto in dietro gissi. 3230 3231 E quel frustato celar si credette 3232 bassando ’l viso; ma poco li valse, 3233 ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette, 3234 3235 se le fazion che porti non son false, 3236 Venedico se’ tu Caccianemico. 3237 Ma che ti mena a sì pungenti salse?». 3238 3239 Ed elli a me: «Mal volontier lo dico; 3240 ma sforzami la tua chiara favella, 3241 che mi fa sovvenir del mondo antico. 3242 3243 I’ fui colui che la Ghisolabella 3244 condussi a far la voglia del marchese, 3245 come che suoni la sconcia novella. 3246 3247 E non pur io qui piango bolognese; 3248 anzi n’è questo loco tanto pieno, 3249 che tante lingue non son ora apprese 3250 3251 a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno; 3252 e se di ciò vuoi fede o testimonio, 3253 rècati a mente il nostro avaro seno». 3254 3255 Così parlando il percosse un demonio 3256 de la sua scurïada, e disse: «Via, 3257 ruffian! qui non son femmine da conio». 3258 3259 I’ mi raggiunsi con la scorta mia; 3260 poscia con pochi passi divenimmo 3261 là ’v’ uno scoglio de la ripa uscia. 3262 3263 Assai leggeramente quel salimmo; 3264 e vòlti a destra su per la sua scheggia, 3265 da quelle cerchie etterne ci partimmo. 3266 3267 Quando noi fummo là dov’ el vaneggia 3268 di sotto per dar passo a li sferzati, 3269 lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia 3270 3271 lo viso in te di quest’ altri mal nati, 3272 ai quali ancor non vedesti la faccia 3273 però che son con noi insieme andati». 3274 3275 Del vecchio ponte guardavam la traccia 3276 che venìa verso noi da l’altra banda, 3277 e che la ferza similmente scaccia. 3278 3279 E ’l buon maestro, sanza mia dimanda, 3280 mi disse: «Guarda quel grande che vene, 3281 e per dolor non par lagrime spanda: 3282 3283 quanto aspetto reale ancor ritene! 3284 Quelli è Iasón, che per cuore e per senno 3285 li Colchi del monton privati féne. 3286 3287 Ello passò per l’isola di Lenno 3288 poi che l’ardite femmine spietate 3289 tutti li maschi loro a morte dienno. 3290 3291 Ivi con segni e con parole ornate 3292 Isifile ingannò, la giovinetta 3293 che prima avea tutte l’altre ingannate. 3294 3295 Lasciolla quivi, gravida, soletta; 3296 tal colpa a tal martiro lui condanna; 3297 e anche di Medea si fa vendetta. 3298 3299 Con lui sen va chi da tal parte inganna; 3300 e questo basti de la prima valle 3301 sapere e di color che ’n sé assanna». 3302 3303 Già eravam là ’ve lo stretto calle 3304 con l’argine secondo s’incrocicchia, 3305 e fa di quello ad un altr’ arco spalle. 3306 3307 Quindi sentimmo gente che si nicchia 3308 ne l’altra bolgia e che col muso scuffa, 3309 e sé medesma con le palme picchia. 3310 3311 Le ripe eran grommate d’una muffa, 3312 per l’alito di giù che vi s’appasta, 3313 che con li occhi e col naso facea zuffa. 3314 3315 Lo fondo è cupo sì, che non ci basta 3316 loco a veder sanza montare al dosso 3317 de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta. 3318 3319 Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso 3320 vidi gente attuffata in uno sterco 3321 che da li uman privadi parea mosso. 3322 3323 E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, 3324 vidi un col capo sì di merda lordo, 3325 che non parëa s’era laico o cherco. 3326 3327 Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo 3328 di riguardar più me che li altri brutti?». 3329 E io a lui: «Perché, se ben ricordo, 3330 3331 già t’ho veduto coi capelli asciutti, 3332 e se’ Alessio Interminei da Lucca: 3333 però t’adocchio più che li altri tutti». 3334 3335 Ed elli allor, battendosi la zucca: 3336 «Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe 3337 ond’ io non ebbi mai la lingua stucca». 3338 3339 Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», 3340 mi disse, «il viso un poco più avante, 3341 sì che la faccia ben con l’occhio attinghe 3342 3343 di quella sozza e scapigliata fante 3344 che là si graffia con l’unghie merdose, 3345 e or s’accoscia e ora è in piedi stante. 3346 3347 Taïde è, la puttana che rispuose 3348 al drudo suo quando disse “Ho io grazie 3349 grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”. 3350 3351 E quinci sian le nostre viste sazie». 3352 3353 3354 3355 Inferno · Canto XIX 3356 3357 3358 O Simon mago, o miseri seguaci 3359 che le cose di Dio, che di bontate 3360 deon essere spose, e voi rapaci 3361 3362 per oro e per argento avolterate, 3363 or convien che per voi suoni la tromba, 3364 però che ne la terza bolgia state. 3365 3366 Già eravamo, a la seguente tomba, 3367 montati de lo scoglio in quella parte 3368 ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba. 3369 3370 O somma sapïenza, quanta è l’arte 3371 che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, 3372 e quanto giusto tua virtù comparte! 3373 3374 Io vidi per le coste e per lo fondo 3375 piena la pietra livida di fóri, 3376 d’un largo tutti e ciascun era tondo. 3377 3378 Non mi parean men ampi né maggiori 3379 che que’ che son nel mio bel San Giovanni, 3380 fatti per loco d’i battezzatori; 3381 3382 l’un de li quali, ancor non è molt’ anni, 3383 rupp’ io per un che dentro v’annegava: 3384 e questo sia suggel ch’ogn’ omo sganni. 3385 3386 Fuor de la bocca a ciascun soperchiava 3387 d’un peccator li piedi e de le gambe 3388 infino al grosso, e l’altro dentro stava. 3389 3390 Le piante erano a tutti accese intrambe; 3391 per che sì forte guizzavan le giunte, 3392 che spezzate averien ritorte e strambe. 3393 3394 Qual suole il fiammeggiar de le cose unte 3395 muoversi pur su per la strema buccia, 3396 tal era lì dai calcagni a le punte. 3397 3398 «Chi è colui, maestro, che si cruccia 3399 guizzando più che li altri suoi consorti», 3400 diss’ io, «e cui più roggia fiamma succia?». 3401 3402 Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti porti 3403 là giù per quella ripa che più giace, 3404 da lui saprai di sé e de’ suoi torti». 3405 3406 E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace: 3407 tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto 3408 dal tuo volere, e sai quel che si tace». 3409 3410 Allor venimmo in su l’argine quarto; 3411 volgemmo e discendemmo a mano stanca 3412 là giù nel fondo foracchiato e arto. 3413 3414 Lo buon maestro ancor de la sua anca 3415 non mi dipuose, sì mi giunse al rotto 3416 di quel che si piangeva con la zanca. 3417 3418 «O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto, 3419 anima trista come pal commessa», 3420 comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto». 3421 3422 Io stava come ’l frate che confessa 3423 lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto, 3424 richiama lui per che la morte cessa. 3425 3426 Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto, 3427 se’ tu già costì ritto, Bonifazio? 3428 Di parecchi anni mi mentì lo scritto. 3429 3430 Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio 3431 per lo qual non temesti tòrre a ’nganno 3432 la bella donna, e poi di farne strazio?». 3433 3434 Tal mi fec’ io, quai son color che stanno, 3435 per non intender ciò ch’è lor risposto, 3436 quasi scornati, e risponder non sanno. 3437 3438 Allor Virgilio disse: «Dilli tosto: 3439 “Non son colui, non son colui che credi”»; 3440 e io rispuosi come a me fu imposto. 3441 3442 Per che lo spirto tutti storse i piedi; 3443 poi, sospirando e con voce di pianto, 3444 mi disse: «Dunque che a me richiedi? 3445 3446 Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto, 3447 che tu abbi però la ripa corsa, 3448 sappi ch’i’ fui vestito del gran manto; 3449 3450 e veramente fui figliuol de l’orsa, 3451 cupido sì per avanzar li orsatti, 3452 che sù l’avere e qui me misi in borsa. 3453 3454 Di sotto al capo mio son li altri tratti 3455 che precedetter me simoneggiando, 3456 per le fessure de la pietra piatti. 3457 3458 Là giù cascherò io altresì quando 3459 verrà colui ch’i’ credea che tu fossi, 3460 allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando. 3461 3462 Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi 3463 e ch’i’ son stato così sottosopra, 3464 ch’el non starà piantato coi piè rossi: 3465 3466 ché dopo lui verrà di più laida opra, 3467 di ver’ ponente, un pastor sanza legge, 3468 tal che convien che lui e me ricuopra. 3469 3470 Nuovo Iasón sarà, di cui si legge 3471 ne’ Maccabei; e come a quel fu molle 3472 suo re, così fia lui chi Francia regge». 3473 3474 Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle, 3475 ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro: 3476 «Deh, or mi dì: quanto tesoro volle 3477 3478 Nostro Segnore in prima da san Pietro 3479 ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa? 3480 Certo non chiese se non “Viemmi retro”. 3481 3482 Né Pier né li altri tolsero a Matia 3483 oro od argento, quando fu sortito 3484 al loco che perdé l’anima ria. 3485 3486 Però ti sta, ché tu se’ ben punito; 3487 e guarda ben la mal tolta moneta 3488 ch’esser ti fece contra Carlo ardito. 3489 3490 E se non fosse ch’ancor lo mi vieta 3491 la reverenza de le somme chiavi 3492 che tu tenesti ne la vita lieta, 3493 3494 io userei parole ancor più gravi; 3495 ché la vostra avarizia il mondo attrista, 3496 calcando i buoni e sollevando i pravi. 3497 3498 Di voi pastor s’accorse il Vangelista, 3499 quando colei che siede sopra l’acque 3500 puttaneggiar coi regi a lui fu vista; 3501 3502 quella che con le sette teste nacque, 3503 e da le diece corna ebbe argomento, 3504 fin che virtute al suo marito piacque. 3505 3506 Fatto v’avete dio d’oro e d’argento; 3507 e che altro è da voi a l’idolatre, 3508 se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? 3509 3510 Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, 3511 non la tua conversion, ma quella dote 3512 che da te prese il primo ricco patre!». 3513 3514 E mentr’ io li cantava cotai note, 3515 o ira o coscïenza che ’l mordesse, 3516 forte spingava con ambo le piote. 3517 3518 I’ credo ben ch’al mio duca piacesse, 3519 con sì contenta labbia sempre attese 3520 lo suon de le parole vere espresse. 3521 3522 Però con ambo le braccia mi prese; 3523 e poi che tutto su mi s’ebbe al petto, 3524 rimontò per la via onde discese. 3525 3526 Né si stancò d’avermi a sé distretto, 3527 sì men portò sovra ’l colmo de l’arco 3528 che dal quarto al quinto argine è tragetto. 3529 3530 Quivi soavemente spuose il carco, 3531 soave per lo scoglio sconcio ed erto 3532 che sarebbe a le capre duro varco. 3533 3534 Indi un altro vallon mi fu scoperto. 3535 3536 3537 3538 Inferno · Canto XX 3539 3540 3541 Di nova pena mi conven far versi 3542 e dar matera al ventesimo canto 3543 de la prima canzon, ch’è d’i sommersi. 3544 3545 Io era già disposto tutto quanto 3546 a riguardar ne lo scoperto fondo, 3547 che si bagnava d’angoscioso pianto; 3548 3549 e vidi gente per lo vallon tondo 3550 venir, tacendo e lagrimando, al passo 3551 che fanno le letane in questo mondo. 3552 3553 Come ’l viso mi scese in lor più basso, 3554 mirabilmente apparve esser travolto 3555 ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso, 3556 3557 ché da le reni era tornato ’l volto, 3558 e in dietro venir li convenia, 3559 perché ’l veder dinanzi era lor tolto. 3560 3561 Forse per forza già di parlasia 3562 si travolse così alcun del tutto; 3563 ma io nol vidi, né credo che sia. 3564 3565 Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto 3566 di tua lezione, or pensa per te stesso 3567 com’ io potea tener lo viso asciutto, 3568 3569 quando la nostra imagine di presso 3570 vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi 3571 le natiche bagnava per lo fesso. 3572 3573 Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi 3574 del duro scoglio, sì che la mia scorta 3575 mi disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi? 3576 3577 Qui vive la pietà quand’ è ben morta; 3578 chi è più scellerato che colui 3579 che al giudicio divin passion comporta? 3580 3581 Drizza la testa, drizza, e vedi a cui 3582 s’aperse a li occhi d’i Teban la terra; 3583 per ch’ei gridavan tutti: “Dove rui, 3584 3585 Anfïarao? perché lasci la guerra?”. 3586 E non restò di ruinare a valle 3587 fino a Minòs che ciascheduno afferra. 3588 3589 Mira c’ha fatto petto de le spalle; 3590 perché volle veder troppo davante, 3591 di retro guarda e fa retroso calle. 3592 3593 Vedi Tiresia, che mutò sembiante 3594 quando di maschio femmina divenne, 3595 cangiandosi le membra tutte quante; 3596 3597 e prima, poi, ribatter li convenne 3598 li duo serpenti avvolti, con la verga, 3599 che rïavesse le maschili penne. 3600 3601 Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga, 3602 che ne’ monti di Luni, dove ronca 3603 lo Carrarese che di sotto alberga, 3604 3605 ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca 3606 per sua dimora; onde a guardar le stelle 3607 e ’l mar non li era la veduta tronca. 3608 3609 E quella che ricuopre le mammelle, 3610 che tu non vedi, con le trecce sciolte, 3611 e ha di là ogne pilosa pelle, 3612 3613 Manto fu, che cercò per terre molte; 3614 poscia si puose là dove nacqu’ io; 3615 onde un poco mi piace che m’ascolte. 3616 3617 Poscia che ’l padre suo di vita uscìo 3618 e venne serva la città di Baco, 3619 questa gran tempo per lo mondo gio. 3620 3621 Suso in Italia bella giace un laco, 3622 a piè de l’Alpe che serra Lamagna 3623 sovra Tiralli, c’ha nome Benaco. 3624 3625 Per mille fonti, credo, e più si bagna 3626 tra Garda e Val Camonica e Pennino 3627 de l’acqua che nel detto laco stagna. 3628 3629 Loco è nel mezzo là dove ’l trentino 3630 pastore e quel di Brescia e ’l veronese 3631 segnar poria, s’e’ fesse quel cammino. 3632 3633 Siede Peschiera, bello e forte arnese 3634 da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, 3635 ove la riva ’ntorno più discese. 3636 3637 Ivi convien che tutto quanto caschi 3638 ciò che ’n grembo a Benaco star non può, 3639 e fassi fiume giù per verdi paschi. 3640 3641 Tosto che l’acqua a correr mette co, 3642 non più Benaco, ma Mencio si chiama 3643 fino a Governol, dove cade in Po. 3644 3645 Non molto ha corso, ch’el trova una lama, 3646 ne la qual si distende e la ’mpaluda; 3647 e suol di state talor essere grama. 3648 3649 Quindi passando la vergine cruda 3650 vide terra, nel mezzo del pantano, 3651 sanza coltura e d’abitanti nuda. 3652 3653 Lì, per fuggire ogne consorzio umano, 3654 ristette con suoi servi a far sue arti, 3655 e visse, e vi lasciò suo corpo vano. 3656 3657 Li uomini poi che ’ntorno erano sparti 3658 s’accolsero a quel loco, ch’era forte 3659 per lo pantan ch’avea da tutte parti. 3660 3661 Fer la città sovra quell’ ossa morte; 3662 e per colei che ’l loco prima elesse, 3663 Mantüa l’appellar sanz’ altra sorte. 3664 3665 Già fuor le genti sue dentro più spesse, 3666 prima che la mattia da Casalodi 3667 da Pinamonte inganno ricevesse. 3668 3669 Però t’assenno che, se tu mai odi 3670 originar la mia terra altrimenti, 3671 la verità nulla menzogna frodi». 3672 3673 E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti 3674 mi son sì certi e prendon sì mia fede, 3675 che li altri mi sarien carboni spenti. 3676 3677 Ma dimmi, de la gente che procede, 3678 se tu ne vedi alcun degno di nota; 3679 ché solo a ciò la mia mente rifiede». 3680 3681 Allor mi disse: «Quel che da la gota 3682 porge la barba in su le spalle brune, 3683 fu—quando Grecia fu di maschi vòta, 3684 3685 sì ch’a pena rimaser per le cune— 3686 augure, e diede ’l punto con Calcanta 3687 in Aulide a tagliar la prima fune. 3688 3689 Euripilo ebbe nome, e così ’l canta 3690 l’alta mia tragedìa in alcun loco: 3691 ben lo sai tu che la sai tutta quanta. 3692 3693 Quell’ altro che ne’ fianchi è così poco, 3694 Michele Scotto fu, che veramente 3695 de le magiche frode seppe ’l gioco. 3696 3697 Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, 3698 ch’avere inteso al cuoio e a lo spago 3699 ora vorrebbe, ma tardi si pente. 3700 3701 Vedi le triste che lasciaron l’ago, 3702 la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine; 3703 fecer malie con erbe e con imago. 3704 3705 Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine 3706 d’amendue li emisperi e tocca l’onda 3707 sotto Sobilia Caino e le spine; 3708 3709 e già iernotte fu la luna tonda: 3710 ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque 3711 alcuna volta per la selva fonda». 3712 3713 Sì mi parlava, e andavamo introcque. 3714 3715 3716 3717 Inferno · Canto XXI 3718 3719 3720 Così di ponte in ponte, altro parlando 3721 che la mia comedìa cantar non cura, 3722 venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando 3723 3724 restammo per veder l’altra fessura 3725 di Malebolge e li altri pianti vani; 3726 e vidila mirabilmente oscura. 3727 3728 Quale ne l’arzanà de’ Viniziani 3729 bolle l’inverno la tenace pece 3730 a rimpalmare i legni lor non sani, 3731 3732 ché navicar non ponno—in quella vece 3733 chi fa suo legno novo e chi ristoppa 3734 le coste a quel che più vïaggi fece; 3735 3736 chi ribatte da proda e chi da poppa; 3737 altri fa remi e altri volge sarte; 3738 chi terzeruolo e artimon rintoppa—: 3739 3740 tal, non per foco ma per divin’ arte, 3741 bollia là giuso una pegola spessa, 3742 che ’nviscava la ripa d’ogne parte. 3743 3744 I’ vedea lei, ma non vedëa in essa 3745 mai che le bolle che ’l bollor levava, 3746 e gonfiar tutta, e riseder compressa. 3747 3748 Mentr’ io là giù fisamente mirava, 3749 lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!», 3750 mi trasse a sé del loco dov’ io stava. 3751 3752 Allor mi volsi come l’uom cui tarda 3753 di veder quel che li convien fuggire 3754 e cui paura sùbita sgagliarda, 3755 3756 che, per veder, non indugia ’l partire: 3757 e vidi dietro a noi un diavol nero 3758 correndo su per lo scoglio venire. 3759 3760 Ahi quant’ elli era ne l’aspetto fero! 3761 e quanto mi parea ne l’atto acerbo, 3762 con l’ali aperte e sovra i piè leggero! 3763 3764 L’omero suo, ch’era aguto e superbo, 3765 carcava un peccator con ambo l’anche, 3766 e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo. 3767 3768 Del nostro ponte disse: «O Malebranche, 3769 ecco un de li anzïan di Santa Zita! 3770 Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche 3771 3772 a quella terra, che n’è ben fornita: 3773 ogn’ uom v’è barattier, fuor che Bonturo; 3774 del no, per li denar, vi si fa ita». 3775 3776 Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro 3777 si volse; e mai non fu mastino sciolto 3778 con tanta fretta a seguitar lo furo. 3779 3780 Quel s’attuffò, e tornò sù convolto; 3781 ma i demon che del ponte avean coperchio, 3782 gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto! 3783 3784 qui si nuota altrimenti che nel Serchio! 3785 Però, se tu non vuo’ di nostri graffi, 3786 non far sopra la pegola soverchio». 3787 3788 Poi l’addentar con più di cento raffi, 3789 disser: «Coverto convien che qui balli, 3790 sì che, se puoi, nascosamente accaffi». 3791 3792 Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli 3793 fanno attuffare in mezzo la caldaia 3794 la carne con li uncin, perché non galli. 3795 3796 Lo buon maestro «Acciò che non si paia 3797 che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta 3798 dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia; 3799 3800 e per nulla offension che mi sia fatta, 3801 non temer tu, ch’i’ ho le cose conte, 3802 perch’ altra volta fui a tal baratta». 3803 3804 Poscia passò di là dal co del ponte; 3805 e com’ el giunse in su la ripa sesta, 3806 mestier li fu d’aver sicura fronte. 3807 3808 Con quel furore e con quella tempesta 3809 ch’escono i cani a dosso al poverello 3810 che di sùbito chiede ove s’arresta, 3811 3812 usciron quei di sotto al ponticello, 3813 e volser contra lui tutt’ i runcigli; 3814 ma el gridò: «Nessun di voi sia fello! 3815 3816 Innanzi che l’uncin vostro mi pigli, 3817 traggasi avante l’un di voi che m’oda, 3818 e poi d’arruncigliarmi si consigli». 3819 3820 Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»; 3821 per ch’un si mosse—e li altri stetter fermi— 3822 e venne a lui dicendo: «Che li approda?». 3823 3824 «Credi tu, Malacoda, qui vedermi 3825 esser venuto», disse ’l mio maestro, 3826 «sicuro già da tutti vostri schermi, 3827 3828 sanza voler divino e fato destro? 3829 Lascian’ andar, ché nel cielo è voluto 3830 ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro». 3831 3832 Allor li fu l’orgoglio sì caduto, 3833 ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi, 3834 e disse a li altri: «Omai non sia feruto». 3835 3836 E ’l duca mio a me: «O tu che siedi 3837 tra li scheggion del ponte quatto quatto, 3838 sicuramente omai a me ti riedi». 3839 3840 Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto; 3841 e i diavoli si fecer tutti avanti, 3842 sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto; 3843 3844 così vid’ ïo già temer li fanti 3845 ch’uscivan patteggiati di Caprona, 3846 veggendo sé tra nemici cotanti. 3847 3848 I’ m’accostai con tutta la persona 3849 lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi 3850 da la sembianza lor ch’era non buona. 3851 3852 Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi», 3853 diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?». 3854 E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi». 3855 3856 Ma quel demonio che tenea sermone 3857 col duca mio, si volse tutto presto 3858 e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!». 3859 3860 Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo 3861 iscoglio non si può, però che giace 3862 tutto spezzato al fondo l’arco sesto. 3863 3864 E se l’andare avante pur vi piace, 3865 andatevene su per questa grotta; 3866 presso è un altro scoglio che via face. 3867 3868 Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta, 3869 mille dugento con sessanta sei 3870 anni compié che qui la via fu rotta. 3871 3872 Io mando verso là di questi miei 3873 a riguardar s’alcun se ne sciorina; 3874 gite con lor, che non saranno rei». 3875 3876 «Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina», 3877 cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo; 3878 e Barbariccia guidi la decina. 3879 3880 Libicocco vegn’ oltre e Draghignazzo, 3881 Cirïatto sannuto e Graffiacane 3882 e Farfarello e Rubicante pazzo. 3883 3884 Cercate ’ntorno le boglienti pane; 3885 costor sian salvi infino a l’altro scheggio 3886 che tutto intero va sovra le tane». 3887 3888 «Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?», 3889 diss’ io, «deh, sanza scorta andianci soli, 3890 se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio. 3891 3892 Se tu se’ sì accorto come suoli, 3893 non vedi tu ch’e’ digrignan li denti 3894 e con le ciglia ne minaccian duoli?». 3895 3896 Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi; 3897 lasciali digrignar pur a lor senno, 3898 ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti». 3899 3900 Per l’argine sinistro volta dienno; 3901 ma prima avea ciascun la lingua stretta 3902 coi denti, verso lor duca, per cenno; 3903 3904 ed elli avea del cul fatto trombetta. 3905 3906 3907 3908 Inferno · Canto XXII 3909 3910 3911 Io vidi già cavalier muover campo, 3912 e cominciare stormo e far lor mostra, 3913 e talvolta partir per loro scampo; 3914 3915 corridor vidi per la terra vostra, 3916 o Aretini, e vidi gir gualdane, 3917 fedir torneamenti e correr giostra; 3918 3919 quando con trombe, e quando con campane, 3920 con tamburi e con cenni di castella, 3921 e con cose nostrali e con istrane; 3922 3923 né già con sì diversa cennamella 3924 cavalier vidi muover né pedoni, 3925 né nave a segno di terra o di stella. 3926 3927 Noi andavam con li diece demoni. 3928 Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa 3929 coi santi, e in taverna coi ghiottoni. 3930 3931 Pur a la pegola era la mia ’ntesa, 3932 per veder de la bolgia ogne contegno 3933 e de la gente ch’entro v’era incesa. 3934 3935 Come i dalfini, quando fanno segno 3936 a’ marinar con l’arco de la schiena 3937 che s’argomentin di campar lor legno, 3938 3939 talor così, ad alleggiar la pena, 3940 mostrav’ alcun de’ peccatori ’l dosso 3941 e nascondea in men che non balena. 3942 3943 E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso 3944 stanno i ranocchi pur col muso fuori, 3945 sì che celano i piedi e l’altro grosso, 3946 3947 sì stavan d’ogne parte i peccatori; 3948 ma come s’appressava Barbariccia, 3949 così si ritraén sotto i bollori. 3950 3951 I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia, 3952 uno aspettar così, com’ elli ’ncontra 3953 ch’una rana rimane e l’altra spiccia; 3954 3955 e Graffiacan, che li era più di contra, 3956 li arruncigliò le ’mpegolate chiome 3957 e trassel sù, che mi parve una lontra. 3958 3959 I’ sapea già di tutti quanti ’l nome, 3960 sì li notai quando fuorono eletti, 3961 e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come. 3962 3963 «O Rubicante, fa che tu li metti 3964 li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!», 3965 gridavan tutti insieme i maladetti. 3966 3967 E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi, 3968 che tu sappi chi è lo sciagurato 3969 venuto a man de li avversari suoi». 3970 3971 Lo duca mio li s’accostò allato; 3972 domandollo ond’ ei fosse, e quei rispuose: 3973 «I’ fui del regno di Navarra nato. 3974 3975 Mia madre a servo d’un segnor mi puose, 3976 che m’avea generato d’un ribaldo, 3977 distruggitor di sé e di sue cose. 3978 3979 Poi fui famiglia del buon re Tebaldo; 3980 quivi mi misi a far baratteria, 3981 di ch’io rendo ragione in questo caldo». 3982 3983 E Cirïatto, a cui di bocca uscia 3984 d’ogne parte una sanna come a porco, 3985 li fé sentir come l’una sdruscia. 3986 3987 Tra male gatte era venuto ’l sorco; 3988 ma Barbariccia il chiuse con le braccia 3989 e disse: «State in là, mentr’ io lo ’nforco». 3990 3991 E al maestro mio volse la faccia; 3992 «Domanda», disse, «ancor, se più disii 3993 saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia». 3994 3995 Lo duca dunque: «Or dì: de li altri rii 3996 conosci tu alcun che sia latino 3997 sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii, 3998 3999 poco è, da un che fu di là vicino. 4000 Così foss’ io ancor con lui coperto, 4001 ch’i’ non temerei unghia né uncino!». 4002 4003 E Libicocco «Troppo avem sofferto», 4004 disse; e preseli ’l braccio col runciglio, 4005 sì che, stracciando, ne portò un lacerto. 4006 4007 Draghignazzo anco i volle dar di piglio 4008 giuso a le gambe; onde ’l decurio loro 4009 si volse intorno intorno con mal piglio. 4010 4011 Quand’ elli un poco rappaciati fuoro, 4012 a lui, ch’ancor mirava sua ferita, 4013 domandò ’l duca mio sanza dimoro: 4014 4015 «Chi fu colui da cui mala partita 4016 di’ che facesti per venire a proda?». 4017 Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita, 4018 4019 quel di Gallura, vasel d’ogne froda, 4020 ch’ebbe i nemici di suo donno in mano, 4021 e fé sì lor, che ciascun se ne loda. 4022 4023 Danar si tolse e lasciolli di piano, 4024 sì com’ e’ dice; e ne li altri offici anche 4025 barattier fu non picciol, ma sovrano. 4026 4027 Usa con esso donno Michel Zanche 4028 di Logodoro; e a dir di Sardigna 4029 le lingue lor non si sentono stanche. 4030 4031 Omè, vedete l’altro che digrigna; 4032 i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello 4033 non s’apparecchi a grattarmi la tigna». 4034 4035 E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello 4036 che stralunava li occhi per fedire, 4037 disse: «Fatti ’n costà, malvagio uccello!». 4038 4039 «Se voi volete vedere o udire», 4040 ricominciò lo spaürato appresso, 4041 «Toschi o Lombardi, io ne farò venire; 4042 4043 ma stieno i Malebranche un poco in cesso, 4044 sì ch’ei non teman de le lor vendette; 4045 e io, seggendo in questo loco stesso, 4046 4047 per un ch’io son, ne farò venir sette 4048 quand’ io suffolerò, com’ è nostro uso 4049 di fare allor che fori alcun si mette». 4050 4051 Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso, 4052 crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia 4053 ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!». 4054 4055 Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia, 4056 rispuose: «Malizioso son io troppo, 4057 quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia». 4058 4059 Alichin non si tenne e, di rintoppo 4060 a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali, 4061 io non ti verrò dietro di gualoppo, 4062 4063 ma batterò sovra la pece l’ali. 4064 Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo, 4065 a veder se tu sol più di noi vali». 4066 4067 O tu che leggi, udirai nuovo ludo: 4068 ciascun da l’altra costa li occhi volse, 4069 quel prima, ch’a ciò fare era più crudo. 4070 4071 Lo Navarrese ben suo tempo colse; 4072 fermò le piante a terra, e in un punto 4073 saltò e dal proposto lor si sciolse. 4074 4075 Di che ciascun di colpa fu compunto, 4076 ma quei più che cagion fu del difetto; 4077 però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!». 4078 4079 Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto 4080 non potero avanzar; quelli andò sotto, 4081 e quei drizzò volando suso il petto: 4082 4083 non altrimenti l’anitra di botto, 4084 quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa, 4085 ed ei ritorna sù crucciato e rotto. 4086 4087 Irato Calcabrina de la buffa, 4088 volando dietro li tenne, invaghito 4089 che quei campasse per aver la zuffa; 4090 4091 e come ’l barattier fu disparito, 4092 così volse li artigli al suo compagno, 4093 e fu con lui sopra ’l fosso ghermito. 4094 4095 Ma l’altro fu bene sparvier grifagno 4096 ad artigliar ben lui, e amendue 4097 cadder nel mezzo del bogliente stagno. 4098 4099 Lo caldo sghermitor sùbito fue; 4100 ma però di levarsi era neente, 4101 sì avieno inviscate l’ali sue. 4102 4103 Barbariccia, con li altri suoi dolente, 4104 quattro ne fé volar da l’altra costa 4105 con tutt’ i raffi, e assai prestamente 4106 4107 di qua, di là discesero a la posta; 4108 porser li uncini verso li ’mpaniati, 4109 ch’eran già cotti dentro da la crosta. 4110 4111 E noi lasciammo lor così ’mpacciati. 4112 4113 4114 4115 Inferno · Canto XXIII 4116 4117 4118 Taciti, soli, sanza compagnia 4119 n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo, 4120 come frati minor vanno per via. 4121 4122 Vòlt’ era in su la favola d’Isopo 4123 lo mio pensier per la presente rissa, 4124 dov’ el parlò de la rana e del topo; 4125 4126 ché più non si pareggia ‘mo’ e ‘issa’ 4127 che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia 4128 principio e fine con la mente fissa. 4129 4130 E come l’un pensier de l’altro scoppia, 4131 così nacque di quello un altro poi, 4132 che la prima paura mi fé doppia. 4133 4134 Io pensava così: ‘Questi per noi 4135 sono scherniti con danno e con beffa 4136 sì fatta, ch’assai credo che lor nòi. 4137 4138 Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa, 4139 ei ne verranno dietro più crudeli 4140 che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’. 4141 4142 Già mi sentia tutti arricciar li peli 4143 de la paura e stava in dietro intento, 4144 quand’ io dissi: «Maestro, se non celi 4145 4146 te e me tostamente, i’ ho pavento 4147 d’i Malebranche. Noi li avem già dietro; 4148 io li ’magino sì, che già li sento». 4149 4150 E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro, 4151 l’imagine di fuor tua non trarrei 4152 più tosto a me, che quella dentro ’mpetro. 4153 4154 Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei, 4155 con simile atto e con simile faccia, 4156 sì che d’intrambi un sol consiglio fei. 4157 4158 S’elli è che sì la destra costa giaccia, 4159 che noi possiam ne l’altra bolgia scendere, 4160 noi fuggirem l’imaginata caccia». 4161 4162 Già non compié di tal consiglio rendere, 4163 ch’io li vidi venir con l’ali tese 4164 non molto lungi, per volerne prendere. 4165 4166 Lo duca mio di sùbito mi prese, 4167 come la madre ch’al romore è desta 4168 e vede presso a sé le fiamme accese, 4169 4170 che prende il figlio e fugge e non s’arresta, 4171 avendo più di lui che di sé cura, 4172 tanto che solo una camiscia vesta; 4173 4174 e giù dal collo de la ripa dura 4175 supin si diede a la pendente roccia, 4176 che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura. 4177 4178 Non corse mai sì tosto acqua per doccia 4179 a volger ruota di molin terragno, 4180 quand’ ella più verso le pale approccia, 4181 4182 come ’l maestro mio per quel vivagno, 4183 portandosene me sovra ’l suo petto, 4184 come suo figlio, non come compagno. 4185 4186 A pena fuoro i piè suoi giunti al letto 4187 del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle 4188 sovresso noi; ma non lì era sospetto: 4189 4190 ché l’alta provedenza che lor volle 4191 porre ministri de la fossa quinta, 4192 poder di partirs’ indi a tutti tolle. 4193 4194 Là giù trovammo una gente dipinta 4195 che giva intorno assai con lenti passi, 4196 piangendo e nel sembiante stanca e vinta. 4197 4198 Elli avean cappe con cappucci bassi 4199 dinanzi a li occhi, fatte de la taglia 4200 che in Clugnì per li monaci fassi. 4201 4202 Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia; 4203 ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, 4204 che Federigo le mettea di paglia. 4205 4206 Oh in etterno faticoso manto! 4207 Noi ci volgemmo ancor pur a man manca 4208 con loro insieme, intenti al tristo pianto; 4209 4210 ma per lo peso quella gente stanca 4211 venìa sì pian, che noi eravam nuovi 4212 di compagnia ad ogne mover d’anca. 4213 4214 Per ch’io al duca mio: «Fa che tu trovi 4215 alcun ch’al fatto o al nome si conosca, 4216 e li occhi, sì andando, intorno movi». 4217 4218 E un che ’ntese la parola tosca, 4219 di retro a noi gridò: «Tenete i piedi, 4220 voi che correte sì per l’aura fosca! 4221 4222 Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi». 4223 Onde ’l duca si volse e disse: «Aspetta, 4224 e poi secondo il suo passo procedi». 4225 4226 Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta 4227 de l’animo, col viso, d’esser meco; 4228 ma tardavali ’l carco e la via stretta. 4229 4230 Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco 4231 mi rimiraron sanza far parola; 4232 poi si volsero in sé, e dicean seco: 4233 4234 «Costui par vivo a l’atto de la gola; 4235 e s’e’ son morti, per qual privilegio 4236 vanno scoperti de la grave stola?». 4237 4238 Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio 4239 de l’ipocriti tristi se’ venuto, 4240 dir chi tu se’ non avere in dispregio». 4241 4242 E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto 4243 sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa, 4244 e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto. 4245 4246 Ma voi chi siete, a cui tanto distilla 4247 quant’ i’ veggio dolor giù per le guance? 4248 e che pena è in voi che sì sfavilla?». 4249 4250 E l’un rispuose a me: «Le cappe rance 4251 son di piombo sì grosse, che li pesi 4252 fan così cigolar le lor bilance. 4253 4254 Frati godenti fummo, e bolognesi; 4255 io Catalano e questi Loderingo 4256 nomati, e da tua terra insieme presi 4257 4258 come suole esser tolto un uom solingo, 4259 per conservar sua pace; e fummo tali, 4260 ch’ancor si pare intorno dal Gardingo». 4261 4262 Io cominciai: «O frati, i vostri mali . . . »; 4263 ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse 4264 un, crucifisso in terra con tre pali. 4265 4266 Quando mi vide, tutto si distorse, 4267 soffiando ne la barba con sospiri; 4268 e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse, 4269 4270 mi disse: «Quel confitto che tu miri, 4271 consigliò i Farisei che convenia 4272 porre un uom per lo popolo a’ martìri. 4273 4274 Attraversato è, nudo, ne la via, 4275 come tu vedi, ed è mestier ch’el senta 4276 qualunque passa, come pesa, pria. 4277 4278 E a tal modo il socero si stenta 4279 in questa fossa, e li altri dal concilio 4280 che fu per li Giudei mala sementa». 4281 4282 Allor vid’ io maravigliar Virgilio 4283 sovra colui ch’era disteso in croce 4284 tanto vilmente ne l’etterno essilio. 4285 4286 Poscia drizzò al frate cotal voce: 4287 «Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci 4288 s’a la man destra giace alcuna foce 4289 4290 onde noi amendue possiamo uscirci, 4291 sanza costrigner de li angeli neri 4292 che vegnan d’esto fondo a dipartirci». 4293 4294 Rispuose adunque: «Più che tu non speri 4295 s’appressa un sasso che da la gran cerchia 4296 si move e varca tutt’ i vallon feri, 4297 4298 salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia; 4299 montar potrete su per la ruina, 4300 che giace in costa e nel fondo soperchia». 4301 4302 Lo duca stette un poco a testa china; 4303 poi disse: «Mal contava la bisogna 4304 colui che i peccator di qua uncina». 4305 4306 E ’l frate: «Io udi’ già dire a Bologna 4307 del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’ 4308 ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna». 4309 4310 Appresso il duca a gran passi sen gì, 4311 turbato un poco d’ira nel sembiante; 4312 ond’ io da li ’ncarcati mi parti’ 4313 4314 dietro a le poste de le care piante. 4315 4316 4317 4318 Inferno · Canto XXIV 4319 4320 4321 In quella parte del giovanetto anno 4322 che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra 4323 e già le notti al mezzo dì sen vanno, 4324 4325 quando la brina in su la terra assempra 4326 l’imagine di sua sorella bianca, 4327 ma poco dura a la sua penna tempra, 4328 4329 lo villanello a cui la roba manca, 4330 si leva, e guarda, e vede la campagna 4331 biancheggiar tutta; ond’ ei si batte l’anca, 4332 4333 ritorna in casa, e qua e là si lagna, 4334 come ’l tapin che non sa che si faccia; 4335 poi riede, e la speranza ringavagna, 4336 4337 veggendo ’l mondo aver cangiata faccia 4338 in poco d’ora, e prende suo vincastro 4339 e fuor le pecorelle a pascer caccia. 4340 4341 Così mi fece sbigottir lo mastro 4342 quand’ io li vidi sì turbar la fronte, 4343 e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro; 4344 4345 ché, come noi venimmo al guasto ponte, 4346 lo duca a me si volse con quel piglio 4347 dolce ch’io vidi prima a piè del monte. 4348 4349 Le braccia aperse, dopo alcun consiglio 4350 eletto seco riguardando prima 4351 ben la ruina, e diedemi di piglio. 4352 4353 E come quei ch’adopera ed estima, 4354 che sempre par che ’nnanzi si proveggia, 4355 così, levando me sù ver’ la cima 4356 4357 d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia 4358 dicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa; 4359 ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia». 4360 4361 Non era via da vestito di cappa, 4362 ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, 4363 potavam sù montar di chiappa in chiappa. 4364 4365 E se non fosse che da quel precinto 4366 più che da l’altro era la costa corta, 4367 non so di lui, ma io sarei ben vinto. 4368 4369 Ma perché Malebolge inver’ la porta 4370 del bassissimo pozzo tutta pende, 4371 lo sito di ciascuna valle porta 4372 4373 che l’una costa surge e l’altra scende; 4374 noi pur venimmo al fine in su la punta 4375 onde l’ultima pietra si scoscende. 4376 4377 La lena m’era del polmon sì munta 4378 quand’ io fui sù, ch’i’ non potea più oltre, 4379 anzi m’assisi ne la prima giunta. 4380 4381 «Omai convien che tu così ti spoltre», 4382 disse ’l maestro; «ché, seggendo in piuma, 4383 in fama non si vien, né sotto coltre; 4384 4385 sanza la qual chi sua vita consuma, 4386 cotal vestigio in terra di sé lascia, 4387 qual fummo in aere e in acqua la schiuma. 4388 4389 E però leva sù; vinci l’ambascia 4390 con l’animo che vince ogne battaglia, 4391 se col suo grave corpo non s’accascia. 4392 4393 Più lunga scala convien che si saglia; 4394 non basta da costoro esser partito. 4395 Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia». 4396 4397 Leva’mi allor, mostrandomi fornito 4398 meglio di lena ch’i’ non mi sentia, 4399 e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito». 4400 4401 Su per lo scoglio prendemmo la via, 4402 ch’era ronchioso, stretto e malagevole, 4403 ed erto più assai che quel di pria. 4404 4405 Parlando andava per non parer fievole; 4406 onde una voce uscì de l’altro fosso, 4407 a parole formar disconvenevole. 4408 4409 Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso 4410 fossi de l’arco già che varca quivi; 4411 ma chi parlava ad ire parea mosso. 4412 4413 Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi 4414 non poteano ire al fondo per lo scuro; 4415 per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi 4416 4417 da l’altro cinghio e dismontiam lo muro; 4418 ché, com’ i’ odo quinci e non intendo, 4419 così giù veggio e neente affiguro». 4420 4421 «Altra risposta», disse, «non ti rendo 4422 se non lo far; ché la dimanda onesta 4423 si de’ seguir con l’opera tacendo». 4424 4425 Noi discendemmo il ponte da la testa 4426 dove s’aggiugne con l’ottava ripa, 4427 e poi mi fu la bolgia manifesta: 4428 4429 e vidivi entro terribile stipa 4430 di serpenti, e di sì diversa mena 4431 che la memoria il sangue ancor mi scipa. 4432 4433 Più non si vanti Libia con sua rena; 4434 ché se chelidri, iaculi e faree 4435 produce, e cencri con anfisibena, 4436 4437 né tante pestilenzie né sì ree 4438 mostrò già mai con tutta l’Etïopia 4439 né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. 4440 4441 Tra questa cruda e tristissima copia 4442 corrëan genti nude e spaventate, 4443 sanza sperar pertugio o elitropia: 4444 4445 con serpi le man dietro avean legate; 4446 quelle ficcavan per le ren la coda 4447 e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate. 4448 4449 Ed ecco a un ch’era da nostra proda, 4450 s’avventò un serpente che ’l trafisse 4451 là dove ’l collo a le spalle s’annoda. 4452 4453 Né O sì tosto mai né I si scrisse, 4454 com’ el s’accese e arse, e cener tutto 4455 convenne che cascando divenisse; 4456 4457 e poi che fu a terra sì distrutto, 4458 la polver si raccolse per sé stessa 4459 e ’n quel medesmo ritornò di butto. 4460 4461 Così per li gran savi si confessa 4462 che la fenice more e poi rinasce, 4463 quando al cinquecentesimo anno appressa; 4464 4465 erba né biado in sua vita non pasce, 4466 ma sol d’incenso lagrime e d’amomo, 4467 e nardo e mirra son l’ultime fasce. 4468 4469 E qual è quel che cade, e non sa como, 4470 per forza di demon ch’a terra il tira, 4471 o d’altra oppilazion che lega l’omo, 4472 4473 quando si leva, che ’ntorno si mira 4474 tutto smarrito de la grande angoscia 4475 ch’elli ha sofferta, e guardando sospira: 4476 4477 tal era ’l peccator levato poscia. 4478 Oh potenza di Dio, quant’ è severa, 4479 che cotai colpi per vendetta croscia! 4480 4481 Lo duca il domandò poi chi ello era; 4482 per ch’ei rispuose: «Io piovvi di Toscana, 4483 poco tempo è, in questa gola fiera. 4484 4485 Vita bestial mi piacque e non umana, 4486 sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci 4487 bestia, e Pistoia mi fu degna tana». 4488 4489 E ïo al duca: «Dilli che non mucci, 4490 e domanda che colpa qua giù ’l pinse; 4491 ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci». 4492 4493 E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse, 4494 ma drizzò verso me l’animo e ’l volto, 4495 e di trista vergogna si dipinse; 4496 4497 poi disse: «Più mi duol che tu m’hai colto 4498 ne la miseria dove tu mi vedi, 4499 che quando fui de l’altra vita tolto. 4500 4501 Io non posso negar quel che tu chiedi; 4502 in giù son messo tanto perch’ io fui 4503 ladro a la sagrestia d’i belli arredi, 4504 4505 e falsamente già fu apposto altrui. 4506 Ma perché di tal vista tu non godi, 4507 se mai sarai di fuor da’ luoghi bui, 4508 4509 apri li orecchi al mio annunzio, e odi. 4510 Pistoia in pria d’i Neri si dimagra; 4511 poi Fiorenza rinova gente e modi. 4512 4513 Tragge Marte vapor di Val di Magra 4514 ch’è di torbidi nuvoli involuto; 4515 e con tempesta impetüosa e agra 4516 4517 sovra Campo Picen fia combattuto; 4518 ond’ ei repente spezzerà la nebbia, 4519 sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto. 4520 4521 E detto l’ho perché doler ti debbia!». 4522 4523 4524 4525 Inferno · Canto XXV 4526 4527 4528 Al fine de le sue parole il ladro 4529 le mani alzò con amendue le fiche, 4530 gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!». 4531 4532 Da indi in qua mi fuor le serpi amiche, 4533 perch’ una li s’avvolse allora al collo, 4534 come dicesse ‘Non vo’ che più diche’; 4535 4536 e un’altra a le braccia, e rilegollo, 4537 ribadendo sé stessa sì dinanzi, 4538 che non potea con esse dare un crollo. 4539 4540 Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi 4541 d’incenerarti sì che più non duri, 4542 poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi? 4543 4544 Per tutt’ i cerchi de lo ’nferno scuri 4545 non vidi spirto in Dio tanto superbo, 4546 non quel che cadde a Tebe giù da’ muri. 4547 4548 El si fuggì che non parlò più verbo; 4549 e io vidi un centauro pien di rabbia 4550 venir chiamando: «Ov’ è, ov’ è l’acerbo?». 4551 4552 Maremma non cred’ io che tante n’abbia, 4553 quante bisce elli avea su per la groppa 4554 infin ove comincia nostra labbia. 4555 4556 Sovra le spalle, dietro da la coppa, 4557 con l’ali aperte li giacea un draco; 4558 e quello affuoca qualunque s’intoppa. 4559 4560 Lo mio maestro disse: «Questi è Caco, 4561 che, sotto ’l sasso di monte Aventino, 4562 di sangue fece spesse volte laco. 4563 4564 Non va co’ suoi fratei per un cammino, 4565 per lo furto che frodolente fece 4566 del grande armento ch’elli ebbe a vicino; 4567 4568 onde cessar le sue opere biece 4569 sotto la mazza d’Ercule, che forse 4570 gliene diè cento, e non sentì le diece». 4571 4572 Mentre che sì parlava, ed el trascorse, 4573 e tre spiriti venner sotto noi, 4574 de’ quai né io né ’l duca mio s’accorse, 4575 4576 se non quando gridar: «Chi siete voi?»; 4577 per che nostra novella si ristette, 4578 e intendemmo pur ad essi poi. 4579 4580 Io non li conoscea; ma ei seguette, 4581 come suol seguitar per alcun caso, 4582 che l’un nomar un altro convenette, 4583 4584 dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»; 4585 per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento, 4586 mi puosi ’l dito su dal mento al naso. 4587 4588 Se tu se’ or, lettore, a creder lento 4589 ciò ch’io dirò, non sarà maraviglia, 4590 ché io che ’l vidi, a pena il mi consento. 4591 4592 Com’ io tenea levate in lor le ciglia, 4593 e un serpente con sei piè si lancia 4594 dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia. 4595 4596 Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia 4597 e con li anterïor le braccia prese; 4598 poi li addentò e l’una e l’altra guancia; 4599 4600 li diretani a le cosce distese, 4601 e miseli la coda tra ’mbedue 4602 e dietro per le ren sù la ritese. 4603 4604 Ellera abbarbicata mai non fue 4605 ad alber sì, come l’orribil fiera 4606 per l’altrui membra avviticchiò le sue. 4607 4608 Poi s’appiccar, come di calda cera 4609 fossero stati, e mischiar lor colore, 4610 né l’un né l’altro già parea quel ch’era: 4611 4612 come procede innanzi da l’ardore, 4613 per lo papiro suso, un color bruno 4614 che non è nero ancora e ’l bianco more. 4615 4616 Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno 4617 gridava: «Omè, Agnel, come ti muti! 4618 Vedi che già non se’ né due né uno». 4619 4620 Già eran li due capi un divenuti, 4621 quando n’apparver due figure miste 4622 in una faccia, ov’ eran due perduti. 4623 4624 Fersi le braccia due di quattro liste; 4625 le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso 4626 divenner membra che non fuor mai viste. 4627 4628 Ogne primaio aspetto ivi era casso: 4629 due e nessun l’imagine perversa 4630 parea; e tal sen gio con lento passo. 4631 4632 Come ’l ramarro sotto la gran fersa 4633 dei dì canicular, cangiando sepe, 4634 folgore par se la via attraversa, 4635 4636 sì pareva, venendo verso l’epe 4637 de li altri due, un serpentello acceso, 4638 livido e nero come gran di pepe; 4639 4640 e quella parte onde prima è preso 4641 nostro alimento, a l’un di lor trafisse; 4642 poi cadde giuso innanzi lui disteso. 4643 4644 Lo trafitto ’l mirò, ma nulla disse; 4645 anzi, co’ piè fermati, sbadigliava 4646 pur come sonno o febbre l’assalisse. 4647 4648 Elli ’l serpente e quei lui riguardava; 4649 l’un per la piaga e l’altro per la bocca 4650 fummavan forte, e ’l fummo si scontrava. 4651 4652 Taccia Lucano ormai là dov’ e’ tocca 4653 del misero Sabello e di Nasidio, 4654 e attenda a udir quel ch’or si scocca. 4655 4656 Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio, 4657 ché se quello in serpente e quella in fonte 4658 converte poetando, io non lo ’nvidio; 4659 4660 ché due nature mai a fronte a fronte 4661 non trasmutò sì ch’amendue le forme 4662 a cambiar lor matera fosser pronte. 4663 4664 Insieme si rispuosero a tai norme, 4665 che ’l serpente la coda in forca fesse, 4666 e ’l feruto ristrinse insieme l’orme. 4667 4668 Le gambe con le cosce seco stesse 4669 s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura 4670 non facea segno alcun che si paresse. 4671 4672 Togliea la coda fessa la figura 4673 che si perdeva là, e la sua pelle 4674 si facea molle, e quella di là dura. 4675 4676 Io vidi intrar le braccia per l’ascelle, 4677 e i due piè de la fiera, ch’eran corti, 4678 tanto allungar quanto accorciavan quelle. 4679 4680 Poscia li piè di rietro, insieme attorti, 4681 diventaron lo membro che l’uom cela, 4682 e ’l misero del suo n’avea due porti. 4683 4684 Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela 4685 di color novo, e genera ’l pel suso 4686 per l’una parte e da l’altra il dipela, 4687 4688 l’un si levò e l’altro cadde giuso, 4689 non torcendo però le lucerne empie, 4690 sotto le quai ciascun cambiava muso. 4691 4692 Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie, 4693 e di troppa matera ch’in là venne 4694 uscir li orecchi de le gote scempie; 4695 4696 ciò che non corse in dietro e si ritenne 4697 di quel soverchio, fé naso a la faccia 4698 e le labbra ingrossò quanto convenne. 4699 4700 Quel che giacëa, il muso innanzi caccia, 4701 e li orecchi ritira per la testa 4702 come face le corna la lumaccia; 4703 4704 e la lingua, ch’avëa unita e presta 4705 prima a parlar, si fende, e la forcuta 4706 ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta. 4707 4708 L’anima ch’era fiera divenuta, 4709 suffolando si fugge per la valle, 4710 e l’altro dietro a lui parlando sputa. 4711 4712 Poscia li volse le novelle spalle, 4713 e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra, 4714 com’ ho fatt’ io, carpon per questo calle». 4715 4716 Così vid’ io la settima zavorra 4717 mutare e trasmutare; e qui mi scusi 4718 la novità se fior la penna abborra. 4719 4720 E avvegna che li occhi miei confusi 4721 fossero alquanto e l’animo smagato, 4722 non poter quei fuggirsi tanto chiusi, 4723 4724 ch’i’ non scorgessi ben Puccio Sciancato; 4725 ed era quel che sol, di tre compagni 4726 che venner prima, non era mutato; 4727 4728 l’altr’ era quel che tu, Gaville, piagni. 4729 4730 4731 4732 Inferno · Canto XXVI 4733 4734 4735 Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande 4736 che per mare e per terra batti l’ali, 4737 e per lo ’nferno tuo nome si spande! 4738 4739 Tra li ladron trovai cinque cotali 4740 tuoi cittadini onde mi ven vergogna, 4741 e tu in grande orranza non ne sali. 4742 4743 Ma se presso al mattin del ver si sogna, 4744 tu sentirai, di qua da picciol tempo, 4745 di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. 4746 4747 E se già fosse, non saria per tempo. 4748 Così foss’ ei, da che pur esser dee! 4749 ché più mi graverà, com’ più m’attempo. 4750 4751 Noi ci partimmo, e su per le scalee 4752 che n’avea fatto iborni a scender pria, 4753 rimontò ’l duca mio e trasse mee; 4754 4755 e proseguendo la solinga via, 4756 tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio 4757 lo piè sanza la man non si spedia. 4758 4759 Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio 4760 quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, 4761 e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, 4762 4763 perché non corra che virtù nol guidi; 4764 sì che, se stella bona o miglior cosa 4765 m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. 4766 4767 Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, 4768 nel tempo che colui che ’l mondo schiara 4769 la faccia sua a noi tien meno ascosa, 4770 4771 come la mosca cede a la zanzara, 4772 vede lucciole giù per la vallea, 4773 forse colà dov’ e’ vendemmia e ara: 4774 4775 di tante fiamme tutta risplendea 4776 l’ottava bolgia, sì com’ io m’accorsi 4777 tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. 4778 4779 E qual colui che si vengiò con li orsi 4780 vide ’l carro d’Elia al dipartire, 4781 quando i cavalli al cielo erti levorsi, 4782 4783 che nol potea sì con li occhi seguire, 4784 ch’el vedesse altro che la fiamma sola, 4785 sì come nuvoletta, in sù salire: 4786 4787 tal si move ciascuna per la gola 4788 del fosso, ché nessuna mostra ’l furto, 4789 e ogne fiamma un peccatore invola. 4790 4791 Io stava sovra ’l ponte a veder surto, 4792 sì che s’io non avessi un ronchion preso, 4793 caduto sarei giù sanz’ esser urto. 4794 4795 E ’l duca che mi vide tanto atteso, 4796 disse: «Dentro dai fuochi son li spirti; 4797 catun si fascia di quel ch’elli è inceso». 4798 4799 «Maestro mio», rispuos’ io, «per udirti 4800 son io più certo; ma già m’era avviso 4801 che così fosse, e già voleva dirti: 4802 4803 chi è ’n quel foco che vien sì diviso 4804 di sopra, che par surger de la pira 4805 dov’ Eteòcle col fratel fu miso?». 4806 4807 Rispuose a me: «Là dentro si martira 4808 Ulisse e Dïomede, e così insieme 4809 a la vendetta vanno come a l’ira; 4810 4811 e dentro da la lor fiamma si geme 4812 l’agguato del caval che fé la porta 4813 onde uscì de’ Romani il gentil seme. 4814 4815 Piangevisi entro l’arte per che, morta, 4816 Deïdamìa ancor si duol d’Achille, 4817 e del Palladio pena vi si porta». 4818 4819 «S’ei posson dentro da quelle faville 4820 parlar», diss’ io, «maestro, assai ten priego 4821 e ripriego, che ’l priego vaglia mille, 4822 4823 che non mi facci de l’attender niego 4824 fin che la fiamma cornuta qua vegna; 4825 vedi che del disio ver’ lei mi piego!». 4826 4827 Ed elli a me: «La tua preghiera è degna 4828 di molta loda, e io però l’accetto; 4829 ma fa che la tua lingua si sostegna. 4830 4831 Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto 4832 ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi, 4833 perch’ e’ fuor greci, forse del tuo detto». 4834 4835 Poi che la fiamma fu venuta quivi 4836 dove parve al mio duca tempo e loco, 4837 in questa forma lui parlare audivi: 4838 4839 «O voi che siete due dentro ad un foco, 4840 s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, 4841 s’io meritai di voi assai o poco 4842 4843 quando nel mondo li alti versi scrissi, 4844 non vi movete; ma l’un di voi dica 4845 dove, per lui, perduto a morir gissi». 4846 4847 Lo maggior corno de la fiamma antica 4848 cominciò a crollarsi mormorando, 4849 pur come quella cui vento affatica; 4850 4851 indi la cima qua e là menando, 4852 come fosse la lingua che parlasse, 4853 gittò voce di fuori e disse: «Quando 4854 4855 mi diparti’ da Circe, che sottrasse 4856 me più d’un anno là presso a Gaeta, 4857 prima che sì Enëa la nomasse, 4858 4859 né dolcezza di figlio, né la pieta 4860 del vecchio padre, né ’l debito amore 4861 lo qual dovea Penelopè far lieta, 4862 4863 vincer potero dentro a me l’ardore 4864 ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto 4865 e de li vizi umani e del valore; 4866 4867 ma misi me per l’alto mare aperto 4868 sol con un legno e con quella compagna 4869 picciola da la qual non fui diserto. 4870 4871 L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, 4872 fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, 4873 e l’altre che quel mare intorno bagna. 4874 4875 Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi 4876 quando venimmo a quella foce stretta 4877 dov’ Ercule segnò li suoi riguardi 4878 4879 acciò che l’uom più oltre non si metta; 4880 da la man destra mi lasciai Sibilia, 4881 da l’altra già m’avea lasciata Setta. 4882 4883 “O frati”, dissi “che per cento milia 4884 perigli siete giunti a l’occidente, 4885 a questa tanto picciola vigilia 4886 4887 d’i nostri sensi ch’è del rimanente 4888 non vogliate negar l’esperïenza, 4889 di retro al sol, del mondo sanza gente. 4890 4891 Considerate la vostra semenza: 4892 fatti non foste a viver come bruti, 4893 ma per seguir virtute e canoscenza”. 4894 4895 Li miei compagni fec’ io sì aguti, 4896 con questa orazion picciola, al cammino, 4897 che a pena poscia li avrei ritenuti; 4898 4899 e volta nostra poppa nel mattino, 4900 de’ remi facemmo ali al folle volo, 4901 sempre acquistando dal lato mancino. 4902 4903 Tutte le stelle già de l’altro polo 4904 vedea la notte, e ’l nostro tanto basso, 4905 che non surgëa fuor del marin suolo. 4906 4907 Cinque volte racceso e tante casso 4908 lo lume era di sotto da la luna, 4909 poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, 4910 4911 quando n’apparve una montagna, bruna 4912 per la distanza, e parvemi alta tanto 4913 quanto veduta non avëa alcuna. 4914 4915 Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; 4916 ché de la nova terra un turbo nacque 4917 e percosse del legno il primo canto. 4918 4919 Tre volte il fé girar con tutte l’acque; 4920 a la quarta levar la poppa in suso 4921 e la prora ire in giù, com’ altrui piacque, 4922 4923 infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». 4924 4925 4926 4927 Inferno · Canto XXVII 4928 4929 4930 Già era dritta in sù la fiamma e queta 4931 per non dir più, e già da noi sen gia 4932 con la licenza del dolce poeta, 4933 4934 quand’ un’altra, che dietro a lei venìa, 4935 ne fece volger li occhi a la sua cima 4936 per un confuso suon che fuor n’uscia. 4937 4938 Come ’l bue cicilian che mugghiò prima 4939 col pianto di colui, e ciò fu dritto, 4940 che l’avea temperato con sua lima, 4941 4942 mugghiava con la voce de l’afflitto, 4943 sì che, con tutto che fosse di rame, 4944 pur el pareva dal dolor trafitto; 4945 4946 così, per non aver via né forame 4947 dal principio nel foco, in suo linguaggio 4948 si convertïan le parole grame. 4949 4950 Ma poscia ch’ebber colto lor vïaggio 4951 su per la punta, dandole quel guizzo 4952 che dato avea la lingua in lor passaggio, 4953 4954 udimmo dire: «O tu a cu’ io drizzo 4955 la voce e che parlavi mo lombardo, 4956 dicendo “Istra ten va, più non t’adizzo”, 4957 4958 perch’ io sia giunto forse alquanto tardo, 4959 non t’incresca restare a parlar meco; 4960 vedi che non incresce a me, e ardo! 4961 4962 Se tu pur mo in questo mondo cieco 4963 caduto se’ di quella dolce terra 4964 latina ond’ io mia colpa tutta reco, 4965 4966 dimmi se Romagnuoli han pace o guerra; 4967 ch’io fui d’i monti là intra Orbino 4968 e ’l giogo di che Tever si diserra». 4969 4970 Io era in giuso ancora attento e chino, 4971 quando il mio duca mi tentò di costa, 4972 dicendo: «Parla tu; questi è latino». 4973 4974 E io, ch’avea già pronta la risposta, 4975 sanza indugio a parlare incominciai: 4976 «O anima che se’ là giù nascosta, 4977 4978 Romagna tua non è, e non fu mai, 4979 sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni; 4980 ma ’n palese nessuna or vi lasciai. 4981 4982 Ravenna sta come stata è molt’ anni: 4983 l’aguglia da Polenta la si cova, 4984 sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni. 4985 4986 La terra che fé già la lunga prova 4987 e di Franceschi sanguinoso mucchio, 4988 sotto le branche verdi si ritrova. 4989 4990 E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio, 4991 che fecer di Montagna il mal governo, 4992 là dove soglion fan d’i denti succhio. 4993 4994 Le città di Lamone e di Santerno 4995 conduce il lïoncel dal nido bianco, 4996 che muta parte da la state al verno. 4997 4998 E quella cu’ il Savio bagna il fianco, 4999 così com’ ella sie’ tra ’l piano e ’l monte, 5000 tra tirannia si vive e stato franco. 5001 5002 Ora chi se’, ti priego che ne conte; 5003 non esser duro più ch’altri sia stato, 5004 se ’l nome tuo nel mondo tegna fronte». 5005 5006 Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato 5007 al modo suo, l’aguta punta mosse 5008 di qua, di là, e poi diè cotal fiato: 5009 5010 «S’i’ credesse che mia risposta fosse 5011 a persona che mai tornasse al mondo, 5012 questa fiamma staria sanza più scosse; 5013 5014 ma però che già mai di questo fondo 5015 non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero, 5016 sanza tema d’infamia ti rispondo. 5017 5018 Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero, 5019 credendomi, sì cinto, fare ammenda; 5020 e certo il creder mio venìa intero, 5021 5022 se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!, 5023 che mi rimise ne le prime colpe; 5024 e come e quare, voglio che m’intenda. 5025 5026 Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe 5027 che la madre mi diè, l’opere mie 5028 non furon leonine, ma di volpe. 5029 5030 Li accorgimenti e le coperte vie 5031 io seppi tutte, e sì menai lor arte, 5032 ch’al fine de la terra il suono uscie. 5033 5034 Quando mi vidi giunto in quella parte 5035 di mia etade ove ciascun dovrebbe 5036 calar le vele e raccoglier le sarte, 5037 5038 ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe, 5039 e pentuto e confesso mi rendei; 5040 ahi miser lasso! e giovato sarebbe. 5041 5042 Lo principe d’i novi Farisei, 5043 avendo guerra presso a Laterano, 5044 e non con Saracin né con Giudei, 5045 5046 ché ciascun suo nimico era cristiano, 5047 e nessun era stato a vincer Acri 5048 né mercatante in terra di Soldano, 5049 5050 né sommo officio né ordini sacri 5051 guardò in sé, né in me quel capestro 5052 che solea fare i suoi cinti più macri. 5053 5054 Ma come Costantin chiese Silvestro 5055 d’entro Siratti a guerir de la lebbre, 5056 così mi chiese questi per maestro 5057 5058 a guerir de la sua superba febbre; 5059 domandommi consiglio, e io tacetti 5060 perché le sue parole parver ebbre. 5061 5062 E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti; 5063 finor t’assolvo, e tu m’insegna fare 5064 sì come Penestrino in terra getti. 5065 5066 Lo ciel poss’ io serrare e diserrare, 5067 come tu sai; però son due le chiavi 5068 che ’l mio antecessor non ebbe care”. 5069 5070 Allor mi pinser li argomenti gravi 5071 là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio, 5072 e dissi: “Padre, da che tu mi lavi 5073 5074 di quel peccato ov’ io mo cader deggio, 5075 lunga promessa con l’attender corto 5076 ti farà trïunfar ne l’alto seggio”. 5077 5078 Francesco venne poi, com’ io fu’ morto, 5079 per me; ma un d’i neri cherubini 5080 li disse: “Non portar: non mi far torto. 5081 5082 Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini 5083 perché diede ’l consiglio frodolente, 5084 dal quale in qua stato li sono a’ crini; 5085 5086 ch’assolver non si può chi non si pente, 5087 né pentere e volere insieme puossi 5088 per la contradizion che nol consente”. 5089 5090 Oh me dolente! come mi riscossi 5091 quando mi prese dicendomi: “Forse 5092 tu non pensavi ch’io löico fossi!”. 5093 5094 A Minòs mi portò; e quelli attorse 5095 otto volte la coda al dosso duro; 5096 e poi che per gran rabbia la si morse, 5097 5098 disse: “Questi è d’i rei del foco furo”; 5099 per ch’io là dove vedi son perduto, 5100 e sì vestito, andando, mi rancuro». 5101 5102 Quand’ elli ebbe ’l suo dir così compiuto, 5103 la fiamma dolorando si partio, 5104 torcendo e dibattendo ’l corno aguto. 5105 5106 Noi passamm’ oltre, e io e ’l duca mio, 5107 su per lo scoglio infino in su l’altr’ arco 5108 che cuopre ’l fosso in che si paga il fio 5109 5110 a quei che scommettendo acquistan carco. 5111 5112 5113 5114 Inferno · Canto XXVIII 5115 5116 5117 Chi poria mai pur con parole sciolte 5118 dicer del sangue e de le piaghe a pieno 5119 ch’i’ ora vidi, per narrar più volte? 5120 5121 Ogne lingua per certo verria meno 5122 per lo nostro sermone e per la mente 5123 c’hanno a tanto comprender poco seno. 5124 5125 S’el s’aunasse ancor tutta la gente 5126 che già, in su la fortunata terra 5127 di Puglia, fu del suo sangue dolente 5128 5129 per li Troiani e per la lunga guerra 5130 che de l’anella fé sì alte spoglie, 5131 come Livïo scrive, che non erra, 5132 5133 con quella che sentio di colpi doglie 5134 per contastare a Ruberto Guiscardo; 5135 e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie 5136 5137 a Ceperan, là dove fu bugiardo 5138 ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo, 5139 dove sanz’ arme vinse il vecchio Alardo; 5140 5141 e qual forato suo membro e qual mozzo 5142 mostrasse, d’aequar sarebbe nulla 5143 il modo de la nona bolgia sozzo. 5144 5145 Già veggia, per mezzul perdere o lulla, 5146 com’ io vidi un, così non si pertugia, 5147 rotto dal mento infin dove si trulla. 5148 5149 Tra le gambe pendevan le minugia; 5150 la corata pareva e ’l tristo sacco 5151 che merda fa di quel che si trangugia. 5152 5153 Mentre che tutto in lui veder m’attacco, 5154 guardommi e con le man s’aperse il petto, 5155 dicendo: «Or vedi com’ io mi dilacco! 5156 5157 vedi come storpiato è Mäometto! 5158 Dinanzi a me sen va piangendo Alì, 5159 fesso nel volto dal mento al ciuffetto. 5160 5161 E tutti li altri che tu vedi qui, 5162 seminator di scandalo e di scisma 5163 fuor vivi, e però son fessi così. 5164 5165 Un diavolo è qua dietro che n’accisma 5166 sì crudelmente, al taglio de la spada 5167 rimettendo ciascun di questa risma, 5168 5169 quand’ avem volta la dolente strada; 5170 però che le ferite son richiuse 5171 prima ch’altri dinanzi li rivada. 5172 5173 Ma tu chi se’ che ’n su lo scoglio muse, 5174 forse per indugiar d’ire a la pena 5175 ch’è giudicata in su le tue accuse?». 5176 5177 «Né morte ’l giunse ancor, né colpa ’l mena», 5178 rispuose ’l mio maestro, «a tormentarlo; 5179 ma per dar lui esperïenza piena, 5180 5181 a me, che morto son, convien menarlo 5182 per lo ’nferno qua giù di giro in giro; 5183 e quest’ è ver così com’ io ti parlo». 5184 5185 Più fuor di cento che, quando l’udiro, 5186 s’arrestaron nel fosso a riguardarmi 5187 per maraviglia, oblïando il martiro. 5188 5189 «Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi, 5190 tu che forse vedra’ il sole in breve, 5191 s’ello non vuol qui tosto seguitarmi, 5192 5193 sì di vivanda, che stretta di neve 5194 non rechi la vittoria al Noarese, 5195 ch’altrimenti acquistar non saria leve». 5196 5197 Poi che l’un piè per girsene sospese, 5198 Mäometto mi disse esta parola; 5199 indi a partirsi in terra lo distese. 5200 5201 Un altro, che forata avea la gola 5202 e tronco ’l naso infin sotto le ciglia, 5203 e non avea mai ch’una orecchia sola, 5204 5205 ristato a riguardar per maraviglia 5206 con li altri, innanzi a li altri aprì la canna, 5207 ch’era di fuor d’ogne parte vermiglia, 5208 5209 e disse: «O tu cui colpa non condanna 5210 e cu’ io vidi su in terra latina, 5211 se troppa simiglianza non m’inganna, 5212 5213 rimembriti di Pier da Medicina, 5214 se mai torni a veder lo dolce piano 5215 che da Vercelli a Marcabò dichina. 5216 5217 E fa saper a’ due miglior da Fano, 5218 a messer Guido e anco ad Angiolello, 5219 che, se l’antiveder qui non è vano, 5220 5221 gittati saran fuor di lor vasello 5222 e mazzerati presso a la Cattolica 5223 per tradimento d’un tiranno fello. 5224 5225 Tra l’isola di Cipri e di Maiolica 5226 non vide mai sì gran fallo Nettuno, 5227 non da pirate, non da gente argolica. 5228 5229 Quel traditor che vede pur con l’uno, 5230 e tien la terra che tale qui meco 5231 vorrebbe di vedere esser digiuno, 5232 5233 farà venirli a parlamento seco; 5234 poi farà sì, ch’al vento di Focara 5235 non sarà lor mestier voto né preco». 5236 5237 E io a lui: «Dimostrami e dichiara, 5238 se vuo’ ch’i’ porti sù di te novella, 5239 chi è colui da la veduta amara». 5240 5241 Allor puose la mano a la mascella 5242 d’un suo compagno e la bocca li aperse, 5243 gridando: «Questi è desso, e non favella. 5244 5245 Questi, scacciato, il dubitar sommerse 5246 in Cesare, affermando che ’l fornito 5247 sempre con danno l’attender sofferse». 5248 5249 Oh quanto mi pareva sbigottito 5250 con la lingua tagliata ne la strozza 5251 Curïo, ch’a dir fu così ardito! 5252 5253 E un ch’avea l’una e l’altra man mozza, 5254 levando i moncherin per l’aura fosca, 5255 sì che ’l sangue facea la faccia sozza, 5256 5257 gridò: «Ricordera’ti anche del Mosca, 5258 che disse, lasso!, “Capo ha cosa fatta”, 5259 che fu mal seme per la gente tosca». 5260 5261 E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»; 5262 per ch’elli, accumulando duol con duolo, 5263 sen gio come persona trista e matta. 5264 5265 Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, 5266 e vidi cosa ch’io avrei paura, 5267 sanza più prova, di contarla solo; 5268 5269 se non che coscïenza m’assicura, 5270 la buona compagnia che l’uom francheggia 5271 sotto l’asbergo del sentirsi pura. 5272 5273 Io vidi certo, e ancor par ch’io ’l veggia, 5274 un busto sanza capo andar sì come 5275 andavan li altri de la trista greggia; 5276 5277 e ’l capo tronco tenea per le chiome, 5278 pesol con mano a guisa di lanterna: 5279 e quel mirava noi e dicea: «Oh me!». 5280 5281 Di sé facea a sé stesso lucerna, 5282 ed eran due in uno e uno in due; 5283 com’ esser può, quei sa che sì governa. 5284 5285 Quando diritto al piè del ponte fue, 5286 levò ’l braccio alto con tutta la testa 5287 per appressarne le parole sue, 5288 5289 che fuoro: «Or vedi la pena molesta, 5290 tu che, spirando, vai veggendo i morti: 5291 vedi s’alcuna è grande come questa. 5292 5293 E perché tu di me novella porti, 5294 sappi ch’i’ son Bertram dal Bornio, quelli 5295 che diedi al re giovane i ma’ conforti. 5296 5297 Io feci il padre e ’l figlio in sé ribelli; 5298 Achitofèl non fé più d’Absalone 5299 e di Davìd coi malvagi punzelli. 5300 5301 Perch’ io parti’ così giunte persone, 5302 partito porto il mio cerebro, lasso!, 5303 dal suo principio ch’è in questo troncone. 5304 5305 Così s’osserva in me lo contrapasso». 5306 5307 5308 5309 Inferno · Canto XXIX 5310 5311 5312 La molta gente e le diverse piaghe 5313 avean le luci mie sì inebrïate, 5314 che de lo stare a piangere eran vaghe. 5315 5316 Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate? 5317 perché la vista tua pur si soffolge 5318 là giù tra l’ombre triste smozzicate? 5319 5320 Tu non hai fatto sì a l’altre bolge; 5321 pensa, se tu annoverar le credi, 5322 che miglia ventidue la valle volge. 5323 5324 E già la luna è sotto i nostri piedi; 5325 lo tempo è poco omai che n’è concesso, 5326 e altro è da veder che tu non vedi». 5327 5328 «Se tu avessi», rispuos’ io appresso, 5329 «atteso a la cagion per ch’io guardava, 5330 forse m’avresti ancor lo star dimesso». 5331 5332 Parte sen giva, e io retro li andava, 5333 lo duca, già faccendo la risposta, 5334 e soggiugnendo: «Dentro a quella cava 5335 5336 dov’ io tenea or li occhi sì a posta, 5337 credo ch’un spirto del mio sangue pianga 5338 la colpa che là giù cotanto costa». 5339 5340 Allor disse ’l maestro: «Non si franga 5341 lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ ello. 5342 Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; 5343 5344 ch’io vidi lui a piè del ponticello 5345 mostrarti e minacciar forte col dito, 5346 e udi’ ’l nominar Geri del Bello. 5347 5348 Tu eri allor sì del tutto impedito 5349 sovra colui che già tenne Altaforte, 5350 che non guardasti in là, sì fu partito». 5351 5352 «O duca mio, la vïolenta morte 5353 che non li è vendicata ancor», diss’ io, 5354 «per alcun che de l’onta sia consorte, 5355 5356 fece lui disdegnoso; ond’ el sen gio 5357 sanza parlarmi, sì com’ ïo estimo: 5358 e in ciò m’ha el fatto a sé più pio». 5359 5360 Così parlammo infino al loco primo 5361 che de lo scoglio l’altra valle mostra, 5362 se più lume vi fosse, tutto ad imo. 5363 5364 Quando noi fummo sor l’ultima chiostra 5365 di Malebolge, sì che i suoi conversi 5366 potean parere a la veduta nostra, 5367 5368 lamenti saettaron me diversi, 5369 che di pietà ferrati avean li strali; 5370 ond’ io li orecchi con le man copersi. 5371 5372 Qual dolor fora, se de li spedali 5373 di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre 5374 e di Maremma e di Sardigna i mali 5375 5376 fossero in una fossa tutti ’nsembre, 5377 tal era quivi, e tal puzzo n’usciva 5378 qual suol venir de le marcite membre. 5379 5380 Noi discendemmo in su l’ultima riva 5381 del lungo scoglio, pur da man sinistra; 5382 e allor fu la mia vista più viva 5383 5384 giù ver’ lo fondo, la ’ve la ministra 5385 de l’alto Sire infallibil giustizia 5386 punisce i falsador che qui registra. 5387 5388 Non credo ch’a veder maggior tristizia 5389 fosse in Egina il popol tutto infermo, 5390 quando fu l’aere sì pien di malizia, 5391 5392 che li animali, infino al picciol vermo, 5393 cascaron tutti, e poi le genti antiche, 5394 secondo che i poeti hanno per fermo, 5395 5396 si ristorar di seme di formiche; 5397 ch’era a veder per quella oscura valle 5398 languir li spirti per diverse biche. 5399 5400 Qual sovra ’l ventre e qual sovra le spalle 5401 l’un de l’altro giacea, e qual carpone 5402 si trasmutava per lo tristo calle. 5403 5404 Passo passo andavam sanza sermone, 5405 guardando e ascoltando li ammalati, 5406 che non potean levar le lor persone. 5407 5408 Io vidi due sedere a sé poggiati, 5409 com’ a scaldar si poggia tegghia a tegghia, 5410 dal capo al piè di schianze macolati; 5411 5412 e non vidi già mai menare stregghia 5413 a ragazzo aspettato dal segnorso, 5414 né a colui che mal volontier vegghia, 5415 5416 come ciascun menava spesso il morso 5417 de l’unghie sopra sé per la gran rabbia 5418 del pizzicor, che non ha più soccorso; 5419 5420 e sì traevan giù l’unghie la scabbia, 5421 come coltel di scardova le scaglie 5422 o d’altro pesce che più larghe l’abbia. 5423 5424 «O tu che con le dita ti dismaglie», 5425 cominciò ’l duca mio a l’un di loro, 5426 «e che fai d’esse talvolta tanaglie, 5427 5428 dinne s’alcun Latino è tra costoro 5429 che son quinc’ entro, se l’unghia ti basti 5430 etternalmente a cotesto lavoro». 5431 5432 «Latin siam noi, che tu vedi sì guasti 5433 qui ambedue», rispuose l’un piangendo; 5434 «ma tu chi se’ che di noi dimandasti?». 5435 5436 E ’l duca disse: «I’ son un che discendo 5437 con questo vivo giù di balzo in balzo, 5438 e di mostrar lo ’nferno a lui intendo». 5439 5440 Allor si ruppe lo comun rincalzo; 5441 e tremando ciascuno a me si volse 5442 con altri che l’udiron di rimbalzo. 5443 5444 Lo buon maestro a me tutto s’accolse, 5445 dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»; 5446 e io incominciai, poscia ch’ei volse: 5447 5448 «Se la vostra memoria non s’imboli 5449 nel primo mondo da l’umane menti, 5450 ma s’ella viva sotto molti soli, 5451 5452 ditemi chi voi siete e di che genti; 5453 la vostra sconcia e fastidiosa pena 5454 di palesarvi a me non vi spaventi». 5455 5456 «Io fui d’Arezzo, e Albero da Siena», 5457 rispuose l’un, «mi fé mettere al foco; 5458 ma quel per ch’io mori’ qui non mi mena. 5459 5460 Vero è ch’i’ dissi lui, parlando a gioco: 5461 “I’ mi saprei levar per l’aere a volo”; 5462 e quei, ch’avea vaghezza e senno poco, 5463 5464 volle ch’i’ li mostrassi l’arte; e solo 5465 perch’ io nol feci Dedalo, mi fece 5466 ardere a tal che l’avea per figliuolo. 5467 5468 Ma ne l’ultima bolgia de le diece 5469 me per l’alchìmia che nel mondo usai 5470 dannò Minòs, a cui fallar non lece». 5471 5472 E io dissi al poeta: «Or fu già mai 5473 gente sì vana come la sanese? 5474 Certo non la francesca sì d’assai!». 5475 5476 Onde l’altro lebbroso, che m’intese, 5477 rispuose al detto mio: «Tra’mene Stricca 5478 che seppe far le temperate spese, 5479 5480 e Niccolò che la costuma ricca 5481 del garofano prima discoverse 5482 ne l’orto dove tal seme s’appicca; 5483 5484 e tra’ne la brigata in che disperse 5485 Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda, 5486 e l’Abbagliato suo senno proferse. 5487 5488 Ma perché sappi chi sì ti seconda 5489 contra i Sanesi, aguzza ver’ me l’occhio, 5490 sì che la faccia mia ben ti risponda: 5491 5492 sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio, 5493 che falsai li metalli con l’alchìmia; 5494 e te dee ricordar, se ben t’adocchio, 5495 5496 com’ io fui di natura buona scimia». 5497 5498 5499 5500 Inferno · Canto XXX 5501 5502 5503 Nel tempo che Iunone era crucciata 5504 per Semelè contra ’l sangue tebano, 5505 come mostrò una e altra fïata, 5506 5507 Atamante divenne tanto insano, 5508 che veggendo la moglie con due figli 5509 andar carcata da ciascuna mano, 5510 5511 gridò: «Tendiam le reti, sì ch’io pigli 5512 la leonessa e ’ leoncini al varco»; 5513 e poi distese i dispietati artigli, 5514 5515 prendendo l’un ch’avea nome Learco, 5516 e rotollo e percosselo ad un sasso; 5517 e quella s’annegò con l’altro carco. 5518 5519 E quando la fortuna volse in basso 5520 l’altezza de’ Troian che tutto ardiva, 5521 sì che ’nsieme col regno il re fu casso, 5522 5523 Ecuba trista, misera e cattiva, 5524 poscia che vide Polissena morta, 5525 e del suo Polidoro in su la riva 5526 5527 del mar si fu la dolorosa accorta, 5528 forsennata latrò sì come cane; 5529 tanto il dolor le fé la mente torta. 5530 5531 Ma né di Tebe furie né troiane 5532 si vider mäi in alcun tanto crude, 5533 non punger bestie, nonché membra umane, 5534 5535 quant’ io vidi in due ombre smorte e nude, 5536 che mordendo correvan di quel modo 5537 che ’l porco quando del porcil si schiude. 5538 5539 L’una giunse a Capocchio, e in sul nodo 5540 del collo l’assannò, sì che, tirando, 5541 grattar li fece il ventre al fondo sodo. 5542 5543 E l’Aretin che rimase, tremando 5544 mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi, 5545 e va rabbioso altrui così conciando». 5546 5547 «Oh», diss’ io lui, «se l’altro non ti ficchi 5548 li denti a dosso, non ti sia fatica 5549 a dir chi è, pria che di qui si spicchi». 5550 5551 Ed elli a me: «Quell’ è l’anima antica 5552 di Mirra scellerata, che divenne 5553 al padre, fuor del dritto amore, amica. 5554 5555 Questa a peccar con esso così venne, 5556 falsificando sé in altrui forma, 5557 come l’altro che là sen va, sostenne, 5558 5559 per guadagnar la donna de la torma, 5560 falsificare in sé Buoso Donati, 5561 testando e dando al testamento norma». 5562 5563 E poi che i due rabbiosi fuor passati 5564 sovra cu’ io avea l’occhio tenuto, 5565 rivolsilo a guardar li altri mal nati. 5566 5567 Io vidi un, fatto a guisa di lëuto, 5568 pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia 5569 tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto. 5570 5571 La grave idropesì, che sì dispaia 5572 le membra con l’omor che mal converte, 5573 che ’l viso non risponde a la ventraia, 5574 5575 faceva lui tener le labbra aperte 5576 come l’etico fa, che per la sete 5577 l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte. 5578 5579 «O voi che sanz’ alcuna pena siete, 5580 e non so io perché, nel mondo gramo», 5581 diss’ elli a noi, «guardate e attendete 5582 5583 a la miseria del maestro Adamo; 5584 io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli, 5585 e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo. 5586 5587 Li ruscelletti che d’i verdi colli 5588 del Casentin discendon giuso in Arno, 5589 faccendo i lor canali freddi e molli, 5590 5591 sempre mi stanno innanzi, e non indarno, 5592 ché l’imagine lor vie più m’asciuga 5593 che ’l male ond’ io nel volto mi discarno. 5594 5595 La rigida giustizia che mi fruga 5596 tragge cagion del loco ov’ io peccai 5597 a metter più li miei sospiri in fuga. 5598 5599 Ivi è Romena, là dov’ io falsai 5600 la lega suggellata del Batista; 5601 per ch’io il corpo sù arso lasciai. 5602 5603 Ma s’io vedessi qui l’anima trista 5604 di Guido o d’Alessandro o di lor frate, 5605 per Fonte Branda non darei la vista. 5606 5607 Dentro c’è l’una già, se l’arrabbiate 5608 ombre che vanno intorno dicon vero; 5609 ma che mi val, c’ho le membra legate? 5610 5611 S’io fossi pur di tanto ancor leggero 5612 ch’i’ potessi in cent’ anni andare un’oncia, 5613 io sarei messo già per lo sentiero, 5614 5615 cercando lui tra questa gente sconcia, 5616 con tutto ch’ella volge undici miglia, 5617 e men d’un mezzo di traverso non ci ha. 5618 5619 Io son per lor tra sì fatta famiglia; 5620 e’ m’indussero a batter li fiorini 5621 ch’avevan tre carati di mondiglia». 5622 5623 E io a lui: «Chi son li due tapini 5624 che fumman come man bagnate ’l verno, 5625 giacendo stretti a’ tuoi destri confini?». 5626 5627 «Qui li trovai—e poi volta non dierno—», 5628 rispuose, «quando piovvi in questo greppo, 5629 e non credo che dieno in sempiterno. 5630 5631 L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo; 5632 l’altr’ è ’l falso Sinon greco di Troia: 5633 per febbre aguta gittan tanto leppo». 5634 5635 E l’un di lor, che si recò a noia 5636 forse d’esser nomato sì oscuro, 5637 col pugno li percosse l’epa croia. 5638 5639 Quella sonò come fosse un tamburo; 5640 e mastro Adamo li percosse il volto 5641 col braccio suo, che non parve men duro, 5642 5643 dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto 5644 lo muover per le membra che son gravi, 5645 ho io il braccio a tal mestiere sciolto». 5646 5647 Ond’ ei rispuose: «Quando tu andavi 5648 al fuoco, non l’avei tu così presto; 5649 ma sì e più l’avei quando coniavi». 5650 5651 E l’idropico: «Tu di’ ver di questo: 5652 ma tu non fosti sì ver testimonio 5653 là ’ve del ver fosti a Troia richesto». 5654 5655 «S’io dissi falso, e tu falsasti il conio», 5656 disse Sinon; «e son qui per un fallo, 5657 e tu per più ch’alcun altro demonio!». 5658 5659 «Ricorditi, spergiuro, del cavallo», 5660 rispuose quel ch’avëa infiata l’epa; 5661 «e sieti reo che tutto il mondo sallo!». 5662 5663 «E te sia rea la sete onde ti crepa», 5664 disse ’l Greco, «la lingua, e l’acqua marcia 5665 che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!». 5666 5667 Allora il monetier: «Così si squarcia 5668 la bocca tua per tuo mal come suole; 5669 ché, s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia, 5670 5671 tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole, 5672 e per leccar lo specchio di Narcisso, 5673 non vorresti a ’nvitar molte parole». 5674 5675 Ad ascoltarli er’ io del tutto fisso, 5676 quando ’l maestro mi disse: «Or pur mira, 5677 che per poco che teco non mi risso!». 5678 5679 Quand’ io ’l senti’ a me parlar con ira, 5680 volsimi verso lui con tal vergogna, 5681 ch’ancor per la memoria mi si gira. 5682 5683 Qual è colui che suo dannaggio sogna, 5684 che sognando desidera sognare, 5685 sì che quel ch’è, come non fosse, agogna, 5686 5687 tal mi fec’ io, non possendo parlare, 5688 che disïava scusarmi, e scusava 5689 me tuttavia, e nol mi credea fare. 5690 5691 «Maggior difetto men vergogna lava», 5692 disse ’l maestro, «che ’l tuo non è stato; 5693 però d’ogne trestizia ti disgrava. 5694 5695 E fa ragion ch’io ti sia sempre allato, 5696 se più avvien che fortuna t’accoglia 5697 dove sien genti in simigliante piato: 5698 5699 ché voler ciò udire è bassa voglia». 5700 5701 5702 5703 Inferno · Canto XXXI 5704 5705 5706 Una medesma lingua pria mi morse, 5707 sì che mi tinse l’una e l’altra guancia, 5708 e poi la medicina mi riporse; 5709 5710 così od’ io che solea far la lancia 5711 d’Achille e del suo padre esser cagione 5712 prima di trista e poi di buona mancia. 5713 5714 Noi demmo il dosso al misero vallone 5715 su per la ripa che ’l cinge dintorno, 5716 attraversando sanza alcun sermone. 5717 5718 Quiv’ era men che notte e men che giorno, 5719 sì che ’l viso m’andava innanzi poco; 5720 ma io senti’ sonare un alto corno, 5721 5722 tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco, 5723 che, contra sé la sua via seguitando, 5724 dirizzò li occhi miei tutti ad un loco. 5725 5726 Dopo la dolorosa rotta, quando 5727 Carlo Magno perdé la santa gesta, 5728 non sonò sì terribilmente Orlando. 5729 5730 Poco portäi in là volta la testa, 5731 che me parve veder molte alte torri; 5732 ond’ io: «Maestro, dì, che terra è questa?». 5733 5734 Ed elli a me: «Però che tu trascorri 5735 per le tenebre troppo da la lungi, 5736 avvien che poi nel maginare abborri. 5737 5738 Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi, 5739 quanto ’l senso s’inganna di lontano; 5740 però alquanto più te stesso pungi». 5741 5742 Poi caramente mi prese per mano 5743 e disse: «Pria che noi siam più avanti, 5744 acciò che ’l fatto men ti paia strano, 5745 5746 sappi che non son torri, ma giganti, 5747 e son nel pozzo intorno da la ripa 5748 da l’umbilico in giuso tutti quanti». 5749 5750 Come quando la nebbia si dissipa, 5751 lo sguardo a poco a poco raffigura 5752 ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa, 5753 5754 così forando l’aura grossa e scura, 5755 più e più appressando ver’ la sponda, 5756 fuggiemi errore e cresciemi paura; 5757 5758 però che, come su la cerchia tonda 5759 Montereggion di torri si corona, 5760 così la proda che ’l pozzo circonda 5761 5762 torreggiavan di mezza la persona 5763 li orribili giganti, cui minaccia 5764 Giove del cielo ancora quando tuona. 5765 5766 E io scorgeva già d’alcun la faccia, 5767 le spalle e ’l petto e del ventre gran parte, 5768 e per le coste giù ambo le braccia. 5769 5770 Natura certo, quando lasciò l’arte 5771 di sì fatti animali, assai fé bene 5772 per tòrre tali essecutori a Marte. 5773 5774 E s’ella d’elefanti e di balene 5775 non si pente, chi guarda sottilmente, 5776 più giusta e più discreta la ne tene; 5777 5778 ché dove l’argomento de la mente 5779 s’aggiugne al mal volere e a la possa, 5780 nessun riparo vi può far la gente. 5781 5782 La faccia sua mi parea lunga e grossa 5783 come la pina di San Pietro a Roma, 5784 e a sua proporzione eran l’altre ossa; 5785 5786 sì che la ripa, ch’era perizoma 5787 dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto 5788 di sovra, che di giugnere a la chioma 5789 5790 tre Frison s’averien dato mal vanto; 5791 però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi 5792 dal loco in giù dov’ omo affibbia ’l manto. 5793 5794 «Raphèl maì amècche zabì almi», 5795 cominciò a gridar la fiera bocca, 5796 cui non si convenia più dolci salmi. 5797 5798 E ’l duca mio ver’ lui: «Anima sciocca, 5799 tienti col corno, e con quel ti disfoga 5800 quand’ ira o altra passïon ti tocca! 5801 5802 Cércati al collo, e troverai la soga 5803 che ’l tien legato, o anima confusa, 5804 e vedi lui che ’l gran petto ti doga». 5805 5806 Poi disse a me: «Elli stessi s’accusa; 5807 questi è Nembrotto per lo cui mal coto 5808 pur un linguaggio nel mondo non s’usa. 5809 5810 Lasciànlo stare e non parliamo a vòto; 5811 ché così è a lui ciascun linguaggio 5812 come ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto». 5813 5814 Facemmo adunque più lungo vïaggio, 5815 vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro 5816 trovammo l’altro assai più fero e maggio. 5817 5818 A cigner lui qual che fosse ’l maestro, 5819 non so io dir, ma el tenea soccinto 5820 dinanzi l’altro e dietro il braccio destro 5821 5822 d’una catena che ’l tenea avvinto 5823 dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto 5824 si ravvolgëa infino al giro quinto. 5825 5826 «Questo superbo volle esser esperto 5827 di sua potenza contra ’l sommo Giove», 5828 disse ’l mio duca, «ond’ elli ha cotal merto. 5829 5830 Fïalte ha nome, e fece le gran prove 5831 quando i giganti fer paura a’ dèi; 5832 le braccia ch’el menò, già mai non move». 5833 5834 E io a lui: «S’esser puote, io vorrei 5835 che de lo smisurato Brïareo 5836 esperïenza avesser li occhi mei». 5837 5838 Ond’ ei rispuose: «Tu vedrai Anteo 5839 presso di qui che parla ed è disciolto, 5840 che ne porrà nel fondo d’ogne reo. 5841 5842 Quel che tu vuo’ veder, più là è molto 5843 ed è legato e fatto come questo, 5844 salvo che più feroce par nel volto». 5845 5846 Non fu tremoto già tanto rubesto, 5847 che scotesse una torre così forte, 5848 come Fïalte a scuotersi fu presto. 5849 5850 Allor temett’ io più che mai la morte, 5851 e non v’era mestier più che la dotta, 5852 s’io non avessi viste le ritorte. 5853 5854 Noi procedemmo più avante allotta, 5855 e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle, 5856 sanza la testa, uscia fuor de la grotta. 5857 5858 «O tu che ne la fortunata valle 5859 che fece Scipïon di gloria reda, 5860 quand’ Anibàl co’ suoi diede le spalle, 5861 5862 recasti già mille leon per preda, 5863 e che, se fossi stato a l’alta guerra 5864 de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda 5865 5866 ch’avrebber vinto i figli de la terra: 5867 mettine giù, e non ten vegna schifo, 5868 dove Cocito la freddura serra. 5869 5870 Non ci fare ire a Tizio né a Tifo: 5871 questi può dar di quel che qui si brama; 5872 però ti china e non torcer lo grifo. 5873 5874 Ancor ti può nel mondo render fama, 5875 ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta 5876 se ’nnanzi tempo grazia a sé nol chiama». 5877 5878 Così disse ’l maestro; e quelli in fretta 5879 le man distese, e prese ’l duca mio, 5880 ond’ Ercule sentì già grande stretta. 5881 5882 Virgilio, quando prender si sentio, 5883 disse a me: «Fatti qua, sì ch’io ti prenda»; 5884 poi fece sì ch’un fascio era elli e io. 5885 5886 Qual pare a riguardar la Carisenda 5887 sotto ’l chinato, quando un nuvol vada 5888 sovr’ essa sì, ched ella incontro penda: 5889 5890 tal parve Antëo a me che stava a bada 5891 di vederlo chinare, e fu tal ora 5892 ch’i’ avrei voluto ir per altra strada. 5893 5894 Ma lievemente al fondo che divora 5895 Lucifero con Giuda, ci sposò; 5896 né, sì chinato, lì fece dimora, 5897 5898 e come albero in nave si levò. 5899 5900 5901 5902 Inferno · Canto XXXII 5903 5904 5905 S’ïo avessi le rime aspre e chiocce, 5906 come si converrebbe al tristo buco 5907 sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce, 5908 5909 io premerei di mio concetto il suco 5910 più pienamente; ma perch’ io non l’abbo, 5911 non sanza tema a dicer mi conduco; 5912 5913 ché non è impresa da pigliare a gabbo 5914 discriver fondo a tutto l’universo, 5915 né da lingua che chiami mamma o babbo. 5916 5917 Ma quelle donne aiutino il mio verso 5918 ch’aiutaro Anfïone a chiuder Tebe, 5919 sì che dal fatto il dir non sia diverso. 5920 5921 Oh sovra tutte mal creata plebe 5922 che stai nel loco onde parlare è duro, 5923 mei foste state qui pecore o zebe! 5924 5925 Come noi fummo giù nel pozzo scuro 5926 sotto i piè del gigante assai più bassi, 5927 e io mirava ancora a l’alto muro, 5928 5929 dicere udi’mi: «Guarda come passi: 5930 va sì, che tu non calchi con le piante 5931 le teste de’ fratei miseri lassi». 5932 5933 Per ch’io mi volsi, e vidimi davante 5934 e sotto i piedi un lago che per gelo 5935 avea di vetro e non d’acqua sembiante. 5936 5937 Non fece al corso suo sì grosso velo 5938 di verno la Danoia in Osterlicchi, 5939 né Tanaï là sotto ’l freddo cielo, 5940 5941 com’ era quivi; che se Tambernicchi 5942 vi fosse sù caduto, o Pietrapana, 5943 non avria pur da l’orlo fatto cricchi. 5944 5945 E come a gracidar si sta la rana 5946 col muso fuor de l’acqua, quando sogna 5947 di spigolar sovente la villana, 5948 5949 livide, insin là dove appar vergogna 5950 eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia, 5951 mettendo i denti in nota di cicogna. 5952 5953 Ognuna in giù tenea volta la faccia; 5954 da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo 5955 tra lor testimonianza si procaccia. 5956 5957 Quand’ io m’ebbi dintorno alquanto visto, 5958 volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti, 5959 che ’l pel del capo avieno insieme misto. 5960 5961 «Ditemi, voi che sì strignete i petti», 5962 diss’ io, «chi siete?». E quei piegaro i colli; 5963 e poi ch’ebber li visi a me eretti, 5964 5965 li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli, 5966 gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse 5967 le lagrime tra essi e riserrolli. 5968 5969 Con legno legno spranga mai non cinse 5970 forte così; ond’ ei come due becchi 5971 cozzaro insieme, tanta ira li vinse. 5972 5973 E un ch’avea perduti ambo li orecchi 5974 per la freddura, pur col viso in giùe, 5975 disse: «Perché cotanto in noi ti specchi? 5976 5977 Se vuoi saper chi son cotesti due, 5978 la valle onde Bisenzo si dichina 5979 del padre loro Alberto e di lor fue. 5980 5981 D’un corpo usciro; e tutta la Caina 5982 potrai cercare, e non troverai ombra 5983 degna più d’esser fitta in gelatina: 5984 5985 non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra 5986 con esso un colpo per la man d’Artù; 5987 non Focaccia; non questi che m’ingombra 5988 5989 col capo sì, ch’i’ non veggio oltre più, 5990 e fu nomato Sassol Mascheroni; 5991 se tosco se’, ben sai omai chi fu. 5992 5993 E perché non mi metti in più sermoni, 5994 sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi; 5995 e aspetto Carlin che mi scagioni». 5996 5997 Poscia vid’ io mille visi cagnazzi 5998 fatti per freddo; onde mi vien riprezzo, 5999 e verrà sempre, de’ gelati guazzi. 6000 6001 E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo 6002 al quale ogne gravezza si rauna, 6003 e io tremava ne l’etterno rezzo; 6004 6005 se voler fu o destino o fortuna, 6006 non so; ma, passeggiando tra le teste, 6007 forte percossi ’l piè nel viso ad una. 6008 6009 Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste? 6010 se tu non vieni a crescer la vendetta 6011 di Montaperti, perché mi moleste?». 6012 6013 E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta, 6014 sì ch’io esca d’un dubbio per costui; 6015 poi mi farai, quantunque vorrai, fretta». 6016 6017 Lo duca stette, e io dissi a colui 6018 che bestemmiava duramente ancora: 6019 «Qual se’ tu che così rampogni altrui?». 6020 6021 «Or tu chi se’ che vai per l’Antenora, 6022 percotendo», rispuose, «altrui le gote, 6023 sì che, se fossi vivo, troppo fora?». 6024 6025 «Vivo son io, e caro esser ti puote», 6026 fu mia risposta, «se dimandi fama, 6027 ch’io metta il nome tuo tra l’altre note». 6028 6029 Ed elli a me: «Del contrario ho io brama. 6030 Lèvati quinci e non mi dar più lagna, 6031 ché mal sai lusingar per questa lama!». 6032 6033 Allor lo presi per la cuticagna 6034 e dissi: «El converrà che tu ti nomi, 6035 o che capel qui sù non ti rimagna». 6036 6037 Ond’ elli a me: «Perché tu mi dischiomi, 6038 né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti, 6039 se mille fiate in sul capo mi tomi». 6040 6041 Io avea già i capelli in mano avvolti, 6042 e tratti glien’ avea più d’una ciocca, 6043 latrando lui con li occhi in giù raccolti, 6044 6045 quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca? 6046 non ti basta sonar con le mascelle, 6047 se tu non latri? qual diavol ti tocca?». 6048 6049 «Omai», diss’ io, «non vo’ che più favelle, 6050 malvagio traditor; ch’a la tua onta 6051 io porterò di te vere novelle». 6052 6053 «Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta; 6054 ma non tacer, se tu di qua entro eschi, 6055 di quel ch’ebbe or così la lingua pronta. 6056 6057 El piange qui l’argento de’ Franceschi: 6058 “Io vidi”, potrai dir, “quel da Duera 6059 là dove i peccatori stanno freschi”. 6060 6061 Se fossi domandato “Altri chi v’era?”, 6062 tu hai dallato quel di Beccheria 6063 di cui segò Fiorenza la gorgiera. 6064 6065 Gianni de’ Soldanier credo che sia 6066 più là con Ganellone e Tebaldello, 6067 ch’aprì Faenza quando si dormia». 6068 6069 Noi eravam partiti già da ello, 6070 ch’io vidi due ghiacciati in una buca, 6071 sì che l’un capo a l’altro era cappello; 6072 6073 e come ’l pan per fame si manduca, 6074 così ’l sovran li denti a l’altro pose 6075 là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca: 6076 6077 non altrimenti Tidëo si rose 6078 le tempie a Menalippo per disdegno, 6079 che quei faceva il teschio e l’altre cose. 6080 6081 «O tu che mostri per sì bestial segno 6082 odio sovra colui che tu ti mangi, 6083 dimmi ’l perché», diss’ io, «per tal convegno, 6084 6085 che se tu a ragion di lui ti piangi, 6086 sappiendo chi voi siete e la sua pecca, 6087 nel mondo suso ancora io te ne cangi, 6088 6089 se quella con ch’io parlo non si secca». 6090 6091 6092 6093 Inferno · Canto XXXIII 6094 6095 6096 La bocca sollevò dal fiero pasto 6097 quel peccator, forbendola a’ capelli 6098 del capo ch’elli avea di retro guasto. 6099 6100 Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli 6101 disperato dolor che ’l cor mi preme 6102 già pur pensando, pria ch’io ne favelli. 6103 6104 Ma se le mie parole esser dien seme 6105 che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo, 6106 parlar e lagrimar vedrai insieme. 6107 6108 Io non so chi tu se’ né per che modo 6109 venuto se’ qua giù; ma fiorentino 6110 mi sembri veramente quand’ io t’odo. 6111 6112 Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino, 6113 e questi è l’arcivescovo Ruggieri: 6114 or ti dirò perché i son tal vicino. 6115 6116 Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri, 6117 fidandomi di lui, io fossi preso 6118 e poscia morto, dir non è mestieri; 6119 6120 però quel che non puoi avere inteso, 6121 cioè come la morte mia fu cruda, 6122 udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso. 6123 6124 Breve pertugio dentro da la Muda, 6125 la qual per me ha ’l titol de la fame, 6126 e che conviene ancor ch’altrui si chiuda, 6127 6128 m’avea mostrato per lo suo forame 6129 più lune già, quand’ io feci ’l mal sonno 6130 che del futuro mi squarciò ’l velame. 6131 6132 Questi pareva a me maestro e donno, 6133 cacciando il lupo e ’ lupicini al monte 6134 per che i Pisan veder Lucca non ponno. 6135 6136 Con cagne magre, studïose e conte 6137 Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi 6138 s’avea messi dinanzi da la fronte. 6139 6140 In picciol corso mi parieno stanchi 6141 lo padre e ’ figli, e con l’agute scane 6142 mi parea lor veder fender li fianchi. 6143 6144 Quando fui desto innanzi la dimane, 6145 pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli 6146 ch’eran con meco, e dimandar del pane. 6147 6148 Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli 6149 pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava; 6150 e se non piangi, di che pianger suoli? 6151 6152 Già eran desti, e l’ora s’appressava 6153 che ’l cibo ne solëa essere addotto, 6154 e per suo sogno ciascun dubitava; 6155 6156 e io senti’ chiavar l’uscio di sotto 6157 a l’orribile torre; ond’ io guardai 6158 nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto. 6159 6160 Io non piangëa, sì dentro impetrai: 6161 piangevan elli; e Anselmuccio mio 6162 disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”. 6163 6164 Perciò non lagrimai né rispuos’ io 6165 tutto quel giorno né la notte appresso, 6166 infin che l’altro sol nel mondo uscìo. 6167 6168 Come un poco di raggio si fu messo 6169 nel doloroso carcere, e io scorsi 6170 per quattro visi il mio aspetto stesso, 6171 6172 ambo le man per lo dolor mi morsi; 6173 ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia 6174 di manicar, di sùbito levorsi 6175 6176 e disser: “Padre, assai ci fia men doglia 6177 se tu mangi di noi: tu ne vestisti 6178 queste misere carni, e tu le spoglia”. 6179 6180 Queta’mi allor per non farli più tristi; 6181 lo dì e l’altro stemmo tutti muti; 6182 ahi dura terra, perché non t’apristi? 6183 6184 Poscia che fummo al quarto dì venuti, 6185 Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi, 6186 dicendo: “Padre mio, ché non m’aiuti?”. 6187 6188 Quivi morì; e come tu mi vedi, 6189 vid’ io cascar li tre ad uno ad uno 6190 tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’ io mi diedi, 6191 6192 già cieco, a brancolar sovra ciascuno, 6193 e due dì li chiamai, poi che fur morti. 6194 Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno». 6195 6196 Quand’ ebbe detto ciò, con li occhi torti 6197 riprese ’l teschio misero co’ denti, 6198 che furo a l’osso, come d’un can, forti. 6199 6200 Ahi Pisa, vituperio de le genti 6201 del bel paese là dove ’l sì suona, 6202 poi che i vicini a te punir son lenti, 6203 6204 muovasi la Capraia e la Gorgona, 6205 e faccian siepe ad Arno in su la foce, 6206 sì ch’elli annieghi in te ogne persona! 6207 6208 Che se ’l conte Ugolino aveva voce 6209 d’aver tradita te de le castella, 6210 non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. 6211 6212 Innocenti facea l’età novella, 6213 novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata 6214 e li altri due che ’l canto suso appella. 6215 6216 Noi passammo oltre, là ’ve la gelata 6217 ruvidamente un’altra gente fascia, 6218 non volta in giù, ma tutta riversata. 6219 6220 Lo pianto stesso lì pianger non lascia, 6221 e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo, 6222 si volge in entro a far crescer l’ambascia; 6223 6224 ché le lagrime prime fanno groppo, 6225 e sì come visiere di cristallo, 6226 rïempion sotto ’l ciglio tutto il coppo. 6227 6228 E avvegna che, sì come d’un callo, 6229 per la freddura ciascun sentimento 6230 cessato avesse del mio viso stallo, 6231 6232 già mi parea sentire alquanto vento; 6233 per ch’io: «Maestro mio, questo chi move? 6234 non è qua giù ogne vapore spento?». 6235 6236 Ond’ elli a me: «Avaccio sarai dove 6237 di ciò ti farà l’occhio la risposta, 6238 veggendo la cagion che ’l fiato piove». 6239 6240 E un de’ tristi de la fredda crosta 6241 gridò a noi: «O anime crudeli 6242 tanto che data v’è l’ultima posta, 6243 6244 levatemi dal viso i duri veli, 6245 sì ch’ïo sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna, 6246 un poco, pria che ’l pianto si raggeli». 6247 6248 Per ch’io a lui: «Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna, 6249 dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo, 6250 al fondo de la ghiaccia ir mi convegna». 6251 6252 Rispuose adunque: «I’ son frate Alberigo; 6253 i’ son quel da le frutta del mal orto, 6254 che qui riprendo dattero per figo». 6255 6256 «Oh», diss’ io lui, «or se’ tu ancor morto?». 6257 Ed elli a me: «Come ’l mio corpo stea 6258 nel mondo sù, nulla scïenza porto. 6259 6260 Cotal vantaggio ha questa Tolomea, 6261 che spesse volte l’anima ci cade 6262 innanzi ch’Atropòs mossa le dea. 6263 6264 E perché tu più volentier mi rade 6265 le ’nvetrïate lagrime dal volto, 6266 sappie che, tosto che l’anima trade 6267 6268 come fec’ ïo, il corpo suo l’è tolto 6269 da un demonio, che poscia il governa 6270 mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto. 6271 6272 Ella ruina in sì fatta cisterna; 6273 e forse pare ancor lo corpo suso 6274 de l’ombra che di qua dietro mi verna. 6275 6276 Tu ’l dei saper, se tu vien pur mo giuso: 6277 elli è ser Branca Doria, e son più anni 6278 poscia passati ch’el fu sì racchiuso». 6279 6280 «Io credo», diss’ io lui, «che tu m’inganni; 6281 ché Branca Doria non morì unquanche, 6282 e mangia e bee e dorme e veste panni». 6283 6284 «Nel fosso sù», diss’ el, «de’ Malebranche, 6285 là dove bolle la tenace pece, 6286 non era ancora giunto Michel Zanche, 6287 6288 che questi lasciò il diavolo in sua vece 6289 nel corpo suo, ed un suo prossimano 6290 che ’l tradimento insieme con lui fece. 6291 6292 Ma distendi oggimai in qua la mano; 6293 aprimi li occhi». E io non gliel’ apersi; 6294 e cortesia fu lui esser villano. 6295 6296 Ahi Genovesi, uomini diversi 6297 d’ogne costume e pien d’ogne magagna, 6298 perché non siete voi del mondo spersi? 6299 6300 Ché col peggiore spirto di Romagna 6301 trovai di voi un tal, che per sua opra 6302 in anima in Cocito già si bagna, 6303 6304 e in corpo par vivo ancor di sopra. 6305 6306 6307 6308 Inferno · Canto XXXIV 6309 6310 6311 «Vexilla regis prodeunt inferni 6312 verso di noi; però dinanzi mira», 6313 disse ’l maestro mio, «se tu ’l discerni». 6314 6315 Come quando una grossa nebbia spira, 6316 o quando l’emisperio nostro annotta, 6317 par di lungi un molin che ’l vento gira, 6318 6319 veder mi parve un tal dificio allotta; 6320 poi per lo vento mi ristrinsi retro 6321 al duca mio, ché non lì era altra grotta. 6322 6323 Già era, e con paura il metto in metro, 6324 là dove l’ombre tutte eran coperte, 6325 e trasparien come festuca in vetro. 6326 6327 Altre sono a giacere; altre stanno erte, 6328 quella col capo e quella con le piante; 6329 altra, com’ arco, il volto a’ piè rinverte. 6330 6331 Quando noi fummo fatti tanto avante, 6332 ch’al mio maestro piacque di mostrarmi 6333 la creatura ch’ebbe il bel sembiante, 6334 6335 d’innanzi mi si tolse e fé restarmi, 6336 «Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco 6337 ove convien che di fortezza t’armi». 6338 6339 Com’ io divenni allor gelato e fioco, 6340 nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo, 6341 però ch’ogne parlar sarebbe poco. 6342 6343 Io non mori’ e non rimasi vivo; 6344 pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno, 6345 qual io divenni, d’uno e d’altro privo. 6346 6347 Lo ’mperador del doloroso regno 6348 da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia; 6349 e più con un gigante io mi convegno, 6350 6351 che i giganti non fan con le sue braccia: 6352 vedi oggimai quant’ esser dee quel tutto 6353 ch’a così fatta parte si confaccia. 6354 6355 S’el fu sì bel com’ elli è ora brutto, 6356 e contra ’l suo fattore alzò le ciglia, 6357 ben dee da lui procedere ogne lutto. 6358 6359 Oh quanto parve a me gran maraviglia 6360 quand’ io vidi tre facce a la sua testa! 6361 L’una dinanzi, e quella era vermiglia; 6362 6363 l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questa 6364 sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla, 6365 e sé giugnieno al loco de la cresta: 6366 6367 e la destra parea tra bianca e gialla; 6368 la sinistra a vedere era tal, quali 6369 vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla. 6370 6371 Sotto ciascuna uscivan due grand’ ali, 6372 quanto si convenia a tanto uccello: 6373 vele di mar non vid’ io mai cotali. 6374 6375 Non avean penne, ma di vispistrello 6376 era lor modo; e quelle svolazzava, 6377 sì che tre venti si movean da ello: 6378 6379 quindi Cocito tutto s’aggelava. 6380 Con sei occhi piangëa, e per tre menti 6381 gocciava ’l pianto e sanguinosa bava. 6382 6383 Da ogne bocca dirompea co’ denti 6384 un peccatore, a guisa di maciulla, 6385 sì che tre ne facea così dolenti. 6386 6387 A quel dinanzi il mordere era nulla 6388 verso ’l graffiar, che talvolta la schiena 6389 rimanea de la pelle tutta brulla. 6390 6391 «Quell’ anima là sù c’ha maggior pena», 6392 disse ’l maestro, «è Giuda Scarïotto, 6393 che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena. 6394 6395 De li altri due c’hanno il capo di sotto, 6396 quel che pende dal nero ceffo è Bruto: 6397 vedi come si storce, e non fa motto!; 6398 6399 e l’altro è Cassio, che par sì membruto. 6400 Ma la notte risurge, e oramai 6401 è da partir, ché tutto avem veduto». 6402 6403 Com’ a lui piacque, il collo li avvinghiai; 6404 ed el prese di tempo e loco poste, 6405 e quando l’ali fuoro aperte assai, 6406 6407 appigliò sé a le vellute coste; 6408 di vello in vello giù discese poscia 6409 tra ’l folto pelo e le gelate croste. 6410 6411 Quando noi fummo là dove la coscia 6412 si volge, a punto in sul grosso de l’anche, 6413 lo duca, con fatica e con angoscia, 6414 6415 volse la testa ov’ elli avea le zanche, 6416 e aggrappossi al pel com’ om che sale, 6417 sì che ’n inferno i’ credea tornar anche. 6418 6419 «Attienti ben, ché per cotali scale», 6420 disse ’l maestro, ansando com’ uom lasso, 6421 «conviensi dipartir da tanto male». 6422 6423 Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso 6424 e puose me in su l’orlo a sedere; 6425 appresso porse a me l’accorto passo. 6426 6427 Io levai li occhi e credetti vedere 6428 Lucifero com’ io l’avea lasciato, 6429 e vidili le gambe in sù tenere; 6430 6431 e s’io divenni allora travagliato, 6432 la gente grossa il pensi, che non vede 6433 qual è quel punto ch’io avea passato. 6434 6435 «Lèvati sù», disse ’l maestro, «in piede: 6436 la via è lunga e ’l cammino è malvagio, 6437 e già il sole a mezza terza riede». 6438 6439 Non era camminata di palagio 6440 là ’v’ eravam, ma natural burella 6441 ch’avea mal suolo e di lume disagio. 6442 6443 «Prima ch’io de l’abisso mi divella, 6444 maestro mio», diss’ io quando fui dritto, 6445 «a trarmi d’erro un poco mi favella: 6446 6447 ov’ è la ghiaccia? e questi com’ è fitto 6448 sì sottosopra? e come, in sì poc’ ora, 6449 da sera a mane ha fatto il sol tragitto?». 6450 6451 Ed elli a me: «Tu imagini ancora 6452 d’esser di là dal centro, ov’ io mi presi 6453 al pel del vermo reo che ’l mondo fóra. 6454 6455 Di là fosti cotanto quant’ io scesi; 6456 quand’ io mi volsi, tu passasti ’l punto 6457 al qual si traggon d’ogne parte i pesi. 6458 6459 E se’ or sotto l’emisperio giunto 6460 ch’è contraposto a quel che la gran secca 6461 coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto 6462 6463 fu l’uom che nacque e visse sanza pecca; 6464 tu haï i piedi in su picciola spera 6465 che l’altra faccia fa de la Giudecca. 6466 6467 Qui è da man, quando di là è sera; 6468 e questi, che ne fé scala col pelo, 6469 fitto è ancora sì come prim’ era. 6470 6471 Da questa parte cadde giù dal cielo; 6472 e la terra, che pria di qua si sporse, 6473 per paura di lui fé del mar velo, 6474 6475 e venne a l’emisperio nostro; e forse 6476 per fuggir lui lasciò qui loco vòto 6477 quella ch’appar di qua, e sù ricorse». 6478 6479 Luogo è là giù da Belzebù remoto 6480 tanto quanto la tomba si distende, 6481 che non per vista, ma per suono è noto 6482 6483 d’un ruscelletto che quivi discende 6484 per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso, 6485 col corso ch’elli avvolge, e poco pende. 6486 6487 Lo duca e io per quel cammino ascoso 6488 intrammo a ritornar nel chiaro mondo; 6489 e sanza cura aver d’alcun riposo, 6490 6491 salimmo sù, el primo e io secondo, 6492 tanto ch’i’ vidi de le cose belle 6493 che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. 6494 6495 E quindi uscimmo a riveder le stelle. 6496 6497 6498 6499 6500 6501 PURGATORIO 6502 6503 6504 6505 6506 Purgatorio · Canto I 6507 6508 6509 Per correr miglior acque alza le vele 6510 omai la navicella del mio ingegno, 6511 che lascia dietro a sé mar sì crudele; 6512 6513 e canterò di quel secondo regno 6514 dove l’umano spirito si purga 6515 e di salire al ciel diventa degno. 6516 6517 Ma qui la morta poesì resurga, 6518 o sante Muse, poi che vostro sono; 6519 e qui Calïopè alquanto surga, 6520 6521 seguitando il mio canto con quel suono 6522 di cui le Piche misere sentiro 6523 lo colpo tal, che disperar perdono. 6524 6525 Dolce color d’orïental zaffiro, 6526 che s’accoglieva nel sereno aspetto 6527 del mezzo, puro infino al primo giro, 6528 6529 a li occhi miei ricominciò diletto, 6530 tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta 6531 che m’avea contristati li occhi e ’l petto. 6532 6533 Lo bel pianeto che d’amar conforta 6534 faceva tutto rider l’orïente, 6535 velando i Pesci ch’erano in sua scorta. 6536 6537 I’ mi volsi a man destra, e puosi mente 6538 a l’altro polo, e vidi quattro stelle 6539 non viste mai fuor ch’a la prima gente. 6540 6541 Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle: 6542 oh settentrïonal vedovo sito, 6543 poi che privato se’ di mirar quelle! 6544 6545 Com’ io da loro sguardo fui partito, 6546 un poco me volgendo a l ’altro polo, 6547 là onde ’l Carro già era sparito, 6548 6549 vidi presso di me un veglio solo, 6550 degno di tanta reverenza in vista, 6551 che più non dee a padre alcun figliuolo. 6552 6553 Lunga la barba e di pel bianco mista 6554 portava, a’ suoi capelli simigliante, 6555 de’ quai cadeva al petto doppia lista. 6556 6557 Li raggi de le quattro luci sante 6558 fregiavan sì la sua faccia di lume, 6559 ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante. 6560 6561 «Chi siete voi che contro al cieco fiume 6562 fuggita avete la pregione etterna?», 6563 diss’ el, movendo quelle oneste piume. 6564 6565 «Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna, 6566 uscendo fuor de la profonda notte 6567 che sempre nera fa la valle inferna? 6568 6569 Son le leggi d’abisso così rotte? 6570 o è mutato in ciel novo consiglio, 6571 che, dannati, venite a le mie grotte?». 6572 6573 Lo duca mio allor mi diè di piglio, 6574 e con parole e con mani e con cenni 6575 reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio. 6576 6577 Poscia rispuose lui: «Da me non venni: 6578 donna scese del ciel, per li cui prieghi 6579 de la mia compagnia costui sovvenni. 6580 6581 Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi 6582 di nostra condizion com’ ell’ è vera, 6583 esser non puote il mio che a te si nieghi. 6584 6585 Questi non vide mai l’ultima sera; 6586 ma per la sua follia le fu sì presso, 6587 che molto poco tempo a volger era. 6588 6589 Sì com’ io dissi, fui mandato ad esso 6590 per lui campare; e non lì era altra via 6591 che questa per la quale i’ mi son messo. 6592 6593 Mostrata ho lui tutta la gente ria; 6594 e ora intendo mostrar quelli spirti 6595 che purgan sé sotto la tua balìa. 6596 6597 Com’ io l’ho tratto, saria lungo a dirti; 6598 de l’alto scende virtù che m’aiuta 6599 conducerlo a vederti e a udirti. 6600 6601 Or ti piaccia gradir la sua venuta: 6602 libertà va cercando, ch’è sì cara, 6603 come sa chi per lei vita rifiuta. 6604 6605 Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara 6606 in Utica la morte, ove lasciasti 6607 la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. 6608 6609 Non son li editti etterni per noi guasti, 6610 ché questi vive e Minòs me non lega; 6611 ma son del cerchio ove son li occhi casti 6612 6613 di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega, 6614 o santo petto, che per tua la tegni: 6615 per lo suo amore adunque a noi ti piega. 6616 6617 Lasciane andar per li tuoi sette regni; 6618 grazie riporterò di te a lei, 6619 se d’esser mentovato là giù degni». 6620 6621 «Marzïa piacque tanto a li occhi miei 6622 mentre ch’i’ fu’ di là», diss’ elli allora, 6623 «che quante grazie volse da me, fei. 6624 6625 Or che di là dal mal fiume dimora, 6626 più muover non mi può, per quella legge 6627 che fatta fu quando me n’usci’ fora. 6628 6629 Ma se donna del ciel ti move e regge, 6630 come tu di’, non c’è mestier lusinghe: 6631 bastisi ben che per lei mi richegge. 6632 6633 Va dunque, e fa che tu costui ricinghe 6634 d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso, 6635 sì ch’ogne sucidume quindi stinghe; 6636 6637 ché non si converria, l’occhio sorpriso 6638 d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo 6639 ministro, ch’è di quei di paradiso. 6640 6641 Questa isoletta intorno ad imo ad imo, 6642 là giù colà dove la batte l’onda, 6643 porta di giunchi sovra ’l molle limo: 6644 6645 null’ altra pianta che facesse fronda 6646 o indurasse, vi puote aver vita, 6647 però ch’a le percosse non seconda. 6648 6649 Poscia non sia di qua vostra reddita; 6650 lo sol vi mosterrà, che surge omai, 6651 prendere il monte a più lieve salita». 6652 6653 Così sparì; e io sù mi levai 6654 sanza parlare, e tutto mi ritrassi 6655 al duca mio, e li occhi a lui drizzai. 6656 6657 El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi: 6658 volgianci in dietro, ché di qua dichina 6659 questa pianura a’ suoi termini bassi». 6660 6661 L’alba vinceva l’ora mattutina 6662 che fuggia innanzi, sì che di lontano 6663 conobbi il tremolar de la marina. 6664 6665 Noi andavam per lo solingo piano 6666 com’ om che torna a la perduta strada, 6667 che ’nfino ad essa li pare ire in vano. 6668 6669 Quando noi fummo là ’ve la rugiada 6670 pugna col sole, per essere in parte 6671 dove, ad orezza, poco si dirada, 6672 6673 ambo le mani in su l’erbetta sparte 6674 soavemente ’l mio maestro pose: 6675 ond’ io, che fui accorto di sua arte, 6676 6677 porsi ver’ lui le guance lagrimose; 6678 ivi mi fece tutto discoverto 6679 quel color che l’inferno mi nascose. 6680 6681 Venimmo poi in sul lito diserto, 6682 che mai non vide navicar sue acque 6683 omo, che di tornar sia poscia esperto. 6684 6685 Quivi mi cinse sì com’ altrui piacque: 6686 oh maraviglia! ché qual elli scelse 6687 l’umile pianta, cotal si rinacque 6688 6689 subitamente là onde l’avelse. 6690 6691 6692 6693 Purgatorio · Canto II 6694 6695 6696 Già era ’l sole a l’orizzonte giunto 6697 lo cui meridïan cerchio coverchia 6698 Ierusalèm col suo più alto punto; 6699 6700 e la notte, che opposita a lui cerchia, 6701 uscia di Gange fuor con le Bilance, 6702 che le caggion di man quando soverchia; 6703 6704 sì che le bianche e le vermiglie guance, 6705 là dov’ i’ era, de la bella Aurora 6706 per troppa etate divenivan rance. 6707 6708 Noi eravam lunghesso mare ancora, 6709 come gente che pensa a suo cammino, 6710 che va col cuore e col corpo dimora. 6711 6712 Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino, 6713 per li grossi vapor Marte rosseggia 6714 giù nel ponente sovra ’l suol marino, 6715 6716 cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia, 6717 un lume per lo mar venir sì ratto, 6718 che ’l muover suo nessun volar pareggia. 6719 6720 Dal qual com’ io un poco ebbi ritratto 6721 l’occhio per domandar lo duca mio, 6722 rividil più lucente e maggior fatto. 6723 6724 Poi d’ogne lato ad esso m’appario 6725 un non sapeva che bianco, e di sotto 6726 a poco a poco un altro a lui uscìo. 6727 6728 Lo mio maestro ancor non facea motto, 6729 mentre che i primi bianchi apparver ali; 6730 allor che ben conobbe il galeotto, 6731 6732 gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali. 6733 Ecco l’angel di Dio: piega le mani; 6734 omai vedrai di sì fatti officiali. 6735 6736 Vedi che sdegna li argomenti umani, 6737 sì che remo non vuol, né altro velo 6738 che l’ali sue, tra liti sì lontani. 6739 6740 Vedi come l’ha dritte verso ’l cielo, 6741 trattando l’aere con l’etterne penne, 6742 che non si mutan come mortal pelo». 6743 6744 Poi, come più e più verso noi venne 6745 l’uccel divino, più chiaro appariva: 6746 per che l’occhio da presso nol sostenne, 6747 6748 ma chinail giuso; e quei sen venne a riva 6749 con un vasello snelletto e leggero, 6750 tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva. 6751 6752 Da poppa stava il celestial nocchiero, 6753 tal che faria beato pur descripto; 6754 e più di cento spirti entro sediero. 6755 6756 ‘In exitu Isräel de Aegypto’ 6757 cantavan tutti insieme ad una voce 6758 con quanto di quel salmo è poscia scripto. 6759 6760 Poi fece il segno lor di santa croce; 6761 ond’ ei si gittar tutti in su la piaggia: 6762 ed el sen gì, come venne, veloce. 6763 6764 La turba che rimase lì, selvaggia 6765 parea del loco, rimirando intorno 6766 come colui che nove cose assaggia. 6767 6768 Da tutte parti saettava il giorno 6769 lo sol, ch’avea con le saette conte 6770 di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno, 6771 6772 quando la nova gente alzò la fronte 6773 ver’ noi, dicendo a noi: «Se voi sapete, 6774 mostratene la via di gire al monte». 6775 6776 E Virgilio rispuose: «Voi credete 6777 forse che siamo esperti d’esto loco; 6778 ma noi siam peregrin come voi siete. 6779 6780 Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, 6781 per altra via, che fu sì aspra e forte, 6782 che lo salire omai ne parrà gioco». 6783 6784 L’anime, che si fuor di me accorte, 6785 per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo, 6786 maravigliando diventaro smorte. 6787 6788 E come a messagger che porta ulivo 6789 tragge la gente per udir novelle, 6790 e di calcar nessun si mostra schivo, 6791 6792 così al viso mio s’affisar quelle 6793 anime fortunate tutte quante, 6794 quasi oblïando d’ire a farsi belle. 6795 6796 Io vidi una di lor trarresi avante 6797 per abbracciarmi con sì grande affetto, 6798 che mosse me a far lo somigliante. 6799 6800 Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! 6801 tre volte dietro a lei le mani avvinsi, 6802 e tante mi tornai con esse al petto. 6803 6804 Di maraviglia, credo, mi dipinsi; 6805 per che l’ombra sorrise e si ritrasse, 6806 e io, seguendo lei, oltre mi pinsi. 6807 6808 Soavemente disse ch’io posasse; 6809 allor conobbi chi era, e pregai 6810 che, per parlarmi, un poco s’arrestasse. 6811 6812 Rispuosemi: «Così com’ io t’amai 6813 nel mortal corpo, così t’amo sciolta: 6814 però m’arresto; ma tu perché vai?». 6815 6816 «Casella mio, per tornar altra volta 6817 là dov’ io son, fo io questo vïaggio», 6818 diss’ io; «ma a te com’ è tanta ora tolta?». 6819 6820 Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio, 6821 se quei che leva quando e cui li piace, 6822 più volte m’ha negato esto passaggio; 6823 6824 ché di giusto voler lo suo si face: 6825 veramente da tre mesi elli ha tolto 6826 chi ha voluto intrar, con tutta pace. 6827 6828 Ond’ io, ch’era ora a la marina vòlto 6829 dove l’acqua di Tevero s’insala, 6830 benignamente fu’ da lui ricolto. 6831 6832 A quella foce ha elli or dritta l’ala, 6833 però che sempre quivi si ricoglie 6834 qual verso Acheronte non si cala». 6835 6836 E io: «Se nuova legge non ti toglie 6837 memoria o uso a l’amoroso canto 6838 che mi solea quetar tutte mie doglie, 6839 6840 di ciò ti piaccia consolare alquanto 6841 l’anima mia, che, con la sua persona 6842 venendo qui, è affannata tanto!». 6843 6844 ‘Amor che ne la mente mi ragiona’ 6845 cominciò elli allor sì dolcemente, 6846 che la dolcezza ancor dentro mi suona. 6847 6848 Lo mio maestro e io e quella gente 6849 ch’eran con lui parevan sì contenti, 6850 come a nessun toccasse altro la mente. 6851 6852 Noi eravam tutti fissi e attenti 6853 a le sue note; ed ecco il veglio onesto 6854 gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? 6855 6856 qual negligenza, quale stare è questo? 6857 Correte al monte a spogliarvi lo scoglio 6858 ch’esser non lascia a voi Dio manifesto». 6859 6860 Come quando, cogliendo biado o loglio, 6861 li colombi adunati a la pastura, 6862 queti, sanza mostrar l’usato orgoglio, 6863 6864 se cosa appare ond’ elli abbian paura, 6865 subitamente lasciano star l’esca, 6866 perch’ assaliti son da maggior cura; 6867 6868 così vid’ io quella masnada fresca 6869 lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa, 6870 com’ om che va, né sa dove rïesca; 6871 6872 né la nostra partita fu men tosta. 6873 6874 6875 6876 Purgatorio · Canto III 6877 6878 6879 Avvegna che la subitana fuga 6880 dispergesse color per la campagna, 6881 rivolti al monte ove ragion ne fruga, 6882 6883 i’ mi ristrinsi a la fida compagna: 6884 e come sare’ io sanza lui corso? 6885 chi m’avria tratto su per la montagna? 6886 6887 El mi parea da sé stesso rimorso: 6888 o dignitosa coscïenza e netta, 6889 come t’è picciol fallo amaro morso! 6890 6891 Quando li piedi suoi lasciar la fretta, 6892 che l’onestade ad ogn’ atto dismaga, 6893 la mente mia, che prima era ristretta, 6894 6895 lo ’ntento rallargò, sì come vaga, 6896 e diedi ’l viso mio incontr’ al poggio 6897 che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga. 6898 6899 Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio, 6900 rotto m’era dinanzi a la figura, 6901 ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio. 6902 6903 Io mi volsi dallato con paura 6904 d’essere abbandonato, quand’ io vidi 6905 solo dinanzi a me la terra oscura; 6906 6907 e ’l mio conforto: «Perché pur diffidi?», 6908 a dir mi cominciò tutto rivolto; 6909 «non credi tu me teco e ch’io ti guidi? 6910 6911 Vespero è già colà dov’ è sepolto 6912 lo corpo dentro al quale io facea ombra; 6913 Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto. 6914 6915 Ora, se innanzi a me nulla s’aombra, 6916 non ti maravigliar più che d’i cieli 6917 che l’uno a l’altro raggio non ingombra. 6918 6919 A sofferir tormenti, caldi e geli 6920 simili corpi la Virtù dispone 6921 che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli. 6922 6923 Matto è chi spera che nostra ragione 6924 possa trascorrer la infinita via 6925 che tiene una sustanza in tre persone. 6926 6927 State contenti, umana gente, al quia; 6928 ché, se potuto aveste veder tutto, 6929 mestier non era parturir Maria; 6930 6931 e disïar vedeste sanza frutto 6932 tai che sarebbe lor disio quetato, 6933 ch’etternalmente è dato lor per lutto: 6934 6935 io dico d’Aristotile e di Plato 6936 e di molt’ altri»; e qui chinò la fronte, 6937 e più non disse, e rimase turbato. 6938 6939 Noi divenimmo intanto a piè del monte; 6940 quivi trovammo la roccia sì erta, 6941 che ’ndarno vi sarien le gambe pronte. 6942 6943 Tra Lerice e Turbìa la più diserta, 6944 la più rotta ruina è una scala, 6945 verso di quella, agevole e aperta. 6946 6947 «Or chi sa da qual man la costa cala», 6948 disse ’l maestro mio fermando ’l passo, 6949 «sì che possa salir chi va sanz’ ala?». 6950 6951 E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso 6952 essaminava del cammin la mente, 6953 e io mirava suso intorno al sasso, 6954 6955 da man sinistra m’apparì una gente 6956 d’anime, che movieno i piè ver’ noi, 6957 e non pareva, sì venïan lente. 6958 6959 «Leva», diss’ io, «maestro, li occhi tuoi: 6960 ecco di qua chi ne darà consiglio, 6961 se tu da te medesmo aver nol puoi». 6962 6963 Guardò allora, e con libero piglio 6964 rispuose: «Andiamo in là, ch’ei vegnon piano; 6965 e tu ferma la spene, dolce figlio». 6966 6967 Ancora era quel popol di lontano, 6968 i’ dico dopo i nostri mille passi, 6969 quanto un buon gittator trarria con mano, 6970 6971 quando si strinser tutti ai duri massi 6972 de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti 6973 com’ a guardar, chi va dubbiando, stassi. 6974 6975 «O ben finiti, o già spiriti eletti», 6976 Virgilio incominciò, «per quella pace 6977 ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti, 6978 6979 ditene dove la montagna giace, 6980 sì che possibil sia l’andare in suso; 6981 ché perder tempo a chi più sa più spiace». 6982 6983 Come le pecorelle escon del chiuso 6984 a una, a due, a tre, e l’altre stanno 6985 timidette atterrando l’occhio e ’l muso; 6986 6987 e ciò che fa la prima, e l’altre fanno, 6988 addossandosi a lei, s’ella s’arresta, 6989 semplici e quete, e lo ’mperché non sanno; 6990 6991 sì vid’ io muovere a venir la testa 6992 di quella mandra fortunata allotta, 6993 pudica in faccia e ne l’andare onesta. 6994 6995 Come color dinanzi vider rotta 6996 la luce in terra dal mio destro canto, 6997 sì che l’ombra era da me a la grotta, 6998 6999 restaro, e trasser sé in dietro alquanto, 7000 e tutti li altri che venieno appresso, 7001 non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto. 7002 7003 «Sanza vostra domanda io vi confesso 7004 che questo è corpo uman che voi vedete; 7005 per che ’l lume del sole in terra è fesso. 7006 7007 Non vi maravigliate, ma credete 7008 che non sanza virtù che da ciel vegna 7009 cerchi di soverchiar questa parete». 7010 7011 Così ’l maestro; e quella gente degna 7012 «Tornate», disse, «intrate innanzi dunque», 7013 coi dossi de le man faccendo insegna. 7014 7015 E un di loro incominciò: «Chiunque 7016 tu se’, così andando, volgi ’l viso: 7017 pon mente se di là mi vedesti unque». 7018 7019 Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso: 7020 biondo era e bello e di gentile aspetto, 7021 ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso. 7022 7023 Quand’ io mi fui umilmente disdetto 7024 d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»; 7025 e mostrommi una piaga a sommo ’l petto. 7026 7027 Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi, 7028 nepote di Costanza imperadrice; 7029 ond’ io ti priego che, quando tu riedi, 7030 7031 vadi a mia bella figlia, genitrice 7032 de l’onor di Cicilia e d’Aragona, 7033 e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice. 7034 7035 Poscia ch’io ebbi rotta la persona 7036 di due punte mortali, io mi rendei, 7037 piangendo, a quei che volontier perdona. 7038 7039 Orribil furon li peccati miei; 7040 ma la bontà infinita ha sì gran braccia, 7041 che prende ciò che si rivolge a lei. 7042 7043 Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia 7044 di me fu messo per Clemente allora, 7045 avesse in Dio ben letta questa faccia, 7046 7047 l’ossa del corpo mio sarieno ancora 7048 in co del ponte presso a Benevento, 7049 sotto la guardia de la grave mora. 7050 7051 Or le bagna la pioggia e move il vento 7052 di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde, 7053 dov’ e’ le trasmutò a lume spento. 7054 7055 Per lor maladizion sì non si perde, 7056 che non possa tornar, l’etterno amore, 7057 mentre che la speranza ha fior del verde. 7058 7059 Vero è che quale in contumacia more 7060 di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta, 7061 star li convien da questa ripa in fore, 7062 7063 per ognun tempo ch’elli è stato, trenta, 7064 in sua presunzïon, se tal decreto 7065 più corto per buon prieghi non diventa. 7066 7067 Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto, 7068 revelando a la mia buona Costanza 7069 come m’hai visto, e anco esto divieto; 7070 7071 ché qui per quei di là molto s’avanza». 7072 7073 7074 7075 Purgatorio · Canto IV 7076 7077 7078 Quando per dilettanze o ver per doglie, 7079 che alcuna virtù nostra comprenda, 7080 l’anima bene ad essa si raccoglie, 7081 7082 par ch’a nulla potenza più intenda; 7083 e questo è contra quello error che crede 7084 ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda. 7085 7086 E però, quando s’ode cosa o vede 7087 che tegna forte a sé l’anima volta, 7088 vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede; 7089 7090 ch’altra potenza è quella che l’ascolta, 7091 e altra è quella c’ha l’anima intera: 7092 questa è quasi legata e quella è sciolta. 7093 7094 Di ciò ebb’ io esperïenza vera, 7095 udendo quello spirto e ammirando; 7096 ché ben cinquanta gradi salito era 7097 7098 lo sole, e io non m’era accorto, quando 7099 venimmo ove quell’ anime ad una 7100 gridaro a noi: «Qui è vostro dimando». 7101 7102 Maggiore aperta molte volte impruna 7103 con una forcatella di sue spine 7104 l’uom de la villa quando l’uva imbruna, 7105 7106 che non era la calla onde salìne 7107 lo duca mio, e io appresso, soli, 7108 come da noi la schiera si partìne. 7109 7110 Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, 7111 montasi su in Bismantova e ’n Cacume 7112 con esso i piè; ma qui convien ch’om voli; 7113 7114 dico con l’ale snelle e con le piume 7115 del gran disio, di retro a quel condotto 7116 che speranza mi dava e facea lume. 7117 7118 Noi salavam per entro ’l sasso rotto, 7119 e d’ogne lato ne stringea lo stremo, 7120 e piedi e man volea il suol di sotto. 7121 7122 Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo 7123 de l’alta ripa, a la scoperta piaggia, 7124 «Maestro mio», diss’ io, «che via faremo?». 7125 7126 Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia; 7127 pur su al monte dietro a me acquista, 7128 fin che n’appaia alcuna scorta saggia». 7129 7130 Lo sommo er’ alto che vincea la vista, 7131 e la costa superba più assai 7132 che da mezzo quadrante a centro lista. 7133 7134 Io era lasso, quando cominciai: 7135 «O dolce padre, volgiti, e rimira 7136 com’ io rimango sol, se non restai». 7137 7138 «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira», 7139 additandomi un balzo poco in sùe 7140 che da quel lato il poggio tutto gira. 7141 7142 Sì mi spronaron le parole sue, 7143 ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui, 7144 tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue. 7145 7146 A seder ci ponemmo ivi ambedui 7147 vòlti a levante ond’ eravam saliti, 7148 che suole a riguardar giovare altrui. 7149 7150 Li occhi prima drizzai ai bassi liti; 7151 poscia li alzai al sole, e ammirava 7152 che da sinistra n’eravam feriti. 7153 7154 Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava 7155 stupido tutto al carro de la luce, 7156 ove tra noi e Aquilone intrava. 7157 7158 Ond’ elli a me: «Se Castore e Poluce 7159 fossero in compagnia di quello specchio 7160 che sù e giù del suo lume conduce, 7161 7162 tu vedresti il Zodïaco rubecchio 7163 ancora a l’Orse più stretto rotare, 7164 se non uscisse fuor del cammin vecchio. 7165 7166 Come ciò sia, se ’l vuoi poter pensare, 7167 dentro raccolto, imagina Sïòn 7168 con questo monte in su la terra stare 7169 7170 sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn 7171 e diversi emisperi; onde la strada 7172 che mal non seppe carreggiar Fetòn, 7173 7174 vedrai come a costui convien che vada 7175 da l’un, quando a colui da l’altro fianco, 7176 se lo ’ntelletto tuo ben chiaro bada». 7177 7178 «Certo, maestro mio,» diss’ io, «unquanco 7179 non vid’ io chiaro sì com’ io discerno 7180 là dove mio ingegno parea manco, 7181 7182 che ’l mezzo cerchio del moto superno, 7183 che si chiama Equatore in alcun’ arte, 7184 e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno, 7185 7186 per la ragion che di’, quinci si parte 7187 verso settentrïon, quanto li Ebrei 7188 vedevan lui verso la calda parte. 7189 7190 Ma se a te piace, volontier saprei 7191 quanto avemo ad andar; ché ’l poggio sale 7192 più che salir non posson li occhi miei». 7193 7194 Ed elli a me: «Questa montagna è tale, 7195 che sempre al cominciar di sotto è grave; 7196 e quant’ om più va sù, e men fa male. 7197 7198 Però, quand’ ella ti parrà soave 7199 tanto, che sù andar ti fia leggero 7200 com’ a seconda giù andar per nave, 7201 7202 allor sarai al fin d’esto sentiero; 7203 quivi di riposar l’affanno aspetta. 7204 Più non rispondo, e questo so per vero». 7205 7206 E com’ elli ebbe sua parola detta, 7207 una voce di presso sonò: «Forse 7208 che di sedere in pria avrai distretta!». 7209 7210 Al suon di lei ciascun di noi si torse, 7211 e vedemmo a mancina un gran petrone, 7212 del qual né io né ei prima s’accorse. 7213 7214 Là ci traemmo; e ivi eran persone 7215 che si stavano a l’ombra dietro al sasso 7216 come l’uom per negghienza a star si pone. 7217 7218 E un di lor, che mi sembiava lasso, 7219 sedeva e abbracciava le ginocchia, 7220 tenendo ’l viso giù tra esse basso. 7221 7222 «O dolce segnor mio», diss’ io, «adocchia 7223 colui che mostra sé più negligente 7224 che se pigrizia fosse sua serocchia». 7225 7226 Allor si volse a noi e puose mente, 7227 movendo ’l viso pur su per la coscia, 7228 e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!». 7229 7230 Conobbi allor chi era, e quella angoscia 7231 che m’avacciava un poco ancor la lena, 7232 non m’impedì l’andare a lui; e poscia 7233 7234 ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena, 7235 dicendo: «Hai ben veduto come ’l sole 7236 da l’omero sinistro il carro mena?». 7237 7238 Li atti suoi pigri e le corte parole 7239 mosser le labbra mie un poco a riso; 7240 poi cominciai: «Belacqua, a me non dole 7241 7242 di te omai; ma dimmi: perché assiso 7243 quiritto se’? attendi tu iscorta, 7244 o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?». 7245 7246 Ed elli: «O frate, andar in sù che porta? 7247 ché non mi lascerebbe ire a’ martìri 7248 l’angel di Dio che siede in su la porta. 7249 7250 Prima convien che tanto il ciel m’aggiri 7251 di fuor da essa, quanto fece in vita, 7252 per ch’io ’ndugiai al fine i buon sospiri, 7253 7254 se orazïone in prima non m’aita 7255 che surga sù di cuor che in grazia viva; 7256 l’altra che val, che ’n ciel non è udita?». 7257 7258 E già il poeta innanzi mi saliva, 7259 e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco 7260 meridïan dal sole e a la riva 7261 7262 cuopre la notte già col piè Morrocco». 7263 7264 7265 7266 Purgatorio · Canto V 7267 7268 7269 Io era già da quell’ ombre partito, 7270 e seguitava l’orme del mio duca, 7271 quando di retro a me, drizzando ’l dito, 7272 7273 una gridò: «Ve’ che non par che luca 7274 lo raggio da sinistra a quel di sotto, 7275 e come vivo par che si conduca!». 7276 7277 Li occhi rivolsi al suon di questo motto, 7278 e vidile guardar per maraviglia 7279 pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto. 7280 7281 «Perché l’animo tuo tanto s’impiglia», 7282 disse ’l maestro, «che l’andare allenti? 7283 che ti fa ciò che quivi si pispiglia? 7284 7285 Vien dietro a me, e lascia dir le genti: 7286 sta come torre ferma, che non crolla 7287 già mai la cima per soffiar di venti; 7288 7289 ché sempre l’omo in cui pensier rampolla 7290 sovra pensier, da sé dilunga il segno, 7291 perché la foga l’un de l’altro insolla». 7292 7293 Che potea io ridir, se non «Io vegno»? 7294 Dissilo, alquanto del color consperso 7295 che fa l’uom di perdon talvolta degno. 7296 7297 E ’ntanto per la costa di traverso 7298 venivan genti innanzi a noi un poco, 7299 cantando ‘Miserere’ a verso a verso. 7300 7301 Quando s’accorser ch’i’ non dava loco 7302 per lo mio corpo al trapassar d’i raggi, 7303 mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco; 7304 7305 e due di loro, in forma di messaggi, 7306 corsero incontr’ a noi e dimandarne: 7307 «Di vostra condizion fatene saggi». 7308 7309 E ’l mio maestro: «Voi potete andarne 7310 e ritrarre a color che vi mandaro 7311 che ’l corpo di costui è vera carne. 7312 7313 Se per veder la sua ombra restaro, 7314 com’ io avviso, assai è lor risposto: 7315 fàccianli onore, ed esser può lor caro». 7316 7317 Vapori accesi non vid’ io sì tosto 7318 di prima notte mai fender sereno, 7319 né, sol calando, nuvole d’agosto, 7320 7321 che color non tornasser suso in meno; 7322 e, giunti là, con li altri a noi dier volta, 7323 come schiera che scorre sanza freno. 7324 7325 «Questa gente che preme a noi è molta, 7326 e vegnonti a pregar», disse ’l poeta: 7327 «però pur va, e in andando ascolta». 7328 7329 «O anima che vai per esser lieta 7330 con quelle membra con le quai nascesti», 7331 venian gridando, «un poco il passo queta. 7332 7333 Guarda s’alcun di noi unqua vedesti, 7334 sì che di lui di là novella porti: 7335 deh, perché vai? deh, perché non t’arresti? 7336 7337 Noi fummo tutti già per forza morti, 7338 e peccatori infino a l’ultima ora; 7339 quivi lume del ciel ne fece accorti, 7340 7341 sì che, pentendo e perdonando, fora 7342 di vita uscimmo a Dio pacificati, 7343 che del disio di sé veder n’accora». 7344 7345 E io: «Perché ne’ vostri visi guati, 7346 non riconosco alcun; ma s’a voi piace 7347 cosa ch’io possa, spiriti ben nati, 7348 7349 voi dite, e io farò per quella pace 7350 che, dietro a’ piedi di sì fatta guida, 7351 di mondo in mondo cercar mi si face». 7352 7353 E uno incominciò: «Ciascun si fida 7354 del beneficio tuo sanza giurarlo, 7355 pur che ’l voler nonpossa non ricida. 7356 7357 Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo, 7358 ti priego, se mai vedi quel paese 7359 che siede tra Romagna e quel di Carlo, 7360 7361 che tu mi sie di tuoi prieghi cortese 7362 in Fano, sì che ben per me s’adori 7363 pur ch’i’ possa purgar le gravi offese. 7364 7365 Quindi fu’ io; ma li profondi fóri 7366 ond’ uscì ’l sangue in sul quale io sedea, 7367 fatti mi fuoro in grembo a li Antenori, 7368 7369 là dov’ io più sicuro esser credea: 7370 quel da Esti il fé far, che m’avea in ira 7371 assai più là che dritto non volea. 7372 7373 Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira, 7374 quando fu’ sovragiunto ad Orïaco, 7375 ancor sarei di là dove si spira. 7376 7377 Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco 7378 m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’ io 7379 de le mie vene farsi in terra laco». 7380 7381 Poi disse un altro: «Deh, se quel disio 7382 si compia che ti tragge a l’alto monte, 7383 con buona pïetate aiuta il mio! 7384 7385 Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; 7386 Giovanna o altri non ha di me cura; 7387 per ch’io vo tra costor con bassa fronte». 7388 7389 E io a lui: «Qual forza o qual ventura 7390 ti travïò sì fuor di Campaldino, 7391 che non si seppe mai tua sepultura?». 7392 7393 «Oh!», rispuos’ elli, «a piè del Casentino 7394 traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano, 7395 che sovra l’Ermo nasce in Apennino. 7396 7397 Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano, 7398 arriva’ io forato ne la gola, 7399 fuggendo a piede e sanguinando il piano. 7400 7401 Quivi perdei la vista e la parola; 7402 nel nome di Maria fini’, e quivi 7403 caddi, e rimase la mia carne sola. 7404 7405 Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi: 7406 l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno 7407 gridava: “O tu del ciel, perché mi privi? 7408 7409 Tu te ne porti di costui l’etterno 7410 per una lagrimetta che ’l mi toglie; 7411 ma io farò de l’altro altro governo!”. 7412 7413 Ben sai come ne l’aere si raccoglie 7414 quell’ umido vapor che in acqua riede, 7415 tosto che sale dove ’l freddo il coglie. 7416 7417 Giunse quel mal voler che pur mal chiede 7418 con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento 7419 per la virtù che sua natura diede. 7420 7421 Indi la valle, come ’l dì fu spento, 7422 da Pratomagno al gran giogo coperse 7423 di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento, 7424 7425 sì che ’l pregno aere in acqua si converse; 7426 la pioggia cadde, e a’ fossati venne 7427 di lei ciò che la terra non sofferse; 7428 7429 e come ai rivi grandi si convenne, 7430 ver’ lo fiume real tanto veloce 7431 si ruinò, che nulla la ritenne. 7432 7433 Lo corpo mio gelato in su la foce 7434 trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse 7435 ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce 7436 7437 ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse; 7438 voltòmmi per le ripe e per lo fondo, 7439 poi di sua preda mi coperse e cinse». 7440 7441 «Deh, quando tu sarai tornato al mondo 7442 e riposato de la lunga via», 7443 seguitò ’l terzo spirito al secondo, 7444 7445 «ricorditi di me, che son la Pia; 7446 Siena mi fé, disfecemi Maremma: 7447 salsi colui che ’nnanellata pria 7448 7449 disposando m’avea con la sua gemma». 7450 7451 7452 7453 Purgatorio · Canto VI 7454 7455 7456 Quando si parte il gioco de la zara, 7457 colui che perde si riman dolente, 7458 repetendo le volte, e tristo impara; 7459 7460 con l’altro se ne va tutta la gente; 7461 qual va dinanzi, e qual di dietro il prende, 7462 e qual dallato li si reca a mente; 7463 7464 el non s’arresta, e questo e quello intende; 7465 a cui porge la man, più non fa pressa; 7466 e così da la calca si difende. 7467 7468 Tal era io in quella turba spessa, 7469 volgendo a loro, e qua e là, la faccia, 7470 e promettendo mi sciogliea da essa. 7471 7472 Quiv’ era l’Aretin che da le braccia 7473 fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte, 7474 e l’altro ch’annegò correndo in caccia. 7475 7476 Quivi pregava con le mani sporte 7477 Federigo Novello, e quel da Pisa 7478 che fé parer lo buon Marzucco forte. 7479 7480 Vidi conte Orso e l’anima divisa 7481 dal corpo suo per astio e per inveggia, 7482 com’ e’ dicea, non per colpa commisa; 7483 7484 Pier da la Broccia dico; e qui proveggia, 7485 mentr’ è di qua, la donna di Brabante, 7486 sì che però non sia di peggior greggia. 7487 7488 Come libero fui da tutte quante 7489 quell’ ombre che pregar pur ch’altri prieghi, 7490 sì che s’avacci lor divenir sante, 7491 7492 io cominciai: «El par che tu mi nieghi, 7493 o luce mia, espresso in alcun testo 7494 che decreto del cielo orazion pieghi; 7495 7496 e questa gente prega pur di questo: 7497 sarebbe dunque loro speme vana, 7498 o non m’è ’l detto tuo ben manifesto?». 7499 7500 Ed elli a me: «La mia scrittura è piana; 7501 e la speranza di costor non falla, 7502 se ben si guarda con la mente sana; 7503 7504 ché cima di giudicio non s’avvalla 7505 perché foco d’amor compia in un punto 7506 ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla; 7507 7508 e là dov’ io fermai cotesto punto, 7509 non s’ammendava, per pregar, difetto, 7510 perché ’l priego da Dio era disgiunto. 7511 7512 Veramente a così alto sospetto 7513 non ti fermar, se quella nol ti dice 7514 che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto. 7515 7516 Non so se ’ntendi: io dico di Beatrice; 7517 tu la vedrai di sopra, in su la vetta 7518 di questo monte, ridere e felice». 7519 7520 E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta, 7521 ché già non m’affatico come dianzi, 7522 e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta». 7523 7524 «Noi anderem con questo giorno innanzi», 7525 rispuose, «quanto più potremo omai; 7526 ma ’l fatto è d’altra forma che non stanzi. 7527 7528 Prima che sie là sù, tornar vedrai 7529 colui che già si cuopre de la costa, 7530 sì che ’ suoi raggi tu romper non fai. 7531 7532 Ma vedi là un’anima che, posta 7533 sola soletta, inverso noi riguarda: 7534 quella ne ’nsegnerà la via più tosta». 7535 7536 Venimmo a lei: o anima lombarda, 7537 come ti stavi altera e disdegnosa 7538 e nel mover de li occhi onesta e tarda! 7539 7540 Ella non ci dicëa alcuna cosa, 7541 ma lasciavane gir, solo sguardando 7542 a guisa di leon quando si posa. 7543 7544 Pur Virgilio si trasse a lei, pregando 7545 che ne mostrasse la miglior salita; 7546 e quella non rispuose al suo dimando, 7547 7548 ma di nostro paese e de la vita 7549 ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava 7550 «Mantüa . . . », e l’ombra, tutta in sé romita, 7551 7552 surse ver’ lui del loco ove pria stava, 7553 dicendo: «O Mantoano, io son Sordello 7554 de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava. 7555 7556 Ahi serva Italia, di dolore ostello, 7557 nave sanza nocchiere in gran tempesta, 7558 non donna di province, ma bordello! 7559 7560 Quell’ anima gentil fu così presta, 7561 sol per lo dolce suon de la sua terra, 7562 di fare al cittadin suo quivi festa; 7563 7564 e ora in te non stanno sanza guerra 7565 li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode 7566 di quei ch’un muro e una fossa serra. 7567 7568 Cerca, misera, intorno da le prode 7569 le tue marine, e poi ti guarda in seno, 7570 s’alcuna parte in te di pace gode. 7571 7572 Che val perché ti racconciasse il freno 7573 Iustinïano, se la sella è vòta? 7574 Sanz’ esso fora la vergogna meno. 7575 7576 Ahi gente che dovresti esser devota, 7577 e lasciar seder Cesare in la sella, 7578 se bene intendi ciò che Dio ti nota, 7579 7580 guarda come esta fiera è fatta fella 7581 per non esser corretta da li sproni, 7582 poi che ponesti mano a la predella. 7583 7584 O Alberto tedesco ch’abbandoni 7585 costei ch’è fatta indomita e selvaggia, 7586 e dovresti inforcar li suoi arcioni, 7587 7588 giusto giudicio da le stelle caggia 7589 sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto, 7590 tal che ’l tuo successor temenza n’aggia! 7591 7592 Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto, 7593 per cupidigia di costà distretti, 7594 che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto. 7595 7596 Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, 7597 Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura: 7598 color già tristi, e questi con sospetti! 7599 7600 Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura 7601 d’i tuoi gentili, e cura lor magagne; 7602 e vedrai Santafior com’ è oscura! 7603 7604 Vieni a veder la tua Roma che piagne 7605 vedova e sola, e dì e notte chiama: 7606 «Cesare mio, perché non m’accompagne?». 7607 7608 Vieni a veder la gente quanto s’ama! 7609 e se nulla di noi pietà ti move, 7610 a vergognar ti vien de la tua fama. 7611 7612 E se licito m’è, o sommo Giove 7613 che fosti in terra per noi crucifisso, 7614 son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? 7615 7616 O è preparazion che ne l’abisso 7617 del tuo consiglio fai per alcun bene 7618 in tutto de l’accorger nostro scisso? 7619 7620 Ché le città d’Italia tutte piene 7621 son di tiranni, e un Marcel diventa 7622 ogne villan che parteggiando viene. 7623 7624 Fiorenza mia, ben puoi esser contenta 7625 di questa digression che non ti tocca, 7626 mercé del popol tuo che si argomenta. 7627 7628 Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca 7629 per non venir sanza consiglio a l’arco; 7630 ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca. 7631 7632 Molti rifiutan lo comune incarco; 7633 ma il popol tuo solicito risponde 7634 sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!». 7635 7636 Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde: 7637 tu ricca, tu con pace e tu con senno! 7638 S’io dico ’l ver, l’effetto nol nasconde. 7639 7640 Atene e Lacedemona, che fenno 7641 l’antiche leggi e furon sì civili, 7642 fecero al viver bene un picciol cenno 7643 7644 verso di te, che fai tanto sottili 7645 provedimenti, ch’a mezzo novembre 7646 non giugne quel che tu d’ottobre fili. 7647 7648 Quante volte, del tempo che rimembre, 7649 legge, moneta, officio e costume 7650 hai tu mutato, e rinovate membre! 7651 7652 E se ben ti ricordi e vedi lume, 7653 vedrai te somigliante a quella inferma 7654 che non può trovar posa in su le piume, 7655 7656 ma con dar volta suo dolore scherma. 7657 7658 7659 7660 Purgatorio · Canto VII 7661 7662 7663 Poscia che l’accoglienze oneste e liete 7664 furo iterate tre e quattro volte, 7665 Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?». 7666 7667 «Anzi che a questo monte fosser volte 7668 l’anime degne di salire a Dio, 7669 fur l’ossa mie per Ottavian sepolte. 7670 7671 Io son Virgilio; e per null’ altro rio 7672 lo ciel perdei che per non aver fé». 7673 Così rispuose allora il duca mio. 7674 7675 Qual è colui che cosa innanzi sé 7676 sùbita vede ond’ e’ si maraviglia, 7677 che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . », 7678 7679 tal parve quelli; e poi chinò le ciglia, 7680 e umilmente ritornò ver’ lui, 7681 e abbracciòl là ’ve ’l minor s’appiglia. 7682 7683 «O gloria di Latin», disse, «per cui 7684 mostrò ciò che potea la lingua nostra, 7685 o pregio etterno del loco ond’ io fui, 7686 7687 qual merito o qual grazia mi ti mostra? 7688 S’io son d’udir le tue parole degno, 7689 dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra». 7690 7691 «Per tutt’ i cerchi del dolente regno», 7692 rispuose lui, «son io di qua venuto; 7693 virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno. 7694 7695 Non per far, ma per non fare ho perduto 7696 a veder l’alto Sol che tu disiri 7697 e che fu tardi per me conosciuto. 7698 7699 Luogo è là giù non tristo di martìri, 7700 ma di tenebre solo, ove i lamenti 7701 non suonan come guai, ma son sospiri. 7702 7703 Quivi sto io coi pargoli innocenti 7704 dai denti morsi de la morte avante 7705 che fosser da l’umana colpa essenti; 7706 7707 quivi sto io con quei che le tre sante 7708 virtù non si vestiro, e sanza vizio 7709 conobber l’altre e seguir tutte quante. 7710 7711 Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio 7712 dà noi per che venir possiam più tosto 7713 là dove purgatorio ha dritto inizio». 7714 7715 Rispuose: «Loco certo non c’è posto; 7716 licito m’è andar suso e intorno; 7717 per quanto ir posso, a guida mi t’accosto. 7718 7719 Ma vedi già come dichina il giorno, 7720 e andar sù di notte non si puote; 7721 però è buon pensar di bel soggiorno. 7722 7723 Anime sono a destra qua remote; 7724 se mi consenti, io ti merrò ad esse, 7725 e non sanza diletto ti fier note». 7726 7727 «Com’ è ciò?», fu risposto. «Chi volesse 7728 salir di notte, fora elli impedito 7729 d’altrui, o non sarria ché non potesse?». 7730 7731 E ’l buon Sordello in terra fregò ’l dito, 7732 dicendo: «Vedi? sola questa riga 7733 non varcheresti dopo ’l sol partito: 7734 7735 non però ch’altra cosa desse briga, 7736 che la notturna tenebra, ad ir suso; 7737 quella col nonpoder la voglia intriga. 7738 7739 Ben si poria con lei tornare in giuso 7740 e passeggiar la costa intorno errando, 7741 mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso». 7742 7743 Allora il mio segnor, quasi ammirando, 7744 «Menane», disse, «dunque là ’ve dici 7745 ch’aver si può diletto dimorando». 7746 7747 Poco allungati c’eravam di lici, 7748 quand’ io m’accorsi che ’l monte era scemo, 7749 a guisa che i vallon li sceman quici. 7750 7751 «Colà», disse quell’ ombra, «n’anderemo 7752 dove la costa face di sé grembo; 7753 e là il novo giorno attenderemo». 7754 7755 Tra erto e piano era un sentiero schembo, 7756 che ne condusse in fianco de la lacca, 7757 là dove più ch’a mezzo muore il lembo. 7758 7759 Oro e argento fine, cocco e biacca, 7760 indaco, legno lucido e sereno, 7761 fresco smeraldo in l’ora che si fiacca, 7762 7763 da l’erba e da li fior, dentr’ a quel seno 7764 posti, ciascun saria di color vinto, 7765 come dal suo maggiore è vinto il meno. 7766 7767 Non avea pur natura ivi dipinto, 7768 ma di soavità di mille odori 7769 vi facea uno incognito e indistinto. 7770 7771 ‘Salve, Regina’ in sul verde e ’n su’ fiori 7772 quindi seder cantando anime vidi, 7773 che per la valle non parean di fuori. 7774 7775 «Prima che ’l poco sole omai s’annidi», 7776 cominciò ’l Mantoan che ci avea vòlti, 7777 «tra color non vogliate ch’io vi guidi. 7778 7779 Di questo balzo meglio li atti e ’ volti 7780 conoscerete voi di tutti quanti, 7781 che ne la lama giù tra essi accolti. 7782 7783 Colui che più siede alto e fa sembianti 7784 d’aver negletto ciò che far dovea, 7785 e che non move bocca a li altrui canti, 7786 7787 Rodolfo imperador fu, che potea 7788 sanar le piaghe c’hanno Italia morta, 7789 sì che tardi per altri si ricrea. 7790 7791 L’altro che ne la vista lui conforta, 7792 resse la terra dove l’acqua nasce 7793 che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta: 7794 7795 Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce 7796 fu meglio assai che Vincislao suo figlio 7797 barbuto, cui lussuria e ozio pasce. 7798 7799 E quel nasetto che stretto a consiglio 7800 par con colui c’ha sì benigno aspetto, 7801 morì fuggendo e disfiorando il giglio: 7802 7803 guardate là come si batte il petto! 7804 L’altro vedete c’ha fatto a la guancia 7805 de la sua palma, sospirando, letto. 7806 7807 Padre e suocero son del mal di Francia: 7808 sanno la vita sua viziata e lorda, 7809 e quindi viene il duol che sì li lancia. 7810 7811 Quel che par sì membruto e che s’accorda, 7812 cantando, con colui dal maschio naso, 7813 d’ogne valor portò cinta la corda; 7814 7815 e se re dopo lui fosse rimaso 7816 lo giovanetto che retro a lui siede, 7817 ben andava il valor di vaso in vaso, 7818 7819 che non si puote dir de l’altre rede; 7820 Iacomo e Federigo hanno i reami; 7821 del retaggio miglior nessun possiede. 7822 7823 Rade volte risurge per li rami 7824 l’umana probitate; e questo vole 7825 quei che la dà, perché da lui si chiami. 7826 7827 Anche al nasuto vanno mie parole 7828 non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta, 7829 onde Puglia e Proenza già si dole. 7830 7831 Tant’ è del seme suo minor la pianta, 7832 quanto, più che Beatrice e Margherita, 7833 Costanza di marito ancor si vanta. 7834 7835 Vedete il re de la semplice vita 7836 seder là solo, Arrigo d’Inghilterra: 7837 questi ha ne’ rami suoi migliore uscita. 7838 7839 Quel che più basso tra costor s’atterra, 7840 guardando in suso, è Guiglielmo marchese, 7841 per cui e Alessandria e la sua guerra 7842 7843 fa pianger Monferrato e Canavese». 7844 7845 7846 7847 Purgatorio · Canto VIII 7848 7849 7850 Era già l’ora che volge il disio 7851 ai navicanti e ’ntenerisce il core 7852 lo dì c’han detto ai dolci amici addio; 7853 7854 e che lo novo peregrin d’amore 7855 punge, se ode squilla di lontano 7856 che paia il giorno pianger che si more; 7857 7858 quand’ io incominciai a render vano 7859 l’udire e a mirare una de l’alme 7860 surta, che l’ascoltar chiedea con mano. 7861 7862 Ella giunse e levò ambo le palme, 7863 ficcando li occhi verso l’orïente, 7864 come dicesse a Dio: ‘D’altro non calme’. 7865 7866 ‘Te lucis ante’ sì devotamente 7867 le uscìo di bocca e con sì dolci note, 7868 che fece me a me uscir di mente; 7869 7870 e l’altre poi dolcemente e devote 7871 seguitar lei per tutto l’inno intero, 7872 avendo li occhi a le superne rote. 7873 7874 Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, 7875 ché ’l velo è ora ben tanto sottile, 7876 certo che ’l trapassar dentro è leggero. 7877 7878 Io vidi quello essercito gentile 7879 tacito poscia riguardare in sùe, 7880 quasi aspettando, palido e umìle; 7881 7882 e vidi uscir de l’alto e scender giùe 7883 due angeli con due spade affocate, 7884 tronche e private de le punte sue. 7885 7886 Verdi come fogliette pur mo nate 7887 erano in veste, che da verdi penne 7888 percosse traean dietro e ventilate. 7889 7890 L’un poco sovra noi a star si venne, 7891 e l’altro scese in l’opposita sponda, 7892 sì che la gente in mezzo si contenne. 7893 7894 Ben discernëa in lor la testa bionda; 7895 ma ne la faccia l’occhio si smarria, 7896 come virtù ch’a troppo si confonda. 7897 7898 «Ambo vegnon del grembo di Maria», 7899 disse Sordello, «a guardia de la valle, 7900 per lo serpente che verrà vie via». 7901 7902 Ond’ io, che non sapeva per qual calle, 7903 mi volsi intorno, e stretto m’accostai, 7904 tutto gelato, a le fidate spalle. 7905 7906 E Sordello anco: «Or avvalliamo omai 7907 tra le grandi ombre, e parleremo ad esse; 7908 grazïoso fia lor vedervi assai». 7909 7910 Solo tre passi credo ch’i’ scendesse, 7911 e fui di sotto, e vidi un che mirava 7912 pur me, come conoscer mi volesse. 7913 7914 Temp’ era già che l’aere s’annerava, 7915 ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei 7916 non dichiarisse ciò che pria serrava. 7917 7918 Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei: 7919 giudice Nin gentil, quanto mi piacque 7920 quando ti vidi non esser tra ’ rei! 7921 7922 Nullo bel salutar tra noi si tacque; 7923 poi dimandò: «Quant’ è che tu venisti 7924 a piè del monte per le lontane acque?». 7925 7926 «Oh!», diss’ io lui, «per entro i luoghi tristi 7927 venni stamane, e sono in prima vita, 7928 ancor che l’altra, sì andando, acquisti». 7929 7930 E come fu la mia risposta udita, 7931 Sordello ed elli in dietro si raccolse 7932 come gente di sùbito smarrita. 7933 7934 L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse 7935 che sedea lì, gridando: «Sù, Currado! 7936 vieni a veder che Dio per grazia volse». 7937 7938 Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado 7939 che tu dei a colui che sì nasconde 7940 lo suo primo perché, che non lì è guado, 7941 7942 quando sarai di là da le larghe onde, 7943 dì a Giovanna mia che per me chiami 7944 là dove a li ’nnocenti si risponde. 7945 7946 Non credo che la sua madre più m’ami, 7947 poscia che trasmutò le bianche bende, 7948 le quai convien che, misera!, ancor brami. 7949 7950 Per lei assai di lieve si comprende 7951 quanto in femmina foco d’amor dura, 7952 se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende. 7953 7954 Non le farà sì bella sepultura 7955 la vipera che Melanesi accampa, 7956 com’ avria fatto il gallo di Gallura». 7957 7958 Così dicea, segnato de la stampa, 7959 nel suo aspetto, di quel dritto zelo 7960 che misuratamente in core avvampa. 7961 7962 Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo, 7963 pur là dove le stelle son più tarde, 7964 sì come rota più presso a lo stelo. 7965 7966 E ’l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?». 7967 E io a lui: «A quelle tre facelle 7968 di che ’l polo di qua tutto quanto arde». 7969 7970 Ond’ elli a me: «Le quattro chiare stelle 7971 che vedevi staman, son di là basse, 7972 e queste son salite ov’ eran quelle». 7973 7974 Com’ ei parlava, e Sordello a sé il trasse 7975 dicendo: «Vedi là ’l nostro avversaro»; 7976 e drizzò il dito perché ’n là guardasse. 7977 7978 Da quella parte onde non ha riparo 7979 la picciola vallea, era una biscia, 7980 forse qual diede ad Eva il cibo amaro. 7981 7982 Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia, 7983 volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso 7984 leccando come bestia che si liscia. 7985 7986 Io non vidi, e però dicer non posso, 7987 come mosser li astor celestïali; 7988 ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso. 7989 7990 Sentendo fender l’aere a le verdi ali, 7991 fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta, 7992 suso a le poste rivolando iguali. 7993 7994 L’ombra che s’era al giudice raccolta 7995 quando chiamò, per tutto quello assalto 7996 punto non fu da me guardare sciolta. 7997 7998 «Se la lucerna che ti mena in alto 7999 truovi nel tuo arbitrio tanta cera 8000 quant’ è mestiere infino al sommo smalto», 8001 8002 cominciò ella, «se novella vera 8003 di Val di Magra o di parte vicina 8004 sai, dillo a me, che già grande là era. 8005 8006 Fui chiamato Currado Malaspina; 8007 non son l’antico, ma di lui discesi; 8008 a’ miei portai l’amor che qui raffina». 8009 8010 «Oh!», diss’ io lui, «per li vostri paesi 8011 già mai non fui; ma dove si dimora 8012 per tutta Europa ch’ei non sien palesi? 8013 8014 La fama che la vostra casa onora, 8015 grida i segnori e grida la contrada, 8016 sì che ne sa chi non vi fu ancora; 8017 8018 e io vi giuro, s’io di sopra vada, 8019 che vostra gente onrata non si sfregia 8020 del pregio de la borsa e de la spada. 8021 8022 Uso e natura sì la privilegia, 8023 che, perché il capo reo il mondo torca, 8024 sola va dritta e ’l mal cammin dispregia». 8025 8026 Ed elli: «Or va; che ’l sol non si ricorca 8027 sette volte nel letto che ’l Montone 8028 con tutti e quattro i piè cuopre e inforca, 8029 8030 che cotesta cortese oppinïone 8031 ti fia chiavata in mezzo de la testa 8032 con maggior chiovi che d’altrui sermone, 8033 8034 se corso di giudicio non s’arresta». 8035 8036 8037 8038 Purgatorio · Canto IX 8039 8040 8041 La concubina di Titone antico 8042 già s’imbiancava al balco d’orïente, 8043 fuor de le braccia del suo dolce amico; 8044 8045 di gemme la sua fronte era lucente, 8046 poste in figura del freddo animale 8047 che con la coda percuote la gente; 8048 8049 e la notte, de’ passi con che sale, 8050 fatti avea due nel loco ov’ eravamo, 8051 e ’l terzo già chinava in giuso l’ale; 8052 8053 quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo, 8054 vinto dal sonno, in su l’erba inchinai 8055 là ’ve già tutti e cinque sedavamo. 8056 8057 Ne l’ora che comincia i tristi lai 8058 la rondinella presso a la mattina, 8059 forse a memoria de’ suo’ primi guai, 8060 8061 e che la mente nostra, peregrina 8062 più da la carne e men da’ pensier presa, 8063 a le sue visïon quasi è divina, 8064 8065 in sogno mi parea veder sospesa 8066 un’aguglia nel ciel con penne d’oro, 8067 con l’ali aperte e a calare intesa; 8068 8069 ed esser mi parea là dove fuoro 8070 abbandonati i suoi da Ganimede, 8071 quando fu ratto al sommo consistoro. 8072 8073 Fra me pensava: ‘Forse questa fiede 8074 pur qui per uso, e forse d’altro loco 8075 disdegna di portarne suso in piede’. 8076 8077 Poi mi parea che, poi rotata un poco, 8078 terribil come folgor discendesse, 8079 e me rapisse suso infino al foco. 8080 8081 Ivi parea che ella e io ardesse; 8082 e sì lo ’ncendio imaginato cosse, 8083 che convenne che ’l sonno si rompesse. 8084 8085 Non altrimenti Achille si riscosse, 8086 li occhi svegliati rivolgendo in giro 8087 e non sappiendo là dove si fosse, 8088 8089 quando la madre da Chirón a Schiro 8090 trafuggò lui dormendo in le sue braccia, 8091 là onde poi li Greci il dipartiro; 8092 8093 che mi scoss’ io, sì come da la faccia 8094 mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto, 8095 come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia. 8096 8097 Dallato m’era solo il mio conforto, 8098 e ’l sole er’ alto già più che due ore, 8099 e ’l viso m’era a la marina torto. 8100 8101 «Non aver tema», disse il mio segnore; 8102 «fatti sicur, ché noi semo a buon punto; 8103 non stringer, ma rallarga ogne vigore. 8104 8105 Tu se’ omai al purgatorio giunto: 8106 vedi là il balzo che ’l chiude dintorno; 8107 vedi l’entrata là ’ve par digiunto. 8108 8109 Dianzi, ne l’alba che procede al giorno, 8110 quando l’anima tua dentro dormia, 8111 sovra li fiori ond’ è là giù addorno 8112 8113 venne una donna, e disse: “I’ son Lucia; 8114 lasciatemi pigliar costui che dorme; 8115 sì l’agevolerò per la sua via”. 8116 8117 Sordel rimase e l’altre genti forme; 8118 ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro, 8119 sen venne suso; e io per le sue orme. 8120 8121 Qui ti posò, ma pria mi dimostraro 8122 li occhi suoi belli quella intrata aperta; 8123 poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro». 8124 8125 A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta 8126 e che muta in conforto sua paura, 8127 poi che la verità li è discoperta, 8128 8129 mi cambia’ io; e come sanza cura 8130 vide me ’l duca mio, su per lo balzo 8131 si mosse, e io di rietro inver’ l’altura. 8132 8133 Lettor, tu vedi ben com’ io innalzo 8134 la mia matera, e però con più arte 8135 non ti maravigliar s’io la rincalzo. 8136 8137 Noi ci appressammo, ed eravamo in parte 8138 che là dove pareami prima rotto, 8139 pur come un fesso che muro diparte, 8140 8141 vidi una porta, e tre gradi di sotto 8142 per gire ad essa, di color diversi, 8143 e un portier ch’ancor non facea motto. 8144 8145 E come l’occhio più e più v’apersi, 8146 vidil seder sovra ’l grado sovrano, 8147 tal ne la faccia ch’io non lo soffersi; 8148 8149 e una spada nuda avëa in mano, 8150 che reflettëa i raggi sì ver’ noi, 8151 ch’io drizzava spesso il viso in vano. 8152 8153 «Dite costinci: che volete voi?», 8154 cominciò elli a dire, «ov’ è la scorta? 8155 Guardate che ’l venir sù non vi nòi». 8156 8157 «Donna del ciel, di queste cose accorta», 8158 rispuose ’l mio maestro a lui, «pur dianzi 8159 ne disse: “Andate là: quivi è la porta”». 8160 8161 «Ed ella i passi vostri in bene avanzi», 8162 ricominciò il cortese portinaio: 8163 «Venite dunque a’ nostri gradi innanzi». 8164 8165 Là ne venimmo; e lo scaglion primaio 8166 bianco marmo era sì pulito e terso, 8167 ch’io mi specchiai in esso qual io paio. 8168 8169 Era il secondo tinto più che perso, 8170 d’una petrina ruvida e arsiccia, 8171 crepata per lo lungo e per traverso. 8172 8173 Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia, 8174 porfido mi parea, sì fiammeggiante 8175 come sangue che fuor di vena spiccia. 8176 8177 Sovra questo tenëa ambo le piante 8178 l’angel di Dio sedendo in su la soglia 8179 che mi sembiava pietra di diamante. 8180 8181 Per li tre gradi sù di buona voglia 8182 mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi 8183 umilemente che ’l serrame scioglia». 8184 8185 Divoto mi gittai a’ santi piedi; 8186 misericordia chiesi e ch’el m’aprisse, 8187 ma tre volte nel petto pria mi diedi. 8188 8189 Sette P ne la fronte mi descrisse 8190 col punton de la spada, e «Fa che lavi, 8191 quando se’ dentro, queste piaghe» disse. 8192 8193 Cenere, o terra che secca si cavi, 8194 d’un color fora col suo vestimento; 8195 e di sotto da quel trasse due chiavi. 8196 8197 L’una era d’oro e l’altra era d’argento; 8198 pria con la bianca e poscia con la gialla 8199 fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento. 8200 8201 «Quandunque l’una d’este chiavi falla, 8202 che non si volga dritta per la toppa», 8203 diss’ elli a noi, «non s’apre questa calla. 8204 8205 Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa 8206 d’arte e d’ingegno avanti che diserri, 8207 perch’ ella è quella che ’l nodo digroppa. 8208 8209 Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri 8210 anzi ad aprir ch’a tenerla serrata, 8211 pur che la gente a’ piedi mi s’atterri». 8212 8213 Poi pinse l’uscio a la porta sacrata, 8214 dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti 8215 che di fuor torna chi ’n dietro si guata». 8216 8217 E quando fuor ne’ cardini distorti 8218 li spigoli di quella regge sacra, 8219 che di metallo son sonanti e forti, 8220 8221 non rugghiò sì né si mostrò sì acra 8222 Tarpëa, come tolto le fu il buono 8223 Metello, per che poi rimase macra. 8224 8225 Io mi rivolsi attento al primo tuono, 8226 e ‘Te Deum laudamus’ mi parea 8227 udire in voce mista al dolce suono. 8228 8229 Tale imagine a punto mi rendea 8230 ciò ch’io udiva, qual prender si suole 8231 quando a cantar con organi si stea; 8232 8233 ch’or sì or no s’intendon le parole. 8234 8235 8236 8237 Purgatorio · Canto X 8238 8239 8240 Poi fummo dentro al soglio de la porta 8241 che ’l mal amor de l’anime disusa, 8242 perché fa parer dritta la via torta, 8243 8244 sonando la senti’ esser richiusa; 8245 e s’io avesse li occhi vòlti ad essa, 8246 qual fora stata al fallo degna scusa? 8247 8248 Noi salavam per una pietra fessa, 8249 che si moveva e d’una e d’altra parte, 8250 sì come l’onda che fugge e s’appressa. 8251 8252 «Qui si conviene usare un poco d’arte», 8253 cominciò ’l duca mio, «in accostarsi 8254 or quinci, or quindi al lato che si parte». 8255 8256 E questo fece i nostri passi scarsi, 8257 tanto che pria lo scemo de la luna 8258 rigiunse al letto suo per ricorcarsi, 8259 8260 che noi fossimo fuor di quella cruna; 8261 ma quando fummo liberi e aperti 8262 sù dove il monte in dietro si rauna, 8263 8264 ïo stancato e amendue incerti 8265 di nostra via, restammo in su un piano 8266 solingo più che strade per diserti. 8267 8268 Da la sua sponda, ove confina il vano, 8269 al piè de l’alta ripa che pur sale, 8270 misurrebbe in tre volte un corpo umano; 8271 8272 e quanto l’occhio mio potea trar d’ale, 8273 or dal sinistro e or dal destro fianco, 8274 questa cornice mi parea cotale. 8275 8276 Là sù non eran mossi i piè nostri anco, 8277 quand’ io conobbi quella ripa intorno 8278 che dritto di salita aveva manco, 8279 8280 esser di marmo candido e addorno 8281 d’intagli sì, che non pur Policleto, 8282 ma la natura lì avrebbe scorno. 8283 8284 L’angel che venne in terra col decreto 8285 de la molt’ anni lagrimata pace, 8286 ch’aperse il ciel del suo lungo divieto, 8287 8288 dinanzi a noi pareva sì verace 8289 quivi intagliato in un atto soave, 8290 che non sembiava imagine che tace. 8291 8292 Giurato si saria ch’el dicesse ‘Ave!’; 8293 perché iv’ era imaginata quella 8294 ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave; 8295 8296 e avea in atto impressa esta favella 8297 ‘Ecce ancilla Deï’, propriamente 8298 come figura in cera si suggella. 8299 8300 «Non tener pur ad un loco la mente», 8301 disse ’l dolce maestro, che m’avea 8302 da quella parte onde ’l cuore ha la gente. 8303 8304 Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea 8305 di retro da Maria, da quella costa 8306 onde m’era colui che mi movea, 8307 8308 un’altra storia ne la roccia imposta; 8309 per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso, 8310 acciò che fosse a li occhi miei disposta. 8311 8312 Era intagliato lì nel marmo stesso 8313 lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa, 8314 per che si teme officio non commesso. 8315 8316 Dinanzi parea gente; e tutta quanta, 8317 partita in sette cori, a’ due mie’ sensi 8318 faceva dir l’un ‘No’, l’altro ‘Sì, canta’. 8319 8320 Similemente al fummo de li ’ncensi 8321 che v’era imaginato, li occhi e ’l naso 8322 e al sì e al no discordi fensi. 8323 8324 Lì precedeva al benedetto vaso, 8325 trescando alzato, l’umile salmista, 8326 e più e men che re era in quel caso. 8327 8328 Di contra, effigïata ad una vista 8329 d’un gran palazzo, Micòl ammirava 8330 sì come donna dispettosa e trista. 8331 8332 I’ mossi i piè del loco dov’ io stava, 8333 per avvisar da presso un’altra istoria, 8334 che di dietro a Micòl mi biancheggiava. 8335 8336 Quiv’ era storïata l’alta gloria 8337 del roman principato, il cui valore 8338 mosse Gregorio a la sua gran vittoria; 8339 8340 i’ dico di Traiano imperadore; 8341 e una vedovella li era al freno, 8342 di lagrime atteggiata e di dolore. 8343 8344 Intorno a lui parea calcato e pieno 8345 di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro 8346 sovr’ essi in vista al vento si movieno. 8347 8348 La miserella intra tutti costoro 8349 pareva dir: «Segnor, fammi vendetta 8350 di mio figliuol ch’è morto, ond’ io m’accoro»; 8351 8352 ed elli a lei rispondere: «Or aspetta 8353 tanto ch’i’ torni»; e quella: «Segnor mio», 8354 come persona in cui dolor s’affretta, 8355 8356 «se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov’ io, 8357 la ti farà»; ed ella: «L’altrui bene 8358 a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?»; 8359 8360 ond’ elli: «Or ti conforta; ch’ei convene 8361 ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova: 8362 giustizia vuole e pietà mi ritene». 8363 8364 Colui che mai non vide cosa nova 8365 produsse esto visibile parlare, 8366 novello a noi perché qui non si trova. 8367 8368 Mentr’ io mi dilettava di guardare 8369 l’imagini di tante umilitadi, 8370 e per lo fabbro loro a veder care, 8371 8372 «Ecco di qua, ma fanno i passi radi», 8373 mormorava il poeta, «molte genti: 8374 questi ne ’nvïeranno a li alti gradi». 8375 8376 Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti 8377 per veder novitadi ond’ e’ son vaghi, 8378 volgendosi ver’ lui non furon lenti. 8379 8380 Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi 8381 di buon proponimento per udire 8382 come Dio vuol che ’l debito si paghi. 8383 8384 Non attender la forma del martìre: 8385 pensa la succession; pensa ch’al peggio 8386 oltre la gran sentenza non può ire. 8387 8388 Io cominciai: «Maestro, quel ch’io veggio 8389 muovere a noi, non mi sembian persone, 8390 e non so che, sì nel veder vaneggio». 8391 8392 Ed elli a me: «La grave condizione 8393 di lor tormento a terra li rannicchia, 8394 sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione. 8395 8396 Ma guarda fiso là, e disviticchia 8397 col viso quel che vien sotto a quei sassi: 8398 già scorger puoi come ciascun si picchia». 8399 8400 O superbi cristian, miseri lassi, 8401 che, de la vista de la mente infermi, 8402 fidanza avete ne’ retrosi passi, 8403 8404 non v’accorgete voi che noi siam vermi 8405 nati a formar l’angelica farfalla, 8406 che vola a la giustizia sanza schermi? 8407 8408 Di che l’animo vostro in alto galla, 8409 poi siete quasi antomata in difetto, 8410 sì come vermo in cui formazion falla? 8411 8412 Come per sostentar solaio o tetto, 8413 per mensola talvolta una figura 8414 si vede giugner le ginocchia al petto, 8415 8416 la qual fa del non ver vera rancura 8417 nascere ’n chi la vede; così fatti 8418 vid’ io color, quando puosi ben cura. 8419 8420 Vero è che più e meno eran contratti 8421 secondo ch’avien più e meno a dosso; 8422 e qual più pazïenza avea ne li atti, 8423 8424 piangendo parea dicer: ‘Più non posso’. 8425 8426 8427 8428 Purgatorio · Canto XI 8429 8430 8431 «O Padre nostro, che ne’ cieli stai, 8432 non circunscritto, ma per più amore 8433 ch’ai primi effetti di là sù tu hai, 8434 8435 laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore 8436 da ogne creatura, com’ è degno 8437 di render grazie al tuo dolce vapore. 8438 8439 Vegna ver’ noi la pace del tuo regno, 8440 ché noi ad essa non potem da noi, 8441 s’ella non vien, con tutto nostro ingegno. 8442 8443 Come del suo voler li angeli tuoi 8444 fan sacrificio a te, cantando osanna, 8445 così facciano li uomini de’ suoi. 8446 8447 Dà oggi a noi la cotidiana manna, 8448 sanza la qual per questo aspro diserto 8449 a retro va chi più di gir s’affanna. 8450 8451 E come noi lo mal ch’avem sofferto 8452 perdoniamo a ciascuno, e tu perdona 8453 benigno, e non guardar lo nostro merto. 8454 8455 Nostra virtù che di legger s’adona, 8456 non spermentar con l’antico avversaro, 8457 ma libera da lui che sì la sprona. 8458 8459 Quest’ ultima preghiera, segnor caro, 8460 già non si fa per noi, ché non bisogna, 8461 ma per color che dietro a noi restaro». 8462 8463 Così a sé e noi buona ramogna 8464 quell’ ombre orando, andavan sotto ’l pondo, 8465 simile a quel che talvolta si sogna, 8466 8467 disparmente angosciate tutte a tondo 8468 e lasse su per la prima cornice, 8469 purgando la caligine del mondo. 8470 8471 Se di là sempre ben per noi si dice, 8472 di qua che dire e far per lor si puote 8473 da quei c’hanno al voler buona radice? 8474 8475 Ben si de’ loro atar lavar le note 8476 che portar quinci, sì che, mondi e lievi, 8477 possano uscire a le stellate ruote. 8478 8479 «Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi 8480 tosto, sì che possiate muover l’ala, 8481 che secondo il disio vostro vi lievi, 8482 8483 mostrate da qual mano inver’ la scala 8484 si va più corto; e se c’è più d’un varco, 8485 quel ne ’nsegnate che men erto cala; 8486 8487 ché questi che vien meco, per lo ’ncarco 8488 de la carne d’Adamo onde si veste, 8489 al montar sù, contra sua voglia, è parco». 8490 8491 Le lor parole, che rendero a queste 8492 che dette avea colui cu’ io seguiva, 8493 non fur da cui venisser manifeste; 8494 8495 ma fu detto: «A man destra per la riva 8496 con noi venite, e troverete il passo 8497 possibile a salir persona viva. 8498 8499 E s’io non fossi impedito dal sasso 8500 che la cervice mia superba doma, 8501 onde portar convienmi il viso basso, 8502 8503 cotesti, ch’ancor vive e non si noma, 8504 guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco, 8505 e per farlo pietoso a questa soma. 8506 8507 Io fui latino e nato d’un gran Tosco: 8508 Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre; 8509 non so se ’l nome suo già mai fu vosco. 8510 8511 L’antico sangue e l’opere leggiadre 8512 d’i miei maggior mi fer sì arrogante, 8513 che, non pensando a la comune madre, 8514 8515 ogn’ uomo ebbi in despetto tanto avante, 8516 ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno, 8517 e sallo in Campagnatico ogne fante. 8518 8519 Io sono Omberto; e non pur a me danno 8520 superbia fa, ché tutti miei consorti 8521 ha ella tratti seco nel malanno. 8522 8523 E qui convien ch’io questo peso porti 8524 per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia, 8525 poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti». 8526 8527 Ascoltando chinai in giù la faccia; 8528 e un di lor, non questi che parlava, 8529 si torse sotto il peso che li ’mpaccia, 8530 8531 e videmi e conobbemi e chiamava, 8532 tenendo li occhi con fatica fisi 8533 a me che tutto chin con loro andava. 8534 8535 «Oh!», diss’ io lui, «non se’ tu Oderisi, 8536 l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’ arte 8537 ch’alluminar chiamata è in Parisi?». 8538 8539 «Frate», diss’ elli, «più ridon le carte 8540 che pennelleggia Franco Bolognese; 8541 l’onore è tutto or suo, e mio in parte. 8542 8543 Ben non sare’ io stato sì cortese 8544 mentre ch’io vissi, per lo gran disio 8545 de l’eccellenza ove mio core intese. 8546 8547 Di tal superbia qui si paga il fio; 8548 e ancor non sarei qui, se non fosse 8549 che, possendo peccar, mi volsi a Dio. 8550 8551 Oh vana gloria de l’umane posse! 8552 com’ poco verde in su la cima dura, 8553 se non è giunta da l’etati grosse! 8554 8555 Credette Cimabue ne la pittura 8556 tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, 8557 sì che la fama di colui è scura. 8558 8559 Così ha tolto l’uno a l’altro Guido 8560 la gloria de la lingua; e forse è nato 8561 chi l’uno e l’altro caccerà del nido. 8562 8563 Non è il mondan romore altro ch’un fiato 8564 di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi, 8565 e muta nome perché muta lato. 8566 8567 Che voce avrai tu più, se vecchia scindi 8568 da te la carne, che se fossi morto 8569 anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ’l ‘dindi’, 8570 8571 pria che passin mill’ anni? ch’è più corto 8572 spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia 8573 al cerchio che più tardi in cielo è torto. 8574 8575 Colui che del cammin sì poco piglia 8576 dinanzi a me, Toscana sonò tutta; 8577 e ora a pena in Siena sen pispiglia, 8578 8579 ond’ era sire quando fu distrutta 8580 la rabbia fiorentina, che superba 8581 fu a quel tempo sì com’ ora è putta. 8582 8583 La vostra nominanza è color d’erba, 8584 che viene e va, e quei la discolora 8585 per cui ella esce de la terra acerba». 8586 8587 E io a lui: «Tuo vero dir m’incora 8588 bona umiltà, e gran tumor m’appiani; 8589 ma chi è quei di cui tu parlavi ora?». 8590 8591 «Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani; 8592 ed è qui perché fu presuntüoso 8593 a recar Siena tutta a le sue mani. 8594 8595 Ito è così e va, sanza riposo, 8596 poi che morì; cotal moneta rende 8597 a sodisfar chi è di là troppo oso». 8598 8599 E io: «Se quello spirito ch’attende, 8600 pria che si penta, l’orlo de la vita, 8601 qua giù dimora e qua sù non ascende, 8602 8603 se buona orazïon lui non aita, 8604 prima che passi tempo quanto visse, 8605 come fu la venuta lui largita?». 8606 8607 «Quando vivea più glorïoso», disse, 8608 «liberamente nel Campo di Siena, 8609 ogne vergogna diposta, s’affisse; 8610 8611 e lì, per trar l’amico suo di pena, 8612 ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo, 8613 si condusse a tremar per ogne vena. 8614 8615 Più non dirò, e scuro so che parlo; 8616 ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini 8617 faranno sì che tu potrai chiosarlo. 8618 8619 Quest’ opera li tolse quei confini». 8620 8621 8622 8623 Purgatorio · Canto XII 8624 8625 8626 Di pari, come buoi che vanno a giogo, 8627 m’andava io con quell’ anima carca, 8628 fin che ’l sofferse il dolce pedagogo. 8629 8630 Ma quando disse: «Lascia lui e varca; 8631 ché qui è buono con l’ali e coi remi, 8632 quantunque può, ciascun pinger sua barca»; 8633 8634 dritto sì come andar vuolsi rife’mi 8635 con la persona, avvegna che i pensieri 8636 mi rimanessero e chinati e scemi. 8637 8638 Io m’era mosso, e seguia volontieri 8639 del mio maestro i passi, e amendue 8640 già mostravam com’ eravam leggeri; 8641 8642 ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe: 8643 buon ti sarà, per tranquillar la via, 8644 veder lo letto de le piante tue». 8645 8646 Come, perché di lor memoria sia, 8647 sovra i sepolti le tombe terragne 8648 portan segnato quel ch’elli eran pria, 8649 8650 onde lì molte volte si ripiagne 8651 per la puntura de la rimembranza, 8652 che solo a’ pïi dà de le calcagne; 8653 8654 sì vid’ io lì, ma di miglior sembianza 8655 secondo l’artificio, figurato 8656 quanto per via di fuor del monte avanza. 8657 8658 Vedea colui che fu nobil creato 8659 più ch’altra creatura, giù dal cielo 8660 folgoreggiando scender, da l’un lato. 8661 8662 Vedëa Brïareo fitto dal telo 8663 celestïal giacer, da l’altra parte, 8664 grave a la terra per lo mortal gelo. 8665 8666 Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte, 8667 armati ancora, intorno al padre loro, 8668 mirar le membra d’i Giganti sparte. 8669 8670 Vedea Nembròt a piè del gran lavoro 8671 quasi smarrito, e riguardar le genti 8672 che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro. 8673 8674 O Nïobè, con che occhi dolenti 8675 vedea io te segnata in su la strada, 8676 tra sette e sette tuoi figliuoli spenti! 8677 8678 O Saùl, come in su la propria spada 8679 quivi parevi morto in Gelboè, 8680 che poi non sentì pioggia né rugiada! 8681 8682 O folle Aragne, sì vedea io te 8683 già mezza ragna, trista in su li stracci 8684 de l’opera che mal per te si fé. 8685 8686 O Roboàm, già non par che minacci 8687 quivi ’l tuo segno; ma pien di spavento 8688 nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci. 8689 8690 Mostrava ancor lo duro pavimento 8691 come Almeon a sua madre fé caro 8692 parer lo sventurato addornamento. 8693 8694 Mostrava come i figli si gittaro 8695 sovra Sennacherìb dentro dal tempio, 8696 e come, morto lui, quivi il lasciaro. 8697 8698 Mostrava la ruina e ’l crudo scempio 8699 che fé Tamiri, quando disse a Ciro: 8700 «Sangue sitisti, e io di sangue t’empio». 8701 8702 Mostrava come in rotta si fuggiro 8703 li Assiri, poi che fu morto Oloferne, 8704 e anche le reliquie del martiro. 8705 8706 Vedeva Troia in cenere e in caverne; 8707 o Ilïón, come te basso e vile 8708 mostrava il segno che lì si discerne! 8709 8710 Qual di pennel fu maestro o di stile 8711 che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi 8712 mirar farieno uno ingegno sottile? 8713 8714 Morti li morti e i vivi parean vivi: 8715 non vide mei di me chi vide il vero, 8716 quant’ io calcai, fin che chinato givi. 8717 8718 Or superbite, e via col viso altero, 8719 figliuoli d’Eva, e non chinate il volto 8720 sì che veggiate il vostro mal sentero! 8721 8722 Più era già per noi del monte vòlto 8723 e del cammin del sole assai più speso 8724 che non stimava l’animo non sciolto, 8725 8726 quando colui che sempre innanzi atteso 8727 andava, cominciò: «Drizza la testa; 8728 non è più tempo di gir sì sospeso. 8729 8730 Vedi colà un angel che s’appresta 8731 per venir verso noi; vedi che torna 8732 dal servigio del dì l’ancella sesta. 8733 8734 Di reverenza il viso e li atti addorna, 8735 sì che i diletti lo ’nvïarci in suso; 8736 pensa che questo dì mai non raggiorna!». 8737 8738 Io era ben del suo ammonir uso 8739 pur di non perder tempo, sì che ’n quella 8740 materia non potea parlarmi chiuso. 8741 8742 A noi venìa la creatura bella, 8743 biancovestito e ne la faccia quale 8744 par tremolando mattutina stella. 8745 8746 Le braccia aperse, e indi aperse l’ale; 8747 disse: «Venite: qui son presso i gradi, 8748 e agevolemente omai si sale. 8749 8750 A questo invito vegnon molto radi: 8751 o gente umana, per volar sù nata, 8752 perché a poco vento così cadi?». 8753 8754 Menocci ove la roccia era tagliata; 8755 quivi mi batté l’ali per la fronte; 8756 poi mi promise sicura l’andata. 8757 8758 Come a man destra, per salire al monte 8759 dove siede la chiesa che soggioga 8760 la ben guidata sopra Rubaconte, 8761 8762 si rompe del montar l’ardita foga 8763 per le scalee che si fero ad etade 8764 ch’era sicuro il quaderno e la doga; 8765 8766 così s’allenta la ripa che cade 8767 quivi ben ratta da l’altro girone; 8768 ma quinci e quindi l’alta pietra rade. 8769 8770 Noi volgendo ivi le nostre persone, 8771 ‘Beati pauperes spiritu!’ voci 8772 cantaron sì, che nol diria sermone. 8773 8774 Ahi quanto son diverse quelle foci 8775 da l’infernali! ché quivi per canti 8776 s’entra, e là giù per lamenti feroci. 8777 8778 Già montavam su per li scaglion santi, 8779 ed esser mi parea troppo più lieve 8780 che per lo pian non mi parea davanti. 8781 8782 Ond’ io: «Maestro, dì, qual cosa greve 8783 levata s’è da me, che nulla quasi 8784 per me fatica, andando, si riceve?». 8785 8786 Rispuose: «Quando i P che son rimasi 8787 ancor nel volto tuo presso che stinti, 8788 saranno, com’ è l’un, del tutto rasi, 8789 8790 fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti, 8791 che non pur non fatica sentiranno, 8792 ma fia diletto loro esser sù pinti». 8793 8794 Allor fec’ io come color che vanno 8795 con cosa in capo non da lor saputa, 8796 se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno; 8797 8798 per che la mano ad accertar s’aiuta, 8799 e cerca e truova e quello officio adempie 8800 che non si può fornir per la veduta; 8801 8802 e con le dita de la destra scempie 8803 trovai pur sei le lettere che ’ncise 8804 quel da le chiavi a me sovra le tempie: 8805 8806 a che guardando, il mio duca sorrise. 8807 8808 8809 8810 Purgatorio · Canto XIII 8811 8812 8813 Noi eravamo al sommo de la scala, 8814 dove secondamente si risega 8815 lo monte che salendo altrui dismala. 8816 8817 Ivi così una cornice lega 8818 dintorno il poggio, come la primaia; 8819 se non che l’arco suo più tosto piega. 8820 8821 Ombra non lì è né segno che si paia: 8822 parsi la ripa e parsi la via schietta 8823 col livido color de la petraia. 8824 8825 «Se qui per dimandar gente s’aspetta», 8826 ragionava il poeta, «io temo forse 8827 che troppo avrà d’indugio nostra eletta». 8828 8829 Poi fisamente al sole li occhi porse; 8830 fece del destro lato a muover centro, 8831 e la sinistra parte di sé torse. 8832 8833 «O dolce lume a cui fidanza i’ entro 8834 per lo novo cammin, tu ne conduci», 8835 dicea, «come condur si vuol quinc’ entro. 8836 8837 Tu scaldi il mondo, tu sovr’ esso luci; 8838 s’altra ragione in contrario non ponta, 8839 esser dien sempre li tuoi raggi duci». 8840 8841 Quanto di qua per un migliaio si conta, 8842 tanto di là eravam noi già iti, 8843 con poco tempo, per la voglia pronta; 8844 8845 e verso noi volar furon sentiti, 8846 non però visti, spiriti parlando 8847 a la mensa d’amor cortesi inviti. 8848 8849 La prima voce che passò volando 8850 ‘Vinum non habent’ altamente disse, 8851 e dietro a noi l’andò reïterando. 8852 8853 E prima che del tutto non si udisse 8854 per allungarsi, un’altra ‘I’ sono Oreste’ 8855 passò gridando, e anco non s’affisse. 8856 8857 «Oh!», diss’ io, «padre, che voci son queste?». 8858 E com’ io domandai, ecco la terza 8859 dicendo: ‘Amate da cui male aveste’. 8860 8861 E ’l buon maestro: «Questo cinghio sferza 8862 la colpa de la invidia, e però sono 8863 tratte d’amor le corde de la ferza. 8864 8865 Lo fren vuol esser del contrario suono; 8866 credo che l’udirai, per mio avviso, 8867 prima che giunghi al passo del perdono. 8868 8869 Ma ficca li occhi per l’aere ben fiso, 8870 e vedrai gente innanzi a noi sedersi, 8871 e ciascun è lungo la grotta assiso». 8872 8873 Allora più che prima li occhi apersi; 8874 guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti 8875 al color de la pietra non diversi. 8876 8877 E poi che fummo un poco più avanti, 8878 udia gridar: ‘Maria, òra per noi’: 8879 gridar ‘Michele’ e ‘Pietro’ e ‘Tutti santi’. 8880 8881 Non credo che per terra vada ancoi 8882 omo sì duro, che non fosse punto 8883 per compassion di quel ch’i’ vidi poi; 8884 8885 ché, quando fui sì presso di lor giunto, 8886 che li atti loro a me venivan certi, 8887 per li occhi fui di grave dolor munto. 8888 8889 Di vil ciliccio mi parean coperti, 8890 e l’un sofferia l’altro con la spalla, 8891 e tutti da la ripa eran sofferti. 8892 8893 Così li ciechi a cui la roba falla, 8894 stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna, 8895 e l’uno il capo sopra l’altro avvalla, 8896 8897 perché ’n altrui pietà tosto si pogna, 8898 non pur per lo sonar de le parole, 8899 ma per la vista che non meno agogna. 8900 8901 E come a li orbi non approda il sole, 8902 così a l’ombre quivi, ond’ io parlo ora, 8903 luce del ciel di sé largir non vole; 8904 8905 ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra 8906 e cusce sì, come a sparvier selvaggio 8907 si fa però che queto non dimora. 8908 8909 A me pareva, andando, fare oltraggio, 8910 veggendo altrui, non essendo veduto: 8911 per ch’io mi volsi al mio consiglio saggio. 8912 8913 Ben sapev’ ei che volea dir lo muto; 8914 e però non attese mia dimanda, 8915 ma disse: «Parla, e sie breve e arguto». 8916 8917 Virgilio mi venìa da quella banda 8918 de la cornice onde cader si puote, 8919 perché da nulla sponda s’inghirlanda; 8920 8921 da l’altra parte m’eran le divote 8922 ombre, che per l’orribile costura 8923 premevan sì, che bagnavan le gote. 8924 8925 Volsimi a loro e: «O gente sicura», 8926 incominciai, «di veder l’alto lume 8927 che ’l disio vostro solo ha in sua cura, 8928 8929 se tosto grazia resolva le schiume 8930 di vostra coscïenza sì che chiaro 8931 per essa scenda de la mente il fiume, 8932 8933 ditemi, ché mi fia grazioso e caro, 8934 s’anima è qui tra voi che sia latina; 8935 e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo». 8936 8937 «O frate mio, ciascuna è cittadina 8938 d’una vera città; ma tu vuo’ dire 8939 che vivesse in Italia peregrina». 8940 8941 Questo mi parve per risposta udire 8942 più innanzi alquanto che là dov’ io stava, 8943 ond’ io mi feci ancor più là sentire. 8944 8945 Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava 8946 in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’, 8947 lo mento a guisa d’orbo in sù levava. 8948 8949 «Spirto», diss’ io, «che per salir ti dome, 8950 se tu se’ quelli che mi rispondesti, 8951 fammiti conto o per luogo o per nome». 8952 8953 «Io fui sanese», rispuose, «e con questi 8954 altri rimendo qui la vita ria, 8955 lagrimando a colui che sé ne presti. 8956 8957 Savia non fui, avvegna che Sapìa 8958 fossi chiamata, e fui de li altrui danni 8959 più lieta assai che di ventura mia. 8960 8961 E perché tu non creda ch’io t’inganni, 8962 odi s’i’ fui, com’ io ti dico, folle, 8963 già discendendo l’arco d’i miei anni. 8964 8965 Eran li cittadin miei presso a Colle 8966 in campo giunti co’ loro avversari, 8967 e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle. 8968 8969 Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari 8970 passi di fuga; e veggendo la caccia, 8971 letizia presi a tutte altre dispari, 8972 8973 tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia, 8974 gridando a Dio: “Omai più non ti temo!”, 8975 come fé ’l merlo per poca bonaccia. 8976 8977 Pace volli con Dio in su lo stremo 8978 de la mia vita; e ancor non sarebbe 8979 lo mio dover per penitenza scemo, 8980 8981 se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe 8982 Pier Pettinaio in sue sante orazioni, 8983 a cui di me per caritate increbbe. 8984 8985 Ma tu chi se’, che nostre condizioni 8986 vai dimandando, e porti li occhi sciolti, 8987 sì com’ io credo, e spirando ragioni?». 8988 8989 «Li occhi», diss’ io, «mi fieno ancor qui tolti, 8990 ma picciol tempo, ché poca è l’offesa 8991 fatta per esser con invidia vòlti. 8992 8993 Troppa è più la paura ond’ è sospesa 8994 l’anima mia del tormento di sotto, 8995 che già lo ’ncarco di là giù mi pesa». 8996 8997 Ed ella a me: «Chi t’ha dunque condotto 8998 qua sù tra noi, se giù ritornar credi?». 8999 E io: «Costui ch’è meco e non fa motto. 9000 9001 E vivo sono; e però mi richiedi, 9002 spirito eletto, se tu vuo’ ch’i’ mova 9003 di là per te ancor li mortai piedi». 9004 9005 «Oh, questa è a udir sì cosa nuova», 9006 rispuose, «che gran segno è che Dio t’ami; 9007 però col priego tuo talor mi giova. 9008 9009 E cheggioti, per quel che tu più brami, 9010 se mai calchi la terra di Toscana, 9011 che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami. 9012 9013 Tu li vedrai tra quella gente vana 9014 che spera in Talamone, e perderagli 9015 più di speranza ch’a trovar la Diana; 9016 9017 ma più vi perderanno li ammiragli». 9018 9019 9020 9021 Purgatorio · Canto XIV 9022 9023 9024 «Chi è costui che ’l nostro monte cerchia 9025 prima che morte li abbia dato il volo, 9026 e apre li occhi a sua voglia e coverchia?». 9027 9028 «Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo; 9029 domandal tu che più li t’avvicini, 9030 e dolcemente, sì che parli, acco’lo». 9031 9032 Così due spirti, l’uno a l’altro chini, 9033 ragionavan di me ivi a man dritta; 9034 poi fer li visi, per dirmi, supini; 9035 9036 e disse l’uno: «O anima che fitta 9037 nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai, 9038 per carità ne consola e ne ditta 9039 9040 onde vieni e chi se’; ché tu ne fai 9041 tanto maravigliar de la tua grazia, 9042 quanto vuol cosa che non fu più mai». 9043 9044 E io: «Per mezza Toscana si spazia 9045 un fiumicel che nasce in Falterona, 9046 e cento miglia di corso nol sazia. 9047 9048 Di sovr’ esso rech’ io questa persona: 9049 dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno, 9050 ché ’l nome mio ancor molto non suona». 9051 9052 «Se ben lo ’ntendimento tuo accarno 9053 con lo ’ntelletto», allora mi rispuose 9054 quei che diceva pria, «tu parli d’Arno». 9055 9056 E l’altro disse lui: «Perché nascose 9057 questi il vocabol di quella riviera, 9058 pur com’ om fa de l’orribili cose?». 9059 9060 E l’ombra che di ciò domandata era, 9061 si sdebitò così: «Non so; ma degno 9062 ben è che ’l nome di tal valle pèra; 9063 9064 ché dal principio suo, ov’ è sì pregno 9065 l’alpestro monte ond’ è tronco Peloro, 9066 che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno, 9067 9068 infin là ’ve si rende per ristoro 9069 di quel che ’l ciel de la marina asciuga, 9070 ond’ hanno i fiumi ciò che va con loro, 9071 9072 vertù così per nimica si fuga 9073 da tutti come biscia, o per sventura 9074 del luogo, o per mal uso che li fruga: 9075 9076 ond’ hanno sì mutata lor natura 9077 li abitator de la misera valle, 9078 che par che Circe li avesse in pastura. 9079 9080 Tra brutti porci, più degni di galle 9081 che d’altro cibo fatto in uman uso, 9082 dirizza prima il suo povero calle. 9083 9084 Botoli trova poi, venendo giuso, 9085 ringhiosi più che non chiede lor possa, 9086 e da lor disdegnosa torce il muso. 9087 9088 Vassi caggendo; e quant’ ella più ’ngrossa, 9089 tanto più trova di can farsi lupi 9090 la maladetta e sventurata fossa. 9091 9092 Discesa poi per più pelaghi cupi, 9093 trova le volpi sì piene di froda, 9094 che non temono ingegno che le occùpi. 9095 9096 Né lascerò di dir perch’ altri m’oda; 9097 e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta 9098 di ciò che vero spirto mi disnoda. 9099 9100 Io veggio tuo nepote che diventa 9101 cacciator di quei lupi in su la riva 9102 del fiero fiume, e tutti li sgomenta. 9103 9104 Vende la carne loro essendo viva; 9105 poscia li ancide come antica belva; 9106 molti di vita e sé di pregio priva. 9107 9108 Sanguinoso esce de la trista selva; 9109 lasciala tal, che di qui a mille anni 9110 ne lo stato primaio non si rinselva». 9111 9112 Com’ a l’annunzio di dogliosi danni 9113 si turba il viso di colui ch’ascolta, 9114 da qual che parte il periglio l’assanni, 9115 9116 così vid’ io l’altr’ anima, che volta 9117 stava a udir, turbarsi e farsi trista, 9118 poi ch’ebbe la parola a sé raccolta. 9119 9120 Lo dir de l’una e de l’altra la vista 9121 mi fer voglioso di saper lor nomi, 9122 e dimanda ne fei con prieghi mista; 9123 9124 per che lo spirto che di pria parlòmi 9125 ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca 9126 nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi. 9127 9128 Ma da che Dio in te vuol che traluca 9129 tanto sua grazia, non ti sarò scarso; 9130 però sappi ch’io fui Guido del Duca. 9131 9132 Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso, 9133 che se veduto avesse uom farsi lieto, 9134 visto m’avresti di livore sparso. 9135 9136 Di mia semente cotal paglia mieto; 9137 o gente umana, perché poni ’l core 9138 là ’v’ è mestier di consorte divieto? 9139 9140 Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore 9141 de la casa da Calboli, ove nullo 9142 fatto s’è reda poi del suo valore. 9143 9144 E non pur lo suo sangue è fatto brullo, 9145 tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno, 9146 del ben richesto al vero e al trastullo; 9147 9148 ché dentro a questi termini è ripieno 9149 di venenosi sterpi, sì che tardi 9150 per coltivare omai verrebber meno. 9151 9152 Ov’ è ’l buon Lizio e Arrigo Mainardi? 9153 Pier Traversaro e Guido di Carpigna? 9154 Oh Romagnuoli tornati in bastardi! 9155 9156 Quando in Bologna un Fabbro si ralligna? 9157 quando in Faenza un Bernardin di Fosco, 9158 verga gentil di picciola gramigna? 9159 9160 Non ti maravigliar s’io piango, Tosco, 9161 quando rimembro, con Guido da Prata, 9162 Ugolin d’Azzo che vivette nosco, 9163 9164 Federigo Tignoso e sua brigata, 9165 la casa Traversara e li Anastagi 9166 (e l’una gente e l’altra è diretata), 9167 9168 le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi 9169 che ne ’nvogliava amore e cortesia 9170 là dove i cuor son fatti sì malvagi. 9171 9172 O Bretinoro, ché non fuggi via, 9173 poi che gita se n’è la tua famiglia 9174 e molta gente per non esser ria? 9175 9176 Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia; 9177 e mal fa Castrocaro, e peggio Conio, 9178 che di figliar tai conti più s’impiglia. 9179 9180 Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio 9181 lor sen girà; ma non però che puro 9182 già mai rimagna d’essi testimonio. 9183 9184 O Ugolin de’ Fantolin, sicuro 9185 è ’l nome tuo, da che più non s’aspetta 9186 chi far lo possa, tralignando, scuro. 9187 9188 Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta 9189 troppo di pianger più che di parlare, 9190 sì m’ha nostra ragion la mente stretta». 9191 9192 Noi sapavam che quell’ anime care 9193 ci sentivano andar; però, tacendo, 9194 facëan noi del cammin confidare. 9195 9196 Poi fummo fatti soli procedendo, 9197 folgore parve quando l’aere fende, 9198 voce che giunse di contra dicendo: 9199 9200 ‘Anciderammi qualunque m’apprende’; 9201 e fuggì come tuon che si dilegua, 9202 se sùbito la nuvola scoscende. 9203 9204 Come da lei l’udir nostro ebbe triegua, 9205 ed ecco l’altra con sì gran fracasso, 9206 che somigliò tonar che tosto segua: 9207 9208 «Io sono Aglauro che divenni sasso»; 9209 e allor, per ristrignermi al poeta, 9210 in destro feci, e non innanzi, il passo. 9211 9212 Già era l’aura d’ogne parte queta; 9213 ed el mi disse: «Quel fu ’l duro camo 9214 che dovria l’uom tener dentro a sua meta. 9215 9216 Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo 9217 de l’antico avversaro a sé vi tira; 9218 e però poco val freno o richiamo. 9219 9220 Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira, 9221 mostrandovi le sue bellezze etterne, 9222 e l’occhio vostro pur a terra mira; 9223 9224 onde vi batte chi tutto discerne». 9225 9226 9227 9228 Purgatorio · Canto XV 9229 9230 9231 Quanto tra l’ultimar de l’ora terza 9232 e ’l principio del dì par de la spera 9233 che sempre a guisa di fanciullo scherza, 9234 9235 tanto pareva già inver’ la sera 9236 essere al sol del suo corso rimaso; 9237 vespero là, e qui mezza notte era. 9238 9239 E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso, 9240 perché per noi girato era sì ’l monte, 9241 che già dritti andavamo inver’ l’occaso, 9242 9243 quand’ io senti’ a me gravar la fronte 9244 a lo splendore assai più che di prima, 9245 e stupor m’eran le cose non conte; 9246 9247 ond’ io levai le mani inver’ la cima 9248 de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio, 9249 che del soverchio visibile lima. 9250 9251 Come quando da l’acqua o da lo specchio 9252 salta lo raggio a l’opposita parte, 9253 salendo su per lo modo parecchio 9254 9255 a quel che scende, e tanto si diparte 9256 dal cader de la pietra in igual tratta, 9257 sì come mostra esperïenza e arte; 9258 9259 così mi parve da luce rifratta 9260 quivi dinanzi a me esser percosso; 9261 per che a fuggir la mia vista fu ratta. 9262 9263 «Che è quel, dolce padre, a che non posso 9264 schermar lo viso tanto che mi vaglia», 9265 diss’ io, «e pare inver’ noi esser mosso?». 9266 9267 «Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia 9268 la famiglia del cielo», a me rispuose: 9269 «messo è che viene ad invitar ch’om saglia. 9270 9271 Tosto sarà ch’a veder queste cose 9272 non ti fia grave, ma fieti diletto 9273 quanto natura a sentir ti dispuose». 9274 9275 Poi giunti fummo a l’angel benedetto, 9276 con lieta voce disse: «Intrate quinci 9277 ad un scaleo vie men che li altri eretto». 9278 9279 Noi montavam, già partiti di linci, 9280 e ‘Beati misericordes!’ fue 9281 cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’. 9282 9283 Lo mio maestro e io soli amendue 9284 suso andavamo; e io pensai, andando, 9285 prode acquistar ne le parole sue; 9286 9287 e dirizza’mi a lui sì dimandando: 9288 «Che volse dir lo spirto di Romagna, 9289 e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?». 9290 9291 Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna 9292 conosce il danno; e però non s’ammiri 9293 se ne riprende perché men si piagna. 9294 9295 Perché s’appuntano i vostri disiri 9296 dove per compagnia parte si scema, 9297 invidia move il mantaco a’ sospiri. 9298 9299 Ma se l’amor de la spera supprema 9300 torcesse in suso il disiderio vostro, 9301 non vi sarebbe al petto quella tema; 9302 9303 ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’, 9304 tanto possiede più di ben ciascuno, 9305 e più di caritate arde in quel chiostro». 9306 9307 «Io son d’esser contento più digiuno», 9308 diss’ io, «che se mi fosse pria taciuto, 9309 e più di dubbio ne la mente aduno. 9310 9311 Com’ esser puote ch’un ben, distributo 9312 in più posseditor, faccia più ricchi 9313 di sé che se da pochi è posseduto?». 9314 9315 Ed elli a me: «Però che tu rificchi 9316 la mente pur a le cose terrene, 9317 di vera luce tenebre dispicchi. 9318 9319 Quello infinito e ineffabil bene 9320 che là sù è, così corre ad amore 9321 com’ a lucido corpo raggio vene. 9322 9323 Tanto si dà quanto trova d’ardore; 9324 sì che, quantunque carità si stende, 9325 cresce sovr’ essa l’etterno valore. 9326 9327 E quanta gente più là sù s’intende, 9328 più v’è da bene amare, e più vi s’ama, 9329 e come specchio l’uno a l’altro rende. 9330 9331 E se la mia ragion non ti disfama, 9332 vedrai Beatrice, ed ella pienamente 9333 ti torrà questa e ciascun’ altra brama. 9334 9335 Procaccia pur che tosto sieno spente, 9336 come son già le due, le cinque piaghe, 9337 che si richiudon per esser dolente». 9338 9339 Com’ io voleva dicer ‘Tu m’appaghe’, 9340 vidimi giunto in su l’altro girone, 9341 sì che tacer mi fer le luci vaghe. 9342 9343 Ivi mi parve in una visïone 9344 estatica di sùbito esser tratto, 9345 e vedere in un tempio più persone; 9346 9347 e una donna, in su l’entrar, con atto 9348 dolce di madre dicer: «Figliuol mio, 9349 perché hai tu così verso noi fatto? 9350 9351 Ecco, dolenti, lo tuo padre e io 9352 ti cercavamo». E come qui si tacque, 9353 ciò che pareva prima, dispario. 9354 9355 Indi m’apparve un’altra con quell’ acque 9356 giù per le gote che ’l dolor distilla 9357 quando di gran dispetto in altrui nacque, 9358 9359 e dir: «Se tu se’ sire de la villa 9360 del cui nome ne’ dèi fu tanta lite, 9361 e onde ogne scïenza disfavilla, 9362 9363 vendica te di quelle braccia ardite 9364 ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto». 9365 E ’l segnor mi parea, benigno e mite, 9366 9367 risponder lei con viso temperato: 9368 «Che farem noi a chi mal ne disira, 9369 se quei che ci ama è per noi condannato?», 9370 9371 Poi vidi genti accese in foco d’ira 9372 con pietre un giovinetto ancider, forte 9373 gridando a sé pur: «Martira, martira!». 9374 9375 E lui vedea chinarsi, per la morte 9376 che l’aggravava già, inver’ la terra, 9377 ma de li occhi facea sempre al ciel porte, 9378 9379 orando a l’alto Sire, in tanta guerra, 9380 che perdonasse a’ suoi persecutori, 9381 con quello aspetto che pietà diserra. 9382 9383 Quando l’anima mia tornò di fori 9384 a le cose che son fuor di lei vere, 9385 io riconobbi i miei non falsi errori. 9386 9387 Lo duca mio, che mi potea vedere 9388 far sì com’ om che dal sonno si slega, 9389 disse: «Che hai che non ti puoi tenere, 9390 9391 ma se’ venuto più che mezza lega 9392 velando li occhi e con le gambe avvolte, 9393 a guisa di cui vino o sonno piega?». 9394 9395 «O dolce padre mio, se tu m’ascolte, 9396 io ti dirò», diss’ io, «ciò che m’apparve 9397 quando le gambe mi furon sì tolte». 9398 9399 Ed ei: «Se tu avessi cento larve 9400 sovra la faccia, non mi sarian chiuse 9401 le tue cogitazion, quantunque parve. 9402 9403 Ciò che vedesti fu perché non scuse 9404 d’aprir lo core a l’acque de la pace 9405 che da l’etterno fonte son diffuse. 9406 9407 Non dimandai “Che hai?” per quel che face 9408 chi guarda pur con l’occhio che non vede, 9409 quando disanimato il corpo giace; 9410 9411 ma dimandai per darti forza al piede: 9412 così frugar conviensi i pigri, lenti 9413 ad usar lor vigilia quando riede». 9414 9415 Noi andavam per lo vespero, attenti 9416 oltre quanto potean li occhi allungarsi 9417 contra i raggi serotini e lucenti. 9418 9419 Ed ecco a poco a poco un fummo farsi 9420 verso di noi come la notte oscuro; 9421 né da quello era loco da cansarsi. 9422 9423 Questo ne tolse li occhi e l’aere puro. 9424 9425 9426 9427 Purgatorio · Canto XVI 9428 9429 9430 Buio d’inferno e di notte privata 9431 d’ogne pianeto, sotto pover cielo, 9432 quant’ esser può di nuvol tenebrata, 9433 9434 non fece al viso mio sì grosso velo 9435 come quel fummo ch’ivi ci coperse, 9436 né a sentir di così aspro pelo, 9437 9438 che l’occhio stare aperto non sofferse; 9439 onde la scorta mia saputa e fida 9440 mi s’accostò e l’omero m’offerse. 9441 9442 Sì come cieco va dietro a sua guida 9443 per non smarrirsi e per non dar di cozzo 9444 in cosa che ’l molesti, o forse ancida, 9445 9446 m’andava io per l’aere amaro e sozzo, 9447 ascoltando il mio duca che diceva 9448 pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo». 9449 9450 Io sentia voci, e ciascuna pareva 9451 pregar per pace e per misericordia 9452 l’Agnel di Dio che le peccata leva. 9453 9454 Pur ‘Agnus Dei’ eran le loro essordia; 9455 una parola in tutte era e un modo, 9456 sì che parea tra esse ogne concordia. 9457 9458 «Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?», 9459 diss’ io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi, 9460 e d’iracundia van solvendo il nodo». 9461 9462 «Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi, 9463 e di noi parli pur come se tue 9464 partissi ancor lo tempo per calendi?». 9465 9466 Così per una voce detto fue; 9467 onde ’l maestro mio disse: «Rispondi, 9468 e domanda se quinci si va sùe». 9469 9470 E io: «O creatura che ti mondi 9471 per tornar bella a colui che ti fece, 9472 maraviglia udirai, se mi secondi». 9473 9474 «Io ti seguiterò quanto mi lece», 9475 rispuose; «e se veder fummo non lascia, 9476 l’udir ci terrà giunti in quella vece». 9477 9478 Allora incominciai: «Con quella fascia 9479 che la morte dissolve men vo suso, 9480 e venni qui per l’infernale ambascia. 9481 9482 E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso, 9483 tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte 9484 per modo tutto fuor del moderno uso, 9485 9486 non mi celar chi fosti anzi la morte, 9487 ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco; 9488 e tue parole fier le nostre scorte». 9489 9490 «Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco; 9491 del mondo seppi, e quel valore amai 9492 al quale ha or ciascun disteso l’arco. 9493 9494 Per montar sù dirittamente vai». 9495 Così rispuose, e soggiunse: «I’ ti prego 9496 che per me prieghi quando sù sarai». 9497 9498 E io a lui: «Per fede mi ti lego 9499 di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio 9500 dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego. 9501 9502 Prima era scempio, e ora è fatto doppio 9503 ne la sentenza tua, che mi fa certo 9504 qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio. 9505 9506 Lo mondo è ben così tutto diserto 9507 d’ogne virtute, come tu mi sone, 9508 e di malizia gravido e coverto; 9509 9510 ma priego che m’addite la cagione, 9511 sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui; 9512 ché nel cielo uno, e un qua giù la pone». 9513 9514 Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!», 9515 mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate, 9516 lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. 9517 9518 Voi che vivete ogne cagion recate 9519 pur suso al cielo, pur come se tutto 9520 movesse seco di necessitate. 9521 9522 Se così fosse, in voi fora distrutto 9523 libero arbitrio, e non fora giustizia 9524 per ben letizia, e per male aver lutto. 9525 9526 Lo cielo i vostri movimenti inizia; 9527 non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica, 9528 lume v’è dato a bene e a malizia, 9529 9530 e libero voler; che, se fatica 9531 ne le prime battaglie col ciel dura, 9532 poi vince tutto, se ben si notrica. 9533 9534 A maggior forza e a miglior natura 9535 liberi soggiacete; e quella cria 9536 la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura. 9537 9538 Però, se ’l mondo presente disvia, 9539 in voi è la cagione, in voi si cheggia; 9540 e io te ne sarò or vera spia. 9541 9542 Esce di mano a lui che la vagheggia 9543 prima che sia, a guisa di fanciulla 9544 che piangendo e ridendo pargoleggia, 9545 9546 l’anima semplicetta che sa nulla, 9547 salvo che, mossa da lieto fattore, 9548 volontier torna a ciò che la trastulla. 9549 9550 Di picciol bene in pria sente sapore; 9551 quivi s’inganna, e dietro ad esso corre, 9552 se guida o fren non torce suo amore. 9553 9554 Onde convenne legge per fren porre; 9555 convenne rege aver, che discernesse 9556 de la vera cittade almen la torre. 9557 9558 Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? 9559 Nullo, però che ’l pastor che procede, 9560 rugumar può, ma non ha l’unghie fesse; 9561 9562 per che la gente, che sua guida vede 9563 pur a quel ben fedire ond’ ella è ghiotta, 9564 di quel si pasce, e più oltre non chiede. 9565 9566 Ben puoi veder che la mala condotta 9567 è la cagion che ’l mondo ha fatto reo, 9568 e non natura che ’n voi sia corrotta. 9569 9570 Soleva Roma, che ’l buon mondo feo, 9571 due soli aver, che l’una e l’altra strada 9572 facean vedere, e del mondo e di Deo. 9573 9574 L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada 9575 col pasturale, e l’un con l’altro insieme 9576 per viva forza mal convien che vada; 9577 9578 però che, giunti, l’un l’altro non teme: 9579 se non mi credi, pon mente a la spiga, 9580 ch’ogn’ erba si conosce per lo seme. 9581 9582 In sul paese ch’Adice e Po riga, 9583 solea valore e cortesia trovarsi, 9584 prima che Federigo avesse briga; 9585 9586 or può sicuramente indi passarsi 9587 per qualunque lasciasse, per vergogna 9588 di ragionar coi buoni o d’appressarsi. 9589 9590 Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna 9591 l’antica età la nova, e par lor tardo 9592 che Dio a miglior vita li ripogna: 9593 9594 Currado da Palazzo e ’l buon Gherardo 9595 e Guido da Castel, che mei si noma, 9596 francescamente, il semplice Lombardo. 9597 9598 Dì oggimai che la Chiesa di Roma, 9599 per confondere in sé due reggimenti, 9600 cade nel fango, e sé brutta e la soma». 9601 9602 «O Marco mio», diss’ io, «bene argomenti; 9603 e or discerno perché dal retaggio 9604 li figli di Levì furono essenti. 9605 9606 Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio 9607 di’ ch’è rimaso de la gente spenta, 9608 in rimprovèro del secol selvaggio?». 9609 9610 «O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta», 9611 rispuose a me; «ché, parlandomi tosco, 9612 par che del buon Gherardo nulla senta. 9613 9614 Per altro sopranome io nol conosco, 9615 s’io nol togliessi da sua figlia Gaia. 9616 Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. 9617 9618 Vedi l’albor che per lo fummo raia 9619 già biancheggiare, e me convien partirmi 9620 (l’angelo è ivi) prima ch’io li paia». 9621 9622 Così tornò, e più non volle udirmi. 9623 9624 9625 9626 Purgatorio · Canto XVII 9627 9628 9629 Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe 9630 ti colse nebbia per la qual vedessi 9631 non altrimenti che per pelle talpe, 9632 9633 come, quando i vapori umidi e spessi 9634 a diradar cominciansi, la spera 9635 del sol debilemente entra per essi; 9636 9637 e fia la tua imagine leggera 9638 in giugnere a veder com’ io rividi 9639 lo sole in pria, che già nel corcar era. 9640 9641 Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi 9642 del mio maestro, usci’ fuor di tal nube 9643 ai raggi morti già ne’ bassi lidi. 9644 9645 O imaginativa che ne rube 9646 talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge 9647 perché dintorno suonin mille tube, 9648 9649 chi move te, se ’l senso non ti porge? 9650 Moveti lume che nel ciel s’informa, 9651 per sé o per voler che giù lo scorge. 9652 9653 De l’empiezza di lei che mutò forma 9654 ne l’uccel ch’a cantar più si diletta, 9655 ne l’imagine mia apparve l’orma; 9656 9657 e qui fu la mia mente sì ristretta 9658 dentro da sé, che di fuor non venìa 9659 cosa che fosse allor da lei ricetta. 9660 9661 Poi piovve dentro a l’alta fantasia 9662 un crucifisso, dispettoso e fero 9663 ne la sua vista, e cotal si moria; 9664 9665 intorno ad esso era il grande Assüero, 9666 Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo, 9667 che fu al dire e al far così intero. 9668 9669 E come questa imagine rompeo 9670 sé per sé stessa, a guisa d’una bulla 9671 cui manca l’acqua sotto qual si feo, 9672 9673 surse in mia visïone una fanciulla 9674 piangendo forte, e dicea: «O regina, 9675 perché per ira hai voluto esser nulla? 9676 9677 Ancisa t’hai per non perder Lavina; 9678 or m’hai perduta! Io son essa che lutto, 9679 madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina». 9680 9681 Come si frange il sonno ove di butto 9682 nova luce percuote il viso chiuso, 9683 che fratto guizza pria che muoia tutto; 9684 9685 così l’imaginar mio cadde giuso 9686 tosto che lume il volto mi percosse, 9687 maggior assai che quel ch’è in nostro uso. 9688 9689 I’ mi volgea per veder ov’ io fosse, 9690 quando una voce disse «Qui si monta», 9691 che da ogne altro intento mi rimosse; 9692 9693 e fece la mia voglia tanto pronta 9694 di riguardar chi era che parlava, 9695 che mai non posa, se non si raffronta. 9696 9697 Ma come al sol che nostra vista grava 9698 e per soverchio sua figura vela, 9699 così la mia virtù quivi mancava. 9700 9701 «Questo è divino spirito, che ne la 9702 via da ir sù ne drizza sanza prego, 9703 e col suo lume sé medesmo cela. 9704 9705 Sì fa con noi, come l’uom si fa sego; 9706 ché quale aspetta prego e l’uopo vede, 9707 malignamente già si mette al nego. 9708 9709 Or accordiamo a tanto invito il piede; 9710 procacciam di salir pria che s’abbui, 9711 ché poi non si poria, se ’l dì non riede». 9712 9713 Così disse il mio duca, e io con lui 9714 volgemmo i nostri passi ad una scala; 9715 e tosto ch’io al primo grado fui, 9716 9717 senti’mi presso quasi un muover d’ala 9718 e ventarmi nel viso e dir: ‘Beati 9719 pacifici, che son sanz’ ira mala!’. 9720 9721 Già eran sovra noi tanto levati 9722 li ultimi raggi che la notte segue, 9723 che le stelle apparivan da più lati. 9724 9725 ‘O virtù mia, perché sì ti dilegue?’, 9726 fra me stesso dicea, ché mi sentiva 9727 la possa de le gambe posta in triegue. 9728 9729 Noi eravam dove più non saliva 9730 la scala sù, ed eravamo affissi, 9731 pur come nave ch’a la piaggia arriva. 9732 9733 E io attesi un poco, s’io udissi 9734 alcuna cosa nel novo girone; 9735 poi mi volsi al maestro mio, e dissi: 9736 9737 «Dolce mio padre, dì, quale offensione 9738 si purga qui nel giro dove semo? 9739 Se i piè si stanno, non stea tuo sermone». 9740 9741 Ed elli a me: «L’amor del bene, scemo 9742 del suo dover, quiritta si ristora; 9743 qui si ribatte il mal tardato remo. 9744 9745 Ma perché più aperto intendi ancora, 9746 volgi la mente a me, e prenderai 9747 alcun buon frutto di nostra dimora». 9748 9749 «Né creator né creatura mai», 9750 cominciò el, «figliuol, fu sanza amore, 9751 o naturale o d’animo; e tu ’l sai. 9752 9753 Lo naturale è sempre sanza errore, 9754 ma l’altro puote errar per malo obietto 9755 o per troppo o per poco di vigore. 9756 9757 Mentre ch’elli è nel primo ben diretto, 9758 e ne’ secondi sé stesso misura, 9759 esser non può cagion di mal diletto; 9760 9761 ma quando al mal si torce, o con più cura 9762 o con men che non dee corre nel bene, 9763 contra ’l fattore adovra sua fattura. 9764 9765 Quinci comprender puoi ch’esser convene 9766 amor sementa in voi d’ogne virtute 9767 e d’ogne operazion che merta pene. 9768 9769 Or, perché mai non può da la salute 9770 amor del suo subietto volger viso, 9771 da l’odio proprio son le cose tute; 9772 9773 e perché intender non si può diviso, 9774 e per sé stante, alcuno esser dal primo, 9775 da quello odiare ogne effetto è deciso. 9776 9777 Resta, se dividendo bene stimo, 9778 che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso 9779 amor nasce in tre modi in vostro limo. 9780 9781 È chi, per esser suo vicin soppresso, 9782 spera eccellenza, e sol per questo brama 9783 ch’el sia di sua grandezza in basso messo; 9784 9785 è chi podere, grazia, onore e fama 9786 teme di perder perch’ altri sormonti, 9787 onde s’attrista sì che ’l contrario ama; 9788 9789 ed è chi per ingiuria par ch’aonti, 9790 sì che si fa de la vendetta ghiotto, 9791 e tal convien che ’l male altrui impronti. 9792 9793 Questo triforme amor qua giù di sotto 9794 si piange: or vo’ che tu de l’altro intende, 9795 che corre al ben con ordine corrotto. 9796 9797 Ciascun confusamente un bene apprende 9798 nel qual si queti l’animo, e disira; 9799 per che di giugner lui ciascun contende. 9800 9801 Se lento amore a lui veder vi tira 9802 o a lui acquistar, questa cornice, 9803 dopo giusto penter, ve ne martira. 9804 9805 Altro ben è che non fa l’uom felice; 9806 non è felicità, non è la buona 9807 essenza, d’ogne ben frutto e radice. 9808 9809 L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona, 9810 di sovr’ a noi si piange per tre cerchi; 9811 ma come tripartito si ragiona, 9812 9813 tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi». 9814 9815 9816 9817 Purgatorio · Canto XVIII 9818 9819 9820 Posto avea fine al suo ragionamento 9821 l’alto dottore, e attento guardava 9822 ne la mia vista s’io parea contento; 9823 9824 e io, cui nova sete ancor frugava, 9825 di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse 9826 lo troppo dimandar ch’io fo li grava’. 9827 9828 Ma quel padre verace, che s’accorse 9829 del timido voler che non s’apriva, 9830 parlando, di parlare ardir mi porse. 9831 9832 Ond’ io: «Maestro, il mio veder s’avviva 9833 sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro 9834 quanto la tua ragion parta o descriva. 9835 9836 Però ti prego, dolce padre caro, 9837 che mi dimostri amore, a cui reduci 9838 ogne buono operare e ’l suo contraro». 9839 9840 «Drizza», disse, «ver’ me l’agute luci 9841 de lo ’ntelletto, e fieti manifesto 9842 l’error de’ ciechi che si fanno duci. 9843 9844 L’animo, ch’è creato ad amar presto, 9845 ad ogne cosa è mobile che piace, 9846 tosto che dal piacere in atto è desto. 9847 9848 Vostra apprensiva da esser verace 9849 tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, 9850 sì che l’animo ad essa volger face; 9851 9852 e se, rivolto, inver’ di lei si piega, 9853 quel piegare è amor, quell’ è natura 9854 che per piacer di novo in voi si lega. 9855 9856 Poi, come ’l foco movesi in altura 9857 per la sua forma ch’è nata a salire 9858 là dove più in sua matera dura, 9859 9860 così l’animo preso entra in disire, 9861 ch’è moto spiritale, e mai non posa 9862 fin che la cosa amata il fa gioire. 9863 9864 Or ti puote apparer quant’ è nascosa 9865 la veritate a la gente ch’avvera 9866 ciascun amore in sé laudabil cosa; 9867 9868 però che forse appar la sua matera 9869 sempre esser buona, ma non ciascun segno 9870 è buono, ancor che buona sia la cera». 9871 9872 «Le tue parole e ’l mio seguace ingegno», 9873 rispuos’ io lui, «m’hanno amor discoverto, 9874 ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno; 9875 9876 ché, s’amore è di fuori a noi offerto 9877 e l’anima non va con altro piede, 9878 se dritta o torta va, non è suo merto». 9879 9880 Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede, 9881 dir ti poss’ io; da indi in là t’aspetta 9882 pur a Beatrice, ch’è opra di fede. 9883 9884 Ogne forma sustanzïal, che setta 9885 è da matera ed è con lei unita, 9886 specifica vertute ha in sé colletta, 9887 9888 la qual sanza operar non è sentita, 9889 né si dimostra mai che per effetto, 9890 come per verdi fronde in pianta vita. 9891 9892 Però, là onde vegna lo ’ntelletto 9893 de le prime notizie, omo non sape, 9894 e de’ primi appetibili l’affetto, 9895 9896 che sono in voi sì come studio in ape 9897 di far lo mele; e questa prima voglia 9898 merto di lode o di biasmo non cape. 9899 9900 Or perché a questa ogn’ altra si raccoglia, 9901 innata v’è la virtù che consiglia, 9902 e de l’assenso de’ tener la soglia. 9903 9904 Quest’ è ’l principio là onde si piglia 9905 ragion di meritare in voi, secondo 9906 che buoni e rei amori accoglie e viglia. 9907 9908 Color che ragionando andaro al fondo, 9909 s’accorser d’esta innata libertate; 9910 però moralità lasciaro al mondo. 9911 9912 Onde, poniam che di necessitate 9913 surga ogne amor che dentro a voi s’accende, 9914 di ritenerlo è in voi la podestate. 9915 9916 La nobile virtù Beatrice intende 9917 per lo libero arbitrio, e però guarda 9918 che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende». 9919 9920 La luna, quasi a mezza notte tarda, 9921 facea le stelle a noi parer più rade, 9922 fatta com’ un secchion che tuttor arda; 9923 9924 e correa contro ’l ciel per quelle strade 9925 che ’l sole infiamma allor che quel da Roma 9926 tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade. 9927 9928 E quell’ ombra gentil per cui si noma 9929 Pietola più che villa mantoana, 9930 del mio carcar diposta avea la soma; 9931 9932 per ch’io, che la ragione aperta e piana 9933 sovra le mie quistioni avea ricolta, 9934 stava com’ om che sonnolento vana. 9935 9936 Ma questa sonnolenza mi fu tolta 9937 subitamente da gente che dopo 9938 le nostre spalle a noi era già volta. 9939 9940 E quale Ismeno già vide e Asopo 9941 lungo di sè di notte furia e calca, 9942 pur che i Teban di Bacco avesser uopo, 9943 9944 cotal per quel giron suo passo falca, 9945 per quel ch’io vidi di color, venendo, 9946 cui buon volere e giusto amor cavalca. 9947 9948 Tosto fur sovr’ a noi, perché correndo 9949 si movea tutta quella turba magna; 9950 e due dinanzi gridavan piangendo: 9951 9952 «Maria corse con fretta a la montagna; 9953 e Cesare, per soggiogare Ilerda, 9954 punse Marsilia e poi corse in Ispagna». 9955 9956 «Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda 9957 per poco amor», gridavan li altri appresso, 9958 «che studio di ben far grazia rinverda». 9959 9960 «O gente in cui fervore aguto adesso 9961 ricompie forse negligenza e indugio 9962 da voi per tepidezza in ben far messo, 9963 9964 questi che vive, e certo i’ non vi bugio, 9965 vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca; 9966 però ne dite ond’ è presso il pertugio». 9967 9968 Parole furon queste del mio duca; 9969 e un di quelli spirti disse: «Vieni 9970 di retro a noi, e troverai la buca. 9971 9972 Noi siam di voglia a muoverci sì pieni, 9973 che restar non potem; però perdona, 9974 se villania nostra giustizia tieni. 9975 9976 Io fui abate in San Zeno a Verona 9977 sotto lo ’mperio del buon Barbarossa, 9978 di cui dolente ancor Milan ragiona. 9979 9980 E tale ha già l’un piè dentro la fossa, 9981 che tosto piangerà quel monastero, 9982 e tristo fia d’avere avuta possa; 9983 9984 perché suo figlio, mal del corpo intero, 9985 e de la mente peggio, e che mal nacque, 9986 ha posto in loco di suo pastor vero». 9987 9988 Io non so se più disse o s’ei si tacque, 9989 tant’ era già di là da noi trascorso; 9990 ma questo intesi, e ritener mi piacque. 9991 9992 E quei che m’era ad ogne uopo soccorso 9993 disse: «Volgiti qua: vedine due 9994 venir dando a l’accidïa di morso». 9995 9996 Di retro a tutti dicean: «Prima fue 9997 morta la gente a cui il mar s’aperse, 9998 che vedesse Iordan le rede sue. 9999 10000 E quella che l’affanno non sofferse 10001 fino a la fine col figlio d’Anchise, 10002 sé stessa a vita sanza gloria offerse». 10003 10004 Poi quando fuor da noi tanto divise 10005 quell’ ombre, che veder più non potiersi, 10006 novo pensiero dentro a me si mise, 10007 10008 del qual più altri nacquero e diversi; 10009 e tanto d’uno in altro vaneggiai, 10010 che li occhi per vaghezza ricopersi, 10011 10012 e ’l pensamento in sogno trasmutai. 10013 10014 10015 10016 Purgatorio · Canto XIX 10017 10018 10019 Ne l’ora che non può ’l calor dïurno 10020 intepidar più ’l freddo de la luna, 10021 vinto da terra, e talor da Saturno 10022 10023 —quando i geomanti lor Maggior Fortuna 10024 veggiono in orïente, innanzi a l’alba, 10025 surger per via che poco le sta bruna—, 10026 10027 mi venne in sogno una femmina balba, 10028 ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta, 10029 con le man monche, e di colore scialba. 10030 10031 Io la mirava; e come ’l sol conforta 10032 le fredde membra che la notte aggrava, 10033 così lo sguardo mio le facea scorta 10034 10035 la lingua, e poscia tutta la drizzava 10036 in poco d’ora, e lo smarrito volto, 10037 com’ amor vuol, così le colorava. 10038 10039 Poi ch’ell’ avea ’l parlar così disciolto, 10040 cominciava a cantar sì, che con pena 10041 da lei avrei mio intento rivolto. 10042 10043 «Io son», cantava, «io son dolce serena, 10044 che ’ marinari in mezzo mar dismago; 10045 tanto son di piacere a sentir piena! 10046 10047 Io volsi Ulisse del suo cammin vago 10048 al canto mio; e qual meco s’ausa, 10049 rado sen parte; sì tutto l’appago!». 10050 10051 Ancor non era sua bocca richiusa, 10052 quand’ una donna apparve santa e presta 10053 lunghesso me per far colei confusa. 10054 10055 «O Virgilio, Virgilio, chi è questa?», 10056 fieramente dicea; ed el venìa 10057 con li occhi fitti pur in quella onesta. 10058 10059 L’altra prendea, e dinanzi l’apria 10060 fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre; 10061 quel mi svegliò col puzzo che n’uscia. 10062 10063 Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: «Almen tre 10064 voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni; 10065 troviam l’aperta per la qual tu entre». 10066 10067 Sù mi levai, e tutti eran già pieni 10068 de l’alto dì i giron del sacro monte, 10069 e andavam col sol novo a le reni. 10070 10071 Seguendo lui, portava la mia fronte 10072 come colui che l’ha di pensier carca, 10073 che fa di sé un mezzo arco di ponte; 10074 10075 quand’ io udi’ «Venite; qui si varca» 10076 parlare in modo soave e benigno, 10077 qual non si sente in questa mortal marca. 10078 10079 Con l’ali aperte, che parean di cigno, 10080 volseci in sù colui che sì parlonne 10081 tra due pareti del duro macigno. 10082 10083 Mosse le penne poi e ventilonne, 10084 ‘Qui lugent’ affermando esser beati, 10085 ch’avran di consolar l’anime donne. 10086 10087 «Che hai che pur inver’ la terra guati?», 10088 la guida mia incominciò a dirmi, 10089 poco amendue da l’angel sormontati. 10090 10091 E io: «Con tanta sospeccion fa irmi 10092 novella visïon ch’a sé mi piega, 10093 sì ch’io non posso dal pensar partirmi». 10094 10095 «Vedesti», disse, «quell’antica strega 10096 che sola sovr’ a noi omai si piagne; 10097 vedesti come l’uom da lei si slega. 10098 10099 Bastiti, e batti a terra le calcagne; 10100 li occhi rivolgi al logoro che gira 10101 lo rege etterno con le rote magne». 10102 10103 Quale ’l falcon, che prima a’ pié si mira, 10104 indi si volge al grido e si protende 10105 per lo disio del pasto che là il tira, 10106 10107 tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende 10108 la roccia per dar via a chi va suso, 10109 n’andai infin dove ’l cerchiar si prende. 10110 10111 Com’ io nel quinto giro fui dischiuso, 10112 vidi gente per esso che piangea, 10113 giacendo a terra tutta volta in giuso. 10114 10115 ‘Adhaesit pavimento anima mea’ 10116 sentia dir lor con sì alti sospiri, 10117 che la parola a pena s’intendea. 10118 10119 «O eletti di Dio, li cui soffriri 10120 e giustizia e speranza fa men duri, 10121 drizzate noi verso li alti saliri». 10122 10123 «Se voi venite dal giacer sicuri, 10124 e volete trovar la via più tosto, 10125 le vostre destre sien sempre di fori». 10126 10127 Così pregò ’l poeta, e sì risposto 10128 poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io 10129 nel parlare avvisai l’altro nascosto, 10130 10131 e volsi li occhi a li occhi al segnor mio: 10132 ond’ elli m’assentì con lieto cenno 10133 ciò che chiedea la vista del disio. 10134 10135 Poi ch’io potei di me fare a mio senno, 10136 trassimi sovra quella creatura 10137 le cui parole pria notar mi fenno, 10138 10139 dicendo: «Spirto in cui pianger matura 10140 quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi, 10141 sosta un poco per me tua maggior cura. 10142 10143 Chi fosti e perché vòlti avete i dossi 10144 al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri 10145 cosa di là ond’ io vivendo mossi». 10146 10147 Ed elli a me: «Perché i nostri diretri 10148 rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima 10149 scias quod ego fui successor Petri. 10150 10151 Intra Sïestri e Chiaveri s’adima 10152 una fiumana bella, e del suo nome 10153 lo titol del mio sangue fa sua cima. 10154 10155 Un mese e poco più prova’ io come 10156 pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, 10157 che piuma sembran tutte l’altre some. 10158 10159 La mia conversïone, omè!, fu tarda; 10160 ma, come fatto fui roman pastore, 10161 così scopersi la vita bugiarda. 10162 10163 Vidi che lì non s’acquetava il core, 10164 né più salir potiesi in quella vita; 10165 per che di questa in me s’accese amore. 10166 10167 Fino a quel punto misera e partita 10168 da Dio anima fui, del tutto avara; 10169 or, come vedi, qui ne son punita. 10170 10171 Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara 10172 in purgazion de l’anime converse; 10173 e nulla pena il monte ha più amara. 10174 10175 Sì come l’occhio nostro non s’aderse 10176 in alto, fisso a le cose terrene, 10177 così giustizia qui a terra il merse. 10178 10179 Come avarizia spense a ciascun bene 10180 lo nostro amore, onde operar perdési, 10181 così giustizia qui stretti ne tene, 10182 10183 ne’ piedi e ne le man legati e presi; 10184 e quanto fia piacer del giusto Sire, 10185 tanto staremo immobili e distesi». 10186 10187 Io m’era inginocchiato e volea dire; 10188 ma com’ io cominciai ed el s’accorse, 10189 solo ascoltando, del mio reverire, 10190 10191 «Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?». 10192 E io a lui: «Per vostra dignitate 10193 mia coscïenza dritto mi rimorse». 10194 10195 «Drizza le gambe, lèvati sù, frate!», 10196 rispuose; «non errar: conservo sono 10197 teco e con li altri ad una podestate. 10198 10199 Se mai quel santo evangelico suono 10200 che dice ‘Neque nubent’ intendesti, 10201 ben puoi veder perch’ io così ragiono. 10202 10203 Vattene omai: non vo’ che più t’arresti; 10204 ché la tua stanza mio pianger disagia, 10205 col qual maturo ciò che tu dicesti. 10206 10207 Nepote ho io di là c’ha nome Alagia, 10208 buona da sé, pur che la nostra casa 10209 non faccia lei per essempro malvagia; 10210 10211 e questa sola di là m’è rimasa». 10212 10213 10214 10215 Purgatorio · Canto XX 10216 10217 10218 Contra miglior voler voler mal pugna; 10219 onde contra ’l piacer mio, per piacerli, 10220 trassi de l’acqua non sazia la spugna. 10221 10222 Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li 10223 luoghi spediti pur lungo la roccia, 10224 come si va per muro stretto a’ merli; 10225 10226 ché la gente che fonde a goccia a goccia 10227 per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa, 10228 da l’altra parte in fuor troppo s’approccia. 10229 10230 Maladetta sie tu, antica lupa, 10231 che più che tutte l’altre bestie hai preda 10232 per la tua fame sanza fine cupa! 10233 10234 O ciel, nel cui girar par che si creda 10235 le condizion di qua giù trasmutarsi, 10236 quando verrà per cui questa disceda? 10237 10238 Noi andavam con passi lenti e scarsi, 10239 e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia 10240 pietosamente piangere e lagnarsi; 10241 10242 e per ventura udi’ «Dolce Maria!» 10243 dinanzi a noi chiamar così nel pianto 10244 come fa donna che in parturir sia; 10245 10246 e seguitar: «Povera fosti tanto, 10247 quanto veder si può per quello ospizio 10248 dove sponesti il tuo portato santo». 10249 10250 Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio, 10251 con povertà volesti anzi virtute 10252 che gran ricchezza posseder con vizio». 10253 10254 Queste parole m’eran sì piaciute, 10255 ch’io mi trassi oltre per aver contezza 10256 di quello spirto onde parean venute. 10257 10258 Esso parlava ancor de la larghezza 10259 che fece Niccolò a le pulcelle, 10260 per condurre ad onor lor giovinezza. 10261 10262 «O anima che tanto ben favelle, 10263 dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola 10264 tu queste degne lode rinovelle. 10265 10266 Non fia sanza mercé la tua parola, 10267 s’io ritorno a compiér lo cammin corto 10268 di quella vita ch’al termine vola». 10269 10270 Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto 10271 ch’io attenda di là, ma perché tanta 10272 grazia in te luce prima che sie morto. 10273 10274 Io fui radice de la mala pianta 10275 che la terra cristiana tutta aduggia, 10276 sì che buon frutto rado se ne schianta. 10277 10278 Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia 10279 potesser, tosto ne saria vendetta; 10280 e io la cheggio a lui che tutto giuggia. 10281 10282 Chiamato fui di là Ugo Ciappetta; 10283 di me son nati i Filippi e i Luigi 10284 per cui novellamente è Francia retta. 10285 10286 Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi: 10287 quando li regi antichi venner meno 10288 tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi, 10289 10290 trova’mi stretto ne le mani il freno 10291 del governo del regno, e tanta possa 10292 di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno, 10293 10294 ch’a la corona vedova promossa 10295 la testa di mio figlio fu, dal quale 10296 cominciar di costor le sacrate ossa. 10297 10298 Mentre che la gran dota provenzale 10299 al sangue mio non tolse la vergogna, 10300 poco valea, ma pur non facea male. 10301 10302 Lì cominciò con forza e con menzogna 10303 la sua rapina; e poscia, per ammenda, 10304 Pontì e Normandia prese e Guascogna. 10305 10306 Carlo venne in Italia e, per ammenda, 10307 vittima fé di Curradino; e poi 10308 ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. 10309 10310 Tempo vegg’ io, non molto dopo ancoi, 10311 che tragge un altro Carlo fuor di Francia, 10312 per far conoscer meglio e sé e ’ suoi. 10313 10314 Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia 10315 con la qual giostrò Giuda, e quella ponta 10316 sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia. 10317 10318 Quindi non terra, ma peccato e onta 10319 guadagnerà, per sé tanto più grave, 10320 quanto più lieve simil danno conta. 10321 10322 L’altro, che già uscì preso di nave, 10323 veggio vender sua figlia e patteggiarne 10324 come fanno i corsar de l’altre schiave. 10325 10326 O avarizia, che puoi tu più farne, 10327 poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto, 10328 che non si cura de la propria carne? 10329 10330 Perché men paia il mal futuro e ’l fatto, 10331 veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, 10332 e nel vicario suo Cristo esser catto. 10333 10334 Veggiolo un’altra volta esser deriso; 10335 veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele, 10336 e tra vivi ladroni esser anciso. 10337 10338 Veggio il novo Pilato sì crudele, 10339 che ciò nol sazia, ma sanza decreto 10340 portar nel Tempio le cupide vele. 10341 10342 O Segnor mio, quando sarò io lieto 10343 a veder la vendetta che, nascosa, 10344 fa dolce l’ira tua nel tuo secreto? 10345 10346 Ciò ch’io dicea di quell’ unica sposa 10347 de lo Spirito Santo e che ti fece 10348 verso me volger per alcuna chiosa, 10349 10350 tanto è risposto a tutte nostre prece 10351 quanto ’l dì dura; ma com’ el s’annotta, 10352 contrario suon prendemo in quella vece. 10353 10354 Noi repetiam Pigmalïon allotta, 10355 cui traditore e ladro e paricida 10356 fece la voglia sua de l’oro ghiotta; 10357 10358 e la miseria de l’avaro Mida, 10359 che seguì a la sua dimanda gorda, 10360 per la qual sempre convien che si rida. 10361 10362 Del folle Acàn ciascun poi si ricorda, 10363 come furò le spoglie, sì che l’ira 10364 di Iosüè qui par ch’ancor lo morda. 10365 10366 Indi accusiam col marito Saffira; 10367 lodiam i calci ch’ebbe Elïodoro; 10368 e in infamia tutto ’l monte gira 10369 10370 Polinestòr ch’ancise Polidoro; 10371 ultimamente ci si grida: “Crasso, 10372 dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?”. 10373 10374 Talor parla l’uno alto e l’altro basso, 10375 secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona 10376 ora a maggiore e ora a minor passo: 10377 10378 però al ben che ’l dì ci si ragiona, 10379 dianzi non era io sol; ma qui da presso 10380 non alzava la voce altra persona». 10381 10382 Noi eravam partiti già da esso, 10383 e brigavam di soverchiar la strada 10384 tanto quanto al poder n’era permesso, 10385 10386 quand’ io senti’, come cosa che cada, 10387 tremar lo monte; onde mi prese un gelo 10388 qual prender suol colui ch’a morte vada. 10389 10390 Certo non si scoteo sì forte Delo, 10391 pria che Latona in lei facesse ’l nido 10392 a parturir li due occhi del cielo. 10393 10394 Poi cominciò da tutte parti un grido 10395 tal, che ’l maestro inverso me si feo, 10396 dicendo: «Non dubbiar, mentr’ io ti guido». 10397 10398 ‘Glorïa in excelsis’ tutti ‘Deo’ 10399 dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi, 10400 onde intender lo grido si poteo. 10401 10402 No’ istavamo immobili e sospesi 10403 come i pastor che prima udir quel canto, 10404 fin che ’l tremar cessò ed el compiési. 10405 10406 Poi ripigliammo nostro cammin santo, 10407 guardando l’ombre che giacean per terra, 10408 tornate già in su l’usato pianto. 10409 10410 Nulla ignoranza mai con tanta guerra 10411 mi fé desideroso di sapere, 10412 se la memoria mia in ciò non erra, 10413 10414 quanta pareami allor, pensando, avere; 10415 né per la fretta dimandare er’ oso, 10416 né per me lì potea cosa vedere: 10417 10418 così m’andava timido e pensoso. 10419 10420 10421 10422 Purgatorio · Canto XXI 10423 10424 10425 La sete natural che mai non sazia 10426 se non con l’acqua onde la femminetta 10427 samaritana domandò la grazia, 10428 10429 mi travagliava, e pungeami la fretta 10430 per la ’mpacciata via dietro al mio duca, 10431 e condoleami a la giusta vendetta. 10432 10433 Ed ecco, sì come ne scrive Luca 10434 che Cristo apparve a’ due ch’erano in via, 10435 già surto fuor de la sepulcral buca, 10436 10437 ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa, 10438 dal piè guardando la turba che giace; 10439 né ci addemmo di lei, sì parlò pria, 10440 10441 dicendo: «O frati miei, Dio vi dea pace». 10442 Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio 10443 rendéli ’l cenno ch’a ciò si conface. 10444 10445 Poi cominciò: «Nel beato concilio 10446 ti ponga in pace la verace corte 10447 che me rilega ne l’etterno essilio». 10448 10449 «Come!», diss’ elli, e parte andavam forte: 10450 «se voi siete ombre che Dio sù non degni, 10451 chi v’ha per la sua scala tanto scorte?». 10452 10453 E ’l dottor mio: «Se tu riguardi a’ segni 10454 che questi porta e che l’angel profila, 10455 ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni. 10456 10457 Ma perché lei che dì e notte fila 10458 non li avea tratta ancora la conocchia 10459 che Cloto impone a ciascuno e compila, 10460 10461 l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia, 10462 venendo sù, non potea venir sola, 10463 però ch’al nostro modo non adocchia. 10464 10465 Ond’ io fui tratto fuor de l’ampia gola 10466 d’inferno per mostrarli, e mosterrolli 10467 oltre, quanto ’l potrà menar mia scola. 10468 10469 Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli 10470 diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una 10471 parve gridare infino a’ suoi piè molli». 10472 10473 Sì mi diè, dimandando, per la cruna 10474 del mio disio, che pur con la speranza 10475 si fece la mia sete men digiuna. 10476 10477 Quei cominciò: «Cosa non è che sanza 10478 ordine senta la religïone 10479 de la montagna, o che sia fuor d’usanza. 10480 10481 Libero è qui da ogne alterazione: 10482 di quel che ’l ciel da sé in sé riceve 10483 esser ci puote, e non d’altro, cagione. 10484 10485 Per che non pioggia, non grando, non neve, 10486 non rugiada, non brina più sù cade 10487 che la scaletta di tre gradi breve; 10488 10489 nuvole spesse non paion né rade, 10490 né coruscar, né figlia di Taumante, 10491 che di là cangia sovente contrade; 10492 10493 secco vapor non surge più avante 10494 ch’al sommo d’i tre gradi ch’io parlai, 10495 dov’ ha ’l vicario di Pietro le piante. 10496 10497 Trema forse più giù poco o assai; 10498 ma per vento che ’n terra si nasconda, 10499 non so come, qua sù non tremò mai. 10500 10501 Tremaci quando alcuna anima monda 10502 sentesi, sì che surga o che si mova 10503 per salir sù; e tal grido seconda. 10504 10505 De la mondizia sol voler fa prova, 10506 che, tutto libero a mutar convento, 10507 l’alma sorprende, e di voler le giova. 10508 10509 Prima vuol ben, ma non lascia il talento 10510 che divina giustizia, contra voglia, 10511 come fu al peccar, pone al tormento. 10512 10513 E io, che son giaciuto a questa doglia 10514 cinquecent’ anni e più, pur mo sentii 10515 libera volontà di miglior soglia: 10516 10517 però sentisti il tremoto e li pii 10518 spiriti per lo monte render lode 10519 a quel Segnor, che tosto sù li ’nvii». 10520 10521 Così ne disse; e però ch’el si gode 10522 tanto del ber quant’ è grande la sete, 10523 non saprei dir quant’ el mi fece prode. 10524 10525 E ’l savio duca: «Omai veggio la rete 10526 che qui vi ’mpiglia e come si scalappia, 10527 perché ci trema e di che congaudete. 10528 10529 Ora chi fosti, piacciati ch’io sappia, 10530 e perché tanti secoli giaciuto 10531 qui se’, ne le parole tue mi cappia». 10532 10533 «Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto 10534 del sommo rege, vendicò le fóra 10535 ond’ uscì ’l sangue per Giuda venduto, 10536 10537 col nome che più dura e più onora 10538 era io di là», rispuose quello spirto, 10539 «famoso assai, ma non con fede ancora. 10540 10541 Tanto fu dolce mio vocale spirto, 10542 che, tolosano, a sé mi trasse Roma, 10543 dove mertai le tempie ornar di mirto. 10544 10545 Stazio la gente ancor di là mi noma: 10546 cantai di Tebe, e poi del grande Achille; 10547 ma caddi in via con la seconda soma. 10548 10549 Al mio ardor fuor seme le faville, 10550 che mi scaldar, de la divina fiamma 10551 onde sono allumati più di mille; 10552 10553 de l’Eneïda dico, la qual mamma 10554 fummi, e fummi nutrice, poetando: 10555 sanz’ essa non fermai peso di dramma. 10556 10557 E per esser vivuto di là quando 10558 visse Virgilio, assentirei un sole 10559 più che non deggio al mio uscir di bando». 10560 10561 Volser Virgilio a me queste parole 10562 con viso che, tacendo, disse ‘Taci’; 10563 ma non può tutto la virtù che vuole; 10564 10565 ché riso e pianto son tanto seguaci 10566 a la passion di che ciascun si spicca, 10567 che men seguon voler ne’ più veraci. 10568 10569 Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca; 10570 per che l’ombra si tacque, e riguardommi 10571 ne li occhi ove ’l sembiante più si ficca; 10572 10573 e «Se tanto labore in bene assommi», 10574 disse, «perché la tua faccia testeso 10575 un lampeggiar di riso dimostrommi?». 10576 10577 Or son io d’una parte e d’altra preso: 10578 l’una mi fa tacer, l’altra scongiura 10579 ch’io dica; ond’ io sospiro, e sono inteso 10580 10581 dal mio maestro, e «Non aver paura», 10582 mi dice, «di parlar; ma parla e digli 10583 quel ch’e’ dimanda con cotanta cura». 10584 10585 Ond’ io: «Forse che tu ti maravigli, 10586 antico spirto, del rider ch’io fei; 10587 ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli. 10588 10589 Questi che guida in alto li occhi miei, 10590 è quel Virgilio dal qual tu togliesti 10591 forte a cantar de li uomini e d’i dèi. 10592 10593 Se cagion altra al mio rider credesti, 10594 lasciala per non vera, ed esser credi 10595 quelle parole che di lui dicesti». 10596 10597 Già s’inchinava ad abbracciar li piedi 10598 al mio dottor, ma el li disse: «Frate, 10599 non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi». 10600 10601 Ed ei surgendo: «Or puoi la quantitate 10602 comprender de l’amor ch’a te mi scalda, 10603 quand’ io dismento nostra vanitate, 10604 10605 trattando l’ombre come cosa salda». 10606 10607 10608 10609 Purgatorio · Canto XXII 10610 10611 10612 Già era l’angel dietro a noi rimaso, 10613 l’angel che n’avea vòlti al sesto giro, 10614 avendomi dal viso un colpo raso; 10615 10616 e quei c’hanno a giustizia lor disiro 10617 detto n’avea beati, e le sue voci 10618 con ‘sitiunt’, sanz’ altro, ciò forniro. 10619 10620 E io più lieve che per l’altre foci 10621 m’andava, sì che sanz’ alcun labore 10622 seguiva in sù li spiriti veloci; 10623 10624 quando Virgilio incominciò: «Amore, 10625 acceso di virtù, sempre altro accese, 10626 pur che la fiamma sua paresse fore; 10627 10628 onde da l’ora che tra noi discese 10629 nel limbo de lo ’nferno Giovenale, 10630 che la tua affezion mi fé palese, 10631 10632 mia benvoglienza inverso te fu quale 10633 più strinse mai di non vista persona, 10634 sì ch’or mi parran corte queste scale. 10635 10636 Ma dimmi, e come amico mi perdona 10637 se troppa sicurtà m’allarga il freno, 10638 e come amico omai meco ragiona: 10639 10640 come poté trovar dentro al tuo seno 10641 loco avarizia, tra cotanto senno 10642 di quanto per tua cura fosti pieno?». 10643 10644 Queste parole Stazio mover fenno 10645 un poco a riso pria; poscia rispuose: 10646 «Ogne tuo dir d’amor m’è caro cenno. 10647 10648 Veramente più volte appaion cose 10649 che danno a dubitar falsa matera 10650 per le vere ragion che son nascose. 10651 10652 La tua dimanda tuo creder m’avvera 10653 esser ch’i’ fossi avaro in l’altra vita, 10654 forse per quella cerchia dov’ io era. 10655 10656 Or sappi ch’avarizia fu partita 10657 troppo da me, e questa dismisura 10658 migliaia di lunari hanno punita. 10659 10660 E se non fosse ch’io drizzai mia cura, 10661 quand’ io intesi là dove tu chiame, 10662 crucciato quasi a l’umana natura: 10663 10664 ‘Per che non reggi tu, o sacra fame 10665 de l’oro, l’appetito de’ mortali?’, 10666 voltando sentirei le giostre grame. 10667 10668 Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali 10669 potean le mani a spendere, e pente’mi 10670 così di quel come de li altri mali. 10671 10672 Quanti risurgeran coi crini scemi 10673 per ignoranza, che di questa pecca 10674 toglie ’l penter vivendo e ne li stremi! 10675 10676 E sappie che la colpa che rimbecca 10677 per dritta opposizione alcun peccato, 10678 con esso insieme qui suo verde secca; 10679 10680 però, s’io son tra quella gente stato 10681 che piange l’avarizia, per purgarmi, 10682 per lo contrario suo m’è incontrato». 10683 10684 «Or quando tu cantasti le crude armi 10685 de la doppia trestizia di Giocasta», 10686 disse ’l cantor de’ buccolici carmi, 10687 10688 «per quello che Clïò teco lì tasta, 10689 non par che ti facesse ancor fedele 10690 la fede, sanza qual ben far non basta. 10691 10692 Se così è, qual sole o quai candele 10693 ti stenebraron sì, che tu drizzasti 10694 poscia di retro al pescator le vele?». 10695 10696 Ed elli a lui: «Tu prima m’invïasti 10697 verso Parnaso a ber ne le sue grotte, 10698 e prima appresso Dio m’alluminasti. 10699 10700 Facesti come quei che va di notte, 10701 che porta il lume dietro e sé non giova, 10702 ma dopo sé fa le persone dotte, 10703 10704 quando dicesti: ‘Secol si rinova; 10705 torna giustizia e primo tempo umano, 10706 e progenïe scende da ciel nova’. 10707 10708 Per te poeta fui, per te cristiano: 10709 ma perché veggi mei ciò ch’io disegno, 10710 a colorare stenderò la mano. 10711 10712 Già era ’l mondo tutto quanto pregno 10713 de la vera credenza, seminata 10714 per li messaggi de l’etterno regno; 10715 10716 e la parola tua sopra toccata 10717 si consonava a’ nuovi predicanti; 10718 ond’ io a visitarli presi usata. 10719 10720 Vennermi poi parendo tanto santi, 10721 che, quando Domizian li perseguette, 10722 sanza mio lagrimar non fur lor pianti; 10723 10724 e mentre che di là per me si stette, 10725 io li sovvenni, e i lor dritti costumi 10726 fer dispregiare a me tutte altre sette. 10727 10728 E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi 10729 di Tebe poetando, ebb’ io battesmo; 10730 ma per paura chiuso cristian fu’mi, 10731 10732 lungamente mostrando paganesmo; 10733 e questa tepidezza il quarto cerchio 10734 cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo. 10735 10736 Tu dunque, che levato hai il coperchio 10737 che m’ascondeva quanto bene io dico, 10738 mentre che del salire avem soverchio, 10739 10740 dimmi dov’ è Terrenzio nostro antico, 10741 Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai: 10742 dimmi se son dannati, e in qual vico». 10743 10744 «Costoro e Persio e io e altri assai», 10745 rispuose il duca mio, «siam con quel Greco 10746 che le Muse lattar più ch’altri mai, 10747 10748 nel primo cinghio del carcere cieco; 10749 spesse fïate ragioniam del monte 10750 che sempre ha le nutrice nostre seco. 10751 10752 Euripide v’è nosco e Antifonte, 10753 Simonide, Agatone e altri piùe 10754 Greci che già di lauro ornar la fronte. 10755 10756 Quivi si veggion de le genti tue 10757 Antigone, Deïfile e Argia, 10758 e Ismene sì trista come fue. 10759 10760 Védeisi quella che mostrò Langia; 10761 èvvi la figlia di Tiresia, e Teti, 10762 e con le suore sue Deïdamia». 10763 10764 Tacevansi ambedue già li poeti, 10765 di novo attenti a riguardar dintorno, 10766 liberi da saliri e da pareti; 10767 10768 e già le quattro ancelle eran del giorno 10769 rimase a dietro, e la quinta era al temo, 10770 drizzando pur in sù l’ardente corno, 10771 10772 quando il mio duca: «Io credo ch’a lo stremo 10773 le destre spalle volger ne convegna, 10774 girando il monte come far solemo». 10775 10776 Così l’usanza fu lì nostra insegna, 10777 e prendemmo la via con men sospetto 10778 per l’assentir di quell’ anima degna. 10779 10780 Elli givan dinanzi, e io soletto 10781 di retro, e ascoltava i lor sermoni, 10782 ch’a poetar mi davano intelletto. 10783 10784 Ma tosto ruppe le dolci ragioni 10785 un alber che trovammo in mezza strada, 10786 con pomi a odorar soavi e buoni; 10787 10788 e come abete in alto si digrada 10789 di ramo in ramo, così quello in giuso, 10790 cred’ io, perché persona sù non vada. 10791 10792 Dal lato onde ’l cammin nostro era chiuso, 10793 cadea de l’alta roccia un liquor chiaro 10794 e si spandeva per le foglie suso. 10795 10796 Li due poeti a l’alber s’appressaro; 10797 e una voce per entro le fronde 10798 gridò: «Di questo cibo avrete caro». 10799 10800 Poi disse: «Più pensava Maria onde 10801 fosser le nozze orrevoli e intere, 10802 ch’a la sua bocca, ch’or per voi risponde. 10803 10804 E le Romane antiche, per lor bere, 10805 contente furon d’acqua; e Danïello 10806 dispregiò cibo e acquistò savere. 10807 10808 Lo secol primo, quant’ oro fu bello, 10809 fé savorose con fame le ghiande, 10810 e nettare con sete ogne ruscello. 10811 10812 Mele e locuste furon le vivande 10813 che nodriro il Batista nel diserto; 10814 per ch’elli è glorïoso e tanto grande 10815 10816 quanto per lo Vangelio v’è aperto». 10817 10818 10819 10820 Purgatorio · Canto XXIII 10821 10822 10823 Mentre che li occhi per la fronda verde 10824 ficcava ïo sì come far suole 10825 chi dietro a li uccellin sua vita perde, 10826 10827 lo più che padre mi dicea: «Figliuole, 10828 vienne oramai, ché ’l tempo che n’è imposto 10829 più utilmente compartir si vuole». 10830 10831 Io volsi ’l viso, e ’l passo non men tosto, 10832 appresso i savi, che parlavan sìe, 10833 che l’andar mi facean di nullo costo. 10834 10835 Ed ecco piangere e cantar s’udìe 10836 ‘Labïa mëa, Domine’ per modo 10837 tal, che diletto e doglia parturìe. 10838 10839 «O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?», 10840 comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno 10841 forse di lor dover solvendo il nodo». 10842 10843 Sì come i peregrin pensosi fanno, 10844 giugnendo per cammin gente non nota, 10845 che si volgono ad essa e non restanno, 10846 10847 così di retro a noi, più tosto mota, 10848 venendo e trapassando ci ammirava 10849 d’anime turba tacita e devota. 10850 10851 Ne li occhi era ciascuna oscura e cava, 10852 palida ne la faccia, e tanto scema 10853 che da l’ossa la pelle s’informava. 10854 10855 Non credo che così a buccia strema 10856 Erisittone fosse fatto secco, 10857 per digiunar, quando più n’ebbe tema. 10858 10859 Io dicea fra me stesso pensando: ‘Ecco 10860 la gente che perdé Ierusalemme, 10861 quando Maria nel figlio diè di becco!’ 10862 10863 Parean l’occhiaie anella sanza gemme: 10864 chi nel viso de li uomini legge ‘omo’ 10865 ben avria quivi conosciuta l’emme. 10866 10867 Chi crederebbe che l’odor d’un pomo 10868 sì governasse, generando brama, 10869 e quel d’un’acqua, non sappiendo como? 10870 10871 Già era in ammirar che sì li affama, 10872 per la cagione ancor non manifesta 10873 di lor magrezza e di lor trista squama, 10874 10875 ed ecco del profondo de la testa 10876 volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso; 10877 poi gridò forte: «Qual grazia m’è questa?». 10878 10879 Mai non l’avrei riconosciuto al viso; 10880 ma ne la voce sua mi fu palese 10881 ciò che l’aspetto in sé avea conquiso. 10882 10883 Questa favilla tutta mi raccese 10884 mia conoscenza a la cangiata labbia, 10885 e ravvisai la faccia di Forese. 10886 10887 «Deh, non contendere a l’asciutta scabbia 10888 che mi scolora», pregava, «la pelle, 10889 né a difetto di carne ch’io abbia; 10890 10891 ma dimmi il ver di te, dì chi son quelle 10892 due anime che là ti fanno scorta; 10893 non rimaner che tu non mi favelle!». 10894 10895 «La faccia tua, ch’io lagrimai già morta, 10896 mi dà di pianger mo non minor doglia», 10897 rispuos’ io lui, «veggendola sì torta. 10898 10899 Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia; 10900 non mi far dir mentr’ io mi maraviglio, 10901 ché mal può dir chi è pien d’altra voglia». 10902 10903 Ed elli a me: «De l’etterno consiglio 10904 cade vertù ne l’acqua e ne la pianta 10905 rimasa dietro ond’ io sì m’assottiglio. 10906 10907 Tutta esta gente che piangendo canta 10908 per seguitar la gola oltra misura, 10909 in fame e ’n sete qui si rifà santa. 10910 10911 Di bere e di mangiar n’accende cura 10912 l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo 10913 che si distende su per sua verdura. 10914 10915 E non pur una volta, questo spazzo 10916 girando, si rinfresca nostra pena: 10917 io dico pena, e dovria dir sollazzo, 10918 10919 ché quella voglia a li alberi ci mena 10920 che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’, 10921 quando ne liberò con la sua vena». 10922 10923 E io a lui: «Forese, da quel dì 10924 nel qual mutasti mondo a miglior vita, 10925 cinqu’ anni non son vòlti infino a qui. 10926 10927 Se prima fu la possa in te finita 10928 di peccar più, che sovvenisse l’ora 10929 del buon dolor ch’a Dio ne rimarita, 10930 10931 come se’ tu qua sù venuto ancora? 10932 Io ti credea trovar là giù di sotto, 10933 dove tempo per tempo si ristora». 10934 10935 Ond’ elli a me: «Sì tosto m’ha condotto 10936 a ber lo dolce assenzo d’i martìri 10937 la Nella mia con suo pianger dirotto. 10938 10939 Con suoi prieghi devoti e con sospiri 10940 tratto m’ha de la costa ove s’aspetta, 10941 e liberato m’ha de li altri giri. 10942 10943 Tanto è a Dio più cara e più diletta 10944 la vedovella mia, che molto amai, 10945 quanto in bene operare è più soletta; 10946 10947 ché la Barbagia di Sardigna assai 10948 ne le femmine sue più è pudica 10949 che la Barbagia dov’ io la lasciai. 10950 10951 O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica? 10952 Tempo futuro m’è già nel cospetto, 10953 cui non sarà quest’ ora molto antica, 10954 10955 nel qual sarà in pergamo interdetto 10956 a le sfacciate donne fiorentine 10957 l’andar mostrando con le poppe il petto. 10958 10959 Quai barbare fuor mai, quai saracine, 10960 cui bisognasse, per farle ir coperte, 10961 o spiritali o altre discipline? 10962 10963 Ma se le svergognate fosser certe 10964 di quel che ’l ciel veloce loro ammanna, 10965 già per urlare avrian le bocche aperte; 10966 10967 ché, se l’antiveder qui non m’inganna, 10968 prima fien triste che le guance impeli 10969 colui che mo si consola con nanna. 10970 10971 Deh, frate, or fa che più non mi ti celi! 10972 vedi che non pur io, ma questa gente 10973 tutta rimira là dove ’l sol veli». 10974 10975 Per ch’io a lui: «Se tu riduci a mente 10976 qual fosti meco, e qual io teco fui, 10977 ancor fia grave il memorar presente. 10978 10979 Di quella vita mi volse costui 10980 che mi va innanzi, l’altr’ ier, quando tonda 10981 vi si mostrò la suora di colui», 10982 10983 e ’l sol mostrai; «costui per la profonda 10984 notte menato m’ha d’i veri morti 10985 con questa vera carne che ’l seconda. 10986 10987 Indi m’han tratto sù li suoi conforti, 10988 salendo e rigirando la montagna 10989 che drizza voi che ’l mondo fece torti. 10990 10991 Tanto dice di farmi sua compagna 10992 che io sarò là dove fia Beatrice; 10993 quivi convien che sanza lui rimagna. 10994 10995 Virgilio è questi che così mi dice», 10996 e addita’lo; «e quest’ altro è quell’ ombra 10997 per cuï scosse dianzi ogne pendice 10998 10999 lo vostro regno, che da sé lo sgombra». 11000 11001 11002 11003 Purgatorio · Canto XXIV 11004 11005 11006 Né ’l dir l’andar, né l’andar lui più lento 11007 facea, ma ragionando andavam forte, 11008 sì come nave pinta da buon vento; 11009 11010 e l’ombre, che parean cose rimorte, 11011 per le fosse de li occhi ammirazione 11012 traean di me, di mio vivere accorte. 11013 11014 E io, continüando al mio sermone, 11015 dissi: «Ella sen va sù forse più tarda 11016 che non farebbe, per altrui cagione. 11017 11018 Ma dimmi, se tu sai, dov’ è Piccarda; 11019 dimmi s’io veggio da notar persona 11020 tra questa gente che sì mi riguarda». 11021 11022 «La mia sorella, che tra bella e buona 11023 non so qual fosse più, trïunfa lieta 11024 ne l’alto Olimpo già di sua corona». 11025 11026 Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta 11027 di nominar ciascun, da ch’è sì munta 11028 nostra sembianza via per la dïeta. 11029 11030 Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta, 11031 Bonagiunta da Lucca; e quella faccia 11032 di là da lui più che l’altre trapunta 11033 11034 ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: 11035 dal Torso fu, e purga per digiuno 11036 l’anguille di Bolsena e la vernaccia». 11037 11038 Molti altri mi nomò ad uno ad uno; 11039 e del nomar parean tutti contenti, 11040 sì ch’io però non vidi un atto bruno. 11041 11042 Vidi per fame a vòto usar li denti 11043 Ubaldin da la Pila e Bonifazio 11044 che pasturò col rocco molte genti. 11045 11046 Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio 11047 già di bere a Forlì con men secchezza, 11048 e sì fu tal, che non si sentì sazio. 11049 11050 Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza 11051 più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca, 11052 che più parea di me aver contezza. 11053 11054 El mormorava; e non so che «Gentucca» 11055 sentiv’ io là, ov’ el sentia la piaga 11056 de la giustizia che sì li pilucca. 11057 11058 «O anima», diss’ io, «che par sì vaga 11059 di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda, 11060 e te e me col tuo parlare appaga». 11061 11062 «Femmina è nata, e non porta ancor benda», 11063 cominciò el, «che ti farà piacere 11064 la mia città, come ch’om la riprenda. 11065 11066 Tu te n’andrai con questo antivedere: 11067 se nel mio mormorar prendesti errore, 11068 dichiareranti ancor le cose vere. 11069 11070 Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore 11071 trasse le nove rime, cominciando 11072 ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’». 11073 11074 E io a lui: «I’ mi son un che, quando 11075 Amor mi spira, noto, e a quel modo 11076 ch’e’ ditta dentro vo significando». 11077 11078 «O frate, issa vegg’ io», diss’ elli, «il nodo 11079 che ’l Notaro e Guittone e me ritenne 11080 di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! 11081 11082 Io veggio ben come le vostre penne 11083 di retro al dittator sen vanno strette, 11084 che de le nostre certo non avvenne; 11085 11086 e qual più a gradire oltre si mette, 11087 non vede più da l’uno a l’altro stilo»; 11088 e, quasi contentato, si tacette. 11089 11090 Come li augei che vernan lungo ’l Nilo, 11091 alcuna volta in aere fanno schiera, 11092 poi volan più a fretta e vanno in filo, 11093 11094 così tutta la gente che lì era, 11095 volgendo ’l viso, raffrettò suo passo, 11096 e per magrezza e per voler leggera. 11097 11098 E come l’uom che di trottare è lasso, 11099 lascia andar li compagni, e sì passeggia 11100 fin che si sfoghi l’affollar del casso, 11101 11102 sì lasciò trapassar la santa greggia 11103 Forese, e dietro meco sen veniva, 11104 dicendo: «Quando fia ch’io ti riveggia?». 11105 11106 «Non so», rispuos’ io lui, «quant’ io mi viva; 11107 ma già non fïa il tornar mio tantosto, 11108 ch’io non sia col voler prima a la riva; 11109 11110 però che ’l loco u’ fui a viver posto, 11111 di giorno in giorno più di ben si spolpa, 11112 e a trista ruina par disposto». 11113 11114 «Or va», diss’ el; «che quei che più n’ha colpa, 11115 vegg’ ïo a coda d’una bestia tratto 11116 inver’ la valle ove mai non si scolpa. 11117 11118 La bestia ad ogne passo va più ratto, 11119 crescendo sempre, fin ch’ella il percuote, 11120 e lascia il corpo vilmente disfatto. 11121 11122 Non hanno molto a volger quelle ruote», 11123 e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro 11124 ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote. 11125 11126 Tu ti rimani omai; ché ’l tempo è caro 11127 in questo regno, sì ch’io perdo troppo 11128 venendo teco sì a paro a paro». 11129 11130 Qual esce alcuna volta di gualoppo 11131 lo cavalier di schiera che cavalchi, 11132 e va per farsi onor del primo intoppo, 11133 11134 tal si partì da noi con maggior valchi; 11135 e io rimasi in via con esso i due 11136 che fuor del mondo sì gran marescalchi. 11137 11138 E quando innanzi a noi intrato fue, 11139 che li occhi miei si fero a lui seguaci, 11140 come la mente a le parole sue, 11141 11142 parvermi i rami gravidi e vivaci 11143 d’un altro pomo, e non molto lontani 11144 per esser pur allora vòlto in laci. 11145 11146 Vidi gente sott’ esso alzar le mani 11147 e gridar non so che verso le fronde, 11148 quasi bramosi fantolini e vani 11149 11150 che pregano, e ’l pregato non risponde, 11151 ma, per fare esser ben la voglia acuta, 11152 tien alto lor disio e nol nasconde. 11153 11154 Poi si partì sì come ricreduta; 11155 e noi venimmo al grande arbore adesso, 11156 che tanti prieghi e lagrime rifiuta. 11157 11158 «Trapassate oltre sanza farvi presso: 11159 legno è più sù che fu morso da Eva, 11160 e questa pianta si levò da esso». 11161 11162 Sì tra le frasche non so chi diceva; 11163 per che Virgilio e Stazio e io, ristretti, 11164 oltre andavam dal lato che si leva. 11165 11166 «Ricordivi», dicea, «d’i maladetti 11167 nei nuvoli formati, che, satolli, 11168 Tesëo combatter co’ doppi petti; 11169 11170 e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli, 11171 per che no i volle Gedeon compagni, 11172 quando inver’ Madïan discese i colli». 11173 11174 Sì accostati a l’un d’i due vivagni 11175 passammo, udendo colpe de la gola 11176 seguite già da miseri guadagni. 11177 11178 Poi, rallargati per la strada sola, 11179 ben mille passi e più ci portar oltre, 11180 contemplando ciascun sanza parola. 11181 11182 «Che andate pensando sì voi sol tre?». 11183 sùbita voce disse; ond’ io mi scossi 11184 come fan bestie spaventate e poltre. 11185 11186 Drizzai la testa per veder chi fossi; 11187 e già mai non si videro in fornace 11188 vetri o metalli sì lucenti e rossi, 11189 11190 com’ io vidi un che dicea: «S’a voi piace 11191 montare in sù, qui si convien dar volta; 11192 quinci si va chi vuole andar per pace». 11193 11194 L’aspetto suo m’avea la vista tolta; 11195 per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori, 11196 com’ om che va secondo ch’elli ascolta. 11197 11198 E quale, annunziatrice de li albori, 11199 l’aura di maggio movesi e olezza, 11200 tutta impregnata da l’erba e da’ fiori; 11201 11202 tal mi senti’ un vento dar per mezza 11203 la fronte, e ben senti’ mover la piuma, 11204 che fé sentir d’ambrosïa l’orezza. 11205 11206 E senti’ dir: «Beati cui alluma 11207 tanto di grazia, che l’amor del gusto 11208 nel petto lor troppo disir non fuma, 11209 11210 esurïendo sempre quanto è giusto!». 11211 11212 11213 11214 Purgatorio · Canto XXV 11215 11216 11217 Ora era onde ’l salir non volea storpio; 11218 ché ’l sole avëa il cerchio di merigge 11219 lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio: 11220 11221 per che, come fa l’uom che non s’affigge 11222 ma vassi a la via sua, che che li appaia, 11223 se di bisogno stimolo il trafigge, 11224 11225 così intrammo noi per la callaia, 11226 uno innanzi altro prendendo la scala 11227 che per artezza i salitor dispaia. 11228 11229 E quale il cicognin che leva l’ala 11230 per voglia di volare, e non s’attenta 11231 d’abbandonar lo nido, e giù la cala; 11232 11233 tal era io con voglia accesa e spenta 11234 di dimandar, venendo infino a l’atto 11235 che fa colui ch’a dicer s’argomenta. 11236 11237 Non lasciò, per l’andar che fosse ratto, 11238 lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca 11239 l’arco del dir, che ’nfino al ferro hai tratto». 11240 11241 Allor sicuramente apri’ la bocca 11242 e cominciai: «Come si può far magro 11243 là dove l’uopo di nodrir non tocca?». 11244 11245 «Se t’ammentassi come Meleagro 11246 si consumò al consumar d’un stizzo, 11247 non fora», disse, «a te questo sì agro; 11248 11249 e se pensassi come, al vostro guizzo, 11250 guizza dentro a lo specchio vostra image, 11251 ciò che par duro ti parrebbe vizzo. 11252 11253 Ma perché dentro a tuo voler t’adage, 11254 ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego 11255 che sia or sanator de le tue piage». 11256 11257 «Se la veduta etterna li dislego», 11258 rispuose Stazio, «là dove tu sie, 11259 discolpi me non potert’ io far nego». 11260 11261 Poi cominciò: «Se le parole mie, 11262 figlio, la mente tua guarda e riceve, 11263 lume ti fiero al come che tu die. 11264 11265 Sangue perfetto, che poi non si beve 11266 da l’assetate vene, e si rimane 11267 quasi alimento che di mensa leve, 11268 11269 prende nel core a tutte membra umane 11270 virtute informativa, come quello 11271 ch’a farsi quelle per le vene vane. 11272 11273 Ancor digesto, scende ov’ è più bello 11274 tacer che dire; e quindi poscia geme 11275 sovr’ altrui sangue in natural vasello. 11276 11277 Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme, 11278 l’un disposto a patire, e l’altro a fare 11279 per lo perfetto loco onde si preme; 11280 11281 e, giunto lui, comincia ad operare 11282 coagulando prima, e poi avviva 11283 ciò che per sua matera fé constare. 11284 11285 Anima fatta la virtute attiva 11286 qual d’una pianta, in tanto differente, 11287 che questa è in via e quella è già a riva, 11288 11289 tanto ovra poi, che già si move e sente, 11290 come spungo marino; e indi imprende 11291 ad organar le posse ond’ è semente. 11292 11293 Or si spiega, figliuolo, or si distende 11294 la virtù ch’è dal cor del generante, 11295 dove natura a tutte membra intende. 11296 11297 Ma come d’animal divegna fante, 11298 non vedi tu ancor: quest’ è tal punto, 11299 che più savio di te fé già errante, 11300 11301 sì che per sua dottrina fé disgiunto 11302 da l’anima il possibile intelletto, 11303 perché da lui non vide organo assunto. 11304 11305 Apri a la verità che viene il petto; 11306 e sappi che, sì tosto come al feto 11307 l’articular del cerebro è perfetto, 11308 11309 lo motor primo a lui si volge lieto 11310 sovra tant’ arte di natura, e spira 11311 spirito novo, di vertù repleto, 11312 11313 che ciò che trova attivo quivi, tira 11314 in sua sustanzia, e fassi un’alma sola, 11315 che vive e sente e sé in sé rigira. 11316 11317 E perché meno ammiri la parola, 11318 guarda il calor del sole che si fa vino, 11319 giunto a l’omor che de la vite cola. 11320 11321 Quando Làchesis non ha più del lino, 11322 solvesi da la carne, e in virtute 11323 ne porta seco e l’umano e ’l divino: 11324 11325 l’altre potenze tutte quante mute; 11326 memoria, intelligenza e volontade 11327 in atto molto più che prima agute. 11328 11329 Sanza restarsi, per sé stessa cade 11330 mirabilmente a l’una de le rive; 11331 quivi conosce prima le sue strade. 11332 11333 Tosto che loco lì la circunscrive, 11334 la virtù formativa raggia intorno 11335 così e quanto ne le membra vive. 11336 11337 E come l’aere, quand’ è ben pïorno, 11338 per l’altrui raggio che ’n sé si reflette, 11339 di diversi color diventa addorno; 11340 11341 così l’aere vicin quivi si mette 11342 e in quella forma ch’è in lui suggella 11343 virtüalmente l’alma che ristette; 11344 11345 e simigliante poi a la fiammella 11346 che segue il foco là ’vunque si muta, 11347 segue lo spirto sua forma novella. 11348 11349 Però che quindi ha poscia sua paruta, 11350 è chiamata ombra; e quindi organa poi 11351 ciascun sentire infino a la veduta. 11352 11353 Quindi parliamo e quindi ridiam noi; 11354 quindi facciam le lagrime e ’ sospiri 11355 che per lo monte aver sentiti puoi. 11356 11357 Secondo che ci affliggono i disiri 11358 e li altri affetti, l’ombra si figura; 11359 e quest’ è la cagion di che tu miri». 11360 11361 E già venuto a l’ultima tortura 11362 s’era per noi, e vòlto a la man destra, 11363 ed eravamo attenti ad altra cura. 11364 11365 Quivi la ripa fiamma in fuor balestra, 11366 e la cornice spira fiato in suso 11367 che la reflette e via da lei sequestra; 11368 11369 ond’ ir ne convenia dal lato schiuso 11370 ad uno ad uno; e io temëa ’l foco 11371 quinci, e quindi temeva cader giuso. 11372 11373 Lo duca mio dicea: «Per questo loco 11374 si vuol tenere a li occhi stretto il freno, 11375 però ch’errar potrebbesi per poco». 11376 11377 ‘Summae Deus clementïae’ nel seno 11378 al grande ardore allora udi’ cantando, 11379 che di volger mi fé caler non meno; 11380 11381 e vidi spirti per la fiamma andando; 11382 per ch’io guardava a loro e a’ miei passi 11383 compartendo la vista a quando a quando. 11384 11385 Appresso il fine ch’a quell’ inno fassi, 11386 gridavano alto: ‘Virum non cognosco’; 11387 indi ricominciavan l’inno bassi. 11388 11389 Finitolo, anco gridavano: «Al bosco 11390 si tenne Diana, ed Elice caccionne 11391 che di Venere avea sentito il tòsco». 11392 11393 Indi al cantar tornavano; indi donne 11394 gridavano e mariti che fuor casti 11395 come virtute e matrimonio imponne. 11396 11397 E questo modo credo che lor basti 11398 per tutto il tempo che ’l foco li abbruscia: 11399 con tal cura conviene e con tai pasti 11400 11401 che la piaga da sezzo si ricuscia. 11402 11403 11404 11405 Purgatorio · Canto XXVI 11406 11407 11408 Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro, 11409 ce n’andavamo, e spesso il buon maestro 11410 diceami: «Guarda: giovi ch’io ti scaltro»; 11411 11412 feriami il sole in su l’omero destro, 11413 che già, raggiando, tutto l’occidente 11414 mutava in bianco aspetto di cilestro; 11415 11416 e io facea con l’ombra più rovente 11417 parer la fiamma; e pur a tanto indizio 11418 vidi molt’ ombre, andando, poner mente. 11419 11420 Questa fu la cagion che diede inizio 11421 loro a parlar di me; e cominciarsi 11422 a dir: «Colui non par corpo fittizio»; 11423 11424 poi verso me, quanto potëan farsi, 11425 certi si fero, sempre con riguardo 11426 di non uscir dove non fosser arsi. 11427 11428 «O tu che vai, non per esser più tardo, 11429 ma forse reverente, a li altri dopo, 11430 rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo. 11431 11432 Né solo a me la tua risposta è uopo; 11433 ché tutti questi n’hanno maggior sete 11434 che d’acqua fredda Indo o Etïopo. 11435 11436 Dinne com’ è che fai di te parete 11437 al sol, pur come tu non fossi ancora 11438 di morte intrato dentro da la rete». 11439 11440 Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora 11441 già manifesto, s’io non fossi atteso 11442 ad altra novità ch’apparve allora; 11443 11444 ché per lo mezzo del cammino acceso 11445 venne gente col viso incontro a questa, 11446 la qual mi fece a rimirar sospeso. 11447 11448 Lì veggio d’ogne parte farsi presta 11449 ciascun’ ombra e basciarsi una con una 11450 sanza restar, contente a brieve festa; 11451 11452 così per entro loro schiera bruna 11453 s’ammusa l’una con l’altra formica, 11454 forse a spïar lor via e lor fortuna. 11455 11456 Tosto che parton l’accoglienza amica, 11457 prima che ’l primo passo lì trascorra, 11458 sopragridar ciascuna s’affatica: 11459 11460 la nova gente: «Soddoma e Gomorra»; 11461 e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife, 11462 perché ’l torello a sua lussuria corra». 11463 11464 Poi, come grue ch’a le montagne Rife 11465 volasser parte, e parte inver’ l’arene, 11466 queste del gel, quelle del sole schife, 11467 11468 l’una gente sen va, l’altra sen vene; 11469 e tornan, lagrimando, a’ primi canti 11470 e al gridar che più lor si convene; 11471 11472 e raccostansi a me, come davanti, 11473 essi medesmi che m’avean pregato, 11474 attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti. 11475 11476 Io, che due volte avea visto lor grato, 11477 incominciai: «O anime sicure 11478 d’aver, quando che sia, di pace stato, 11479 11480 non son rimase acerbe né mature 11481 le membra mie di là, ma son qui meco 11482 col sangue suo e con le sue giunture. 11483 11484 Quinci sù vo per non esser più cieco; 11485 donna è di sopra che m’acquista grazia, 11486 per che ’l mortal per vostro mondo reco. 11487 11488 Ma se la vostra maggior voglia sazia 11489 tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi 11490 ch’è pien d’amore e più ampio si spazia, 11491 11492 ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi, 11493 chi siete voi, e chi è quella turba 11494 che se ne va di retro a’ vostri terghi». 11495 11496 Non altrimenti stupido si turba 11497 lo montanaro, e rimirando ammuta, 11498 quando rozzo e salvatico s’inurba, 11499 11500 che ciascun’ ombra fece in sua paruta; 11501 ma poi che furon di stupore scarche, 11502 lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta, 11503 11504 «Beato te, che de le nostre marche», 11505 ricominciò colei che pria m’inchiese, 11506 «per morir meglio, esperïenza imbarche! 11507 11508 La gente che non vien con noi, offese 11509 di ciò per che già Cesar, trïunfando, 11510 “Regina” contra sé chiamar s’intese: 11511 11512 però si parton “Soddoma” gridando, 11513 rimproverando a sé com’ hai udito, 11514 e aiutan l’arsura vergognando. 11515 11516 Nostro peccato fu ermafrodito; 11517 ma perché non servammo umana legge, 11518 seguendo come bestie l’appetito, 11519 11520 in obbrobrio di noi, per noi si legge, 11521 quando partinci, il nome di colei 11522 che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge. 11523 11524 Or sai nostri atti e di che fummo rei: 11525 se forse a nome vuo’ saper chi semo, 11526 tempo non è di dire, e non saprei. 11527 11528 Farotti ben di me volere scemo: 11529 son Guido Guinizzelli, e già mi purgo 11530 per ben dolermi prima ch’a lo stremo». 11531 11532 Quali ne la tristizia di Ligurgo 11533 si fer due figli a riveder la madre, 11534 tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo, 11535 11536 quand’ io odo nomar sé stesso il padre 11537 mio e de li altri miei miglior che mai 11538 rime d’amore usar dolci e leggiadre; 11539 11540 e sanza udire e dir pensoso andai 11541 lunga fïata rimirando lui, 11542 né, per lo foco, in là più m’appressai. 11543 11544 Poi che di riguardar pasciuto fui, 11545 tutto m’offersi pronto al suo servigio 11546 con l’affermar che fa credere altrui. 11547 11548 Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio, 11549 per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro, 11550 che Letè nol può tòrre né far bigio. 11551 11552 Ma se le tue parole or ver giuraro, 11553 dimmi che è cagion per che dimostri 11554 nel dire e nel guardar d’avermi caro». 11555 11556 E io a lui: «Li dolci detti vostri, 11557 che, quanto durerà l’uso moderno, 11558 faranno cari ancora i loro incostri». 11559 11560 «O frate», disse, «questi ch’io ti cerno 11561 col dito», e additò un spirto innanzi, 11562 «fu miglior fabbro del parlar materno. 11563 11564 Versi d’amore e prose di romanzi 11565 soverchiò tutti; e lascia dir li stolti 11566 che quel di Lemosì credon ch’avanzi. 11567 11568 A voce più ch’al ver drizzan li volti, 11569 e così ferman sua oppinïone 11570 prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti. 11571 11572 Così fer molti antichi di Guittone, 11573 di grido in grido pur lui dando pregio, 11574 fin che l’ha vinto il ver con più persone. 11575 11576 Or se tu hai sì ampio privilegio, 11577 che licito ti sia l’andare al chiostro 11578 nel quale è Cristo abate del collegio, 11579 11580 falli per me un dir d’un paternostro, 11581 quanto bisogna a noi di questo mondo, 11582 dove poter peccar non è più nostro». 11583 11584 Poi, forse per dar luogo altrui secondo 11585 che presso avea, disparve per lo foco, 11586 come per l’acqua il pesce andando al fondo. 11587 11588 Io mi fei al mostrato innanzi un poco, 11589 e dissi ch’al suo nome il mio disire 11590 apparecchiava grazïoso loco. 11591 11592 El cominciò liberamente a dire: 11593 «Tan m’abellis vostre cortes deman, 11594 qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire. 11595 11596 Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan; 11597 consiros vei la passada folor, 11598 e vei jausen lo joi qu’esper, denan. 11599 11600 Ara vos prec, per aquella valor 11601 que vos guida al som de l’escalina, 11602 sovenha vos a temps de ma dolor!». 11603 11604 Poi s’ascose nel foco che li affina. 11605 11606 11607 11608 Purgatorio · Canto XXVII 11609 11610 11611 Sì come quando i primi raggi vibra 11612 là dove il suo fattor lo sangue sparse, 11613 cadendo Ibero sotto l’alta Libra, 11614 11615 e l’onde in Gange da nona rïarse, 11616 sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva, 11617 come l’angel di Dio lieto ci apparse. 11618 11619 Fuor de la fiamma stava in su la riva, 11620 e cantava ‘Beati mundo corde!’ 11621 in voce assai più che la nostra viva. 11622 11623 Poscia «Più non si va, se pria non morde, 11624 anime sante, il foco: intrate in esso, 11625 e al cantar di là non siate sorde», 11626 11627 ci disse come noi li fummo presso; 11628 per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi, 11629 qual è colui che ne la fossa è messo. 11630 11631 In su le man commesse mi protesi, 11632 guardando il foco e imaginando forte 11633 umani corpi già veduti accesi. 11634 11635 Volsersi verso me le buone scorte; 11636 e Virgilio mi disse: «Figliuol mio, 11637 qui può esser tormento, ma non morte. 11638 11639 Ricorditi, ricorditi! E se io 11640 sovresso Gerïon ti guidai salvo, 11641 che farò ora presso più a Dio? 11642 11643 Credi per certo che se dentro a l’alvo 11644 di questa fiamma stessi ben mille anni, 11645 non ti potrebbe far d’un capel calvo. 11646 11647 E se tu forse credi ch’io t’inganni, 11648 fatti ver’ lei, e fatti far credenza 11649 con le tue mani al lembo d’i tuoi panni. 11650 11651 Pon giù omai, pon giù ogne temenza; 11652 volgiti in qua e vieni: entra sicuro!». 11653 E io pur fermo e contra coscïenza. 11654 11655 Quando mi vide star pur fermo e duro, 11656 turbato un poco disse: «Or vedi, figlio: 11657 tra Bëatrice e te è questo muro». 11658 11659 Come al nome di Tisbe aperse il ciglio 11660 Piramo in su la morte, e riguardolla, 11661 allor che ’l gelso diventò vermiglio; 11662 11663 così, la mia durezza fatta solla, 11664 mi volsi al savio duca, udendo il nome 11665 che ne la mente sempre mi rampolla. 11666 11667 Ond’ ei crollò la fronte e disse: «Come! 11668 volenci star di qua?»; indi sorrise 11669 come al fanciul si fa ch’è vinto al pome. 11670 11671 Poi dentro al foco innanzi mi si mise, 11672 pregando Stazio che venisse retro, 11673 che pria per lunga strada ci divise. 11674 11675 Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro 11676 gittato mi sarei per rinfrescarmi, 11677 tant’ era ivi lo ’ncendio sanza metro. 11678 11679 Lo dolce padre mio, per confortarmi, 11680 pur di Beatrice ragionando andava, 11681 dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi». 11682 11683 Guidavaci una voce che cantava 11684 di là; e noi, attenti pur a lei, 11685 venimmo fuor là ove si montava. 11686 11687 ‘Venite, benedicti Patris mei’, 11688 sonò dentro a un lume che lì era, 11689 tal che mi vinse e guardar nol potei. 11690 11691 «Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera; 11692 non v’arrestate, ma studiate il passo, 11693 mentre che l’occidente non si annera». 11694 11695 Dritta salia la via per entro ’l sasso 11696 verso tal parte ch’io toglieva i raggi 11697 dinanzi a me del sol ch’era già basso. 11698 11699 E di pochi scaglion levammo i saggi, 11700 che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense, 11701 sentimmo dietro e io e li miei saggi. 11702 11703 E pria che ’n tutte le sue parti immense 11704 fosse orizzonte fatto d’uno aspetto, 11705 e notte avesse tutte sue dispense, 11706 11707 ciascun di noi d’un grado fece letto; 11708 ché la natura del monte ci affranse 11709 la possa del salir più e ’l diletto. 11710 11711 Quali si stanno ruminando manse 11712 le capre, state rapide e proterve 11713 sovra le cime avante che sien pranse, 11714 11715 tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve, 11716 guardate dal pastor, che ’n su la verga 11717 poggiato s’è e lor di posa serve; 11718 11719 e quale il mandrïan che fori alberga, 11720 lungo il pecuglio suo queto pernotta, 11721 guardando perché fiera non lo sperga; 11722 11723 tali eravamo tutti e tre allotta, 11724 io come capra, ed ei come pastori, 11725 fasciati quinci e quindi d’alta grotta. 11726 11727 Poco parer potea lì del di fori; 11728 ma, per quel poco, vedea io le stelle 11729 di lor solere e più chiare e maggiori. 11730 11731 Sì ruminando e sì mirando in quelle, 11732 mi prese il sonno; il sonno che sovente, 11733 anzi che ’l fatto sia, sa le novelle. 11734 11735 Ne l’ora, credo, che de l’orïente 11736 prima raggiò nel monte Citerea, 11737 che di foco d’amor par sempre ardente, 11738 11739 giovane e bella in sogno mi parea 11740 donna vedere andar per una landa 11741 cogliendo fiori; e cantando dicea: 11742 11743 «Sappia qualunque il mio nome dimanda 11744 ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno 11745 le belle mani a farmi una ghirlanda. 11746 11747 Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno; 11748 ma mia suora Rachel mai non si smaga 11749 dal suo miraglio, e siede tutto giorno. 11750 11751 Ell’ è d’i suoi belli occhi veder vaga 11752 com’ io de l’addornarmi con le mani; 11753 lei lo vedere, e me l’ovrare appaga». 11754 11755 E già per li splendori antelucani, 11756 che tanto a’ pellegrin surgon più grati, 11757 quanto, tornando, albergan men lontani, 11758 11759 le tenebre fuggian da tutti lati, 11760 e ’l sonno mio con esse; ond’ io leva’mi, 11761 veggendo i gran maestri già levati. 11762 11763 «Quel dolce pome che per tanti rami 11764 cercando va la cura de’ mortali, 11765 oggi porrà in pace le tue fami». 11766 11767 Virgilio inverso me queste cotali 11768 parole usò; e mai non furo strenne 11769 che fosser di piacere a queste iguali. 11770 11771 Tanto voler sopra voler mi venne 11772 de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi 11773 al volo mi sentia crescer le penne. 11774 11775 Come la scala tutta sotto noi 11776 fu corsa e fummo in su ’l grado superno, 11777 in me ficcò Virgilio li occhi suoi, 11778 11779 e disse: «Il temporal foco e l’etterno 11780 veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte 11781 dov’ io per me più oltre non discerno. 11782 11783 Tratto t’ho qui con ingegno e con arte; 11784 lo tuo piacere omai prendi per duce; 11785 fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte. 11786 11787 Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce; 11788 vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli 11789 che qui la terra sol da sé produce. 11790 11791 Mentre che vegnan lieti li occhi belli 11792 che, lagrimando, a te venir mi fenno, 11793 seder ti puoi e puoi andar tra elli. 11794 11795 Non aspettar mio dir più né mio cenno; 11796 libero, dritto e sano è tuo arbitrio, 11797 e fallo fora non fare a suo senno: 11798 11799 per ch’io te sovra te corono e mitrio». 11800 11801 11802 11803 Purgatorio · Canto XXVIII 11804 11805 11806 Vago già di cercar dentro e dintorno 11807 la divina foresta spessa e viva, 11808 ch’a li occhi temperava il novo giorno, 11809 11810 sanza più aspettar, lasciai la riva, 11811 prendendo la campagna lento lento 11812 su per lo suol che d’ogne parte auliva. 11813 11814 Un’aura dolce, sanza mutamento 11815 avere in sé, mi feria per la fronte 11816 non di più colpo che soave vento; 11817 11818 per cui le fronde, tremolando, pronte 11819 tutte quante piegavano a la parte 11820 u’ la prim’ ombra gitta il santo monte; 11821 11822 non però dal loro esser dritto sparte 11823 tanto, che li augelletti per le cime 11824 lasciasser d’operare ogne lor arte; 11825 11826 ma con piena letizia l’ore prime, 11827 cantando, ricevieno intra le foglie, 11828 che tenevan bordone a le sue rime, 11829 11830 tal qual di ramo in ramo si raccoglie 11831 per la pineta in su ’l lito di Chiassi, 11832 quand’ Ëolo scilocco fuor discioglie. 11833 11834 Già m’avean trasportato i lenti passi 11835 dentro a la selva antica tanto, ch’io 11836 non potea rivedere ond’ io mi ’ntrassi; 11837 11838 ed ecco più andar mi tolse un rio, 11839 che ’nver’ sinistra con sue picciole onde 11840 piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo. 11841 11842 Tutte l’acque che son di qua più monde, 11843 parrieno avere in sé mistura alcuna 11844 verso di quella, che nulla nasconde, 11845 11846 avvegna che si mova bruna bruna 11847 sotto l’ombra perpetüa, che mai 11848 raggiar non lascia sole ivi né luna. 11849 11850 Coi piè ristetti e con li occhi passai 11851 di là dal fiumicello, per mirare 11852 la gran varïazion d’i freschi mai; 11853 11854 e là m’apparve, sì com’ elli appare 11855 subitamente cosa che disvia 11856 per maraviglia tutto altro pensare, 11857 11858 una donna soletta che si gia 11859 e cantando e scegliendo fior da fiore 11860 ond’ era pinta tutta la sua via. 11861 11862 «Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore 11863 ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti 11864 che soglion esser testimon del core, 11865 11866 vegnati in voglia di trarreti avanti», 11867 diss’ io a lei, «verso questa rivera, 11868 tanto ch’io possa intender che tu canti. 11869 11870 Tu mi fai rimembrar dove e qual era 11871 Proserpina nel tempo che perdette 11872 la madre lei, ed ella primavera». 11873 11874 Come si volge, con le piante strette 11875 a terra e intra sé, donna che balli, 11876 e piede innanzi piede a pena mette, 11877 11878 volsesi in su i vermigli e in su i gialli 11879 fioretti verso me, non altrimenti 11880 che vergine che li occhi onesti avvalli; 11881 11882 e fece i prieghi miei esser contenti, 11883 sì appressando sé, che ’l dolce suono 11884 veniva a me co’ suoi intendimenti. 11885 11886 Tosto che fu là dove l’erbe sono 11887 bagnate già da l’onde del bel fiume, 11888 di levar li occhi suoi mi fece dono. 11889 11890 Non credo che splendesse tanto lume 11891 sotto le ciglia a Venere, trafitta 11892 dal figlio fuor di tutto suo costume. 11893 11894 Ella ridea da l’altra riva dritta, 11895 trattando più color con le sue mani, 11896 che l’alta terra sanza seme gitta. 11897 11898 Tre passi ci facea il fiume lontani; 11899 ma Elesponto, là ’ve passò Serse, 11900 ancora freno a tutti orgogli umani, 11901 11902 più odio da Leandro non sofferse 11903 per mareggiare intra Sesto e Abido, 11904 che quel da me perch’ allor non s’aperse. 11905 11906 «Voi siete nuovi, e forse perch’ io rido», 11907 cominciò ella, «in questo luogo eletto 11908 a l’umana natura per suo nido, 11909 11910 maravigliando tienvi alcun sospetto; 11911 ma luce rende il salmo Delectasti, 11912 che puote disnebbiar vostro intelletto. 11913 11914 E tu che se’ dinanzi e mi pregasti, 11915 dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta 11916 ad ogne tua question tanto che basti». 11917 11918 «L’acqua», diss’ io, «e ’l suon de la foresta 11919 impugnan dentro a me novella fede 11920 di cosa ch’io udi’ contraria a questa». 11921 11922 Ond’ ella: «Io dicerò come procede 11923 per sua cagion ciò ch’ammirar ti face, 11924 e purgherò la nebbia che ti fiede. 11925 11926 Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace, 11927 fé l’uom buono e a bene, e questo loco 11928 diede per arr’ a lui d’etterna pace. 11929 11930 Per sua difalta qui dimorò poco; 11931 per sua difalta in pianto e in affanno 11932 cambiò onesto riso e dolce gioco. 11933 11934 Perché ’l turbar che sotto da sé fanno 11935 l’essalazion de l’acqua e de la terra, 11936 che quanto posson dietro al calor vanno, 11937 11938 a l’uomo non facesse alcuna guerra, 11939 questo monte salìo verso ’l ciel tanto, 11940 e libero n’è d’indi ove si serra. 11941 11942 Or perché in circuito tutto quanto 11943 l’aere si volge con la prima volta, 11944 se non li è rotto il cerchio d’alcun canto, 11945 11946 in questa altezza ch’è tutta disciolta 11947 ne l’aere vivo, tal moto percuote, 11948 e fa sonar la selva perch’ è folta; 11949 11950 e la percossa pianta tanto puote, 11951 che de la sua virtute l’aura impregna 11952 e quella poi, girando, intorno scuote; 11953 11954 e l’altra terra, secondo ch’è degna 11955 per sé e per suo ciel, concepe e figlia 11956 di diverse virtù diverse legna. 11957 11958 Non parrebbe di là poi maraviglia, 11959 udito questo, quando alcuna pianta 11960 sanza seme palese vi s’appiglia. 11961 11962 E saper dei che la campagna santa 11963 dove tu se’, d’ogne semenza è piena, 11964 e frutto ha in sé che di là non si schianta. 11965 11966 L’acqua che vedi non surge di vena 11967 che ristori vapor che gel converta, 11968 come fiume ch’acquista e perde lena; 11969 11970 ma esce di fontana salda e certa, 11971 che tanto dal voler di Dio riprende, 11972 quant’ ella versa da due parti aperta. 11973 11974 Da questa parte con virtù discende 11975 che toglie altrui memoria del peccato; 11976 da l’altra d’ogne ben fatto la rende. 11977 11978 Quinci Letè; così da l’altro lato 11979 Eünoè si chiama, e non adopra 11980 se quinci e quindi pria non è gustato: 11981 11982 a tutti altri sapori esto è di sopra. 11983 E avvegna ch’assai possa esser sazia 11984 la sete tua perch’ io più non ti scuopra, 11985 11986 darotti un corollario ancor per grazia; 11987 né credo che ’l mio dir ti sia men caro, 11988 se oltre promession teco si spazia. 11989 11990 Quelli ch’anticamente poetaro 11991 l’età de l’oro e suo stato felice, 11992 forse in Parnaso esto loco sognaro. 11993 11994 Qui fu innocente l’umana radice; 11995 qui primavera sempre e ogne frutto; 11996 nettare è questo di che ciascun dice». 11997 11998 Io mi rivolsi ’n dietro allora tutto 11999 a’ miei poeti, e vidi che con riso 12000 udito avëan l’ultimo costrutto; 12001 12002 poi a la bella donna torna’ il viso. 12003 12004 12005 12006 Purgatorio · Canto XXIX 12007 12008 12009 Cantando come donna innamorata, 12010 continüò col fin di sue parole: 12011 ‘Beati quorum tecta sunt peccata!’. 12012 12013 E come ninfe che si givan sole 12014 per le salvatiche ombre, disïando 12015 qual di veder, qual di fuggir lo sole, 12016 12017 allor si mosse contra ’l fiume, andando 12018 su per la riva; e io pari di lei, 12019 picciol passo con picciol seguitando. 12020 12021 Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei, 12022 quando le ripe igualmente dier volta, 12023 per modo ch’a levante mi rendei. 12024 12025 Né ancor fu così nostra via molta, 12026 quando la donna tutta a me si torse, 12027 dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta». 12028 12029 Ed ecco un lustro sùbito trascorse 12030 da tutte parti per la gran foresta, 12031 tal che di balenar mi mise in forse. 12032 12033 Ma perché ’l balenar, come vien, resta, 12034 e quel, durando, più e più splendeva, 12035 nel mio pensier dicea: ‘Che cosa è questa?’. 12036 12037 E una melodia dolce correva 12038 per l’aere luminoso; onde buon zelo 12039 mi fé riprender l’ardimento d’Eva, 12040 12041 che là dove ubidia la terra e ’l cielo, 12042 femmina, sola e pur testé formata, 12043 non sofferse di star sotto alcun velo; 12044 12045 sotto ’l qual se divota fosse stata, 12046 avrei quelle ineffabili delizie 12047 sentite prima e più lunga fïata. 12048 12049 Mentr’ io m’andava tra tante primizie 12050 de l’etterno piacer tutto sospeso, 12051 e disïoso ancora a più letizie, 12052 12053 dinanzi a noi, tal quale un foco acceso, 12054 ci si fé l’aere sotto i verdi rami; 12055 e ’l dolce suon per canti era già inteso. 12056 12057 O sacrosante Vergini, se fami, 12058 freddi o vigilie mai per voi soffersi, 12059 cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami. 12060 12061 Or convien che Elicona per me versi, 12062 e Uranìe m’aiuti col suo coro 12063 forti cose a pensar mettere in versi. 12064 12065 Poco più oltre, sette alberi d’oro 12066 falsava nel parere il lungo tratto 12067 del mezzo ch’era ancor tra noi e loro; 12068 12069 ma quand’ i’ fui sì presso di lor fatto, 12070 che l’obietto comun, che ’l senso inganna, 12071 non perdea per distanza alcun suo atto, 12072 12073 la virtù ch’a ragion discorso ammanna, 12074 sì com’ elli eran candelabri apprese, 12075 e ne le voci del cantare ‘Osanna’. 12076 12077 Di sopra fiammeggiava il bello arnese 12078 più chiaro assai che luna per sereno 12079 di mezza notte nel suo mezzo mese. 12080 12081 Io mi rivolsi d’ammirazion pieno 12082 al buon Virgilio, ed esso mi rispuose 12083 con vista carca di stupor non meno. 12084 12085 Indi rendei l’aspetto a l’alte cose 12086 che si movieno incontr’ a noi sì tardi, 12087 che foran vinte da novelle spose. 12088 12089 La donna mi sgridò: «Perché pur ardi 12090 sì ne l’affetto de le vive luci, 12091 e ciò che vien di retro a lor non guardi?». 12092 12093 Genti vid’ io allor, come a lor duci, 12094 venire appresso, vestite di bianco; 12095 e tal candor di qua già mai non fuci. 12096 12097 L’acqua imprendëa dal sinistro fianco, 12098 e rendea me la mia sinistra costa, 12099 s’io riguardava in lei, come specchio anco. 12100 12101 Quand’ io da la mia riva ebbi tal posta, 12102 che solo il fiume mi facea distante, 12103 per veder meglio ai passi diedi sosta, 12104 12105 e vidi le fiammelle andar davante, 12106 lasciando dietro a sé l’aere dipinto, 12107 e di tratti pennelli avean sembiante; 12108 12109 sì che lì sopra rimanea distinto 12110 di sette liste, tutte in quei colori 12111 onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto. 12112 12113 Questi ostendali in dietro eran maggiori 12114 che la mia vista; e, quanto a mio avviso, 12115 diece passi distavan quei di fori. 12116 12117 Sotto così bel ciel com’ io diviso, 12118 ventiquattro seniori, a due a due, 12119 coronati venien di fiordaliso. 12120 12121 Tutti cantavan: «Benedicta tue 12122 ne le figlie d’Adamo, e benedette 12123 sieno in etterno le bellezze tue!». 12124 12125 Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette 12126 a rimpetto di me da l’altra sponda 12127 libere fuor da quelle genti elette, 12128 12129 sì come luce luce in ciel seconda, 12130 vennero appresso lor quattro animali, 12131 coronati ciascun di verde fronda. 12132 12133 Ognuno era pennuto di sei ali; 12134 le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo, 12135 se fosser vivi, sarebber cotali. 12136 12137 A descriver lor forme più non spargo 12138 rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne, 12139 tanto ch’a questa non posso esser largo; 12140 12141 ma leggi Ezechïel, che li dipigne 12142 come li vide da la fredda parte 12143 venir con vento e con nube e con igne; 12144 12145 e quali i troverai ne le sue carte, 12146 tali eran quivi, salvo ch’a le penne 12147 Giovanni è meco e da lui si diparte. 12148 12149 Lo spazio dentro a lor quattro contenne 12150 un carro, in su due rote, trïunfale, 12151 ch’al collo d’un grifon tirato venne. 12152 12153 Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale 12154 tra la mezzana e le tre e tre liste, 12155 sì ch’a nulla, fendendo, facea male. 12156 12157 Tanto salivan che non eran viste; 12158 le membra d’oro avea quant’ era uccello, 12159 e bianche l’altre, di vermiglio miste. 12160 12161 Non che Roma di carro così bello 12162 rallegrasse Affricano, o vero Augusto, 12163 ma quel del Sol saria pover con ello; 12164 12165 quel del Sol che, svïando, fu combusto 12166 per l’orazion de la Terra devota, 12167 quando fu Giove arcanamente giusto. 12168 12169 Tre donne in giro da la destra rota 12170 venian danzando; l’una tanto rossa 12171 ch’a pena fora dentro al foco nota; 12172 12173 l’altr’ era come se le carni e l’ossa 12174 fossero state di smeraldo fatte; 12175 la terza parea neve testé mossa; 12176 12177 e or parëan da la bianca tratte, 12178 or da la rossa; e dal canto di questa 12179 l’altre toglien l’andare e tarde e ratte. 12180 12181 Da la sinistra quattro facean festa, 12182 in porpore vestite, dietro al modo 12183 d’una di lor ch’avea tre occhi in testa. 12184 12185 Appresso tutto il pertrattato nodo 12186 vidi due vecchi in abito dispari, 12187 ma pari in atto e onesto e sodo. 12188 12189 L’un si mostrava alcun de’ famigliari 12190 di quel sommo Ipocràte che natura 12191 a li animali fé ch’ell’ ha più cari; 12192 12193 mostrava l’altro la contraria cura 12194 con una spada lucida e aguta, 12195 tal che di qua dal rio mi fé paura. 12196 12197 Poi vidi quattro in umile paruta; 12198 e di retro da tutti un vecchio solo 12199 venir, dormendo, con la faccia arguta. 12200 12201 E questi sette col primaio stuolo 12202 erano abitüati, ma di gigli 12203 dintorno al capo non facëan brolo, 12204 12205 anzi di rose e d’altri fior vermigli; 12206 giurato avria poco lontano aspetto 12207 che tutti ardesser di sopra da’ cigli. 12208 12209 E quando il carro a me fu a rimpetto, 12210 un tuon s’udì, e quelle genti degne 12211 parvero aver l’andar più interdetto, 12212 12213 fermandosi ivi con le prime insegne. 12214 12215 12216 12217 Purgatorio · Canto XXX 12218 12219 12220 Quando il settentrïon del primo cielo, 12221 che né occaso mai seppe né orto 12222 né d’altra nebbia che di colpa velo, 12223 12224 e che faceva lì ciascun accorto 12225 di suo dover, come ’l più basso face 12226 qual temon gira per venire a porto, 12227 12228 fermo s’affisse: la gente verace, 12229 venuta prima tra ’l grifone ed esso, 12230 al carro volse sé come a sua pace; 12231 12232 e un di loro, quasi da ciel messo, 12233 ‘Veni, sponsa, de Libano’ cantando 12234 gridò tre volte, e tutti li altri appresso. 12235 12236 Quali i beati al novissimo bando 12237 surgeran presti ognun di sua caverna, 12238 la revestita voce alleluiando, 12239 12240 cotali in su la divina basterna 12241 si levar cento, ad vocem tanti senis, 12242 ministri e messaggier di vita etterna. 12243 12244 Tutti dicean: ‘Benedictus qui venis!’, 12245 e fior gittando e di sopra e dintorno, 12246 ‘Manibus, oh, date lilïa plenis!’. 12247 12248 Io vidi già nel cominciar del giorno 12249 la parte orïental tutta rosata, 12250 e l’altro ciel di bel sereno addorno; 12251 12252 e la faccia del sol nascere ombrata, 12253 sì che per temperanza di vapori 12254 l’occhio la sostenea lunga fïata: 12255 12256 così dentro una nuvola di fiori 12257 che da le mani angeliche saliva 12258 e ricadeva in giù dentro e di fori, 12259 12260 sovra candido vel cinta d’uliva 12261 donna m’apparve, sotto verde manto 12262 vestita di color di fiamma viva. 12263 12264 E lo spirito mio, che già cotanto 12265 tempo era stato ch’a la sua presenza 12266 non era di stupor, tremando, affranto, 12267 12268 sanza de li occhi aver più conoscenza, 12269 per occulta virtù che da lei mosse, 12270 d’antico amor sentì la gran potenza. 12271 12272 Tosto che ne la vista mi percosse 12273 l’alta virtù che già m’avea trafitto 12274 prima ch’io fuor di püerizia fosse, 12275 12276 volsimi a la sinistra col respitto 12277 col quale il fantolin corre a la mamma 12278 quando ha paura o quando elli è afflitto, 12279 12280 per dicere a Virgilio: ‘Men che dramma 12281 di sangue m’è rimaso che non tremi: 12282 conosco i segni de l’antica fiamma’. 12283 12284 Ma Virgilio n’avea lasciati scemi 12285 di sé, Virgilio dolcissimo patre, 12286 Virgilio a cui per mia salute die’mi; 12287 12288 né quantunque perdeo l’antica matre, 12289 valse a le guance nette di rugiada, 12290 che, lagrimando, non tornasser atre. 12291 12292 «Dante, perché Virgilio se ne vada, 12293 non pianger anco, non piangere ancora; 12294 ché pianger ti conven per altra spada». 12295 12296 Quasi ammiraglio che in poppa e in prora 12297 viene a veder la gente che ministra 12298 per li altri legni, e a ben far l’incora; 12299 12300 in su la sponda del carro sinistra, 12301 quando mi volsi al suon del nome mio, 12302 che di necessità qui si registra, 12303 12304 vidi la donna che pria m’appario 12305 velata sotto l’angelica festa, 12306 drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio. 12307 12308 Tutto che ’l vel che le scendea di testa, 12309 cerchiato de le fronde di Minerva, 12310 non la lasciasse parer manifesta, 12311 12312 regalmente ne l’atto ancor proterva 12313 continüò come colui che dice 12314 e ’l più caldo parlar dietro reserva: 12315 12316 «Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. 12317 Come degnasti d’accedere al monte? 12318 non sapei tu che qui è l’uom felice?». 12319 12320 Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; 12321 ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba, 12322 tanta vergogna mi gravò la fronte. 12323 12324 Così la madre al figlio par superba, 12325 com’ ella parve a me; perché d’amaro 12326 sente il sapor de la pietade acerba. 12327 12328 Ella si tacque; e li angeli cantaro 12329 di sùbito ‘In te, Domine, speravi’; 12330 ma oltre ‘pedes meos’ non passaro. 12331 12332 Sì come neve tra le vive travi 12333 per lo dosso d’Italia si congela, 12334 soffiata e stretta da li venti schiavi, 12335 12336 poi, liquefatta, in sé stessa trapela, 12337 pur che la terra che perde ombra spiri, 12338 sì che par foco fonder la candela; 12339 12340 così fui sanza lagrime e sospiri 12341 anzi ’l cantar di quei che notan sempre 12342 dietro a le note de li etterni giri; 12343 12344 ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre 12345 lor compatire a me, par che se detto 12346 avesser: ‘Donna, perché sì lo stempre?’, 12347 12348 lo gel che m’era intorno al cor ristretto, 12349 spirito e acqua fessi, e con angoscia 12350 de la bocca e de li occhi uscì del petto. 12351 12352 Ella, pur ferma in su la detta coscia 12353 del carro stando, a le sustanze pie 12354 volse le sue parole così poscia: 12355 12356 «Voi vigilate ne l’etterno die, 12357 sì che notte né sonno a voi non fura 12358 passo che faccia il secol per sue vie; 12359 12360 onde la mia risposta è con più cura 12361 che m’intenda colui che di là piagne, 12362 perché sia colpa e duol d’una misura. 12363 12364 Non pur per ovra de le rote magne, 12365 che drizzan ciascun seme ad alcun fine 12366 secondo che le stelle son compagne, 12367 12368 ma per larghezza di grazie divine, 12369 che sì alti vapori hanno a lor piova, 12370 che nostre viste là non van vicine, 12371 12372 questi fu tal ne la sua vita nova 12373 virtüalmente, ch’ogne abito destro 12374 fatto averebbe in lui mirabil prova. 12375 12376 Ma tanto più maligno e più silvestro 12377 si fa ’l terren col mal seme e non cólto, 12378 quant’ elli ha più di buon vigor terrestro. 12379 12380 Alcun tempo il sostenni col mio volto: 12381 mostrando li occhi giovanetti a lui, 12382 meco il menava in dritta parte vòlto. 12383 12384 Sì tosto come in su la soglia fui 12385 di mia seconda etade e mutai vita, 12386 questi si tolse a me, e diessi altrui. 12387 12388 Quando di carne a spirto era salita, 12389 e bellezza e virtù cresciuta m’era, 12390 fu’ io a lui men cara e men gradita; 12391 12392 e volse i passi suoi per via non vera, 12393 imagini di ben seguendo false, 12394 che nulla promession rendono intera. 12395 12396 Né l’impetrare ispirazion mi valse, 12397 con le quali e in sogno e altrimenti 12398 lo rivocai: sì poco a lui ne calse! 12399 12400 Tanto giù cadde, che tutti argomenti 12401 a la salute sua eran già corti, 12402 fuor che mostrarli le perdute genti. 12403 12404 Per questo visitai l’uscio d’i morti, 12405 e a colui che l’ha qua sù condotto, 12406 li prieghi miei, piangendo, furon porti. 12407 12408 Alto fato di Dio sarebbe rotto, 12409 se Letè si passasse e tal vivanda 12410 fosse gustata sanza alcuno scotto 12411 12412 di pentimento che lagrime spanda». 12413 12414 12415 12416 Purgatorio · Canto XXXI 12417 12418 12419 «O tu che se’ di là dal fiume sacro», 12420 volgendo suo parlare a me per punta, 12421 che pur per taglio m’era paruto acro, 12422 12423 ricominciò, seguendo sanza cunta, 12424 «dì, dì se questo è vero: a tanta accusa 12425 tua confession conviene esser congiunta». 12426 12427 Era la mia virtù tanto confusa, 12428 che la voce si mosse, e pria si spense 12429 che da li organi suoi fosse dischiusa. 12430 12431 Poco sofferse; poi disse: «Che pense? 12432 Rispondi a me; ché le memorie triste 12433 in te non sono ancor da l’acqua offense». 12434 12435 Confusione e paura insieme miste 12436 mi pinsero un tal «sì» fuor de la bocca, 12437 al quale intender fuor mestier le viste. 12438 12439 Come balestro frange, quando scocca 12440 da troppa tesa, la sua corda e l’arco, 12441 e con men foga l’asta il segno tocca, 12442 12443 sì scoppia’ io sottesso grave carco, 12444 fuori sgorgando lagrime e sospiri, 12445 e la voce allentò per lo suo varco. 12446 12447 Ond’ ella a me: «Per entro i mie’ disiri, 12448 che ti menavano ad amar lo bene 12449 di là dal qual non è a che s’aspiri, 12450 12451 quai fossi attraversati o quai catene 12452 trovasti, per che del passare innanzi 12453 dovessiti così spogliar la spene? 12454 12455 E quali agevolezze o quali avanzi 12456 ne la fronte de li altri si mostraro, 12457 per che dovessi lor passeggiare anzi?». 12458 12459 Dopo la tratta d’un sospiro amaro, 12460 a pena ebbi la voce che rispuose, 12461 e le labbra a fatica la formaro. 12462 12463 Piangendo dissi: «Le presenti cose 12464 col falso lor piacer volser miei passi, 12465 tosto che ’l vostro viso si nascose». 12466 12467 Ed ella: «Se tacessi o se negassi 12468 ciò che confessi, non fora men nota 12469 la colpa tua: da tal giudice sassi! 12470 12471 Ma quando scoppia de la propria gota 12472 l’accusa del peccato, in nostra corte 12473 rivolge sé contra ’l taglio la rota. 12474 12475 Tuttavia, perché mo vergogna porte 12476 del tuo errore, e perché altra volta, 12477 udendo le serene, sie più forte, 12478 12479 pon giù il seme del piangere e ascolta: 12480 sì udirai come in contraria parte 12481 mover dovieti mia carne sepolta. 12482 12483 Mai non t’appresentò natura o arte 12484 piacer, quanto le belle membra in ch’io 12485 rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte; 12486 12487 e se ’l sommo piacer sì ti fallio 12488 per la mia morte, qual cosa mortale 12489 dovea poi trarre te nel suo disio? 12490 12491 Ben ti dovevi, per lo primo strale 12492 de le cose fallaci, levar suso 12493 di retro a me che non era più tale. 12494 12495 Non ti dovea gravar le penne in giuso, 12496 ad aspettar più colpo, o pargoletta 12497 o altra novità con sì breve uso. 12498 12499 Novo augelletto due o tre aspetta; 12500 ma dinanzi da li occhi d’i pennuti 12501 rete si spiega indarno o si saetta». 12502 12503 Quali fanciulli, vergognando, muti 12504 con li occhi a terra stannosi, ascoltando 12505 e sé riconoscendo e ripentuti, 12506 12507 tal mi stav’ io; ed ella disse: «Quando 12508 per udir se’ dolente, alza la barba, 12509 e prenderai più doglia riguardando». 12510 12511 Con men di resistenza si dibarba 12512 robusto cerro, o vero al nostral vento 12513 o vero a quel de la terra di Iarba, 12514 12515 ch’io non levai al suo comando il mento; 12516 e quando per la barba il viso chiese, 12517 ben conobbi il velen de l’argomento. 12518 12519 E come la mia faccia si distese, 12520 posarsi quelle prime creature 12521 da loro aspersïon l’occhio comprese; 12522 12523 e le mie luci, ancor poco sicure, 12524 vider Beatrice volta in su la fiera 12525 ch’è sola una persona in due nature. 12526 12527 Sotto ’l suo velo e oltre la rivera 12528 vincer pariemi più sé stessa antica, 12529 vincer che l’altre qui, quand’ ella c’era. 12530 12531 Di penter sì mi punse ivi l’ortica, 12532 che di tutte altre cose qual mi torse 12533 più nel suo amor, più mi si fé nemica. 12534 12535 Tanta riconoscenza il cor mi morse, 12536 ch’io caddi vinto; e quale allora femmi, 12537 salsi colei che la cagion mi porse. 12538 12539 Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi, 12540 la donna ch’io avea trovata sola 12541 sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!». 12542 12543 Tratto m’avea nel fiume infin la gola, 12544 e tirandosi me dietro sen giva 12545 sovresso l’acqua lieve come scola. 12546 12547 Quando fui presso a la beata riva, 12548 ‘Asperges me’ sì dolcemente udissi, 12549 che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva. 12550 12551 La bella donna ne le braccia aprissi; 12552 abbracciommi la testa e mi sommerse 12553 ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi. 12554 12555 Indi mi tolse, e bagnato m’offerse 12556 dentro a la danza de le quattro belle; 12557 e ciascuna del braccio mi coperse. 12558 12559 «Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle; 12560 pria che Beatrice discendesse al mondo, 12561 fummo ordinate a lei per sue ancelle. 12562 12563 Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo 12564 lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi 12565 le tre di là, che miran più profondo». 12566 12567 Così cantando cominciaro; e poi 12568 al petto del grifon seco menarmi, 12569 ove Beatrice stava volta a noi. 12570 12571 Disser: «Fa che le viste non risparmi; 12572 posto t’avem dinanzi a li smeraldi 12573 ond’ Amor già ti trasse le sue armi». 12574 12575 Mille disiri più che fiamma caldi 12576 strinsermi li occhi a li occhi rilucenti, 12577 che pur sopra ’l grifone stavan saldi. 12578 12579 Come in lo specchio il sol, non altrimenti 12580 la doppia fiera dentro vi raggiava, 12581 or con altri, or con altri reggimenti. 12582 12583 Pensa, lettor, s’io mi maravigliava, 12584 quando vedea la cosa in sé star queta, 12585 e ne l’idolo suo si trasmutava. 12586 12587 Mentre che piena di stupore e lieta 12588 l’anima mia gustava di quel cibo 12589 che, saziando di sé, di sé asseta, 12590 12591 sé dimostrando di più alto tribo 12592 ne li atti, l’altre tre si fero avanti, 12593 danzando al loro angelico caribo. 12594 12595 «Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi», 12596 era la sua canzone, «al tuo fedele 12597 che, per vederti, ha mossi passi tanti! 12598 12599 Per grazia fa noi grazia che disvele 12600 a lui la bocca tua, sì che discerna 12601 la seconda bellezza che tu cele». 12602 12603 O isplendor di viva luce etterna, 12604 chi palido si fece sotto l’ombra 12605 sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, 12606 12607 che non paresse aver la mente ingombra, 12608 tentando a render te qual tu paresti 12609 là dove armonizzando il ciel t’adombra, 12610 12611 quando ne l’aere aperto ti solvesti? 12612 12613 12614 12615 Purgatorio · Canto XXXII 12616 12617 12618 Tant’ eran li occhi miei fissi e attenti 12619 a disbramarsi la decenne sete, 12620 che li altri sensi m’eran tutti spenti. 12621 12622 Ed essi quinci e quindi avien parete 12623 di non caler—così lo santo riso 12624 a sé traéli con l’antica rete!—; 12625 12626 quando per forza mi fu vòlto il viso 12627 ver’ la sinistra mia da quelle dee, 12628 perch’ io udi’ da loro un «Troppo fiso!»; 12629 12630 e la disposizion ch’a veder èe 12631 ne li occhi pur testé dal sol percossi, 12632 sanza la vista alquanto esser mi fée. 12633 12634 Ma poi ch’al poco il viso riformossi 12635 (e dico ‘al poco’ per rispetto al molto 12636 sensibile onde a forza mi rimossi), 12637 12638 vidi ’n sul braccio destro esser rivolto 12639 lo glorïoso essercito, e tornarsi 12640 col sole e con le sette fiamme al volto. 12641 12642 Come sotto li scudi per salvarsi 12643 volgesi schiera, e sé gira col segno, 12644 prima che possa tutta in sé mutarsi; 12645 12646 quella milizia del celeste regno 12647 che procedeva, tutta trapassonne 12648 pria che piegasse il carro il primo legno. 12649 12650 Indi a le rote si tornar le donne, 12651 e ’l grifon mosse il benedetto carco 12652 sì, che però nulla penna crollonne. 12653 12654 La bella donna che mi trasse al varco 12655 e Stazio e io seguitavam la rota 12656 che fé l’orbita sua con minore arco. 12657 12658 Sì passeggiando l’alta selva vòta, 12659 colpa di quella ch’al serpente crese, 12660 temprava i passi un’angelica nota. 12661 12662 Forse in tre voli tanto spazio prese 12663 disfrenata saetta, quanto eramo 12664 rimossi, quando Bëatrice scese. 12665 12666 Io senti’ mormorare a tutti «Adamo»; 12667 poi cerchiaro una pianta dispogliata 12668 di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo. 12669 12670 La coma sua, che tanto si dilata 12671 più quanto più è sù, fora da l’Indi 12672 ne’ boschi lor per altezza ammirata. 12673 12674 «Beato se’, grifon, che non discindi 12675 col becco d’esto legno dolce al gusto, 12676 poscia che mal si torce il ventre quindi». 12677 12678 Così dintorno a l’albero robusto 12679 gridaron li altri; e l’animal binato: 12680 «Sì si conserva il seme d’ogne giusto». 12681 12682 E vòlto al temo ch’elli avea tirato, 12683 trasselo al piè de la vedova frasca, 12684 e quel di lei a lei lasciò legato. 12685 12686 Come le nostre piante, quando casca 12687 giù la gran luce mischiata con quella 12688 che raggia dietro a la celeste lasca, 12689 12690 turgide fansi, e poi si rinovella 12691 di suo color ciascuna, pria che ’l sole 12692 giunga li suoi corsier sotto altra stella; 12693 12694 men che di rose e più che di vïole 12695 colore aprendo, s’innovò la pianta, 12696 che prima avea le ramora sì sole. 12697 12698 Io non lo ’ntesi, né qui non si canta 12699 l’inno che quella gente allor cantaro, 12700 né la nota soffersi tutta quanta. 12701 12702 S’io potessi ritrar come assonnaro 12703 li occhi spietati udendo di Siringa, 12704 li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro; 12705 12706 come pintor che con essempro pinga, 12707 disegnerei com’ io m’addormentai; 12708 ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. 12709 12710 Però trascorro a quando mi svegliai, 12711 e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo 12712 del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?». 12713 12714 Quali a veder de’ fioretti del melo 12715 che del suo pome li angeli fa ghiotti 12716 e perpetüe nozze fa nel cielo, 12717 12718 Pietro e Giovanni e Iacopo condotti 12719 e vinti, ritornaro a la parola 12720 da la qual furon maggior sonni rotti, 12721 12722 e videro scemata loro scuola 12723 così di Moïsè come d’Elia, 12724 e al maestro suo cangiata stola; 12725 12726 tal torna’ io, e vidi quella pia 12727 sovra me starsi che conducitrice 12728 fu de’ miei passi lungo ’l fiume pria. 12729 12730 E tutto in dubbio dissi: «Ov’ è Beatrice?». 12731 Ond’ ella: «Vedi lei sotto la fronda 12732 nova sedere in su la sua radice. 12733 12734 Vedi la compagnia che la circonda: 12735 li altri dopo ’l grifon sen vanno suso 12736 con più dolce canzone e più profonda». 12737 12738 E se più fu lo suo parlar diffuso, 12739 non so, però che già ne li occhi m’era 12740 quella ch’ad altro intender m’avea chiuso. 12741 12742 Sola sedeasi in su la terra vera, 12743 come guardia lasciata lì del plaustro 12744 che legar vidi a la biforme fera. 12745 12746 In cerchio le facevan di sé claustro 12747 le sette ninfe, con quei lumi in mano 12748 che son sicuri d’Aquilone e d’Austro. 12749 12750 «Qui sarai tu poco tempo silvano; 12751 e sarai meco sanza fine cive 12752 di quella Roma onde Cristo è romano. 12753 12754 Però, in pro del mondo che mal vive, 12755 al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, 12756 ritornato di là, fa che tu scrive». 12757 12758 Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi 12759 d’i suoi comandamenti era divoto, 12760 la mente e li occhi ov’ ella volle diedi. 12761 12762 Non scese mai con sì veloce moto 12763 foco di spessa nube, quando piove 12764 da quel confine che più va remoto, 12765 12766 com’ io vidi calar l’uccel di Giove 12767 per l’alber giù, rompendo de la scorza, 12768 non che d’i fiori e de le foglie nove; 12769 12770 e ferì ’l carro di tutta sua forza; 12771 ond’ el piegò come nave in fortuna, 12772 vinta da l’onda, or da poggia, or da orza. 12773 12774 Poscia vidi avventarsi ne la cuna 12775 del trïunfal veiculo una volpe 12776 che d’ogne pasto buon parea digiuna; 12777 12778 ma, riprendendo lei di laide colpe, 12779 la donna mia la volse in tanta futa 12780 quanto sofferser l’ossa sanza polpe. 12781 12782 Poscia per indi ond’ era pria venuta, 12783 l’aguglia vidi scender giù ne l’arca 12784 del carro e lasciar lei di sé pennuta; 12785 12786 e qual esce di cuor che si rammarca, 12787 tal voce uscì del cielo e cotal disse: 12788 «O navicella mia, com’ mal se’ carca!». 12789 12790 Poi parve a me che la terra s’aprisse 12791 tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago 12792 che per lo carro sù la coda fisse; 12793 12794 e come vespa che ritragge l’ago, 12795 a sé traendo la coda maligna, 12796 trasse del fondo, e gissen vago vago. 12797 12798 Quel che rimase, come da gramigna 12799 vivace terra, da la piuma, offerta 12800 forse con intenzion sana e benigna, 12801 12802 si ricoperse, e funne ricoperta 12803 e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto 12804 che più tiene un sospir la bocca aperta. 12805 12806 Trasformato così ’l dificio santo 12807 mise fuor teste per le parti sue, 12808 tre sovra ’l temo e una in ciascun canto. 12809 12810 Le prime eran cornute come bue, 12811 ma le quattro un sol corno avean per fronte: 12812 simile mostro visto ancor non fue. 12813 12814 Sicura, quasi rocca in alto monte, 12815 seder sovresso una puttana sciolta 12816 m’apparve con le ciglia intorno pronte; 12817 12818 e come perché non li fosse tolta, 12819 vidi di costa a lei dritto un gigante; 12820 e basciavansi insieme alcuna volta. 12821 12822 Ma perché l’occhio cupido e vagante 12823 a me rivolse, quel feroce drudo 12824 la flagellò dal capo infin le piante; 12825 12826 poi, di sospetto pieno e d’ira crudo, 12827 disciolse il mostro, e trassel per la selva, 12828 tanto che sol di lei mi fece scudo 12829 12830 a la puttana e a la nova belva. 12831 12832 12833 12834 Purgatorio · Canto XXXIII 12835 12836 12837 ‘Deus, venerunt gentes’, alternando 12838 or tre or quattro dolce salmodia, 12839 le donne incominciaro, e lagrimando; 12840 12841 e Bëatrice, sospirosa e pia, 12842 quelle ascoltava sì fatta, che poco 12843 più a la croce si cambiò Maria. 12844 12845 Ma poi che l’altre vergini dier loco 12846 a lei di dir, levata dritta in pè, 12847 rispuose, colorata come foco: 12848 12849 ‘Modicum, et non videbitis me; 12850 et iterum, sorelle mie dilette, 12851 modicum, et vos videbitis me’. 12852 12853 Poi le si mise innanzi tutte e sette, 12854 e dopo sé, solo accennando, mosse 12855 me e la donna e ’l savio che ristette. 12856 12857 Così sen giva; e non credo che fosse 12858 lo decimo suo passo in terra posto, 12859 quando con li occhi li occhi mi percosse; 12860 12861 e con tranquillo aspetto «Vien più tosto», 12862 mi disse, «tanto che, s’io parlo teco, 12863 ad ascoltarmi tu sie ben disposto». 12864 12865 Sì com’ io fui, com’ io dovëa, seco, 12866 dissemi: «Frate, perché non t’attenti 12867 a domandarmi omai venendo meco?». 12868 12869 Come a color che troppo reverenti 12870 dinanzi a suo maggior parlando sono, 12871 che non traggon la voce viva ai denti, 12872 12873 avvenne a me, che sanza intero suono 12874 incominciai: «Madonna, mia bisogna 12875 voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono». 12876 12877 Ed ella a me: «Da tema e da vergogna 12878 voglio che tu omai ti disviluppe, 12879 sì che non parli più com’ om che sogna. 12880 12881 Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe, 12882 fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda 12883 che vendetta di Dio non teme suppe. 12884 12885 Non sarà tutto tempo sanza reda 12886 l’aguglia che lasciò le penne al carro, 12887 per che divenne mostro e poscia preda; 12888 12889 ch’io veggio certamente, e però il narro, 12890 a darne tempo già stelle propinque, 12891 secure d’ogn’ intoppo e d’ogne sbarro, 12892 12893 nel quale un cinquecento diece e cinque, 12894 messo di Dio, anciderà la fuia 12895 con quel gigante che con lei delinque. 12896 12897 E forse che la mia narrazion buia, 12898 qual Temi e Sfinge, men ti persuade, 12899 perch’ a lor modo lo ’ntelletto attuia; 12900 12901 ma tosto fier li fatti le Naiade, 12902 che solveranno questo enigma forte 12903 sanza danno di pecore o di biade. 12904 12905 Tu nota; e sì come da me son porte, 12906 così queste parole segna a’ vivi 12907 del viver ch’è un correre a la morte. 12908 12909 E aggi a mente, quando tu le scrivi, 12910 di non celar qual hai vista la pianta 12911 ch’è or due volte dirubata quivi. 12912 12913 Qualunque ruba quella o quella schianta, 12914 con bestemmia di fatto offende a Dio, 12915 che solo a l’uso suo la creò santa. 12916 12917 Per morder quella, in pena e in disio 12918 cinquemilia anni e più l’anima prima 12919 bramò colui che ’l morso in sé punio. 12920 12921 Dorme lo ’ngegno tuo, se non estima 12922 per singular cagione esser eccelsa 12923 lei tanto e sì travolta ne la cima. 12924 12925 E se stati non fossero acqua d’Elsa 12926 li pensier vani intorno a la tua mente, 12927 e ’l piacer loro un Piramo a la gelsa, 12928 12929 per tante circostanze solamente 12930 la giustizia di Dio, ne l’interdetto, 12931 conosceresti a l’arbor moralmente. 12932 12933 Ma perch’ io veggio te ne lo ’ntelletto 12934 fatto di pietra e, impetrato, tinto, 12935 sì che t’abbaglia il lume del mio detto, 12936 12937 voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, 12938 che ’l te ne porti dentro a te per quello 12939 che si reca il bordon di palma cinto». 12940 12941 E io: «Sì come cera da suggello, 12942 che la figura impressa non trasmuta, 12943 segnato è or da voi lo mio cervello. 12944 12945 Ma perché tanto sovra mia veduta 12946 vostra parola disïata vola, 12947 che più la perde quanto più s’aiuta?». 12948 12949 «Perché conoschi», disse, «quella scuola 12950 c’hai seguitata, e veggi sua dottrina 12951 come può seguitar la mia parola; 12952 12953 e veggi vostra via da la divina 12954 distar cotanto, quanto si discorda 12955 da terra il ciel che più alto festina». 12956 12957 Ond’ io rispuosi lei: «Non mi ricorda 12958 ch’i’ stranïasse me già mai da voi, 12959 né honne coscïenza che rimorda». 12960 12961 «E se tu ricordar non te ne puoi», 12962 sorridendo rispuose, «or ti rammenta 12963 come bevesti di Letè ancoi; 12964 12965 e se dal fummo foco s’argomenta, 12966 cotesta oblivïon chiaro conchiude 12967 colpa ne la tua voglia altrove attenta. 12968 12969 Veramente oramai saranno nude 12970 le mie parole, quanto converrassi 12971 quelle scovrire a la tua vista rude». 12972 12973 E più corusco e con più lenti passi 12974 teneva il sole il cerchio di merigge, 12975 che qua e là, come li aspetti, fassi, 12976 12977 quando s’affisser, sì come s’affigge 12978 chi va dinanzi a gente per iscorta 12979 se trova novitate o sue vestigge, 12980 12981 le sette donne al fin d’un’ombra smorta, 12982 qual sotto foglie verdi e rami nigri 12983 sovra suoi freddi rivi l’alpe porta. 12984 12985 Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri 12986 veder mi parve uscir d’una fontana, 12987 e, quasi amici, dipartirsi pigri. 12988 12989 «O luce, o gloria de la gente umana, 12990 che acqua è questa che qui si dispiega 12991 da un principio e sé da sé lontana?». 12992 12993 Per cotal priego detto mi fu: «Priega 12994 Matelda che ’l ti dica». E qui rispuose, 12995 come fa chi da colpa si dislega, 12996 12997 la bella donna: «Questo e altre cose 12998 dette li son per me; e son sicura 12999 che l’acqua di Letè non gliel nascose». 13000 13001 E Bëatrice: «Forse maggior cura, 13002 che spesse volte la memoria priva, 13003 fatt’ ha la mente sua ne li occhi oscura. 13004 13005 Ma vedi Eünoè che là diriva: 13006 menalo ad esso, e come tu se’ usa, 13007 la tramortita sua virtù ravviva». 13008 13009 Come anima gentil, che non fa scusa, 13010 ma fa sua voglia de la voglia altrui 13011 tosto che è per segno fuor dischiusa; 13012 13013 così, poi che da essa preso fui, 13014 la bella donna mossesi, e a Stazio 13015 donnescamente disse: «Vien con lui». 13016 13017 S’io avessi, lettor, più lungo spazio 13018 da scrivere, i’ pur cantere’ in parte 13019 lo dolce ber che mai non m’avria sazio; 13020 13021 ma perché piene son tutte le carte 13022 ordite a questa cantica seconda, 13023 non mi lascia più ir lo fren de l’arte. 13024 13025 Io ritornai da la santissima onda 13026 rifatto sì come piante novelle 13027 rinovellate di novella fronda, 13028 13029 puro e disposto a salire a le stelle. 13030 13031 13032 13033 13034 13035 PARADISO 13036 13037 13038 13039 13040 Paradiso · Canto I 13041 13042 13043 La gloria di colui che tutto move 13044 per l’universo penetra, e risplende 13045 in una parte più e meno altrove. 13046 13047 Nel ciel che più de la sua luce prende 13048 fu’ io, e vidi cose che ridire 13049 né sa né può chi di là sù discende; 13050 13051 perché appressando sé al suo disire, 13052 nostro intelletto si profonda tanto, 13053 che dietro la memoria non può ire. 13054 13055 Veramente quant’ io del regno santo 13056 ne la mia mente potei far tesoro, 13057 sarà ora materia del mio canto. 13058 13059 O buono Appollo, a l’ultimo lavoro 13060 fammi del tuo valor sì fatto vaso, 13061 come dimandi a dar l’amato alloro. 13062 13063 Infino a qui l’un giogo di Parnaso 13064 assai mi fu; ma or con amendue 13065 m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. 13066 13067 Entra nel petto mio, e spira tue 13068 sì come quando Marsïa traesti 13069 de la vagina de le membra sue. 13070 13071 O divina virtù, se mi ti presti 13072 tanto che l’ombra del beato regno 13073 segnata nel mio capo io manifesti, 13074 13075 vedra’mi al piè del tuo diletto legno 13076 venire, e coronarmi de le foglie 13077 che la materia e tu mi farai degno. 13078 13079 Sì rade volte, padre, se ne coglie 13080 per trïunfare o cesare o poeta, 13081 colpa e vergogna de l’umane voglie, 13082 13083 che parturir letizia in su la lieta 13084 delfica deïtà dovria la fronda 13085 peneia, quando alcun di sé asseta. 13086 13087 Poca favilla gran fiamma seconda: 13088 forse di retro a me con miglior voci 13089 si pregherà perché Cirra risponda. 13090 13091 Surge ai mortali per diverse foci 13092 la lucerna del mondo; ma da quella 13093 che quattro cerchi giugne con tre croci, 13094 13095 con miglior corso e con migliore stella 13096 esce congiunta, e la mondana cera 13097 più a suo modo tempera e suggella. 13098 13099 Fatto avea di là mane e di qua sera 13100 tal foce, e quasi tutto era là bianco 13101 quello emisperio, e l’altra parte nera, 13102 13103 quando Beatrice in sul sinistro fianco 13104 vidi rivolta e riguardar nel sole: 13105 aguglia sì non li s’affisse unquanco. 13106 13107 E sì come secondo raggio suole 13108 uscir del primo e risalire in suso, 13109 pur come pelegrin che tornar vuole, 13110 13111 così de l’atto suo, per li occhi infuso 13112 ne l’imagine mia, il mio si fece, 13113 e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso. 13114 13115 Molto è licito là, che qui non lece 13116 a le nostre virtù, mercé del loco 13117 fatto per proprio de l’umana spece. 13118 13119 Io nol soffersi molto, né sì poco, 13120 ch’io nol vedessi sfavillar dintorno, 13121 com’ ferro che bogliente esce del foco; 13122 13123 e di sùbito parve giorno a giorno 13124 essere aggiunto, come quei che puote 13125 avesse il ciel d’un altro sole addorno. 13126 13127 Beatrice tutta ne l’etterne rote 13128 fissa con li occhi stava; e io in lei 13129 le luci fissi, di là sù rimote. 13130 13131 Nel suo aspetto tal dentro mi fei, 13132 qual si fé Glauco nel gustar de l’erba 13133 che ’l fé consorto in mar de li altri dèi. 13134 13135 Trasumanar significar per verba 13136 non si poria; però l’essemplo basti 13137 a cui esperïenza grazia serba. 13138 13139 S’i’ era sol di me quel che creasti 13140 novellamente, amor che ’l ciel governi, 13141 tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. 13142 13143 Quando la rota che tu sempiterni 13144 desiderato, a sé mi fece atteso 13145 con l’armonia che temperi e discerni, 13146 13147 parvemi tanto allor del cielo acceso 13148 de la fiamma del sol, che pioggia o fiume 13149 lago non fece alcun tanto disteso. 13150 13151 La novità del suono e ’l grande lume 13152 di lor cagion m’accesero un disio 13153 mai non sentito di cotanto acume. 13154 13155 Ond’ ella, che vedea me sì com’ io, 13156 a quïetarmi l’animo commosso, 13157 pria ch’io a dimandar, la bocca aprio 13158 13159 e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso 13160 col falso imaginar, sì che non vedi 13161 ciò che vedresti se l’avessi scosso. 13162 13163 Tu non se’ in terra, sì come tu credi; 13164 ma folgore, fuggendo il proprio sito, 13165 non corse come tu ch’ad esso riedi». 13166 13167 S’io fui del primo dubbio disvestito 13168 per le sorrise parolette brevi, 13169 dentro ad un nuovo più fu’ inretito 13170 13171 e dissi: «Già contento requïevi 13172 di grande ammirazion; ma ora ammiro 13173 com’ io trascenda questi corpi levi». 13174 13175 Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro, 13176 li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante 13177 che madre fa sovra figlio deliro, 13178 13179 e cominciò: «Le cose tutte quante 13180 hanno ordine tra loro, e questo è forma 13181 che l’universo a Dio fa simigliante. 13182 13183 Qui veggion l’alte creature l’orma 13184 de l’etterno valore, il qual è fine 13185 al quale è fatta la toccata norma. 13186 13187 Ne l’ordine ch’io dico sono accline 13188 tutte nature, per diverse sorti, 13189 più al principio loro e men vicine; 13190 13191 onde si muovono a diversi porti 13192 per lo gran mar de l’essere, e ciascuna 13193 con istinto a lei dato che la porti. 13194 13195 Questi ne porta il foco inver’ la luna; 13196 questi ne’ cor mortali è permotore; 13197 questi la terra in sé stringe e aduna; 13198 13199 né pur le creature che son fore 13200 d’intelligenza quest’ arco saetta, 13201 ma quelle c’hanno intelletto e amore. 13202 13203 La provedenza, che cotanto assetta, 13204 del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto 13205 nel qual si volge quel c’ha maggior fretta; 13206 13207 e ora lì, come a sito decreto, 13208 cen porta la virtù di quella corda 13209 che ciò che scocca drizza in segno lieto. 13210 13211 Vero è che, come forma non s’accorda 13212 molte fïate a l’intenzion de l’arte, 13213 perch’ a risponder la materia è sorda, 13214 13215 così da questo corso si diparte 13216 talor la creatura, c’ha podere 13217 di piegar, così pinta, in altra parte; 13218 13219 e sì come veder si può cadere 13220 foco di nube, sì l’impeto primo 13221 l’atterra torto da falso piacere. 13222 13223 Non dei più ammirar, se bene stimo, 13224 lo tuo salir, se non come d’un rivo 13225 se d’alto monte scende giuso ad imo. 13226 13227 Maraviglia sarebbe in te se, privo 13228 d’impedimento, giù ti fossi assiso, 13229 com’ a terra quïete in foco vivo». 13230 13231 Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. 13232 13233 13234 13235 Paradiso · Canto II 13236 13237 13238 O voi che siete in piccioletta barca, 13239 desiderosi d’ascoltar, seguiti 13240 dietro al mio legno che cantando varca, 13241 13242 tornate a riveder li vostri liti: 13243 non vi mettete in pelago, ché forse, 13244 perdendo me, rimarreste smarriti. 13245 13246 L’acqua ch’io prendo già mai non si corse; 13247 Minerva spira, e conducemi Appollo, 13248 e nove Muse mi dimostran l’Orse. 13249 13250 Voialtri pochi che drizzaste il collo 13251 per tempo al pan de li angeli, del quale 13252 vivesi qui ma non sen vien satollo, 13253 13254 metter potete ben per l’alto sale 13255 vostro navigio, servando mio solco 13256 dinanzi a l’acqua che ritorna equale. 13257 13258 Que’ glorïosi che passaro al Colco 13259 non s’ammiraron come voi farete, 13260 quando Iasón vider fatto bifolco. 13261 13262 La concreata e perpetüa sete 13263 del deïforme regno cen portava 13264 veloci quasi come ’l ciel vedete. 13265 13266 Beatrice in suso, e io in lei guardava; 13267 e forse in tanto in quanto un quadrel posa 13268 e vola e da la noce si dischiava, 13269 13270 giunto mi vidi ove mirabil cosa 13271 mi torse il viso a sé; e però quella 13272 cui non potea mia cura essere ascosa, 13273 13274 volta ver’ me, sì lieta come bella, 13275 «Drizza la mente in Dio grata», mi disse, 13276 «che n’ha congiunti con la prima stella». 13277 13278 Parev’ a me che nube ne coprisse 13279 lucida, spessa, solida e pulita, 13280 quasi adamante che lo sol ferisse. 13281 13282 Per entro sé l’etterna margarita 13283 ne ricevette, com’ acqua recepe 13284 raggio di luce permanendo unita. 13285 13286 S’io era corpo, e qui non si concepe 13287 com’ una dimensione altra patio, 13288 ch’esser convien se corpo in corpo repe, 13289 13290 accender ne dovria più il disio 13291 di veder quella essenza in che si vede 13292 come nostra natura e Dio s’unio. 13293 13294 Lì si vedrà ciò che tenem per fede, 13295 non dimostrato, ma fia per sé noto 13296 a guisa del ver primo che l’uom crede. 13297 13298 Io rispuosi: «Madonna, sì devoto 13299 com’ esser posso più, ringrazio lui 13300 lo qual dal mortal mondo m’ha remoto. 13301 13302 Ma ditemi: che son li segni bui 13303 di questo corpo, che là giuso in terra 13304 fan di Cain favoleggiare altrui?». 13305 13306 Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra 13307 l’oppinïon», mi disse, «d’i mortali 13308 dove chiave di senso non diserra, 13309 13310 certo non ti dovrien punger li strali 13311 d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi 13312 vedi che la ragione ha corte l’ali. 13313 13314 Ma dimmi quel che tu da te ne pensi». 13315 E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso 13316 credo che fanno i corpi rari e densi». 13317 13318 Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso 13319 nel falso il creder tuo, se bene ascolti 13320 l’argomentar ch’io li farò avverso. 13321 13322 La spera ottava vi dimostra molti 13323 lumi, li quali e nel quale e nel quanto 13324 notar si posson di diversi volti. 13325 13326 Se raro e denso ciò facesser tanto, 13327 una sola virtù sarebbe in tutti, 13328 più e men distributa e altrettanto. 13329 13330 Virtù diverse esser convegnon frutti 13331 di princìpi formali, e quei, for ch’uno, 13332 seguiterieno a tua ragion distrutti. 13333 13334 Ancor, se raro fosse di quel bruno 13335 cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte 13336 fora di sua materia sì digiuno 13337 13338 esto pianeto, o, sì come comparte 13339 lo grasso e ’l magro un corpo, così questo 13340 nel suo volume cangerebbe carte. 13341 13342 Se ’l primo fosse, fora manifesto 13343 ne l’eclissi del sol, per trasparere 13344 lo lume come in altro raro ingesto. 13345 13346 Questo non è: però è da vedere 13347 de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi, 13348 falsificato fia lo tuo parere. 13349 13350 S’elli è che questo raro non trapassi, 13351 esser conviene un termine da onde 13352 lo suo contrario più passar non lassi; 13353 13354 e indi l’altrui raggio si rifonde 13355 così come color torna per vetro 13356 lo qual di retro a sé piombo nasconde. 13357 13358 Or dirai tu ch’el si dimostra tetro 13359 ivi lo raggio più che in altre parti, 13360 per esser lì refratto più a retro. 13361 13362 Da questa instanza può deliberarti 13363 esperïenza, se già mai la provi, 13364 ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti. 13365 13366 Tre specchi prenderai; e i due rimovi 13367 da te d’un modo, e l’altro, più rimosso, 13368 tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. 13369 13370 Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso 13371 ti stea un lume che i tre specchi accenda 13372 e torni a te da tutti ripercosso. 13373 13374 Ben che nel quanto tanto non si stenda 13375 la vista più lontana, lì vedrai 13376 come convien ch’igualmente risplenda. 13377 13378 Or, come ai colpi de li caldi rai 13379 de la neve riman nudo il suggetto 13380 e dal colore e dal freddo primai, 13381 13382 così rimaso te ne l’intelletto 13383 voglio informar di luce sì vivace, 13384 che ti tremolerà nel suo aspetto. 13385 13386 Dentro dal ciel de la divina pace 13387 si gira un corpo ne la cui virtute 13388 l’esser di tutto suo contento giace. 13389 13390 Lo ciel seguente, c’ha tante vedute, 13391 quell’ esser parte per diverse essenze, 13392 da lui distratte e da lui contenute. 13393 13394 Li altri giron per varie differenze 13395 le distinzion che dentro da sé hanno 13396 dispongono a lor fini e lor semenze. 13397 13398 Questi organi del mondo così vanno, 13399 come tu vedi omai, di grado in grado, 13400 che di sù prendono e di sotto fanno. 13401 13402 Riguarda bene omai sì com’ io vado 13403 per questo loco al vero che disiri, 13404 sì che poi sappi sol tener lo guado. 13405 13406 Lo moto e la virtù d’i santi giri, 13407 come dal fabbro l’arte del martello, 13408 da’ beati motor convien che spiri; 13409 13410 e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello, 13411 de la mente profonda che lui volve 13412 prende l’image e fassene suggello. 13413 13414 E come l’alma dentro a vostra polve 13415 per differenti membra e conformate 13416 a diverse potenze si risolve, 13417 13418 così l’intelligenza sua bontate 13419 multiplicata per le stelle spiega, 13420 girando sé sovra sua unitate. 13421 13422 Virtù diversa fa diversa lega 13423 col prezïoso corpo ch’ella avviva, 13424 nel qual, sì come vita in voi, si lega. 13425 13426 Per la natura lieta onde deriva, 13427 la virtù mista per lo corpo luce 13428 come letizia per pupilla viva. 13429 13430 Da essa vien ciò che da luce a luce 13431 par differente, non da denso e raro; 13432 essa è formal principio che produce, 13433 13434 conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro». 13435 13436 13437 13438 Paradiso · Canto III 13439 13440 13441 Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto, 13442 di bella verità m’avea scoverto, 13443 provando e riprovando, il dolce aspetto; 13444 13445 e io, per confessar corretto e certo 13446 me stesso, tanto quanto si convenne 13447 leva’ il capo a proferer più erto; 13448 13449 ma visïone apparve che ritenne 13450 a sé me tanto stretto, per vedersi, 13451 che di mia confession non mi sovvenne. 13452 13453 Quali per vetri trasparenti e tersi, 13454 o ver per acque nitide e tranquille, 13455 non sì profonde che i fondi sien persi, 13456 13457 tornan d’i nostri visi le postille 13458 debili sì, che perla in bianca fronte 13459 non vien men forte a le nostre pupille; 13460 13461 tali vid’ io più facce a parlar pronte; 13462 per ch’io dentro a l’error contrario corsi 13463 a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. 13464 13465 Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi, 13466 quelle stimando specchiati sembianti, 13467 per veder di cui fosser, li occhi torsi; 13468 13469 e nulla vidi, e ritorsili avanti 13470 dritti nel lume de la dolce guida, 13471 che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. 13472 13473 «Non ti maravigliar perch’ io sorrida», 13474 mi disse, «appresso il tuo püeril coto, 13475 poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida, 13476 13477 ma te rivolve, come suole, a vòto: 13478 vere sustanze son ciò che tu vedi, 13479 qui rilegate per manco di voto. 13480 13481 Però parla con esse e odi e credi; 13482 ché la verace luce che le appaga 13483 da sé non lascia lor torcer li piedi». 13484 13485 E io a l’ombra che parea più vaga 13486 di ragionar, drizza’mi, e cominciai, 13487 quasi com’ uom cui troppa voglia smaga: 13488 13489 «O ben creato spirito, che a’ rai 13490 di vita etterna la dolcezza senti 13491 che, non gustata, non s’intende mai, 13492 13493 grazïoso mi fia se mi contenti 13494 del nome tuo e de la vostra sorte». 13495 Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti: 13496 13497 «La nostra carità non serra porte 13498 a giusta voglia, se non come quella 13499 che vuol simile a sé tutta sua corte. 13500 13501 I’ fui nel mondo vergine sorella; 13502 e se la mente tua ben sé riguarda, 13503 non mi ti celerà l’esser più bella, 13504 13505 ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda, 13506 che, posta qui con questi altri beati, 13507 beata sono in la spera più tarda. 13508 13509 Li nostri affetti, che solo infiammati 13510 son nel piacer de lo Spirito Santo, 13511 letizian del suo ordine formati. 13512 13513 E questa sorte che par giù cotanto, 13514 però n’è data, perché fuor negletti 13515 li nostri voti, e vòti in alcun canto». 13516 13517 Ond’ io a lei: «Ne’ mirabili aspetti 13518 vostri risplende non so che divino 13519 che vi trasmuta da’ primi concetti: 13520 13521 però non fui a rimembrar festino; 13522 ma or m’aiuta ciò che tu mi dici, 13523 sì che raffigurar m’è più latino. 13524 13525 Ma dimmi: voi che siete qui felici, 13526 disiderate voi più alto loco 13527 per più vedere e per più farvi amici?». 13528 13529 Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco; 13530 da indi mi rispuose tanto lieta, 13531 ch’arder parea d’amor nel primo foco: 13532 13533 «Frate, la nostra volontà quïeta 13534 virtù di carità, che fa volerne 13535 sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta. 13536 13537 Se disïassimo esser più superne, 13538 foran discordi li nostri disiri 13539 dal voler di colui che qui ne cerne; 13540 13541 che vedrai non capere in questi giri, 13542 s’essere in carità è qui necesse, 13543 e se la sua natura ben rimiri. 13544 13545 Anzi è formale ad esto beato esse 13546 tenersi dentro a la divina voglia, 13547 per ch’una fansi nostre voglie stesse; 13548 13549 sì che, come noi sem di soglia in soglia 13550 per questo regno, a tutto il regno piace 13551 com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia. 13552 13553 E ’n la sua volontade è nostra pace: 13554 ell’ è quel mare al qual tutto si move 13555 ciò ch’ella crïa o che natura face». 13556 13557 Chiaro mi fu allor come ogne dove 13558 in cielo è paradiso, etsi la grazia 13559 del sommo ben d’un modo non vi piove. 13560 13561 Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia 13562 e d’un altro rimane ancor la gola, 13563 che quel si chere e di quel si ringrazia, 13564 13565 così fec’ io con atto e con parola, 13566 per apprender da lei qual fu la tela 13567 onde non trasse infino a co la spuola. 13568 13569 «Perfetta vita e alto merto inciela 13570 donna più sù», mi disse, «a la cui norma 13571 nel vostro mondo giù si veste e vela, 13572 13573 perché fino al morir si vegghi e dorma 13574 con quello sposo ch’ogne voto accetta 13575 che caritate a suo piacer conforma. 13576 13577 Dal mondo, per seguirla, giovinetta 13578 fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi 13579 e promisi la via de la sua setta. 13580 13581 Uomini poi, a mal più ch’a bene usi, 13582 fuor mi rapiron de la dolce chiostra: 13583 Iddio si sa qual poi mia vita fusi. 13584 13585 E quest’ altro splendor che ti si mostra 13586 da la mia destra parte e che s’accende 13587 di tutto il lume de la spera nostra, 13588 13589 ciò ch’io dico di me, di sé intende; 13590 sorella fu, e così le fu tolta 13591 di capo l’ombra de le sacre bende. 13592 13593 Ma poi che pur al mondo fu rivolta 13594 contra suo grado e contra buona usanza, 13595 non fu dal vel del cor già mai disciolta. 13596 13597 Quest’ è la luce de la gran Costanza 13598 che del secondo vento di Soave 13599 generò ’l terzo e l’ultima possanza». 13600 13601 Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave, 13602 Maria’ cantando, e cantando vanio 13603 come per acqua cupa cosa grave. 13604 13605 La vista mia, che tanto lei seguio 13606 quanto possibil fu, poi che la perse, 13607 volsesi al segno di maggior disio, 13608 13609 e a Beatrice tutta si converse; 13610 ma quella folgorò nel mïo sguardo 13611 sì che da prima il viso non sofferse; 13612 13613 e ciò mi fece a dimandar più tardo. 13614 13615 13616 13617 Paradiso · Canto IV 13618 13619 13620 Intra due cibi, distanti e moventi 13621 d’un modo, prima si morria di fame, 13622 che liber’ omo l’un recasse ai denti; 13623 13624 sì si starebbe un agno intra due brame 13625 di fieri lupi, igualmente temendo; 13626 sì si starebbe un cane intra due dame: 13627 13628 per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo, 13629 da li miei dubbi d’un modo sospinto, 13630 poi ch’era necessario, né commendo. 13631 13632 Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto 13633 m’era nel viso, e ’l dimandar con ello, 13634 più caldo assai che per parlar distinto. 13635 13636 Fé sì Beatrice qual fé Danïello, 13637 Nabuccodonosor levando d’ira, 13638 che l’avea fatto ingiustamente fello; 13639 13640 e disse: «Io veggio ben come ti tira 13641 uno e altro disio, sì che tua cura 13642 sé stessa lega sì che fuor non spira. 13643 13644 Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura, 13645 la vïolenza altrui per qual ragione 13646 di meritar mi scema la misura?”. 13647 13648 Ancor di dubitar ti dà cagione 13649 parer tornarsi l’anime a le stelle, 13650 secondo la sentenza di Platone. 13651 13652 Queste son le question che nel tuo velle 13653 pontano igualmente; e però pria 13654 tratterò quella che più ha di felle. 13655 13656 D’i Serafin colui che più s’india, 13657 Moïsè, Samuel, e quel Giovanni 13658 che prender vuoli, io dico, non Maria, 13659 13660 non hanno in altro cielo i loro scanni 13661 che questi spirti che mo t’appariro, 13662 né hanno a l’esser lor più o meno anni; 13663 13664 ma tutti fanno bello il primo giro, 13665 e differentemente han dolce vita 13666 per sentir più e men l’etterno spiro. 13667 13668 Qui si mostraro, non perché sortita 13669 sia questa spera lor, ma per far segno 13670 de la celestïal c’ha men salita. 13671 13672 Così parlar conviensi al vostro ingegno, 13673 però che solo da sensato apprende 13674 ciò che fa poscia d’intelletto degno. 13675 13676 Per questo la Scrittura condescende 13677 a vostra facultate, e piedi e mano 13678 attribuisce a Dio e altro intende; 13679 13680 e Santa Chiesa con aspetto umano 13681 Gabrïel e Michel vi rappresenta, 13682 e l’altro che Tobia rifece sano. 13683 13684 Quel che Timeo de l’anime argomenta 13685 non è simile a ciò che qui si vede, 13686 però che, come dice, par che senta. 13687 13688 Dice che l’alma a la sua stella riede, 13689 credendo quella quindi esser decisa 13690 quando natura per forma la diede; 13691 13692 e forse sua sentenza è d’altra guisa 13693 che la voce non suona, ed esser puote 13694 con intenzion da non esser derisa. 13695 13696 S’elli intende tornare a queste ruote 13697 l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse 13698 in alcun vero suo arco percuote. 13699 13700 Questo principio, male inteso, torse 13701 già tutto il mondo quasi, sì che Giove, 13702 Mercurio e Marte a nominar trascorse. 13703 13704 L’altra dubitazion che ti commove 13705 ha men velen, però che sua malizia 13706 non ti poria menar da me altrove. 13707 13708 Parere ingiusta la nostra giustizia 13709 ne li occhi d’i mortali, è argomento 13710 di fede e non d’eretica nequizia. 13711 13712 Ma perché puote vostro accorgimento 13713 ben penetrare a questa veritate, 13714 come disiri, ti farò contento. 13715 13716 Se vïolenza è quando quel che pate 13717 nïente conferisce a quel che sforza, 13718 non fuor quest’ alme per essa scusate: 13719 13720 ché volontà, se non vuol, non s’ammorza, 13721 ma fa come natura face in foco, 13722 se mille volte vïolenza il torza. 13723 13724 Per che, s’ella si piega assai o poco, 13725 segue la forza; e così queste fero 13726 possendo rifuggir nel santo loco. 13727 13728 Se fosse stato lor volere intero, 13729 come tenne Lorenzo in su la grada, 13730 e fece Muzio a la sua man severo, 13731 13732 così l’avria ripinte per la strada 13733 ond’ eran tratte, come fuoro sciolte; 13734 ma così salda voglia è troppo rada. 13735 13736 E per queste parole, se ricolte 13737 l’hai come dei, è l’argomento casso 13738 che t’avria fatto noia ancor più volte. 13739 13740 Ma or ti s’attraversa un altro passo 13741 dinanzi a li occhi, tal che per te stesso 13742 non usciresti: pria saresti lasso. 13743 13744 Io t’ho per certo ne la mente messo 13745 ch’alma beata non poria mentire, 13746 però ch’è sempre al primo vero appresso; 13747 13748 e poi potesti da Piccarda udire 13749 che l’affezion del vel Costanza tenne; 13750 sì ch’ella par qui meco contradire. 13751 13752 Molte fïate già, frate, addivenne 13753 che, per fuggir periglio, contra grato 13754 si fé di quel che far non si convenne; 13755 13756 come Almeone, che, di ciò pregato 13757 dal padre suo, la propria madre spense, 13758 per non perder pietà si fé spietato. 13759 13760 A questo punto voglio che tu pense 13761 che la forza al voler si mischia, e fanno 13762 sì che scusar non si posson l’offense. 13763 13764 Voglia assoluta non consente al danno; 13765 ma consentevi in tanto in quanto teme, 13766 se si ritrae, cadere in più affanno. 13767 13768 Però, quando Piccarda quello spreme, 13769 de la voglia assoluta intende, e io 13770 de l’altra; sì che ver diciamo insieme». 13771 13772 Cotal fu l’ondeggiar del santo rio 13773 ch’uscì del fonte ond’ ogne ver deriva; 13774 tal puose in pace uno e altro disio. 13775 13776 «O amanza del primo amante, o diva», 13777 diss’ io appresso, «il cui parlar m’inonda 13778 e scalda sì, che più e più m’avviva, 13779 13780 non è l’affezion mia tanto profonda, 13781 che basti a render voi grazia per grazia; 13782 ma quei che vede e puote a ciò risponda. 13783 13784 Io veggio ben che già mai non si sazia 13785 nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra 13786 di fuor dal qual nessun vero si spazia. 13787 13788 Posasi in esso, come fera in lustra, 13789 tosto che giunto l’ha; e giugner puollo: 13790 se non, ciascun disio sarebbe frustra. 13791 13792 Nasce per quello, a guisa di rampollo, 13793 a piè del vero il dubbio; ed è natura 13794 ch’al sommo pinge noi di collo in collo. 13795 13796 Questo m’invita, questo m’assicura 13797 con reverenza, donna, a dimandarvi 13798 d’un’altra verità che m’è oscura. 13799 13800 Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi 13801 ai voti manchi sì con altri beni, 13802 ch’a la vostra statera non sien parvi». 13803 13804 Beatrice mi guardò con li occhi pieni 13805 di faville d’amor così divini, 13806 che, vinta, mia virtute diè le reni, 13807 13808 e quasi mi perdei con li occhi chini. 13809 13810 13811 13812 Paradiso · Canto V 13813 13814 13815 «S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore 13816 di là dal modo che ’n terra si vede, 13817 sì che del viso tuo vinco il valore, 13818 13819 non ti maravigliar, ché ciò procede 13820 da perfetto veder, che, come apprende, 13821 così nel bene appreso move il piede. 13822 13823 Io veggio ben sì come già resplende 13824 ne l’intelletto tuo l’etterna luce, 13825 che, vista, sola e sempre amore accende; 13826 13827 e s’altra cosa vostro amor seduce, 13828 non è se non di quella alcun vestigio, 13829 mal conosciuto, che quivi traluce. 13830 13831 Tu vuo’ saper se con altro servigio, 13832 per manco voto, si può render tanto 13833 che l’anima sicuri di letigio». 13834 13835 Sì cominciò Beatrice questo canto; 13836 e sì com’ uom che suo parlar non spezza, 13837 continüò così ’l processo santo: 13838 13839 «Lo maggior don che Dio per sua larghezza 13840 fesse creando, e a la sua bontate 13841 più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, 13842 13843 fu de la volontà la libertate; 13844 di che le creature intelligenti, 13845 e tutte e sole, fuoro e son dotate. 13846 13847 Or ti parrà, se tu quinci argomenti, 13848 l’alto valor del voto, s’è sì fatto 13849 che Dio consenta quando tu consenti; 13850 13851 ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto, 13852 vittima fassi di questo tesoro, 13853 tal quale io dico; e fassi col suo atto. 13854 13855 Dunque che render puossi per ristoro? 13856 Se credi bene usar quel c’hai offerto, 13857 di maltolletto vuo’ far buon lavoro. 13858 13859 Tu se’ omai del maggior punto certo; 13860 ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, 13861 che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto, 13862 13863 convienti ancor sedere un poco a mensa, 13864 però che ’l cibo rigido c’hai preso, 13865 richiede ancora aiuto a tua dispensa. 13866 13867 Apri la mente a quel ch’io ti paleso 13868 e fermalvi entro; ché non fa scïenza, 13869 sanza lo ritenere, avere inteso. 13870 13871 Due cose si convegnono a l’essenza 13872 di questo sacrificio: l’una è quella 13873 di che si fa; l’altr’ è la convenenza. 13874 13875 Quest’ ultima già mai non si cancella 13876 se non servata; e intorno di lei 13877 sì preciso di sopra si favella: 13878 13879 però necessitato fu a li Ebrei 13880 pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta 13881 sì permutasse, come saver dei. 13882 13883 L’altra, che per materia t’è aperta, 13884 puote ben esser tal, che non si falla 13885 se con altra materia si converta. 13886 13887 Ma non trasmuti carco a la sua spalla 13888 per suo arbitrio alcun, sanza la volta 13889 e de la chiave bianca e de la gialla; 13890 13891 e ogne permutanza credi stolta, 13892 se la cosa dimessa in la sorpresa 13893 come ’l quattro nel sei non è raccolta. 13894 13895 Però qualunque cosa tanto pesa 13896 per suo valor che tragga ogne bilancia, 13897 sodisfar non si può con altra spesa. 13898 13899 Non prendan li mortali il voto a ciancia; 13900 siate fedeli, e a ciò far non bieci, 13901 come Ieptè a la sua prima mancia; 13902 13903 cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, 13904 che, servando, far peggio; e così stolto 13905 ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, 13906 13907 onde pianse Efigènia il suo bel volto, 13908 e fé pianger di sé i folli e i savi 13909 ch’udir parlar di così fatto cólto. 13910 13911 Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: 13912 non siate come penna ad ogne vento, 13913 e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. 13914 13915 Avete il novo e ’l vecchio Testamento, 13916 e ’l pastor de la Chiesa che vi guida; 13917 questo vi basti a vostro salvamento. 13918 13919 Se mala cupidigia altro vi grida, 13920 uomini siate, e non pecore matte, 13921 sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida! 13922 13923 Non fate com’ agnel che lascia il latte 13924 de la sua madre, e semplice e lascivo 13925 seco medesmo a suo piacer combatte!». 13926 13927 Così Beatrice a me com’ ïo scrivo; 13928 poi si rivolse tutta disïante 13929 a quella parte ove ’l mondo è più vivo. 13930 13931 Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante 13932 puoser silenzio al mio cupido ingegno, 13933 che già nuove questioni avea davante; 13934 13935 e sì come saetta che nel segno 13936 percuote pria che sia la corda queta, 13937 così corremmo nel secondo regno. 13938 13939 Quivi la donna mia vid’ io sì lieta, 13940 come nel lume di quel ciel si mise, 13941 che più lucente se ne fé ’l pianeta. 13942 13943 E se la stella si cambiò e rise, 13944 qual mi fec’ io che pur da mia natura 13945 trasmutabile son per tutte guise! 13946 13947 Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura 13948 traggonsi i pesci a ciò che vien di fori 13949 per modo che lo stimin lor pastura, 13950 13951 sì vid’ io ben più di mille splendori 13952 trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia: 13953 «Ecco chi crescerà li nostri amori». 13954 13955 E sì come ciascuno a noi venìa, 13956 vedeasi l’ombra piena di letizia 13957 nel folgór chiaro che di lei uscia. 13958 13959 Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia 13960 non procedesse, come tu avresti 13961 di più savere angosciosa carizia; 13962 13963 e per te vederai come da questi 13964 m’era in disio d’udir lor condizioni, 13965 sì come a li occhi mi fur manifesti. 13966 13967 «O bene nato a cui veder li troni 13968 del trïunfo etternal concede grazia 13969 prima che la milizia s’abbandoni, 13970 13971 del lume che per tutto il ciel si spazia 13972 noi semo accesi; e però, se disii 13973 di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». 13974 13975 Così da un di quelli spirti pii 13976 detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì 13977 sicuramente, e credi come a dii». 13978 13979 «Io veggio ben sì come tu t’annidi 13980 nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, 13981 perch’ e’ corusca sì come tu ridi; 13982 13983 ma non so chi tu se’, né perché aggi, 13984 anima degna, il grado de la spera 13985 che si vela a’ mortai con altrui raggi». 13986 13987 Questo diss’ io diritto a la lumera 13988 che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi 13989 lucente più assai di quel ch’ell’ era. 13990 13991 Sì come il sol che si cela elli stessi 13992 per troppa luce, come ’l caldo ha róse 13993 le temperanze d’i vapori spessi, 13994 13995 per più letizia sì mi si nascose 13996 dentro al suo raggio la figura santa; 13997 e così chiusa chiusa mi rispuose 13998 13999 nel modo che ’l seguente canto canta. 14000 14001 14002 14003 Paradiso · Canto VI 14004 14005 14006 «Poscia che Costantin l’aquila volse 14007 contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio 14008 dietro a l’antico che Lavina tolse, 14009 14010 cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio 14011 ne lo stremo d’Europa si ritenne, 14012 vicino a’ monti de’ quai prima uscìo; 14013 14014 e sotto l’ombra de le sacre penne 14015 governò ’l mondo lì di mano in mano, 14016 e, sì cangiando, in su la mia pervenne. 14017 14018 Cesare fui e son Iustinïano, 14019 che, per voler del primo amor ch’i’ sento, 14020 d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano. 14021 14022 E prima ch’io a l’ovra fossi attento, 14023 una natura in Cristo esser, non piùe, 14024 credea, e di tal fede era contento; 14025 14026 ma ’l benedetto Agapito, che fue 14027 sommo pastore, a la fede sincera 14028 mi dirizzò con le parole sue. 14029 14030 Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era, 14031 vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi 14032 ogni contradizione e falsa e vera. 14033 14034 Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, 14035 a Dio per grazia piacque di spirarmi 14036 l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi; 14037 14038 e al mio Belisar commendai l’armi, 14039 cui la destra del ciel fu sì congiunta, 14040 che segno fu ch’i’ dovessi posarmi. 14041 14042 Or qui a la question prima s’appunta 14043 la mia risposta; ma sua condizione 14044 mi stringe a seguitare alcuna giunta, 14045 14046 perché tu veggi con quanta ragione 14047 si move contr’ al sacrosanto segno 14048 e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone. 14049 14050 Vedi quanta virtù l’ha fatto degno 14051 di reverenza; e cominciò da l’ora 14052 che Pallante morì per darli regno. 14053 14054 Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora 14055 per trecento anni e oltre, infino al fine 14056 che i tre a’ tre pugnar per lui ancora. 14057 14058 E sai ch’el fé dal mal de le Sabine 14059 al dolor di Lucrezia in sette regi, 14060 vincendo intorno le genti vicine. 14061 14062 Sai quel ch’el fé portato da li egregi 14063 Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, 14064 incontro a li altri principi e collegi; 14065 14066 onde Torquato e Quinzio, che dal cirro 14067 negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi 14068 ebber la fama che volontier mirro. 14069 14070 Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi 14071 che di retro ad Anibale passaro 14072 l’alpestre rocce, Po, di che tu labi. 14073 14074 Sott’ esso giovanetti trïunfaro 14075 Scipïone e Pompeo; e a quel colle 14076 sotto ’l qual tu nascesti parve amaro. 14077 14078 Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle 14079 redur lo mondo a suo modo sereno, 14080 Cesare per voler di Roma il tolle. 14081 14082 E quel che fé da Varo infino a Reno, 14083 Isara vide ed Era e vide Senna 14084 e ogne valle onde Rodano è pieno. 14085 14086 Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna 14087 e saltò Rubicon, fu di tal volo, 14088 che nol seguiteria lingua né penna. 14089 14090 Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo, 14091 poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse 14092 sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo. 14093 14094 Antandro e Simeonta, onde si mosse, 14095 rivide e là dov’ Ettore si cuba; 14096 e mal per Tolomeo poscia si scosse. 14097 14098 Da indi scese folgorando a Iuba; 14099 onde si volse nel vostro occidente, 14100 ove sentia la pompeana tuba. 14101 14102 Di quel che fé col baiulo seguente, 14103 Bruto con Cassio ne l’inferno latra, 14104 e Modena e Perugia fu dolente. 14105 14106 Piangene ancor la trista Cleopatra, 14107 che, fuggendoli innanzi, dal colubro 14108 la morte prese subitana e atra. 14109 14110 Con costui corse infino al lito rubro; 14111 con costui puose il mondo in tanta pace, 14112 che fu serrato a Giano il suo delubro. 14113 14114 Ma ciò che ’l segno che parlar mi face 14115 fatto avea prima e poi era fatturo 14116 per lo regno mortal ch’a lui soggiace, 14117 14118 diventa in apparenza poco e scuro, 14119 se in mano al terzo Cesare si mira 14120 con occhio chiaro e con affetto puro; 14121 14122 ché la viva giustizia che mi spira, 14123 li concedette, in mano a quel ch’i’ dico, 14124 gloria di far vendetta a la sua ira. 14125 14126 Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco: 14127 poscia con Tito a far vendetta corse 14128 de la vendetta del peccato antico. 14129 14130 E quando il dente longobardo morse 14131 la Santa Chiesa, sotto le sue ali 14132 Carlo Magno, vincendo, la soccorse. 14133 14134 Omai puoi giudicar di quei cotali 14135 ch’io accusai di sopra e di lor falli, 14136 che son cagion di tutti vostri mali. 14137 14138 L’uno al pubblico segno i gigli gialli 14139 oppone, e l’altro appropria quello a parte, 14140 sì ch’è forte a veder chi più si falli. 14141 14142 Faccian li Ghibellin, faccian lor arte 14143 sott’ altro segno, ché mal segue quello 14144 sempre chi la giustizia e lui diparte; 14145 14146 e non l’abbatta esto Carlo novello 14147 coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli 14148 ch’a più alto leon trasser lo vello. 14149 14150 Molte fïate già pianser li figli 14151 per la colpa del padre, e non si creda 14152 che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli! 14153 14154 Questa picciola stella si correda 14155 d’i buoni spirti che son stati attivi 14156 perché onore e fama li succeda: 14157 14158 e quando li disiri poggian quivi, 14159 sì disvïando, pur convien che i raggi 14160 del vero amore in sù poggin men vivi. 14161 14162 Ma nel commensurar d’i nostri gaggi 14163 col merto è parte di nostra letizia, 14164 perché non li vedem minor né maggi. 14165 14166 Quindi addolcisce la viva giustizia 14167 in noi l’affetto sì, che non si puote 14168 torcer già mai ad alcuna nequizia. 14169 14170 Diverse voci fanno dolci note; 14171 così diversi scanni in nostra vita 14172 rendon dolce armonia tra queste rote. 14173 14174 E dentro a la presente margarita 14175 luce la luce di Romeo, di cui 14176 fu l’ovra grande e bella mal gradita. 14177 14178 Ma i Provenzai che fecer contra lui 14179 non hanno riso; e però mal cammina 14180 qual si fa danno del ben fare altrui. 14181 14182 Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, 14183 Ramondo Beringhiere, e ciò li fece 14184 Romeo, persona umìle e peregrina. 14185 14186 E poi il mosser le parole biece 14187 a dimandar ragione a questo giusto, 14188 che li assegnò sette e cinque per diece, 14189 14190 indi partissi povero e vetusto; 14191 e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe 14192 mendicando sua vita a frusto a frusto, 14193 14194 assai lo loda, e più lo loderebbe». 14195 14196 14197 14198 Paradiso · Canto VII 14199 14200 14201 «Osanna, sanctus Deus sabaòth, 14202 superillustrans claritate tua 14203 felices ignes horum malacòth!». 14204 14205 Così, volgendosi a la nota sua, 14206 fu viso a me cantare essa sustanza, 14207 sopra la qual doppio lume s’addua; 14208 14209 ed essa e l’altre mossero a sua danza, 14210 e quasi velocissime faville 14211 mi si velar di sùbita distanza. 14212 14213 Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’ 14214 fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna 14215 che mi diseta con le dolci stille’. 14216 14217 Ma quella reverenza che s’indonna 14218 di tutto me, pur per Be e per ice, 14219 mi richinava come l’uom ch’assonna. 14220 14221 Poco sofferse me cotal Beatrice 14222 e cominciò, raggiandomi d’un riso 14223 tal, che nel foco faria l’uom felice: 14224 14225 «Secondo mio infallibile avviso, 14226 come giusta vendetta giustamente 14227 punita fosse, t’ha in pensier miso; 14228 14229 ma io ti solverò tosto la mente; 14230 e tu ascolta, ché le mie parole 14231 di gran sentenza ti faran presente. 14232 14233 Per non soffrire a la virtù che vole 14234 freno a suo prode, quell’ uom che non nacque, 14235 dannando sé, dannò tutta sua prole; 14236 14237 onde l’umana specie inferma giacque 14238 giù per secoli molti in grande errore, 14239 fin ch’al Verbo di Dio discender piacque 14240 14241 u’ la natura, che dal suo fattore 14242 s’era allungata, unì a sé in persona 14243 con l’atto sol del suo etterno amore. 14244 14245 Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona: 14246 questa natura al suo fattore unita, 14247 qual fu creata, fu sincera e buona; 14248 14249 ma per sé stessa pur fu ella sbandita 14250 di paradiso, però che si torse 14251 da via di verità e da sua vita. 14252 14253 La pena dunque che la croce porse 14254 s’a la natura assunta si misura, 14255 nulla già mai sì giustamente morse; 14256 14257 e così nulla fu di tanta ingiura, 14258 guardando a la persona che sofferse, 14259 in che era contratta tal natura. 14260 14261 Però d’un atto uscir cose diverse: 14262 ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte; 14263 per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse. 14264 14265 Non ti dee oramai parer più forte, 14266 quando si dice che giusta vendetta 14267 poscia vengiata fu da giusta corte. 14268 14269 Ma io veggi’ or la tua mente ristretta 14270 di pensiero in pensier dentro ad un nodo, 14271 del qual con gran disio solver s’aspetta. 14272 14273 Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo; 14274 ma perché Dio volesse, m’è occulto, 14275 a nostra redenzion pur questo modo”. 14276 14277 Questo decreto, frate, sta sepulto 14278 a li occhi di ciascuno il cui ingegno 14279 ne la fiamma d’amor non è adulto. 14280 14281 Veramente, però ch’a questo segno 14282 molto si mira e poco si discerne, 14283 dirò perché tal modo fu più degno. 14284 14285 La divina bontà, che da sé sperne 14286 ogne livore, ardendo in sé, sfavilla 14287 sì che dispiega le bellezze etterne. 14288 14289 Ciò che da lei sanza mezzo distilla 14290 non ha poi fine, perché non si move 14291 la sua imprenta quand’ ella sigilla. 14292 14293 Ciò che da essa sanza mezzo piove 14294 libero è tutto, perché non soggiace 14295 a la virtute de le cose nove. 14296 14297 Più l’è conforme, e però più le piace; 14298 ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia, 14299 ne la più somigliante è più vivace. 14300 14301 Di tutte queste dote s’avvantaggia 14302 l’umana creatura, e s’una manca, 14303 di sua nobilità convien che caggia. 14304 14305 Solo il peccato è quel che la disfranca 14306 e falla dissimìle al sommo bene, 14307 per che del lume suo poco s’imbianca; 14308 14309 e in sua dignità mai non rivene, 14310 se non rïempie, dove colpa vòta, 14311 contra mal dilettar con giuste pene. 14312 14313 Vostra natura, quando peccò tota 14314 nel seme suo, da queste dignitadi, 14315 come di paradiso, fu remota; 14316 14317 né ricovrar potiensi, se tu badi 14318 ben sottilmente, per alcuna via, 14319 sanza passar per un di questi guadi: 14320 14321 o che Dio solo per sua cortesia 14322 dimesso avesse, o che l’uom per sé isso 14323 avesse sodisfatto a sua follia. 14324 14325 Ficca mo l’occhio per entro l’abisso 14326 de l’etterno consiglio, quanto puoi 14327 al mio parlar distrettamente fisso. 14328 14329 Non potea l’uomo ne’ termini suoi 14330 mai sodisfar, per non potere ir giuso 14331 con umiltate obedïendo poi, 14332 14333 quanto disobediendo intese ir suso; 14334 e questa è la cagion per che l’uom fue 14335 da poter sodisfar per sé dischiuso. 14336 14337 Dunque a Dio convenia con le vie sue 14338 riparar l’omo a sua intera vita, 14339 dico con l’una, o ver con amendue. 14340 14341 Ma perché l’ovra tanto è più gradita 14342 da l’operante, quanto più appresenta 14343 de la bontà del core ond’ ell’ è uscita, 14344 14345 la divina bontà che ’l mondo imprenta, 14346 di proceder per tutte le sue vie, 14347 a rilevarvi suso, fu contenta. 14348 14349 Né tra l’ultima notte e ’l primo die 14350 sì alto o sì magnifico processo, 14351 o per l’una o per l’altra, fu o fie: 14352 14353 ché più largo fu Dio a dar sé stesso 14354 per far l’uom sufficiente a rilevarsi, 14355 che s’elli avesse sol da sé dimesso; 14356 14357 e tutti li altri modi erano scarsi 14358 a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio 14359 non fosse umilïato ad incarnarsi. 14360 14361 Or per empierti bene ogne disio, 14362 ritorno a dichiararti in alcun loco, 14363 perché tu veggi lì così com’ io. 14364 14365 Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco, 14366 l’aere e la terra e tutte lor misture 14367 venire a corruzione, e durar poco; 14368 14369 e queste cose pur furon creature; 14370 per che, se ciò ch’è detto è stato vero, 14371 esser dovrien da corruzion sicure”. 14372 14373 Li angeli, frate, e ’l paese sincero 14374 nel qual tu se’, dir si posson creati, 14375 sì come sono, in loro essere intero; 14376 14377 ma li alimenti che tu hai nomati 14378 e quelle cose che di lor si fanno 14379 da creata virtù sono informati. 14380 14381 Creata fu la materia ch’elli hanno; 14382 creata fu la virtù informante 14383 in queste stelle che ’ntorno a lor vanno. 14384 14385 L’anima d’ogne bruto e de le piante 14386 di complession potenzïata tira 14387 lo raggio e ’l moto de le luci sante; 14388 14389 ma vostra vita sanza mezzo spira 14390 la somma beninanza, e la innamora 14391 di sé sì che poi sempre la disira. 14392 14393 E quinci puoi argomentare ancora 14394 vostra resurrezion, se tu ripensi 14395 come l’umana carne fessi allora 14396 14397 che li primi parenti intrambo fensi». 14398 14399 14400 14401 Paradiso · Canto VIII 14402 14403 14404 Solea creder lo mondo in suo periclo 14405 che la bella Ciprigna il folle amore 14406 raggiasse, volta nel terzo epiciclo; 14407 14408 per che non pur a lei faceano onore 14409 di sacrificio e di votivo grido 14410 le genti antiche ne l’antico errore; 14411 14412 ma Dïone onoravano e Cupido, 14413 quella per madre sua, questo per figlio, 14414 e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; 14415 14416 e da costei ond’ io principio piglio 14417 pigliavano il vocabol de la stella 14418 che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. 14419 14420 Io non m’accorsi del salire in ella; 14421 ma d’esservi entro mi fé assai fede 14422 la donna mia ch’i’ vidi far più bella. 14423 14424 E come in fiamma favilla si vede, 14425 e come in voce voce si discerne, 14426 quand’ una è ferma e altra va e riede, 14427 14428 vid’ io in essa luce altre lucerne 14429 muoversi in giro più e men correnti, 14430 al modo, credo, di lor viste interne. 14431 14432 Di fredda nube non disceser venti, 14433 o visibili o no, tanto festini, 14434 che non paressero impediti e lenti 14435 14436 a chi avesse quei lumi divini 14437 veduti a noi venir, lasciando il giro 14438 pria cominciato in li alti Serafini; 14439 14440 e dentro a quei che più innanzi appariro 14441 sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi 14442 di rïudir non fui sanza disiro. 14443 14444 Indi si fece l’un più presso a noi 14445 e solo incominciò: «Tutti sem presti 14446 al tuo piacer, perché di noi ti gioi. 14447 14448 Noi ci volgiam coi principi celesti 14449 d’un giro e d’un girare e d’una sete, 14450 ai quali tu del mondo già dicesti: 14451 14452 ‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’; 14453 e sem sì pien d’amor, che, per piacerti, 14454 non fia men dolce un poco di quïete». 14455 14456 Poscia che li occhi miei si fuoro offerti 14457 a la mia donna reverenti, ed essa 14458 fatti li avea di sé contenti e certi, 14459 14460 rivolsersi a la luce che promessa 14461 tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue 14462 la voce mia di grande affetto impressa. 14463 14464 E quanta e quale vid’ io lei far piùe 14465 per allegrezza nova che s’accrebbe, 14466 quando parlai, a l’allegrezze sue! 14467 14468 Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe 14469 giù poco tempo; e se più fosse stato, 14470 molto sarà di mal, che non sarebbe. 14471 14472 La mia letizia mi ti tien celato 14473 che mi raggia dintorno e mi nasconde 14474 quasi animal di sua seta fasciato. 14475 14476 Assai m’amasti, e avesti ben onde; 14477 che s’io fossi giù stato, io ti mostrava 14478 di mio amor più oltre che le fronde. 14479 14480 Quella sinistra riva che si lava 14481 di Rodano poi ch’è misto con Sorga, 14482 per suo segnore a tempo m’aspettava, 14483 14484 e quel corno d’Ausonia che s’imborga 14485 di Bari e di Gaeta e di Catona, 14486 da ove Tronto e Verde in mare sgorga. 14487 14488 Fulgeami già in fronte la corona 14489 di quella terra che ’l Danubio riga 14490 poi che le ripe tedesche abbandona. 14491 14492 E la bella Trinacria, che caliga 14493 tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo 14494 che riceve da Euro maggior briga, 14495 14496 non per Tifeo ma per nascente solfo, 14497 attesi avrebbe li suoi regi ancora, 14498 nati per me di Carlo e di Ridolfo, 14499 14500 se mala segnoria, che sempre accora 14501 li popoli suggetti, non avesse 14502 mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”. 14503 14504 E se mio frate questo antivedesse, 14505 l’avara povertà di Catalogna 14506 già fuggeria, perché non li offendesse; 14507 14508 ché veramente proveder bisogna 14509 per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca 14510 carcata più d’incarco non si pogna. 14511 14512 La sua natura, che di larga parca 14513 discese, avria mestier di tal milizia 14514 che non curasse di mettere in arca». 14515 14516 «Però ch’i’ credo che l’alta letizia 14517 che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio, 14518 là ’ve ogne ben si termina e s’inizia, 14519 14520 per te si veggia come la vegg’ io, 14521 grata m’è più; e anco quest’ ho caro 14522 perché ’l discerni rimirando in Dio. 14523 14524 Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro, 14525 poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso 14526 com’ esser può, di dolce seme, amaro». 14527 14528 Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso 14529 mostrarti un vero, a quel che tu dimandi 14530 terrai lo viso come tien lo dosso. 14531 14532 Lo ben che tutto il regno che tu scandi 14533 volge e contenta, fa esser virtute 14534 sua provedenza in questi corpi grandi. 14535 14536 E non pur le nature provedute 14537 sono in la mente ch’è da sé perfetta, 14538 ma esse insieme con la lor salute: 14539 14540 per che quantunque quest’ arco saetta 14541 disposto cade a proveduto fine, 14542 sì come cosa in suo segno diretta. 14543 14544 Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine 14545 producerebbe sì li suoi effetti, 14546 che non sarebbero arti, ma ruine; 14547 14548 e ciò esser non può, se li ’ntelletti 14549 che muovon queste stelle non son manchi, 14550 e manco il primo, che non li ha perfetti. 14551 14552 Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?». 14553 E io: «Non già; ché impossibil veggio 14554 che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi». 14555 14556 Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio 14557 per l’omo in terra, se non fosse cive?». 14558 «Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio». 14559 14560 «E puot’ elli esser, se giù non si vive 14561 diversamente per diversi offici? 14562 Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive». 14563 14564 Sì venne deducendo infino a quici; 14565 poscia conchiuse: «Dunque esser diverse 14566 convien di vostri effetti le radici: 14567 14568 per ch’un nasce Solone e altro Serse, 14569 altro Melchisedèch e altro quello 14570 che, volando per l’aere, il figlio perse. 14571 14572 La circular natura, ch’è suggello 14573 a la cera mortal, fa ben sua arte, 14574 ma non distingue l’un da l’altro ostello. 14575 14576 Quinci addivien ch’Esaù si diparte 14577 per seme da Iacòb; e vien Quirino 14578 da sì vil padre, che si rende a Marte. 14579 14580 Natura generata il suo cammino 14581 simil farebbe sempre a’ generanti, 14582 se non vincesse il proveder divino. 14583 14584 Or quel che t’era dietro t’è davanti: 14585 ma perché sappi che di te mi giova, 14586 un corollario voglio che t’ammanti. 14587 14588 Sempre natura, se fortuna trova 14589 discorde a sé, com’ ogne altra semente 14590 fuor di sua regïon, fa mala prova. 14591 14592 E se ’l mondo là giù ponesse mente 14593 al fondamento che natura pone, 14594 seguendo lui, avria buona la gente. 14595 14596 Ma voi torcete a la religïone 14597 tal che fia nato a cignersi la spada, 14598 e fate re di tal ch’è da sermone; 14599 14600 onde la traccia vostra è fuor di strada». 14601 14602 14603 14604 Paradiso · Canto IX 14605 14606 14607 Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, 14608 m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni 14609 che ricever dovea la sua semenza; 14610 14611 ma disse: «Taci e lascia muover li anni»; 14612 sì ch’io non posso dir se non che pianto 14613 giusto verrà di retro ai vostri danni. 14614 14615 E già la vita di quel lume santo 14616 rivolta s’era al Sol che la rïempie 14617 come quel ben ch’a ogne cosa è tanto. 14618 14619 Ahi anime ingannate e fatture empie, 14620 che da sì fatto ben torcete i cuori, 14621 drizzando in vanità le vostre tempie! 14622 14623 Ed ecco un altro di quelli splendori 14624 ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi 14625 significava nel chiarir di fori. 14626 14627 Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi 14628 sovra me, come pria, di caro assenso 14629 al mio disio certificato fermi. 14630 14631 «Deh, metti al mio voler tosto compenso, 14632 beato spirto», dissi, «e fammi prova 14633 ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!». 14634 14635 Onde la luce che m’era ancor nova, 14636 del suo profondo, ond’ ella pria cantava, 14637 seguette come a cui di ben far giova: 14638 14639 «In quella parte de la terra prava 14640 italica che siede tra Rïalto 14641 e le fontane di Brenta e di Piava, 14642 14643 si leva un colle, e non surge molt’ alto, 14644 là onde scese già una facella 14645 che fece a la contrada un grande assalto. 14646 14647 D’una radice nacqui e io ed ella: 14648 Cunizza fui chiamata, e qui refulgo 14649 perché mi vinse il lume d’esta stella; 14650 14651 ma lietamente a me medesma indulgo 14652 la cagion di mia sorte, e non mi noia; 14653 che parria forse forte al vostro vulgo. 14654 14655 Di questa luculenta e cara gioia 14656 del nostro cielo che più m’è propinqua, 14657 grande fama rimase; e pria che moia, 14658 14659 questo centesimo anno ancor s’incinqua: 14660 vedi se far si dee l’omo eccellente, 14661 sì ch’altra vita la prima relinqua. 14662 14663 E ciò non pensa la turba presente 14664 che Tagliamento e Adice richiude, 14665 né per esser battuta ancor si pente; 14666 14667 ma tosto fia che Padova al palude 14668 cangerà l’acqua che Vincenza bagna, 14669 per essere al dover le genti crude; 14670 14671 e dove Sile e Cagnan s’accompagna, 14672 tal signoreggia e va con la testa alta, 14673 che già per lui carpir si fa la ragna. 14674 14675 Piangerà Feltro ancora la difalta 14676 de l’empio suo pastor, che sarà sconcia 14677 sì, che per simil non s’entrò in malta. 14678 14679 Troppo sarebbe larga la bigoncia 14680 che ricevesse il sangue ferrarese, 14681 e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia, 14682 14683 che donerà questo prete cortese 14684 per mostrarsi di parte; e cotai doni 14685 conformi fieno al viver del paese. 14686 14687 Sù sono specchi, voi dicete Troni, 14688 onde refulge a noi Dio giudicante; 14689 sì che questi parlar ne paion buoni». 14690 14691 Qui si tacette; e fecemi sembiante 14692 che fosse ad altro volta, per la rota 14693 in che si mise com’ era davante. 14694 14695 L’altra letizia, che m’era già nota 14696 per cara cosa, mi si fece in vista 14697 qual fin balasso in che lo sol percuota. 14698 14699 Per letiziar là sù fulgor s’acquista, 14700 sì come riso qui; ma giù s’abbuia 14701 l’ombra di fuor, come la mente è trista. 14702 14703 «Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia», 14704 diss’ io, «beato spirto, sì che nulla 14705 voglia di sé a te puot’ esser fuia. 14706 14707 Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla 14708 sempre col canto di quei fuochi pii 14709 che di sei ali facen la coculla, 14710 14711 perché non satisface a’ miei disii? 14712 Già non attendere’ io tua dimanda, 14713 s’io m’intuassi, come tu t’inmii». 14714 14715 «La maggior valle in che l’acqua si spanda», 14716 incominciaro allor le sue parole, 14717 «fuor di quel mar che la terra inghirlanda, 14718 14719 tra ’ discordanti liti contra ’l sole 14720 tanto sen va, che fa meridïano 14721 là dove l’orizzonte pria far suole. 14722 14723 Di quella valle fu’ io litorano 14724 tra Ebro e Macra, che per cammin corto 14725 parte lo Genovese dal Toscano. 14726 14727 Ad un occaso quasi e ad un orto 14728 Buggea siede e la terra ond’ io fui, 14729 che fé del sangue suo già caldo il porto. 14730 14731 Folco mi disse quella gente a cui 14732 fu noto il nome mio; e questo cielo 14733 di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui; 14734 14735 ché più non arse la figlia di Belo, 14736 noiando e a Sicheo e a Creusa, 14737 di me, infin che si convenne al pelo; 14738 14739 né quella Rodopëa che delusa 14740 fu da Demofoonte, né Alcide 14741 quando Iole nel core ebbe rinchiusa. 14742 14743 Non però qui si pente, ma si ride, 14744 non de la colpa, ch’a mente non torna, 14745 ma del valor ch’ordinò e provide. 14746 14747 Qui si rimira ne l’arte ch’addorna 14748 cotanto affetto, e discernesi ’l bene 14749 per che ’l mondo di sù quel di giù torna. 14750 14751 Ma perché tutte le tue voglie piene 14752 ten porti che son nate in questa spera, 14753 proceder ancor oltre mi convene. 14754 14755 Tu vuo’ saper chi è in questa lumera 14756 che qui appresso me così scintilla 14757 come raggio di sole in acqua mera. 14758 14759 Or sappi che là entro si tranquilla 14760 Raab; e a nostr’ ordine congiunta, 14761 di lei nel sommo grado si sigilla. 14762 14763 Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta 14764 che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma 14765 del trïunfo di Cristo fu assunta. 14766 14767 Ben si convenne lei lasciar per palma 14768 in alcun cielo de l’alta vittoria 14769 che s’acquistò con l’una e l’altra palma, 14770 14771 perch’ ella favorò la prima gloria 14772 di Iosüè in su la Terra Santa, 14773 che poco tocca al papa la memoria. 14774 14775 La tua città, che di colui è pianta 14776 che pria volse le spalle al suo fattore 14777 e di cui è la ’nvidia tanto pianta, 14778 14779 produce e spande il maladetto fiore 14780 c’ha disvïate le pecore e li agni, 14781 però che fatto ha lupo del pastore. 14782 14783 Per questo l’Evangelio e i dottor magni 14784 son derelitti, e solo ai Decretali 14785 si studia, sì che pare a’ lor vivagni. 14786 14787 A questo intende il papa e ’ cardinali; 14788 non vanno i lor pensieri a Nazarette, 14789 là dove Gabrïello aperse l’ali. 14790 14791 Ma Vaticano e l’altre parti elette 14792 di Roma che son state cimitero 14793 a la milizia che Pietro seguette, 14794 14795 tosto libere fien de l’avoltero». 14796 14797 14798 14799 Paradiso · Canto X 14800 14801 14802 Guardando nel suo Figlio con l’Amore 14803 che l’uno e l’altro etternalmente spira, 14804 lo primo e ineffabile Valore 14805 14806 quanto per mente e per loco si gira 14807 con tant’ ordine fé, ch’esser non puote 14808 sanza gustar di lui chi ciò rimira. 14809 14810 Leva dunque, lettore, a l’alte rote 14811 meco la vista, dritto a quella parte 14812 dove l’un moto e l’altro si percuote; 14813 14814 e lì comincia a vagheggiar ne l’arte 14815 di quel maestro che dentro a sé l’ama, 14816 tanto che mai da lei l’occhio non parte. 14817 14818 Vedi come da indi si dirama 14819 l’oblico cerchio che i pianeti porta, 14820 per sodisfare al mondo che li chiama. 14821 14822 Che se la strada lor non fosse torta, 14823 molta virtù nel ciel sarebbe in vano, 14824 e quasi ogne potenza qua giù morta; 14825 14826 e se dal dritto più o men lontano 14827 fosse ’l partire, assai sarebbe manco 14828 e giù e sù de l’ordine mondano. 14829 14830 Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco, 14831 dietro pensando a ciò che si preliba, 14832 s’esser vuoi lieto assai prima che stanco. 14833 14834 Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba; 14835 ché a sé torce tutta la mia cura 14836 quella materia ond’ io son fatto scriba. 14837 14838 Lo ministro maggior de la natura, 14839 che del valor del ciel lo mondo imprenta 14840 e col suo lume il tempo ne misura, 14841 14842 con quella parte che sù si rammenta 14843 congiunto, si girava per le spire 14844 in che più tosto ognora s’appresenta; 14845 14846 e io era con lui; ma del salire 14847 non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge, 14848 anzi ’l primo pensier, del suo venire. 14849 14850 È Bëatrice quella che sì scorge 14851 di bene in meglio, sì subitamente 14852 che l’atto suo per tempo non si sporge. 14853 14854 Quant’ esser convenia da sé lucente 14855 quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi, 14856 non per color, ma per lume parvente! 14857 14858 Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami, 14859 sì nol direi che mai s’imaginasse; 14860 ma creder puossi e di veder si brami. 14861 14862 E se le fantasie nostre son basse 14863 a tanta altezza, non è maraviglia; 14864 ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse. 14865 14866 Tal era quivi la quarta famiglia 14867 de l’alto Padre, che sempre la sazia, 14868 mostrando come spira e come figlia. 14869 14870 E Bëatrice cominciò: «Ringrazia, 14871 ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo 14872 sensibil t’ha levato per sua grazia». 14873 14874 Cor di mortal non fu mai sì digesto 14875 a divozione e a rendersi a Dio 14876 con tutto ’l suo gradir cotanto presto, 14877 14878 come a quelle parole mi fec’ io; 14879 e sì tutto ’l mio amore in lui si mise, 14880 che Bëatrice eclissò ne l’oblio. 14881 14882 Non le dispiacque; ma sì se ne rise, 14883 che lo splendor de li occhi suoi ridenti 14884 mia mente unita in più cose divise. 14885 14886 Io vidi più folgór vivi e vincenti 14887 far di noi centro e di sé far corona, 14888 più dolci in voce che in vista lucenti: 14889 14890 così cinger la figlia di Latona 14891 vedem talvolta, quando l’aere è pregno, 14892 sì che ritenga il fil che fa la zona. 14893 14894 Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno, 14895 si trovan molte gioie care e belle 14896 tanto che non si posson trar del regno; 14897 14898 e ’l canto di quei lumi era di quelle; 14899 chi non s’impenna sì che là sù voli, 14900 dal muto aspetti quindi le novelle. 14901 14902 Poi, sì cantando, quelli ardenti soli 14903 si fuor girati intorno a noi tre volte, 14904 come stelle vicine a’ fermi poli, 14905 14906 donne mi parver, non da ballo sciolte, 14907 ma che s’arrestin tacite, ascoltando 14908 fin che le nove note hanno ricolte. 14909 14910 E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando 14911 lo raggio de la grazia, onde s’accende 14912 verace amore e che poi cresce amando, 14913 14914 multiplicato in te tanto resplende, 14915 che ti conduce su per quella scala 14916 u’ sanza risalir nessun discende; 14917 14918 qual ti negasse il vin de la sua fiala 14919 per la tua sete, in libertà non fora 14920 se non com’ acqua ch’al mar non si cala. 14921 14922 Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora 14923 questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia 14924 la bella donna ch’al ciel t’avvalora. 14925 14926 Io fui de li agni de la santa greggia 14927 che Domenico mena per cammino 14928 u’ ben s’impingua se non si vaneggia. 14929 14930 Questi che m’è a destra più vicino, 14931 frate e maestro fummi, ed esso Alberto 14932 è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. 14933 14934 Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo, 14935 di retro al mio parlar ten vien col viso 14936 girando su per lo beato serto. 14937 14938 Quell’ altro fiammeggiare esce del riso 14939 di Grazïan, che l’uno e l’altro foro 14940 aiutò sì che piace in paradiso. 14941 14942 L’altro ch’appresso addorna il nostro coro, 14943 quel Pietro fu che con la poverella 14944 offerse a Santa Chiesa suo tesoro. 14945 14946 La quinta luce, ch’è tra noi più bella, 14947 spira di tale amor, che tutto ’l mondo 14948 là giù ne gola di saper novella: 14949 14950 entro v’è l’alta mente u’ sì profondo 14951 saver fu messo, che, se ’l vero è vero, 14952 a veder tanto non surse il secondo. 14953 14954 Appresso vedi il lume di quel cero 14955 che giù in carne più a dentro vide 14956 l’angelica natura e ’l ministero. 14957 14958 Ne l’altra piccioletta luce ride 14959 quello avvocato de’ tempi cristiani 14960 del cui latino Augustin si provide. 14961 14962 Or se tu l’occhio de la mente trani 14963 di luce in luce dietro a le mie lode, 14964 già de l’ottava con sete rimani. 14965 14966 Per vedere ogne ben dentro vi gode 14967 l’anima santa che ’l mondo fallace 14968 fa manifesto a chi di lei ben ode. 14969 14970 Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace 14971 giuso in Cieldauro; ed essa da martiro 14972 e da essilio venne a questa pace. 14973 14974 Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro 14975 d’Isidoro, di Beda e di Riccardo, 14976 che a considerar fu più che viro. 14977 14978 Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, 14979 è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri 14980 gravi a morir li parve venir tardo: 14981 14982 essa è la luce etterna di Sigieri, 14983 che, leggendo nel Vico de li Strami, 14984 silogizzò invidïosi veri». 14985 14986 Indi, come orologio che ne chiami 14987 ne l’ora che la sposa di Dio surge 14988 a mattinar lo sposo perché l’ami, 14989 14990 che l’una parte e l’altra tira e urge, 14991 tin tin sonando con sì dolce nota, 14992 che ’l ben disposto spirto d’amor turge; 14993 14994 così vid’ ïo la gloriosa rota 14995 muoversi e render voce a voce in tempra 14996 e in dolcezza ch’esser non pò nota 14997 14998 se non colà dove gioir s’insempra. 14999 15000 15001 15002 Paradiso · Canto XI 15003 15004 15005 O insensata cura de’ mortali, 15006 quanto son difettivi silogismi 15007 quei che ti fanno in basso batter l’ali! 15008 15009 Chi dietro a iura e chi ad amforismi 15010 sen giva, e chi seguendo sacerdozio, 15011 e chi regnar per forza o per sofismi, 15012 15013 e chi rubare e chi civil negozio, 15014 chi nel diletto de la carne involto 15015 s’affaticava e chi si dava a l’ozio, 15016 15017 quando, da tutte queste cose sciolto, 15018 con Bëatrice m’era suso in cielo 15019 cotanto glorïosamente accolto. 15020 15021 Poi che ciascuno fu tornato ne lo 15022 punto del cerchio in che avanti s’era, 15023 fermossi, come a candellier candelo. 15024 15025 E io senti’ dentro a quella lumera 15026 che pria m’avea parlato, sorridendo 15027 incominciar, faccendosi più mera: 15028 15029 «Così com’ io del suo raggio resplendo, 15030 sì, riguardando ne la luce etterna, 15031 li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. 15032 15033 Tu dubbi, e hai voler che si ricerna 15034 in sì aperta e ’n sì distesa lingua 15035 lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna, 15036 15037 ove dinanzi dissi: “U’ ben s’impingua”, 15038 e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”; 15039 e qui è uopo che ben si distingua. 15040 15041 La provedenza, che governa il mondo 15042 con quel consiglio nel quale ogne aspetto 15043 creato è vinto pria che vada al fondo, 15044 15045 però che andasse ver’ lo suo diletto 15046 la sposa di colui ch’ad alte grida 15047 disposò lei col sangue benedetto, 15048 15049 in sé sicura e anche a lui più fida, 15050 due principi ordinò in suo favore, 15051 che quinci e quindi le fosser per guida. 15052 15053 L’un fu tutto serafico in ardore; 15054 l’altro per sapïenza in terra fue 15055 di cherubica luce uno splendore. 15056 15057 De l’un dirò, però che d’amendue 15058 si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, 15059 perch’ ad un fine fur l’opere sue. 15060 15061 Intra Tupino e l’acqua che discende 15062 del colle eletto dal beato Ubaldo, 15063 fertile costa d’alto monte pende, 15064 15065 onde Perugia sente freddo e caldo 15066 da Porta Sole; e di rietro le piange 15067 per grave giogo Nocera con Gualdo. 15068 15069 Di questa costa, là dov’ ella frange 15070 più sua rattezza, nacque al mondo un sole, 15071 come fa questo talvolta di Gange. 15072 15073 Però chi d’esso loco fa parole, 15074 non dica Ascesi, ché direbbe corto, 15075 ma Orïente, se proprio dir vuole. 15076 15077 Non era ancor molto lontan da l’orto, 15078 ch’el cominciò a far sentir la terra 15079 de la sua gran virtute alcun conforto; 15080 15081 ché per tal donna, giovinetto, in guerra 15082 del padre corse, a cui, come a la morte, 15083 la porta del piacer nessun diserra; 15084 15085 e dinanzi a la sua spirital corte 15086 et coram patre le si fece unito; 15087 poscia di dì in dì l’amò più forte. 15088 15089 Questa, privata del primo marito, 15090 millecent’ anni e più dispetta e scura 15091 fino a costui si stette sanza invito; 15092 15093 né valse udir che la trovò sicura 15094 con Amiclate, al suon de la sua voce, 15095 colui ch’a tutto ’l mondo fé paura; 15096 15097 né valse esser costante né feroce, 15098 sì che, dove Maria rimase giuso, 15099 ella con Cristo pianse in su la croce. 15100 15101 Ma perch’ io non proceda troppo chiuso, 15102 Francesco e Povertà per questi amanti 15103 prendi oramai nel mio parlar diffuso. 15104 15105 La lor concordia e i lor lieti sembianti, 15106 amore e maraviglia e dolce sguardo 15107 facieno esser cagion di pensier santi; 15108 15109 tanto che ’l venerabile Bernardo 15110 si scalzò prima, e dietro a tanta pace 15111 corse e, correndo, li parve esser tardo. 15112 15113 Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! 15114 Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro 15115 dietro a lo sposo, sì la sposa piace. 15116 15117 Indi sen va quel padre e quel maestro 15118 con la sua donna e con quella famiglia 15119 che già legava l’umile capestro. 15120 15121 Né li gravò viltà di cuor le ciglia 15122 per esser fi’ di Pietro Bernardone, 15123 né per parer dispetto a maraviglia; 15124 15125 ma regalmente sua dura intenzione 15126 ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe 15127 primo sigillo a sua religïone. 15128 15129 Poi che la gente poverella crebbe 15130 dietro a costui, la cui mirabil vita 15131 meglio in gloria del ciel si canterebbe, 15132 15133 di seconda corona redimita 15134 fu per Onorio da l’Etterno Spiro 15135 la santa voglia d’esto archimandrita. 15136 15137 E poi che, per la sete del martiro, 15138 ne la presenza del Soldan superba 15139 predicò Cristo e li altri che ’l seguiro, 15140 15141 e per trovare a conversione acerba 15142 troppo la gente e per non stare indarno, 15143 redissi al frutto de l’italica erba, 15144 15145 nel crudo sasso intra Tevero e Arno 15146 da Cristo prese l’ultimo sigillo, 15147 che le sue membra due anni portarno. 15148 15149 Quando a colui ch’a tanto ben sortillo 15150 piacque di trarlo suso a la mercede 15151 ch’el meritò nel suo farsi pusillo, 15152 15153 a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede, 15154 raccomandò la donna sua più cara, 15155 e comandò che l’amassero a fede; 15156 15157 e del suo grembo l’anima preclara 15158 mover si volle, tornando al suo regno, 15159 e al suo corpo non volle altra bara. 15160 15161 Pensa oramai qual fu colui che degno 15162 collega fu a mantener la barca 15163 di Pietro in alto mar per dritto segno; 15164 15165 e questo fu il nostro patrïarca; 15166 per che qual segue lui, com’ el comanda, 15167 discerner puoi che buone merce carca. 15168 15169 Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda 15170 è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote 15171 che per diversi salti non si spanda; 15172 15173 e quanto le sue pecore remote 15174 e vagabunde più da esso vanno, 15175 più tornano a l’ovil di latte vòte. 15176 15177 Ben son di quelle che temono ’l danno 15178 e stringonsi al pastor; ma son sì poche, 15179 che le cappe fornisce poco panno. 15180 15181 Or, se le mie parole non son fioche, 15182 se la tua audïenza è stata attenta, 15183 se ciò ch’è detto a la mente revoche, 15184 15185 in parte fia la tua voglia contenta, 15186 perché vedrai la pianta onde si scheggia, 15187 e vedra’ il corrègger che argomenta 15188 15189 “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”». 15190 15191 15192 15193 Paradiso · Canto XII 15194 15195 15196 Sì tosto come l’ultima parola 15197 la benedetta fiamma per dir tolse, 15198 a rotar cominciò la santa mola; 15199 15200 e nel suo giro tutta non si volse 15201 prima ch’un’altra di cerchio la chiuse, 15202 e moto a moto e canto a canto colse; 15203 15204 canto che tanto vince nostre muse, 15205 nostre serene in quelle dolci tube, 15206 quanto primo splendor quel ch’e’ refuse. 15207 15208 Come si volgon per tenera nube 15209 due archi paralelli e concolori, 15210 quando Iunone a sua ancella iube, 15211 15212 nascendo di quel d’entro quel di fori, 15213 a guisa del parlar di quella vaga 15214 ch’amor consunse come sol vapori, 15215 15216 e fanno qui la gente esser presaga, 15217 per lo patto che Dio con Noè puose, 15218 del mondo che già mai più non s’allaga: 15219 15220 così di quelle sempiterne rose 15221 volgiensi circa noi le due ghirlande, 15222 e sì l’estrema a l’intima rispuose. 15223 15224 Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande, 15225 sì del cantare e sì del fiammeggiarsi 15226 luce con luce gaudïose e blande, 15227 15228 insieme a punto e a voler quetarsi, 15229 pur come li occhi ch’al piacer che i move 15230 conviene insieme chiudere e levarsi; 15231 15232 del cor de l’una de le luci nove 15233 si mosse voce, che l’ago a la stella 15234 parer mi fece in volgermi al suo dove; 15235 15236 e cominciò: «L’amor che mi fa bella 15237 mi tragge a ragionar de l’altro duca 15238 per cui del mio sì ben ci si favella. 15239 15240 Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca: 15241 sì che, com’ elli ad una militaro, 15242 così la gloria loro insieme luca. 15243 15244 L’essercito di Cristo, che sì caro 15245 costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna 15246 si movea tardo, sospeccioso e raro, 15247 15248 quando lo ’mperador che sempre regna 15249 provide a la milizia, ch’era in forse, 15250 per sola grazia, non per esser degna; 15251 15252 e, come è detto, a sua sposa soccorse 15253 con due campioni, al cui fare, al cui dire 15254 lo popol disvïato si raccorse. 15255 15256 In quella parte ove surge ad aprire 15257 Zefiro dolce le novelle fronde 15258 di che si vede Europa rivestire, 15259 15260 non molto lungi al percuoter de l’onde 15261 dietro a le quali, per la lunga foga, 15262 lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, 15263 15264 siede la fortunata Calaroga 15265 sotto la protezion del grande scudo 15266 in che soggiace il leone e soggioga: 15267 15268 dentro vi nacque l’amoroso drudo 15269 de la fede cristiana, il santo atleta 15270 benigno a’ suoi e a’ nemici crudo; 15271 15272 e come fu creata, fu repleta 15273 sì la sua mente di viva vertute 15274 che, ne la madre, lei fece profeta. 15275 15276 Poi che le sponsalizie fuor compiute 15277 al sacro fonte intra lui e la Fede, 15278 u’ si dotar di mutüa salute, 15279 15280 la donna che per lui l’assenso diede, 15281 vide nel sonno il mirabile frutto 15282 ch’uscir dovea di lui e de le rede; 15283 15284 e perché fosse qual era in costrutto, 15285 quinci si mosse spirito a nomarlo 15286 del possessivo di cui era tutto. 15287 15288 Domenico fu detto; e io ne parlo 15289 sì come de l’agricola che Cristo 15290 elesse a l’orto suo per aiutarlo. 15291 15292 Ben parve messo e famigliar di Cristo: 15293 che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto, 15294 fu al primo consiglio che diè Cristo. 15295 15296 Spesse fïate fu tacito e desto 15297 trovato in terra da la sua nutrice, 15298 come dicesse: ‘Io son venuto a questo’. 15299 15300 Oh padre suo veramente Felice! 15301 oh madre sua veramente Giovanna, 15302 se, interpretata, val come si dice! 15303 15304 Non per lo mondo, per cui mo s’affanna 15305 di retro ad Ostïense e a Taddeo, 15306 ma per amor de la verace manna 15307 15308 in picciol tempo gran dottor si feo; 15309 tal che si mise a circüir la vigna 15310 che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo. 15311 15312 E a la sedia che fu già benigna 15313 più a’ poveri giusti, non per lei, 15314 ma per colui che siede, che traligna, 15315 15316 non dispensare o due o tre per sei, 15317 non la fortuna di prima vacante, 15318 non decimas, quae sunt pauperum Dei, 15319 15320 addimandò, ma contro al mondo errante 15321 licenza di combatter per lo seme 15322 del qual ti fascian ventiquattro piante. 15323 15324 Poi, con dottrina e con volere insieme, 15325 con l’officio appostolico si mosse 15326 quasi torrente ch’alta vena preme; 15327 15328 e ne li sterpi eretici percosse 15329 l’impeto suo, più vivamente quivi 15330 dove le resistenze eran più grosse. 15331 15332 Di lui si fecer poi diversi rivi 15333 onde l’orto catolico si riga, 15334 sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. 15335 15336 Se tal fu l’una rota de la biga 15337 in che la Santa Chiesa si difese 15338 e vinse in campo la sua civil briga, 15339 15340 ben ti dovrebbe assai esser palese 15341 l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma 15342 dinanzi al mio venir fu sì cortese. 15343 15344 Ma l’orbita che fé la parte somma 15345 di sua circunferenza, è derelitta, 15346 sì ch’è la muffa dov’ era la gromma. 15347 15348 La sua famiglia, che si mosse dritta 15349 coi piedi a le sue orme, è tanto volta, 15350 che quel dinanzi a quel di retro gitta; 15351 15352 e tosto si vedrà de la ricolta 15353 de la mala coltura, quando il loglio 15354 si lagnerà che l’arca li sia tolta. 15355 15356 Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio 15357 nostro volume, ancor troveria carta 15358 u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”; 15359 15360 ma non fia da Casal né d’Acquasparta, 15361 là onde vegnon tali a la scrittura, 15362 ch’uno la fugge e altro la coarta. 15363 15364 Io son la vita di Bonaventura 15365 da Bagnoregio, che ne’ grandi offici 15366 sempre pospuosi la sinistra cura. 15367 15368 Illuminato e Augustin son quici, 15369 che fuor de’ primi scalzi poverelli 15370 che nel capestro a Dio si fero amici. 15371 15372 Ugo da San Vittore è qui con elli, 15373 e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, 15374 lo qual giù luce in dodici libelli; 15375 15376 Natàn profeta e ’l metropolitano 15377 Crisostomo e Anselmo e quel Donato 15378 ch’a la prim’ arte degnò porre mano. 15379 15380 Rabano è qui, e lucemi dallato 15381 il calavrese abate Giovacchino 15382 di spirito profetico dotato. 15383 15384 Ad inveggiar cotanto paladino 15385 mi mosse l’infiammata cortesia 15386 di fra Tommaso e ’l discreto latino; 15387 15388 e mosse meco questa compagnia». 15389 15390 15391 15392 Paradiso · Canto XIII 15393 15394 15395 Imagini, chi bene intender cupe 15396 quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image, 15397 mentre ch’io dico, come ferma rupe—, 15398 15399 quindici stelle che ’n diverse plage 15400 lo ciel avvivan di tanto sereno 15401 che soperchia de l’aere ogne compage; 15402 15403 imagini quel carro a cu’ il seno 15404 basta del nostro cielo e notte e giorno, 15405 sì ch’al volger del temo non vien meno; 15406 15407 imagini la bocca di quel corno 15408 che si comincia in punta de lo stelo 15409 a cui la prima rota va dintorno, 15410 15411 aver fatto di sé due segni in cielo, 15412 qual fece la figliuola di Minoi 15413 allora che sentì di morte il gelo; 15414 15415 e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, 15416 e amendue girarsi per maniera 15417 che l’uno andasse al primo e l’altro al poi; 15418 15419 e avrà quasi l’ombra de la vera 15420 costellazione e de la doppia danza 15421 che circulava il punto dov’ io era: 15422 15423 poi ch’è tanto di là da nostra usanza, 15424 quanto di là dal mover de la Chiana 15425 si move il ciel che tutti li altri avanza. 15426 15427 Lì si cantò non Bacco, non Peana, 15428 ma tre persone in divina natura, 15429 e in una persona essa e l’umana. 15430 15431 Compié ’l cantare e ’l volger sua misura; 15432 e attesersi a noi quei santi lumi, 15433 felicitando sé di cura in cura. 15434 15435 Ruppe il silenzio ne’ concordi numi 15436 poscia la luce in che mirabil vita 15437 del poverel di Dio narrata fumi, 15438 15439 e disse: «Quando l’una paglia è trita, 15440 quando la sua semenza è già riposta, 15441 a batter l’altra dolce amor m’invita. 15442 15443 Tu credi che nel petto onde la costa 15444 si trasse per formar la bella guancia 15445 il cui palato a tutto ’l mondo costa, 15446 15447 e in quel che, forato da la lancia, 15448 e prima e poscia tanto sodisfece, 15449 che d’ogne colpa vince la bilancia, 15450 15451 quantunque a la natura umana lece 15452 aver di lume, tutto fosse infuso 15453 da quel valor che l’uno e l’altro fece; 15454 15455 e però miri a ciò ch’io dissi suso, 15456 quando narrai che non ebbe ’l secondo 15457 lo ben che ne la quinta luce è chiuso. 15458 15459 Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, 15460 e vedräi il tuo credere e ’l mio dire 15461 nel vero farsi come centro in tondo. 15462 15463 Ciò che non more e ciò che può morire 15464 non è se non splendor di quella idea 15465 che partorisce, amando, il nostro Sire; 15466 15467 ché quella viva luce che sì mea 15468 dal suo lucente, che non si disuna 15469 da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, 15470 15471 per sua bontate il suo raggiare aduna, 15472 quasi specchiato, in nove sussistenze, 15473 etternalmente rimanendosi una. 15474 15475 Quindi discende a l’ultime potenze 15476 giù d’atto in atto, tanto divenendo, 15477 che più non fa che brevi contingenze; 15478 15479 e queste contingenze essere intendo 15480 le cose generate, che produce 15481 con seme e sanza seme il ciel movendo. 15482 15483 La cera di costoro e chi la duce 15484 non sta d’un modo; e però sotto ’l segno 15485 idëale poi più e men traluce. 15486 15487 Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno, 15488 secondo specie, meglio e peggio frutta; 15489 e voi nascete con diverso ingegno. 15490 15491 Se fosse a punto la cera dedutta 15492 e fosse il cielo in sua virtù supprema, 15493 la luce del suggel parrebbe tutta; 15494 15495 ma la natura la dà sempre scema, 15496 similemente operando a l’artista 15497 ch’a l’abito de l’arte ha man che trema. 15498 15499 Però se ’l caldo amor la chiara vista 15500 de la prima virtù dispone e segna, 15501 tutta la perfezion quivi s’acquista. 15502 15503 Così fu fatta già la terra degna 15504 di tutta l’animal perfezïone; 15505 così fu fatta la Vergine pregna; 15506 15507 sì ch’io commendo tua oppinïone, 15508 che l’umana natura mai non fue 15509 né fia qual fu in quelle due persone. 15510 15511 Or s’i’ non procedesse avanti piùe, 15512 ‘Dunque, come costui fu sanza pare?’ 15513 comincerebber le parole tue. 15514 15515 Ma perché paia ben ciò che non pare, 15516 pensa chi era, e la cagion che ’l mosse, 15517 quando fu detto “Chiedi”, a dimandare. 15518 15519 Non ho parlato sì, che tu non posse 15520 ben veder ch’el fu re, che chiese senno 15521 acciò che re sufficïente fosse; 15522 15523 non per sapere il numero in che enno 15524 li motor di qua sù, o se necesse 15525 con contingente mai necesse fenno; 15526 15527 non si est dare primum motum esse, 15528 o se del mezzo cerchio far si puote 15529 trïangol sì ch’un retto non avesse. 15530 15531 Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, 15532 regal prudenza è quel vedere impari 15533 in che lo stral di mia intenzion percuote; 15534 15535 e se al “surse” drizzi li occhi chiari, 15536 vedrai aver solamente respetto 15537 ai regi, che son molti, e ’ buon son rari. 15538 15539 Con questa distinzion prendi ’l mio detto; 15540 e così puote star con quel che credi 15541 del primo padre e del nostro Diletto. 15542 15543 E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, 15544 per farti mover lento com’ uom lasso 15545 e al sì e al no che tu non vedi: 15546 15547 ché quelli è tra li stolti bene a basso, 15548 che sanza distinzione afferma e nega 15549 ne l’un così come ne l’altro passo; 15550 15551 perch’ elli ’ncontra che più volte piega 15552 l’oppinïon corrente in falsa parte, 15553 e poi l’affetto l’intelletto lega. 15554 15555 Vie più che ’ndarno da riva si parte, 15556 perché non torna tal qual e’ si move, 15557 chi pesca per lo vero e non ha l’arte. 15558 15559 E di ciò sono al mondo aperte prove 15560 Parmenide, Melisso e Brisso e molti, 15561 li quali andaro e non sapëan dove; 15562 15563 sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti 15564 che furon come spade a le Scritture 15565 in render torti li diritti volti. 15566 15567 Non sien le genti, ancor, troppo sicure 15568 a giudicar, sì come quei che stima 15569 le biade in campo pria che sien mature; 15570 15571 ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima 15572 lo prun mostrarsi rigido e feroce, 15573 poscia portar la rosa in su la cima; 15574 15575 e legno vidi già dritto e veloce 15576 correr lo mar per tutto suo cammino, 15577 perire al fine a l’intrar de la foce. 15578 15579 Non creda donna Berta e ser Martino, 15580 per vedere un furare, altro offerere, 15581 vederli dentro al consiglio divino; 15582 15583 ché quel può surgere, e quel può cadere». 15584 15585 15586 15587 Paradiso · Canto XIV 15588 15589 15590 Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro 15591 movesi l’acqua in un ritondo vaso, 15592 secondo ch’è percosso fuori o dentro: 15593 15594 ne la mia mente fé sùbito caso 15595 questo ch’io dico, sì come si tacque 15596 la glorïosa vita di Tommaso, 15597 15598 per la similitudine che nacque 15599 del suo parlare e di quel di Beatrice, 15600 a cui sì cominciar, dopo lui, piacque: 15601 15602 «A costui fa mestieri, e nol vi dice 15603 né con la voce né pensando ancora, 15604 d’un altro vero andare a la radice. 15605 15606 Diteli se la luce onde s’infiora 15607 vostra sustanza, rimarrà con voi 15608 etternalmente sì com’ ell’ è ora; 15609 15610 e se rimane, dite come, poi 15611 che sarete visibili rifatti, 15612 esser porà ch’al veder non vi nòi». 15613 15614 Come, da più letizia pinti e tratti, 15615 a la fïata quei che vanno a rota 15616 levan la voce e rallegrano li atti, 15617 15618 così, a l’orazion pronta e divota, 15619 li santi cerchi mostrar nova gioia 15620 nel torneare e ne la mira nota. 15621 15622 Qual si lamenta perché qui si moia 15623 per viver colà sù, non vide quive 15624 lo refrigerio de l’etterna ploia. 15625 15626 Quell’ uno e due e tre che sempre vive 15627 e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno, 15628 non circunscritto, e tutto circunscrive, 15629 15630 tre volte era cantato da ciascuno 15631 di quelli spirti con tal melodia, 15632 ch’ad ogne merto saria giusto muno. 15633 15634 E io udi’ ne la luce più dia 15635 del minor cerchio una voce modesta, 15636 forse qual fu da l’angelo a Maria, 15637 15638 risponder: «Quanto fia lunga la festa 15639 di paradiso, tanto il nostro amore 15640 si raggerà dintorno cotal vesta. 15641 15642 La sua chiarezza séguita l’ardore; 15643 l’ardor la visïone, e quella è tanta, 15644 quant’ ha di grazia sovra suo valore. 15645 15646 Come la carne glorïosa e santa 15647 fia rivestita, la nostra persona 15648 più grata fia per esser tutta quanta; 15649 15650 per che s’accrescerà ciò che ne dona 15651 di gratüito lume il sommo bene, 15652 lume ch’a lui veder ne condiziona; 15653 15654 onde la visïon crescer convene, 15655 crescer l’ardor che di quella s’accende, 15656 crescer lo raggio che da esso vene. 15657 15658 Ma sì come carbon che fiamma rende, 15659 e per vivo candor quella soverchia, 15660 sì che la sua parvenza si difende; 15661 15662 così questo folgór che già ne cerchia 15663 fia vinto in apparenza da la carne 15664 che tutto dì la terra ricoperchia; 15665 15666 né potrà tanta luce affaticarne: 15667 ché li organi del corpo saran forti 15668 a tutto ciò che potrà dilettarne». 15669 15670 Tanto mi parver sùbiti e accorti 15671 e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!», 15672 che ben mostrar disio d’i corpi morti: 15673 15674 forse non pur per lor, ma per le mamme, 15675 per li padri e per li altri che fuor cari 15676 anzi che fosser sempiterne fiamme. 15677 15678 Ed ecco intorno, di chiarezza pari, 15679 nascere un lustro sopra quel che v’era, 15680 per guisa d’orizzonte che rischiari. 15681 15682 E sì come al salir di prima sera 15683 comincian per lo ciel nove parvenze, 15684 sì che la vista pare e non par vera, 15685 15686 parvemi lì novelle sussistenze 15687 cominciare a vedere, e fare un giro 15688 di fuor da l’altre due circunferenze. 15689 15690 Oh vero sfavillar del Santo Spiro! 15691 come si fece sùbito e candente 15692 a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! 15693 15694 Ma Bëatrice sì bella e ridente 15695 mi si mostrò, che tra quelle vedute 15696 si vuol lasciar che non seguir la mente. 15697 15698 Quindi ripreser li occhi miei virtute 15699 a rilevarsi; e vidimi translato 15700 sol con mia donna in più alta salute. 15701 15702 Ben m’accors’ io ch’io era più levato, 15703 per l’affocato riso de la stella, 15704 che mi parea più roggio che l’usato. 15705 15706 Con tutto ’l core e con quella favella 15707 ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto, 15708 qual conveniesi a la grazia novella. 15709 15710 E non er’ anco del mio petto essausto 15711 l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi 15712 esso litare stato accetto e fausto; 15713 15714 ché con tanto lucore e tanto robbi 15715 m’apparvero splendor dentro a due raggi, 15716 ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!». 15717 15718 Come distinta da minori e maggi 15719 lumi biancheggia tra ’ poli del mondo 15720 Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; 15721 15722 sì costellati facean nel profondo 15723 Marte quei raggi il venerabil segno 15724 che fan giunture di quadranti in tondo. 15725 15726 Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; 15727 ché quella croce lampeggiava Cristo, 15728 sì ch’io non so trovare essempro degno; 15729 15730 ma chi prende sua croce e segue Cristo, 15731 ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, 15732 vedendo in quell’ albor balenar Cristo. 15733 15734 Di corno in corno e tra la cima e ’l basso 15735 si movien lumi, scintillando forte 15736 nel congiugnersi insieme e nel trapasso: 15737 15738 così si veggion qui diritte e torte, 15739 veloci e tarde, rinovando vista, 15740 le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, 15741 15742 moversi per lo raggio onde si lista 15743 talvolta l’ombra che, per sua difesa, 15744 la gente con ingegno e arte acquista. 15745 15746 E come giga e arpa, in tempra tesa 15747 di molte corde, fa dolce tintinno 15748 a tal da cui la nota non è intesa, 15749 15750 così da’ lumi che lì m’apparinno 15751 s’accogliea per la croce una melode 15752 che mi rapiva, sanza intender l’inno. 15753 15754 Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode, 15755 però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci» 15756 come a colui che non intende e ode. 15757 15758 Ïo m’innamorava tanto quinci, 15759 che ’nfino a lì non fu alcuna cosa 15760 che mi legasse con sì dolci vinci. 15761 15762 Forse la mia parola par troppo osa, 15763 posponendo il piacer de li occhi belli, 15764 ne’ quai mirando mio disio ha posa; 15765 15766 ma chi s’avvede che i vivi suggelli 15767 d’ogne bellezza più fanno più suso, 15768 e ch’io non m’era lì rivolto a quelli, 15769 15770 escusar puommi di quel ch’io m’accuso 15771 per escusarmi, e vedermi dir vero: 15772 ché ’l piacer santo non è qui dischiuso, 15773 15774 perché si fa, montando, più sincero. 15775 15776 15777 15778 Paradiso · Canto XV 15779 15780 15781 Benigna volontade in che si liqua 15782 sempre l’amor che drittamente spira, 15783 come cupidità fa ne la iniqua, 15784 15785 silenzio puose a quella dolce lira, 15786 e fece quïetar le sante corde 15787 che la destra del cielo allenta e tira. 15788 15789 Come saranno a’ giusti preghi sorde 15790 quelle sustanze che, per darmi voglia 15791 ch’io le pregassi, a tacer fur concorde? 15792 15793 Bene è che sanza termine si doglia 15794 chi, per amor di cosa che non duri 15795 etternalmente, quello amor si spoglia. 15796 15797 Quale per li seren tranquilli e puri 15798 discorre ad ora ad or sùbito foco, 15799 movendo li occhi che stavan sicuri, 15800 15801 e pare stella che tramuti loco, 15802 se non che da la parte ond’ e’ s’accende 15803 nulla sen perde, ed esso dura poco: 15804 15805 tale dal corno che ’n destro si stende 15806 a piè di quella croce corse un astro 15807 de la costellazion che lì resplende; 15808 15809 né si partì la gemma dal suo nastro, 15810 ma per la lista radïal trascorse, 15811 che parve foco dietro ad alabastro. 15812 15813 Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse, 15814 se fede merta nostra maggior musa, 15815 quando in Eliso del figlio s’accorse. 15816 15817 «O sanguis meus, o superinfusa 15818 gratïa Deï, sicut tibi cui 15819 bis unquam celi ianüa reclusa?». 15820 15821 Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui; 15822 poscia rivolsi a la mia donna il viso, 15823 e quinci e quindi stupefatto fui; 15824 15825 ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso 15826 tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo 15827 de la mia gloria e del mio paradiso. 15828 15829 Indi, a udire e a veder giocondo, 15830 giunse lo spirto al suo principio cose, 15831 ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo; 15832 15833 né per elezïon mi si nascose, 15834 ma per necessità, ché ’l suo concetto 15835 al segno d’i mortal si soprapuose. 15836 15837 E quando l’arco de l’ardente affetto 15838 fu sì sfogato, che ’l parlar discese 15839 inver’ lo segno del nostro intelletto, 15840 15841 la prima cosa che per me s’intese, 15842 «Benedetto sia tu», fu, «trino e uno, 15843 che nel mio seme se’ tanto cortese!». 15844 15845 E seguì: «Grato e lontano digiuno, 15846 tratto leggendo del magno volume 15847 du’ non si muta mai bianco né bruno, 15848 15849 solvuto hai, figlio, dentro a questo lume 15850 in ch’io ti parlo, mercè di colei 15851 ch’a l’alto volo ti vestì le piume. 15852 15853 Tu credi che a me tuo pensier mei 15854 da quel ch’è primo, così come raia 15855 da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei; 15856 15857 e però ch’io mi sia e perch’ io paia 15858 più gaudïoso a te, non mi domandi, 15859 che alcun altro in questa turba gaia. 15860 15861 Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi 15862 di questa vita miran ne lo speglio 15863 in che, prima che pensi, il pensier pandi; 15864 15865 ma perché ’l sacro amore in che io veglio 15866 con perpetüa vista e che m’asseta 15867 di dolce disïar, s’adempia meglio, 15868 15869 la voce tua sicura, balda e lieta 15870 suoni la volontà, suoni ’l disio, 15871 a che la mia risposta è già decreta!». 15872 15873 Io mi volsi a Beatrice, e quella udio 15874 pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno 15875 che fece crescer l’ali al voler mio. 15876 15877 Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno, 15878 come la prima equalità v’apparse, 15879 d’un peso per ciascun di voi si fenno, 15880 15881 però che ’l sol che v’allumò e arse, 15882 col caldo e con la luce è sì iguali, 15883 che tutte simiglianze sono scarse. 15884 15885 Ma voglia e argomento ne’ mortali, 15886 per la cagion ch’a voi è manifesta, 15887 diversamente son pennuti in ali; 15888 15889 ond’ io, che son mortal, mi sento in questa 15890 disagguaglianza, e però non ringrazio 15891 se non col core a la paterna festa. 15892 15893 Ben supplico io a te, vivo topazio 15894 che questa gioia prezïosa ingemmi, 15895 perché mi facci del tuo nome sazio». 15896 15897 «O fronda mia in che io compiacemmi 15898 pur aspettando, io fui la tua radice»: 15899 cotal principio, rispondendo, femmi. 15900 15901 Poscia mi disse: «Quel da cui si dice 15902 tua cognazione e che cent’ anni e piùe 15903 girato ha ’l monte in la prima cornice, 15904 15905 mio figlio fu e tuo bisavol fue: 15906 ben si convien che la lunga fatica 15907 tu li raccorci con l’opere tue. 15908 15909 Fiorenza dentro da la cerchia antica, 15910 ond’ ella toglie ancora e terza e nona, 15911 si stava in pace, sobria e pudica. 15912 15913 Non avea catenella, non corona, 15914 non gonne contigiate, non cintura 15915 che fosse a veder più che la persona. 15916 15917 Non faceva, nascendo, ancor paura 15918 la figlia al padre, che ’l tempo e la dote 15919 non fuggien quinci e quindi la misura. 15920 15921 Non avea case di famiglia vòte; 15922 non v’era giunto ancor Sardanapalo 15923 a mostrar ciò che ’n camera si puote. 15924 15925 Non era vinto ancora Montemalo 15926 dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto 15927 nel montar sù, così sarà nel calo. 15928 15929 Bellincion Berti vid’ io andar cinto 15930 di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio 15931 la donna sua sanza ’l viso dipinto; 15932 15933 e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio 15934 esser contenti a la pelle scoperta, 15935 e le sue donne al fuso e al pennecchio. 15936 15937 Oh fortunate! ciascuna era certa 15938 de la sua sepultura, e ancor nulla 15939 era per Francia nel letto diserta. 15940 15941 L’una vegghiava a studio de la culla, 15942 e, consolando, usava l’idïoma 15943 che prima i padri e le madri trastulla; 15944 15945 l’altra, traendo a la rocca la chioma, 15946 favoleggiava con la sua famiglia 15947 d’i Troiani, di Fiesole e di Roma. 15948 15949 Saria tenuta allor tal maraviglia 15950 una Cianghella, un Lapo Salterello, 15951 qual or saria Cincinnato e Corniglia. 15952 15953 A così riposato, a così bello 15954 viver di cittadini, a così fida 15955 cittadinanza, a così dolce ostello, 15956 15957 Maria mi diè, chiamata in alte grida; 15958 e ne l’antico vostro Batisteo 15959 insieme fui cristiano e Cacciaguida. 15960 15961 Moronto fu mio frate ed Eliseo; 15962 mia donna venne a me di val di Pado, 15963 e quindi il sopranome tuo si feo. 15964 15965 Poi seguitai lo ’mperador Currado; 15966 ed el mi cinse de la sua milizia, 15967 tanto per bene ovrar li venni in grado. 15968 15969 Dietro li andai incontro a la nequizia 15970 di quella legge il cui popolo usurpa, 15971 per colpa d’i pastor, vostra giustizia. 15972 15973 Quivi fu’ io da quella gente turpa 15974 disviluppato dal mondo fallace, 15975 lo cui amor molt’ anime deturpa; 15976 15977 e venni dal martiro a questa pace». 15978 15979 15980 15981 Paradiso · Canto XVI 15982 15983 15984 O poca nostra nobiltà di sangue, 15985 se glorïar di te la gente fai 15986 qua giù dove l’affetto nostro langue, 15987 15988 mirabil cosa non mi sarà mai: 15989 ché là dove appetito non si torce, 15990 dico nel cielo, io me ne gloriai. 15991 15992 Ben se’ tu manto che tosto raccorce: 15993 sì che, se non s’appon di dì in die, 15994 lo tempo va dintorno con le force. 15995 15996 Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie, 15997 in che la sua famiglia men persevra, 15998 ricominciaron le parole mie; 15999 16000 onde Beatrice, ch’era un poco scevra, 16001 ridendo, parve quella che tossio 16002 al primo fallo scritto di Ginevra. 16003 16004 Io cominciai: «Voi siete il padre mio; 16005 voi mi date a parlar tutta baldezza; 16006 voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io. 16007 16008 Per tanti rivi s’empie d’allegrezza 16009 la mente mia, che di sé fa letizia 16010 perché può sostener che non si spezza. 16011 16012 Ditemi dunque, cara mia primizia, 16013 quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni 16014 che si segnaro in vostra püerizia; 16015 16016 ditemi de l’ovil di San Giovanni 16017 quanto era allora, e chi eran le genti 16018 tra esso degne di più alti scanni». 16019 16020 Come s’avviva a lo spirar d’i venti 16021 carbone in fiamma, così vid’ io quella 16022 luce risplendere a’ miei blandimenti; 16023 16024 e come a li occhi miei si fé più bella, 16025 così con voce più dolce e soave, 16026 ma non con questa moderna favella, 16027 16028 dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’ 16029 al parto in che mia madre, ch’è or santa, 16030 s’allevïò di me ond’ era grave, 16031 16032 al suo Leon cinquecento cinquanta 16033 e trenta fiate venne questo foco 16034 a rinfiammarsi sotto la sua pianta. 16035 16036 Li antichi miei e io nacqui nel loco 16037 dove si truova pria l’ultimo sesto 16038 da quei che corre il vostro annüal gioco. 16039 16040 Basti d’i miei maggiori udirne questo: 16041 chi ei si fosser e onde venner quivi, 16042 più è tacer che ragionare onesto. 16043 16044 Tutti color ch’a quel tempo eran ivi 16045 da poter arme tra Marte e ’l Batista, 16046 eran il quinto di quei ch’or son vivi. 16047 16048 Ma la cittadinanza, ch’è or mista 16049 di Campi, di Certaldo e di Fegghine, 16050 pura vediesi ne l’ultimo artista. 16051 16052 Oh quanto fora meglio esser vicine 16053 quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo 16054 e a Trespiano aver vostro confine, 16055 16056 che averle dentro e sostener lo puzzo 16057 del villan d’Aguglion, di quel da Signa, 16058 che già per barattare ha l’occhio aguzzo! 16059 16060 Se la gente ch’al mondo più traligna 16061 non fosse stata a Cesare noverca, 16062 ma come madre a suo figlio benigna, 16063 16064 tal fatto è fiorentino e cambia e merca, 16065 che si sarebbe vòlto a Simifonti, 16066 là dove andava l’avolo a la cerca; 16067 16068 sariesi Montemurlo ancor de’ Conti; 16069 sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone, 16070 e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. 16071 16072 Sempre la confusion de le persone 16073 principio fu del mal de la cittade, 16074 come del vostro il cibo che s’appone; 16075 16076 e cieco toro più avaccio cade 16077 che cieco agnello; e molte volte taglia 16078 più e meglio una che le cinque spade. 16079 16080 Se tu riguardi Luni e Orbisaglia 16081 come sono ite, e come se ne vanno 16082 di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, 16083 16084 udir come le schiatte si disfanno 16085 non ti parrà nova cosa né forte, 16086 poscia che le cittadi termine hanno. 16087 16088 Le vostre cose tutte hanno lor morte, 16089 sì come voi; ma celasi in alcuna 16090 che dura molto, e le vite son corte. 16091 16092 E come ’l volger del ciel de la luna 16093 cuopre e discuopre i liti sanza posa, 16094 così fa di Fiorenza la Fortuna: 16095 16096 per che non dee parer mirabil cosa 16097 ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini 16098 onde è la fama nel tempo nascosa. 16099 16100 Io vidi li Ughi e vidi i Catellini, 16101 Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, 16102 già nel calare, illustri cittadini; 16103 16104 e vidi così grandi come antichi, 16105 con quel de la Sannella, quel de l’Arca, 16106 e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. 16107 16108 Sovra la porta ch’al presente è carca 16109 di nova fellonia di tanto peso 16110 che tosto fia iattura de la barca, 16111 16112 erano i Ravignani, ond’ è disceso 16113 il conte Guido e qualunque del nome 16114 de l’alto Bellincione ha poscia preso. 16115 16116 Quel de la Pressa sapeva già come 16117 regger si vuole, e avea Galigaio 16118 dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome. 16119 16120 Grand’ era già la colonna del Vaio, 16121 Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci 16122 e Galli e quei ch’arrossan per lo staio. 16123 16124 Lo ceppo di che nacquero i Calfucci 16125 era già grande, e già eran tratti 16126 a le curule Sizii e Arrigucci. 16127 16128 Oh quali io vidi quei che son disfatti 16129 per lor superbia! e le palle de l’oro 16130 fiorian Fiorenza in tutt’ i suoi gran fatti. 16131 16132 Così facieno i padri di coloro 16133 che, sempre che la vostra chiesa vaca, 16134 si fanno grassi stando a consistoro. 16135 16136 L’oltracotata schiatta che s’indraca 16137 dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente 16138 o ver la borsa, com’ agnel si placa, 16139 16140 già venìa sù, ma di picciola gente; 16141 sì che non piacque ad Ubertin Donato 16142 che poï il suocero il fé lor parente. 16143 16144 Già era ’l Caponsacco nel mercato 16145 disceso giù da Fiesole, e già era 16146 buon cittadino Giuda e Infangato. 16147 16148 Io dirò cosa incredibile e vera: 16149 nel picciol cerchio s’entrava per porta 16150 che si nomava da quei de la Pera. 16151 16152 Ciascun che de la bella insegna porta 16153 del gran barone il cui nome e ’l cui pregio 16154 la festa di Tommaso riconforta, 16155 16156 da esso ebbe milizia e privilegio; 16157 avvegna che con popol si rauni 16158 oggi colui che la fascia col fregio. 16159 16160 Già eran Gualterotti e Importuni; 16161 e ancor saria Borgo più quïeto, 16162 se di novi vicin fosser digiuni. 16163 16164 La casa di che nacque il vostro fleto, 16165 per lo giusto disdegno che v’ha morti 16166 e puose fine al vostro viver lieto, 16167 16168 era onorata, essa e suoi consorti: 16169 o Buondelmonte, quanto mal fuggisti 16170 le nozze süe per li altrui conforti! 16171 16172 Molti sarebber lieti, che son tristi, 16173 se Dio t’avesse conceduto ad Ema 16174 la prima volta ch’a città venisti. 16175 16176 Ma conveniesi a quella pietra scema 16177 che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse 16178 vittima ne la sua pace postrema. 16179 16180 Con queste genti, e con altre con esse, 16181 vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo, 16182 che non avea cagione onde piangesse. 16183 16184 Con queste genti vid’io glorïoso 16185 e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio 16186 non era ad asta mai posto a ritroso, 16187 16188 né per divisïon fatto vermiglio». 16189 16190 16191 16192 Paradiso · Canto XVII 16193 16194 16195 Qual venne a Climenè, per accertarsi 16196 di ciò ch’avëa incontro a sé udito, 16197 quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi; 16198 16199 tal era io, e tal era sentito 16200 e da Beatrice e da la santa lampa 16201 che pria per me avea mutato sito. 16202 16203 Per che mia donna «Manda fuor la vampa 16204 del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca 16205 segnata bene de la interna stampa: 16206 16207 non perché nostra conoscenza cresca 16208 per tuo parlare, ma perché t’ausi 16209 a dir la sete, sì che l’uom ti mesca». 16210 16211 «O cara piota mia che sì t’insusi, 16212 che, come veggion le terrene menti 16213 non capere in trïangol due ottusi, 16214 16215 così vedi le cose contingenti 16216 anzi che sieno in sé, mirando il punto 16217 a cui tutti li tempi son presenti; 16218 16219 mentre ch’io era a Virgilio congiunto 16220 su per lo monte che l’anime cura 16221 e discendendo nel mondo defunto, 16222 16223 dette mi fuor di mia vita futura 16224 parole gravi, avvegna ch’io mi senta 16225 ben tetragono ai colpi di ventura; 16226 16227 per che la voglia mia saria contenta 16228 d’intender qual fortuna mi s’appressa: 16229 ché saetta previsa vien più lenta». 16230 16231 Così diss’ io a quella luce stessa 16232 che pria m’avea parlato; e come volle 16233 Beatrice, fu la mia voglia confessa. 16234 16235 Né per ambage, in che la gente folle 16236 già s’inviscava pria che fosse anciso 16237 l’Agnel di Dio che le peccata tolle, 16238 16239 ma per chiare parole e con preciso 16240 latin rispuose quello amor paterno, 16241 chiuso e parvente del suo proprio riso: 16242 16243 «La contingenza, che fuor del quaderno 16244 de la vostra matera non si stende, 16245 tutta è dipinta nel cospetto etterno; 16246 16247 necessità però quindi non prende 16248 se non come dal viso in che si specchia 16249 nave che per torrente giù discende. 16250 16251 Da indi, sì come viene ad orecchia 16252 dolce armonia da organo, mi viene 16253 a vista il tempo che ti s’apparecchia. 16254 16255 Qual si partio Ipolito d’Atene 16256 per la spietata e perfida noverca, 16257 tal di Fiorenza partir ti convene. 16258 16259 Questo si vuole e questo già si cerca, 16260 e tosto verrà fatto a chi ciò pensa 16261 là dove Cristo tutto dì si merca. 16262 16263 La colpa seguirà la parte offensa 16264 in grido, come suol; ma la vendetta 16265 fia testimonio al ver che la dispensa. 16266 16267 Tu lascerai ogne cosa diletta 16268 più caramente; e questo è quello strale 16269 che l’arco de lo essilio pria saetta. 16270 16271 Tu proverai sì come sa di sale 16272 lo pane altrui, e come è duro calle 16273 lo scendere e ’l salir per l’altrui scale. 16274 16275 E quel che più ti graverà le spalle, 16276 sarà la compagnia malvagia e scempia 16277 con la qual tu cadrai in questa valle; 16278 16279 che tutta ingrata, tutta matta ed empia 16280 si farà contr’ a te; ma, poco appresso, 16281 ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. 16282 16283 Di sua bestialitate il suo processo 16284 farà la prova; sì ch’a te fia bello 16285 averti fatta parte per te stesso. 16286 16287 Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello 16288 sarà la cortesia del gran Lombardo 16289 che ’n su la scala porta il santo uccello; 16290 16291 ch’in te avrà sì benigno riguardo, 16292 che del fare e del chieder, tra voi due, 16293 fia primo quel che tra li altri è più tardo. 16294 16295 Con lui vedrai colui che ’mpresso fue, 16296 nascendo, sì da questa stella forte, 16297 che notabili fier l’opere sue. 16298 16299 Non se ne son le genti ancora accorte 16300 per la novella età, ché pur nove anni 16301 son queste rote intorno di lui torte; 16302 16303 ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni, 16304 parran faville de la sua virtute 16305 in non curar d’argento né d’affanni. 16306 16307 Le sue magnificenze conosciute 16308 saranno ancora, sì che ’ suoi nemici 16309 non ne potran tener le lingue mute. 16310 16311 A lui t’aspetta e a’ suoi benefici; 16312 per lui fia trasmutata molta gente, 16313 cambiando condizion ricchi e mendici; 16314 16315 e portera’ne scritto ne la mente 16316 di lui, e nol dirai»; e disse cose 16317 incredibili a quei che fier presente. 16318 16319 Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose 16320 di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie 16321 che dietro a pochi giri son nascose. 16322 16323 Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie, 16324 poscia che s’infutura la tua vita 16325 vie più là che ’l punir di lor perfidie». 16326 16327 Poi che, tacendo, si mostrò spedita 16328 l’anima santa di metter la trama 16329 in quella tela ch’io le porsi ordita, 16330 16331 io cominciai, come colui che brama, 16332 dubitando, consiglio da persona 16333 che vede e vuol dirittamente e ama: 16334 16335 «Ben veggio, padre mio, sì come sprona 16336 lo tempo verso me, per colpo darmi 16337 tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; 16338 16339 per che di provedenza è buon ch’io m’armi, 16340 sì che, se loco m’è tolto più caro, 16341 io non perdessi li altri per miei carmi. 16342 16343 Giù per lo mondo sanza fine amaro, 16344 e per lo monte del cui bel cacume 16345 li occhi de la mia donna mi levaro, 16346 16347 e poscia per lo ciel, di lume in lume, 16348 ho io appreso quel che s’io ridico, 16349 a molti fia sapor di forte agrume; 16350 16351 e s’io al vero son timido amico, 16352 temo di perder viver tra coloro 16353 che questo tempo chiameranno antico». 16354 16355 La luce in che rideva il mio tesoro 16356 ch’io trovai lì, si fé prima corusca, 16357 quale a raggio di sole specchio d’oro; 16358 16359 indi rispuose: «Coscïenza fusca 16360 o de la propria o de l’altrui vergogna 16361 pur sentirà la tua parola brusca. 16362 16363 Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, 16364 tutta tua visïon fa manifesta; 16365 e lascia pur grattar dov’ è la rogna. 16366 16367 Ché se la voce tua sarà molesta 16368 nel primo gusto, vital nodrimento 16369 lascerà poi, quando sarà digesta. 16370 16371 Questo tuo grido farà come vento, 16372 che le più alte cime più percuote; 16373 e ciò non fa d’onor poco argomento. 16374 16375 Però ti son mostrate in queste rote, 16376 nel monte e ne la valle dolorosa 16377 pur l’anime che son di fama note, 16378 16379 che l’animo di quel ch’ode, non posa 16380 né ferma fede per essempro ch’aia 16381 la sua radice incognita e ascosa, 16382 16383 né per altro argomento che non paia». 16384 16385 16386 16387 Paradiso · Canto XVIII 16388 16389 16390 Già si godeva solo del suo verbo 16391 quello specchio beato, e io gustava 16392 lo mio, temprando col dolce l’acerbo; 16393 16394 e quella donna ch’a Dio mi menava 16395 disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono 16396 presso a colui ch’ogne torto disgrava». 16397 16398 Io mi rivolsi a l’amoroso suono 16399 del mio conforto; e qual io allor vidi 16400 ne li occhi santi amor, qui l’abbandono: 16401 16402 non perch’ io pur del mio parlar diffidi, 16403 ma per la mente che non può redire 16404 sovra sé tanto, s’altri non la guidi. 16405 16406 Tanto poss’ io di quel punto ridire, 16407 che, rimirando lei, lo mio affetto 16408 libero fu da ogne altro disire, 16409 16410 fin che ’l piacere etterno, che diretto 16411 raggiava in Bëatrice, dal bel viso 16412 mi contentava col secondo aspetto. 16413 16414 Vincendo me col lume d’un sorriso, 16415 ella mi disse: «Volgiti e ascolta; 16416 ché non pur ne’ miei occhi è paradiso». 16417 16418 Come si vede qui alcuna volta 16419 l’affetto ne la vista, s’elli è tanto, 16420 che da lui sia tutta l’anima tolta, 16421 16422 così nel fiammeggiar del folgór santo, 16423 a ch’io mi volsi, conobbi la voglia 16424 in lui di ragionarmi ancora alquanto. 16425 16426 El cominciò: «In questa quinta soglia 16427 de l’albero che vive de la cima 16428 e frutta sempre e mai non perde foglia, 16429 16430 spiriti son beati, che giù, prima 16431 che venissero al ciel, fuor di gran voce, 16432 sì ch’ogne musa ne sarebbe opima. 16433 16434 Però mira ne’ corni de la croce: 16435 quello ch’io nomerò, lì farà l’atto 16436 che fa in nube il suo foco veloce». 16437 16438 Io vidi per la croce un lume tratto 16439 dal nomar Iosuè, com’ el si feo; 16440 né mi fu noto il dir prima che ’l fatto. 16441 16442 E al nome de l’alto Macabeo 16443 vidi moversi un altro roteando, 16444 e letizia era ferza del paleo. 16445 16446 Così per Carlo Magno e per Orlando 16447 due ne seguì lo mio attento sguardo, 16448 com’ occhio segue suo falcon volando. 16449 16450 Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo 16451 e ’l duca Gottifredi la mia vista 16452 per quella croce, e Ruberto Guiscardo. 16453 16454 Indi, tra l’altre luci mota e mista, 16455 mostrommi l’alma che m’avea parlato 16456 qual era tra i cantor del cielo artista. 16457 16458 Io mi rivolsi dal mio destro lato 16459 per vedere in Beatrice il mio dovere, 16460 o per parlare o per atto, segnato; 16461 16462 e vidi le sue luci tanto mere, 16463 tanto gioconde, che la sua sembianza 16464 vinceva li altri e l’ultimo solere. 16465 16466 E come, per sentir più dilettanza 16467 bene operando, l’uom di giorno in giorno 16468 s’accorge che la sua virtute avanza, 16469 16470 sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno 16471 col cielo insieme avea cresciuto l’arco, 16472 veggendo quel miracol più addorno. 16473 16474 E qual è ’l trasmutare in picciol varco 16475 di tempo in bianca donna, quando ’l volto 16476 suo si discarchi di vergogna il carco, 16477 16478 tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto, 16479 per lo candor de la temprata stella 16480 sesta, che dentro a sé m’avea ricolto. 16481 16482 Io vidi in quella giovïal facella 16483 lo sfavillar de l’amor che lì era 16484 segnare a li occhi miei nostra favella. 16485 16486 E come augelli surti di rivera, 16487 quasi congratulando a lor pasture, 16488 fanno di sé or tonda or altra schiera, 16489 16490 sì dentro ai lumi sante creature 16491 volitando cantavano, e faciensi 16492 or D, or I, or L in sue figure. 16493 16494 Prima, cantando, a sua nota moviensi; 16495 poi, diventando l’un di questi segni, 16496 un poco s’arrestavano e taciensi. 16497 16498 O diva Pegasëa che li ’ngegni 16499 fai glorïosi e rendili longevi, 16500 ed essi teco le cittadi e ’ regni, 16501 16502 illustrami di te, sì ch’io rilevi 16503 le lor figure com’ io l’ho concette: 16504 paia tua possa in questi versi brevi! 16505 16506 Mostrarsi dunque in cinque volte sette 16507 vocali e consonanti; e io notai 16508 le parti sì, come mi parver dette. 16509 16510 ‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai 16511 fur verbo e nome di tutto ’l dipinto; 16512 ‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai. 16513 16514 Poscia ne l’emme del vocabol quinto 16515 rimasero ordinate; sì che Giove 16516 pareva argento lì d’oro distinto. 16517 16518 E vidi scendere altre luci dove 16519 era il colmo de l’emme, e lì quetarsi 16520 cantando, credo, il ben ch’a sé le move. 16521 16522 Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi 16523 surgono innumerabili faville, 16524 onde li stolti sogliono agurarsi, 16525 16526 resurger parver quindi più di mille 16527 luci e salir, qual assai e qual poco, 16528 sì come ’l sol che l’accende sortille; 16529 16530 e quïetata ciascuna in suo loco, 16531 la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi 16532 rappresentare a quel distinto foco. 16533 16534 Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi; 16535 ma esso guida, e da lui si rammenta 16536 quella virtù ch’è forma per li nidi. 16537 16538 L’altra bëatitudo, che contenta 16539 pareva prima d’ingigliarsi a l’emme, 16540 con poco moto seguitò la ’mprenta. 16541 16542 O dolce stella, quali e quante gemme 16543 mi dimostraro che nostra giustizia 16544 effetto sia del ciel che tu ingemme! 16545 16546 Per ch’io prego la mente in che s’inizia 16547 tuo moto e tua virtute, che rimiri 16548 ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia; 16549 16550 sì ch’un’altra fïata omai s’adiri 16551 del comperare e vender dentro al templo 16552 che si murò di segni e di martìri. 16553 16554 O milizia del ciel cu’ io contemplo, 16555 adora per color che sono in terra 16556 tutti svïati dietro al malo essemplo! 16557 16558 Già si solea con le spade far guerra; 16559 ma or si fa togliendo or qui or quivi 16560 lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra. 16561 16562 Ma tu che sol per cancellare scrivi, 16563 pensa che Pietro e Paulo, che moriro 16564 per la vigna che guasti, ancor son vivi. 16565 16566 Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro 16567 sì a colui che volle viver solo 16568 e che per salti fu tratto al martiro, 16569 16570 ch’io non conosco il pescator né Polo». 16571 16572 16573 16574 Paradiso · Canto XIX 16575 16576 16577 Parea dinanzi a me con l’ali aperte 16578 la bella image che nel dolce frui 16579 liete facevan l’anime conserte; 16580 16581 parea ciascuna rubinetto in cui 16582 raggio di sole ardesse sì acceso, 16583 che ne’ miei occhi rifrangesse lui. 16584 16585 E quel che mi convien ritrar testeso, 16586 non portò voce mai, né scrisse incostro, 16587 né fu per fantasia già mai compreso; 16588 16589 ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro, 16590 e sonar ne la voce e «io» e «mio», 16591 quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’. 16592 16593 E cominciò: «Per esser giusto e pio 16594 son io qui essaltato a quella gloria 16595 che non si lascia vincere a disio; 16596 16597 e in terra lasciai la mia memoria 16598 sì fatta, che le genti lì malvage 16599 commendan lei, ma non seguon la storia». 16600 16601 Così un sol calor di molte brage 16602 si fa sentir, come di molti amori 16603 usciva solo un suon di quella image. 16604 16605 Ond’ io appresso: «O perpetüi fiori 16606 de l’etterna letizia, che pur uno 16607 parer mi fate tutti vostri odori, 16608 16609 solvetemi, spirando, il gran digiuno 16610 che lungamente m’ha tenuto in fame, 16611 non trovandoli in terra cibo alcuno. 16612 16613 Ben so io che, se ’n cielo altro reame 16614 la divina giustizia fa suo specchio, 16615 che ’l vostro non l’apprende con velame. 16616 16617 Sapete come attento io m’apparecchio 16618 ad ascoltar; sapete qual è quello 16619 dubbio che m’è digiun cotanto vecchio». 16620 16621 Quasi falcone ch’esce del cappello, 16622 move la testa e con l’ali si plaude, 16623 voglia mostrando e faccendosi bello, 16624 16625 vid’ io farsi quel segno, che di laude 16626 de la divina grazia era contesto, 16627 con canti quai si sa chi là sù gaude. 16628 16629 Poi cominciò: «Colui che volse il sesto 16630 a lo stremo del mondo, e dentro ad esso 16631 distinse tanto occulto e manifesto, 16632 16633 non poté suo valor sì fare impresso 16634 in tutto l’universo, che ’l suo verbo 16635 non rimanesse in infinito eccesso. 16636 16637 E ciò fa certo che ’l primo superbo, 16638 che fu la somma d’ogne creatura, 16639 per non aspettar lume, cadde acerbo; 16640 16641 e quinci appar ch’ogne minor natura 16642 è corto recettacolo a quel bene 16643 che non ha fine e sé con sé misura. 16644 16645 Dunque vostra veduta, che convene 16646 esser alcun de’ raggi de la mente 16647 di che tutte le cose son ripiene, 16648 16649 non pò da sua natura esser possente 16650 tanto, che suo principio discerna 16651 molto di là da quel che l’è parvente. 16652 16653 Però ne la giustizia sempiterna 16654 la vista che riceve il vostro mondo, 16655 com’ occhio per lo mare, entro s’interna; 16656 16657 che, ben che da la proda veggia il fondo, 16658 in pelago nol vede; e nondimeno 16659 èli, ma cela lui l’esser profondo. 16660 16661 Lume non è, se non vien dal sereno 16662 che non si turba mai; anzi è tenèbra 16663 od ombra de la carne o suo veleno. 16664 16665 Assai t’è mo aperta la latebra 16666 che t’ascondeva la giustizia viva, 16667 di che facei question cotanto crebra; 16668 16669 ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva 16670 de l’Indo, e quivi non è chi ragioni 16671 di Cristo né chi legga né chi scriva; 16672 16673 e tutti suoi voleri e atti buoni 16674 sono, quanto ragione umana vede, 16675 sanza peccato in vita o in sermoni. 16676 16677 Muore non battezzato e sanza fede: 16678 ov’ è questa giustizia che ’l condanna? 16679 ov’ è la colpa sua, se ei non crede?”. 16680 16681 Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, 16682 per giudicar di lungi mille miglia 16683 con la veduta corta d’una spanna? 16684 16685 Certo a colui che meco s’assottiglia, 16686 se la Scrittura sovra voi non fosse, 16687 da dubitar sarebbe a maraviglia. 16688 16689 Oh terreni animali! oh menti grosse! 16690 La prima volontà, ch’è da sé buona, 16691 da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. 16692 16693 Cotanto è giusto quanto a lei consuona: 16694 nullo creato bene a sé la tira, 16695 ma essa, radïando, lui cagiona». 16696 16697 Quale sovresso il nido si rigira 16698 poi c’ha pasciuti la cicogna i figli, 16699 e come quel ch’è pasto la rimira; 16700 16701 cotal si fece, e sì leväi i cigli, 16702 la benedetta imagine, che l’ali 16703 movea sospinte da tanti consigli. 16704 16705 Roteando cantava, e dicea: «Quali 16706 son le mie note a te, che non le ’ntendi, 16707 tal è il giudicio etterno a voi mortali». 16708 16709 Poi si quetaro quei lucenti incendi 16710 de lo Spirito Santo ancor nel segno 16711 che fé i Romani al mondo reverendi, 16712 16713 esso ricominciò: «A questo regno 16714 non salì mai chi non credette ’n Cristo, 16715 né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. 16716 16717 Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”, 16718 che saranno in giudicio assai men prope 16719 a lui, che tal che non conosce Cristo; 16720 16721 e tai Cristian dannerà l’Etïòpe, 16722 quando si partiranno i due collegi, 16723 l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe. 16724 16725 Che poran dir li Perse a’ vostri regi, 16726 come vedranno quel volume aperto 16727 nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? 16728 16729 Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto, 16730 quella che tosto moverà la penna, 16731 per che ’l regno di Praga fia diserto. 16732 16733 Lì si vedrà il duol che sovra Senna 16734 induce, falseggiando la moneta, 16735 quel che morrà di colpo di cotenna. 16736 16737 Lì si vedrà la superbia ch’asseta, 16738 che fa lo Scotto e l’Inghilese folle, 16739 sì che non può soffrir dentro a sua meta. 16740 16741 Vedrassi la lussuria e ’l viver molle 16742 di quel di Spagna e di quel di Boemme, 16743 che mai valor non conobbe né volle. 16744 16745 Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme 16746 segnata con un i la sua bontate, 16747 quando ’l contrario segnerà un emme. 16748 16749 Vedrassi l’avarizia e la viltate 16750 di quei che guarda l’isola del foco, 16751 ove Anchise finì la lunga etate; 16752 16753 e a dare ad intender quanto è poco, 16754 la sua scrittura fian lettere mozze, 16755 che noteranno molto in parvo loco. 16756 16757 E parranno a ciascun l’opere sozze 16758 del barba e del fratel, che tanto egregia 16759 nazione e due corone han fatte bozze. 16760 16761 E quel di Portogallo e di Norvegia 16762 lì si conosceranno, e quel di Rascia 16763 che male ha visto il conio di Vinegia. 16764 16765 Oh beata Ungheria, se non si lascia 16766 più malmenare! e beata Navarra, 16767 se s’armasse del monte che la fascia! 16768 16769 E creder de’ ciascun che già, per arra 16770 di questo, Niccosïa e Famagosta 16771 per la lor bestia si lamenti e garra, 16772 16773 che dal fianco de l’altre non si scosta». 16774 16775 16776 16777 Paradiso · Canto XX 16778 16779 16780 Quando colui che tutto ’l mondo alluma 16781 de l’emisperio nostro sì discende, 16782 che ’l giorno d’ogne parte si consuma, 16783 16784 lo ciel, che sol di lui prima s’accende, 16785 subitamente si rifà parvente 16786 per molte luci, in che una risplende; 16787 16788 e questo atto del ciel mi venne a mente, 16789 come ’l segno del mondo e de’ suoi duci 16790 nel benedetto rostro fu tacente; 16791 16792 però che tutte quelle vive luci, 16793 vie più lucendo, cominciaron canti 16794 da mia memoria labili e caduci. 16795 16796 O dolce amor che di riso t’ammanti, 16797 quanto parevi ardente in que’ flailli, 16798 ch’avieno spirto sol di pensier santi! 16799 16800 Poscia che i cari e lucidi lapilli 16801 ond’ io vidi ingemmato il sesto lume 16802 puoser silenzio a li angelici squilli, 16803 16804 udir mi parve un mormorar di fiume 16805 che scende chiaro giù di pietra in pietra, 16806 mostrando l’ubertà del suo cacume. 16807 16808 E come suono al collo de la cetra 16809 prende sua forma, e sì com’ al pertugio 16810 de la sampogna vento che penètra, 16811 16812 così, rimosso d’aspettare indugio, 16813 quel mormorar de l’aguglia salissi 16814 su per lo collo, come fosse bugio. 16815 16816 Fecesi voce quivi, e quindi uscissi 16817 per lo suo becco in forma di parole, 16818 quali aspettava il core ov’ io le scrissi. 16819 16820 «La parte in me che vede e pate il sole 16821 ne l’aguglie mortali», incominciommi, 16822 «or fisamente riguardar si vole, 16823 16824 perché d’i fuochi ond’ io figura fommi, 16825 quelli onde l’occhio in testa mi scintilla, 16826 e’ di tutti lor gradi son li sommi. 16827 16828 Colui che luce in mezzo per pupilla, 16829 fu il cantor de lo Spirito Santo, 16830 che l’arca traslatò di villa in villa: 16831 16832 ora conosce il merto del suo canto, 16833 in quanto effetto fu del suo consiglio, 16834 per lo remunerar ch’è altrettanto. 16835 16836 Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, 16837 colui che più al becco mi s’accosta, 16838 la vedovella consolò del figlio: 16839 16840 ora conosce quanto caro costa 16841 non seguir Cristo, per l’esperïenza 16842 di questa dolce vita e de l’opposta. 16843 16844 E quel che segue in la circunferenza 16845 di che ragiono, per l’arco superno, 16846 morte indugiò per vera penitenza: 16847 16848 ora conosce che ’l giudicio etterno 16849 non si trasmuta, quando degno preco 16850 fa crastino là giù de l’odïerno. 16851 16852 L’altro che segue, con le leggi e meco, 16853 sotto buona intenzion che fé mal frutto, 16854 per cedere al pastor si fece greco: 16855 16856 ora conosce come il mal dedutto 16857 dal suo bene operar non li è nocivo, 16858 avvegna che sia ’l mondo indi distrutto. 16859 16860 E quel che vedi ne l’arco declivo, 16861 Guiglielmo fu, cui quella terra plora 16862 che piagne Carlo e Federigo vivo: 16863 16864 ora conosce come s’innamora 16865 lo ciel del giusto rege, e al sembiante 16866 del suo fulgore il fa vedere ancora. 16867 16868 Chi crederebbe giù nel mondo errante 16869 che Rifëo Troiano in questo tondo 16870 fosse la quinta de le luci sante? 16871 16872 Ora conosce assai di quel che ’l mondo 16873 veder non può de la divina grazia, 16874 ben che sua vista non discerna il fondo». 16875 16876 Quale allodetta che ’n aere si spazia 16877 prima cantando, e poi tace contenta 16878 de l’ultima dolcezza che la sazia, 16879 16880 tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta 16881 de l’etterno piacere, al cui disio 16882 ciascuna cosa qual ell’ è diventa. 16883 16884 E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio 16885 lì quasi vetro a lo color ch’el veste, 16886 tempo aspettar tacendo non patio, 16887 16888 ma de la bocca, «Che cose son queste?», 16889 mi pinse con la forza del suo peso: 16890 per ch’io di coruscar vidi gran feste. 16891 16892 Poi appresso, con l’occhio più acceso, 16893 lo benedetto segno mi rispuose 16894 per non tenermi in ammirar sospeso: 16895 16896 «Io veggio che tu credi queste cose 16897 perch’ io le dico, ma non vedi come; 16898 sì che, se son credute, sono ascose. 16899 16900 Fai come quei che la cosa per nome 16901 apprende ben, ma la sua quiditate 16902 veder non può se altri non la prome. 16903 16904 Regnum celorum vïolenza pate 16905 da caldo amore e da viva speranza, 16906 che vince la divina volontate: 16907 16908 non a guisa che l’omo a l’om sobranza, 16909 ma vince lei perché vuole esser vinta, 16910 e, vinta, vince con sua beninanza. 16911 16912 La prima vita del ciglio e la quinta 16913 ti fa maravigliar, perché ne vedi 16914 la regïon de li angeli dipinta. 16915 16916 D’i corpi suoi non uscir, come credi, 16917 Gentili, ma Cristiani, in ferma fede 16918 quel d’i passuri e quel d’i passi piedi. 16919 16920 Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede 16921 già mai a buon voler, tornò a l’ossa; 16922 e ciò di viva spene fu mercede: 16923 16924 di viva spene, che mise la possa 16925 ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla, 16926 sì che potesse sua voglia esser mossa. 16927 16928 L’anima glorïosa onde si parla, 16929 tornata ne la carne, in che fu poco, 16930 credette in lui che potëa aiutarla; 16931 16932 e credendo s’accese in tanto foco 16933 di vero amor, ch’a la morte seconda 16934 fu degna di venire a questo gioco. 16935 16936 L’altra, per grazia che da sì profonda 16937 fontana stilla, che mai creatura 16938 non pinse l’occhio infino a la prima onda, 16939 16940 tutto suo amor là giù pose a drittura: 16941 per che, di grazia in grazia, Dio li aperse 16942 l’occhio a la nostra redenzion futura; 16943 16944 ond’ ei credette in quella, e non sofferse 16945 da indi il puzzo più del paganesmo; 16946 e riprendiene le genti perverse. 16947 16948 Quelle tre donne li fur per battesmo 16949 che tu vedesti da la destra rota, 16950 dinanzi al battezzar più d’un millesmo. 16951 16952 O predestinazion, quanto remota 16953 è la radice tua da quelli aspetti 16954 che la prima cagion non veggion tota! 16955 16956 E voi, mortali, tenetevi stretti 16957 a giudicar: ché noi, che Dio vedemo, 16958 non conosciamo ancor tutti li eletti; 16959 16960 ed ènne dolce così fatto scemo, 16961 perché il ben nostro in questo ben s’affina, 16962 che quel che vole Iddio, e noi volemo». 16963 16964 Così da quella imagine divina, 16965 per farmi chiara la mia corta vista, 16966 data mi fu soave medicina. 16967 16968 E come a buon cantor buon citarista 16969 fa seguitar lo guizzo de la corda, 16970 in che più di piacer lo canto acquista, 16971 16972 sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda 16973 ch’io vidi le due luci benedette, 16974 pur come batter d’occhi si concorda, 16975 16976 con le parole mover le fiammette. 16977 16978 16979 16980 Paradiso · Canto XXI 16981 16982 16983 Già eran li occhi miei rifissi al volto 16984 de la mia donna, e l’animo con essi, 16985 e da ogne altro intento s’era tolto. 16986 16987 E quella non ridea; ma «S’io ridessi», 16988 mi cominciò, «tu ti faresti quale 16989 fu Semelè quando di cener fessi: 16990 16991 ché la bellezza mia, che per le scale 16992 de l’etterno palazzo più s’accende, 16993 com’ hai veduto, quanto più si sale, 16994 16995 se non si temperasse, tanto splende, 16996 che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore, 16997 sarebbe fronda che trono scoscende. 16998 16999 Noi sem levati al settimo splendore, 17000 che sotto ’l petto del Leone ardente 17001 raggia mo misto giù del suo valore. 17002 17003 Ficca di retro a li occhi tuoi la mente, 17004 e fa di quelli specchi a la figura 17005 che ’n questo specchio ti sarà parvente». 17006 17007 Qual savesse qual era la pastura 17008 del viso mio ne l’aspetto beato 17009 quand’ io mi trasmutai ad altra cura, 17010 17011 conoscerebbe quanto m’era a grato 17012 ubidire a la mia celeste scorta, 17013 contrapesando l’un con l’altro lato. 17014 17015 Dentro al cristallo che ’l vocabol porta, 17016 cerchiando il mondo, del suo caro duce 17017 sotto cui giacque ogne malizia morta, 17018 17019 di color d’oro in che raggio traluce 17020 vid’ io uno scaleo eretto in suso 17021 tanto, che nol seguiva la mia luce. 17022 17023 Vidi anche per li gradi scender giuso 17024 tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume 17025 che par nel ciel, quindi fosse diffuso. 17026 17027 E come, per lo natural costume, 17028 le pole insieme, al cominciar del giorno, 17029 si movono a scaldar le fredde piume; 17030 17031 poi altre vanno via sanza ritorno, 17032 altre rivolgon sé onde son mosse, 17033 e altre roteando fan soggiorno; 17034 17035 tal modo parve me che quivi fosse 17036 in quello sfavillar che ’nsieme venne, 17037 sì come in certo grado si percosse. 17038 17039 E quel che presso più ci si ritenne, 17040 si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando: 17041 ‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne. 17042 17043 Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando 17044 del dire e del tacer, si sta; ond’ io, 17045 contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando’. 17046 17047 Per ch’ella, che vedëa il tacer mio 17048 nel veder di colui che tutto vede, 17049 mi disse: «Solvi il tuo caldo disio». 17050 17051 E io incominciai: «La mia mercede 17052 non mi fa degno de la tua risposta; 17053 ma per colei che ’l chieder mi concede, 17054 17055 vita beata che ti stai nascosta 17056 dentro a la tua letizia, fammi nota 17057 la cagion che sì presso mi t’ha posta; 17058 17059 e dì perché si tace in questa rota 17060 la dolce sinfonia di paradiso, 17061 che giù per l’altre suona sì divota». 17062 17063 «Tu hai l’udir mortal sì come il viso», 17064 rispuose a me; «onde qui non si canta 17065 per quel che Bëatrice non ha riso. 17066 17067 Giù per li gradi de la scala santa 17068 discesi tanto sol per farti festa 17069 col dire e con la luce che mi ammanta; 17070 17071 né più amor mi fece esser più presta, 17072 ché più e tanto amor quinci sù ferve, 17073 sì come il fiammeggiar ti manifesta. 17074 17075 Ma l’alta carità, che ci fa serve 17076 pronte al consiglio che ’l mondo governa, 17077 sorteggia qui sì come tu osserve». 17078 17079 «Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna, 17080 come libero amore in questa corte 17081 basta a seguir la provedenza etterna; 17082 17083 ma questo è quel ch’a cerner mi par forte, 17084 perché predestinata fosti sola 17085 a questo officio tra le tue consorte». 17086 17087 Né venni prima a l’ultima parola, 17088 che del suo mezzo fece il lume centro, 17089 girando sé come veloce mola; 17090 17091 poi rispuose l’amor che v’era dentro: 17092 «Luce divina sopra me s’appunta, 17093 penetrando per questa in ch’io m’inventro, 17094 17095 la cui virtù, col mio veder congiunta, 17096 mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio 17097 la somma essenza de la quale è munta. 17098 17099 Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio; 17100 per ch’a la vista mia, quant’ ella è chiara, 17101 la chiarità de la fiamma pareggio. 17102 17103 Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara, 17104 quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso, 17105 a la dimanda tua non satisfara, 17106 17107 però che sì s’innoltra ne lo abisso 17108 de l’etterno statuto quel che chiedi, 17109 che da ogne creata vista è scisso. 17110 17111 E al mondo mortal, quando tu riedi, 17112 questo rapporta, sì che non presumma 17113 a tanto segno più mover li piedi. 17114 17115 La mente, che qui luce, in terra fumma; 17116 onde riguarda come può là giùe 17117 quel che non pote perché ’l ciel l’assumma». 17118 17119 Sì mi prescrisser le parole sue, 17120 ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi 17121 a dimandarla umilmente chi fue. 17122 17123 «Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi, 17124 e non molto distanti a la tua patria, 17125 tanto che ’ troni assai suonan più bassi, 17126 17127 e fanno un gibbo che si chiama Catria, 17128 di sotto al quale è consecrato un ermo, 17129 che suole esser disposto a sola latria». 17130 17131 Così ricominciommi il terzo sermo; 17132 e poi, continüando, disse: «Quivi 17133 al servigio di Dio mi fe’ sì fermo, 17134 17135 che pur con cibi di liquor d’ulivi 17136 lievemente passava caldi e geli, 17137 contento ne’ pensier contemplativi. 17138 17139 Render solea quel chiostro a questi cieli 17140 fertilemente; e ora è fatto vano, 17141 sì che tosto convien che si riveli. 17142 17143 In quel loco fu’ io Pietro Damiano, 17144 e Pietro Peccator fu’ ne la casa 17145 di Nostra Donna in sul lito adriano. 17146 17147 Poca vita mortal m’era rimasa, 17148 quando fui chiesto e tratto a quel cappello, 17149 che pur di male in peggio si travasa. 17150 17151 Venne Cefàs e venne il gran vasello 17152 de lo Spirito Santo, magri e scalzi, 17153 prendendo il cibo da qualunque ostello. 17154 17155 Or voglion quinci e quindi chi rincalzi 17156 li moderni pastori e chi li meni, 17157 tanto son gravi, e chi di rietro li alzi. 17158 17159 Cuopron d’i manti loro i palafreni, 17160 sì che due bestie van sott’ una pelle: 17161 oh pazïenza che tanto sostieni!». 17162 17163 A questa voce vid’ io più fiammelle 17164 di grado in grado scendere e girarsi, 17165 e ogne giro le facea più belle. 17166 17167 Dintorno a questa vennero e fermarsi, 17168 e fero un grido di sì alto suono, 17169 che non potrebbe qui assomigliarsi; 17170 17171 né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono. 17172 17173 17174 17175 Paradiso · Canto XXII 17176 17177 17178 Oppresso di stupore, a la mia guida 17179 mi volsi, come parvol che ricorre 17180 sempre colà dove più si confida; 17181 17182 e quella, come madre che soccorre 17183 sùbito al figlio palido e anelo 17184 con la sua voce, che ’l suol ben disporre, 17185 17186 mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo? 17187 e non sai tu che ’l cielo è tutto santo, 17188 e ciò che ci si fa vien da buon zelo? 17189 17190 Come t’avrebbe trasmutato il canto, 17191 e io ridendo, mo pensar lo puoi, 17192 poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto; 17193 17194 nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi, 17195 già ti sarebbe nota la vendetta 17196 che tu vedrai innanzi che tu muoi. 17197 17198 La spada di qua sù non taglia in fretta 17199 né tardo, ma’ ch’al parer di colui 17200 che disïando o temendo l’aspetta. 17201 17202 Ma rivolgiti omai inverso altrui; 17203 ch’assai illustri spiriti vedrai, 17204 se com’ io dico l’aspetto redui». 17205 17206 Come a lei piacque, li occhi ritornai, 17207 e vidi cento sperule che ’nsieme 17208 più s’abbellivan con mutüi rai. 17209 17210 Io stava come quei che ’n sé repreme 17211 la punta del disio, e non s’attenta 17212 di domandar, sì del troppo si teme; 17213 17214 e la maggiore e la più luculenta 17215 di quelle margherite innanzi fessi, 17216 per far di sé la mia voglia contenta. 17217 17218 Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi 17219 com’ io la carità che tra noi arde, 17220 li tuoi concetti sarebbero espressi. 17221 17222 Ma perché tu, aspettando, non tarde 17223 a l’alto fine, io ti farò risposta 17224 pur al pensier, da che sì ti riguarde. 17225 17226 Quel monte a cui Cassino è ne la costa 17227 fu frequentato già in su la cima 17228 da la gente ingannata e mal disposta; 17229 17230 e quel son io che sù vi portai prima 17231 lo nome di colui che ’n terra addusse 17232 la verità che tanto ci soblima; 17233 17234 e tanta grazia sopra me relusse, 17235 ch’io ritrassi le ville circunstanti 17236 da l’empio cólto che ’l mondo sedusse. 17237 17238 Questi altri fuochi tutti contemplanti 17239 uomini fuoro, accesi di quel caldo 17240 che fa nascere i fiori e ’ frutti santi. 17241 17242 Qui è Maccario, qui è Romoaldo, 17243 qui son li frati miei che dentro ai chiostri 17244 fermar li piedi e tennero il cor saldo». 17245 17246 E io a lui: «L’affetto che dimostri 17247 meco parlando, e la buona sembianza 17248 ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri, 17249 17250 così m’ha dilatata mia fidanza, 17251 come ’l sol fa la rosa quando aperta 17252 tanto divien quant’ ell’ ha di possanza. 17253 17254 Però ti priego, e tu, padre, m’accerta 17255 s’io posso prender tanta grazia, ch’io 17256 ti veggia con imagine scoverta». 17257 17258 Ond’ elli: «Frate, il tuo alto disio 17259 s’adempierà in su l’ultima spera, 17260 ove s’adempion tutti li altri e ’l mio. 17261 17262 Ivi è perfetta, matura e intera 17263 ciascuna disïanza; in quella sola 17264 è ogne parte là ove sempr’ era, 17265 17266 perché non è in loco e non s’impola; 17267 e nostra scala infino ad essa varca, 17268 onde così dal viso ti s’invola. 17269 17270 Infin là sù la vide il patriarca 17271 Iacobbe porger la superna parte, 17272 quando li apparve d’angeli sì carca. 17273 17274 Ma, per salirla, mo nessun diparte 17275 da terra i piedi, e la regola mia 17276 rimasa è per danno de le carte. 17277 17278 Le mura che solieno esser badia 17279 fatte sono spelonche, e le cocolle 17280 sacca son piene di farina ria. 17281 17282 Ma grave usura tanto non si tolle 17283 contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto 17284 che fa il cor de’ monaci sì folle; 17285 17286 ché quantunque la Chiesa guarda, tutto 17287 è de la gente che per Dio dimanda; 17288 non di parenti né d’altro più brutto. 17289 17290 La carne d’i mortali è tanto blanda, 17291 che giù non basta buon cominciamento 17292 dal nascer de la quercia al far la ghianda. 17293 17294 Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento, 17295 e io con orazione e con digiuno, 17296 e Francesco umilmente il suo convento; 17297 17298 e se guardi ’l principio di ciascuno, 17299 poscia riguardi là dov’ è trascorso, 17300 tu vederai del bianco fatto bruno. 17301 17302 Veramente Iordan vòlto retrorso 17303 più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse, 17304 mirabile a veder che qui ’l soccorso». 17305 17306 Così mi disse, e indi si raccolse 17307 al suo collegio, e ’l collegio si strinse; 17308 poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse. 17309 17310 La dolce donna dietro a lor mi pinse 17311 con un sol cenno su per quella scala, 17312 sì sua virtù la mia natura vinse; 17313 17314 né mai qua giù dove si monta e cala 17315 naturalmente, fu sì ratto moto 17316 ch’agguagliar si potesse a la mia ala. 17317 17318 S’io torni mai, lettore, a quel divoto 17319 trïunfo per lo quale io piango spesso 17320 le mie peccata e ’l petto mi percuoto, 17321 17322 tu non avresti in tanto tratto e messo 17323 nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno 17324 che segue il Tauro e fui dentro da esso. 17325 17326 O glorïose stelle, o lume pregno 17327 di gran virtù, dal quale io riconosco 17328 tutto, qual che si sia, il mio ingegno, 17329 17330 con voi nasceva e s’ascondeva vosco 17331 quelli ch’è padre d’ogne mortal vita, 17332 quand’ io senti’ di prima l’aere tosco; 17333 17334 e poi, quando mi fu grazia largita 17335 d’entrar ne l’alta rota che vi gira, 17336 la vostra regïon mi fu sortita. 17337 17338 A voi divotamente ora sospira 17339 l’anima mia, per acquistar virtute 17340 al passo forte che a sé la tira. 17341 17342 «Tu se’ sì presso a l’ultima salute», 17343 cominciò Bëatrice, «che tu dei 17344 aver le luci tue chiare e acute; 17345 17346 e però, prima che tu più t’inlei, 17347 rimira in giù, e vedi quanto mondo 17348 sotto li piedi già esser ti fei; 17349 17350 sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo 17351 s’appresenti a la turba trïunfante 17352 che lieta vien per questo etera tondo». 17353 17354 Col viso ritornai per tutte quante 17355 le sette spere, e vidi questo globo 17356 tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante; 17357 17358 e quel consiglio per migliore approbo 17359 che l’ha per meno; e chi ad altro pensa 17360 chiamar si puote veramente probo. 17361 17362 Vidi la figlia di Latona incensa 17363 sanza quell’ ombra che mi fu cagione 17364 per che già la credetti rara e densa. 17365 17366 L’aspetto del tuo nato, Iperïone, 17367 quivi sostenni, e vidi com’ si move 17368 circa e vicino a lui Maia e Dïone. 17369 17370 Quindi m’apparve il temperar di Giove 17371 tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro 17372 il varïar che fanno di lor dove; 17373 17374 e tutti e sette mi si dimostraro 17375 quanto son grandi e quanto son veloci 17376 e come sono in distante riparo. 17377 17378 L’aiuola che ci fa tanto feroci, 17379 volgendom’ io con li etterni Gemelli, 17380 tutta m’apparve da’ colli a le foci; 17381 17382 poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. 17383 17384 17385 17386 Paradiso · Canto XXIII 17387 17388 17389 Come l’augello, intra l’amate fronde, 17390 posato al nido de’ suoi dolci nati 17391 la notte che le cose ci nasconde, 17392 17393 che, per veder li aspetti disïati 17394 e per trovar lo cibo onde li pasca, 17395 in che gravi labor li sono aggrati, 17396 17397 previene il tempo in su aperta frasca, 17398 e con ardente affetto il sole aspetta, 17399 fiso guardando pur che l’alba nasca; 17400 17401 così la donna mïa stava eretta 17402 e attenta, rivolta inver’ la plaga 17403 sotto la quale il sol mostra men fretta: 17404 17405 sì che, veggendola io sospesa e vaga, 17406 fecimi qual è quei che disïando 17407 altro vorria, e sperando s’appaga. 17408 17409 Ma poco fu tra uno e altro quando, 17410 del mio attender, dico, e del vedere 17411 lo ciel venir più e più rischiarando; 17412 17413 e Bëatrice disse: «Ecco le schiere 17414 del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto 17415 ricolto del girar di queste spere!». 17416 17417 Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto, 17418 e li occhi avea di letizia sì pieni, 17419 che passarmen convien sanza costrutto. 17420 17421 Quale ne’ plenilunïi sereni 17422 Trivïa ride tra le ninfe etterne 17423 che dipingon lo ciel per tutti i seni, 17424 17425 vid’ i’ sopra migliaia di lucerne 17426 un sol che tutte quante l’accendea, 17427 come fa ’l nostro le viste superne; 17428 17429 e per la viva luce trasparea 17430 la lucente sustanza tanto chiara 17431 nel viso mio, che non la sostenea. 17432 17433 Oh Bëatrice, dolce guida e cara! 17434 Ella mi disse: «Quel che ti sobranza 17435 è virtù da cui nulla si ripara. 17436 17437 Quivi è la sapïenza e la possanza 17438 ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra, 17439 onde fu già sì lunga disïanza». 17440 17441 Come foco di nube si diserra 17442 per dilatarsi sì che non vi cape, 17443 e fuor di sua natura in giù s’atterra, 17444 17445 la mente mia così, tra quelle dape 17446 fatta più grande, di sé stessa uscìo, 17447 e che si fesse rimembrar non sape. 17448 17449 «Apri li occhi e riguarda qual son io; 17450 tu hai vedute cose, che possente 17451 se’ fatto a sostener lo riso mio». 17452 17453 Io era come quei che si risente 17454 di visïone oblita e che s’ingegna 17455 indarno di ridurlasi a la mente, 17456 17457 quand’ io udi’ questa proferta, degna 17458 di tanto grato, che mai non si stingue 17459 del libro che ’l preterito rassegna. 17460 17461 Se mo sonasser tutte quelle lingue 17462 che Polimnïa con le suore fero 17463 del latte lor dolcissimo più pingue, 17464 17465 per aiutarmi, al millesmo del vero 17466 non si verria, cantando il santo riso 17467 e quanto il santo aspetto facea mero; 17468 17469 e così, figurando il paradiso, 17470 convien saltar lo sacrato poema, 17471 come chi trova suo cammin riciso. 17472 17473 Ma chi pensasse il ponderoso tema 17474 e l’omero mortal che se ne carca, 17475 nol biasmerebbe se sott’ esso trema: 17476 17477 non è pareggio da picciola barca 17478 quel che fendendo va l’ardita prora, 17479 né da nocchier ch’a sé medesmo parca. 17480 17481 «Perché la faccia mia sì t’innamora, 17482 che tu non ti rivolgi al bel giardino 17483 che sotto i raggi di Cristo s’infiora? 17484 17485 Quivi è la rosa in che ’l verbo divino 17486 carne si fece; quivi son li gigli 17487 al cui odor si prese il buon cammino». 17488 17489 Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli 17490 tutto era pronto, ancora mi rendei 17491 a la battaglia de’ debili cigli. 17492 17493 Come a raggio di sol, che puro mei 17494 per fratta nube, già prato di fiori 17495 vider, coverti d’ombra, li occhi miei; 17496 17497 vid’ io così più turbe di splendori, 17498 folgorate di sù da raggi ardenti, 17499 sanza veder principio di folgóri. 17500 17501 O benigna vertù che sì li ’mprenti, 17502 sù t’essaltasti, per largirmi loco 17503 a li occhi lì che non t’eran possenti. 17504 17505 Il nome del bel fior ch’io sempre invoco 17506 e mane e sera, tutto mi ristrinse 17507 l’animo ad avvisar lo maggior foco; 17508 17509 e come ambo le luci mi dipinse 17510 il quale e il quanto de la viva stella 17511 che là sù vince come qua giù vinse, 17512 17513 per entro il cielo scese una facella, 17514 formata in cerchio a guisa di corona, 17515 e cinsela e girossi intorno ad ella. 17516 17517 Qualunque melodia più dolce suona 17518 qua giù e più a sé l’anima tira, 17519 parrebbe nube che squarciata tona, 17520 17521 comparata al sonar di quella lira 17522 onde si coronava il bel zaffiro 17523 del quale il ciel più chiaro s’inzaffira. 17524 17525 «Io sono amore angelico, che giro 17526 l’alta letizia che spira del ventre 17527 che fu albergo del nostro disiro; 17528 17529 e girerommi, donna del ciel, mentre 17530 che seguirai tuo figlio, e farai dia 17531 più la spera suprema perché lì entre». 17532 17533 Così la circulata melodia 17534 si sigillava, e tutti li altri lumi 17535 facean sonare il nome di Maria. 17536 17537 Lo real manto di tutti i volumi 17538 del mondo, che più ferve e più s’avviva 17539 ne l’alito di Dio e nei costumi, 17540 17541 avea sopra di noi l’interna riva 17542 tanto distante, che la sua parvenza, 17543 là dov’ io era, ancor non appariva: 17544 17545 però non ebber li occhi miei potenza 17546 di seguitar la coronata fiamma 17547 che si levò appresso sua semenza. 17548 17549 E come fantolin che ’nver’ la mamma 17550 tende le braccia, poi che ’l latte prese, 17551 per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma; 17552 17553 ciascun di quei candori in sù si stese 17554 con la sua cima, sì che l’alto affetto 17555 ch’elli avieno a Maria mi fu palese. 17556 17557 Indi rimaser lì nel mio cospetto, 17558 ‘Regina celi’ cantando sì dolce, 17559 che mai da me non si partì ’l diletto. 17560 17561 Oh quanta è l’ubertà che si soffolce 17562 in quelle arche ricchissime che fuoro 17563 a seminar qua giù buone bobolce! 17564 17565 Quivi si vive e gode del tesoro 17566 che s’acquistò piangendo ne lo essilio 17567 di Babillòn, ove si lasciò l’oro. 17568 17569 Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio 17570 di Dio e di Maria, di sua vittoria, 17571 e con l’antico e col novo concilio, 17572 17573 colui che tien le chiavi di tal gloria. 17574 17575 17576 17577 Paradiso · Canto XXIV 17578 17579 17580 «O sodalizio eletto a la gran cena 17581 del benedetto Agnello, il qual vi ciba 17582 sì, che la vostra voglia è sempre piena, 17583 17584 se per grazia di Dio questi preliba 17585 di quel che cade de la vostra mensa, 17586 prima che morte tempo li prescriba, 17587 17588 ponete mente a l’affezione immensa 17589 e roratelo alquanto: voi bevete 17590 sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa». 17591 17592 Così Beatrice; e quelle anime liete 17593 si fero spere sopra fissi poli, 17594 fiammando, a volte, a guisa di comete. 17595 17596 E come cerchi in tempra d’orïuoli 17597 si giran sì, che ’l primo a chi pon mente 17598 quïeto pare, e l’ultimo che voli; 17599 17600 così quelle carole, differente- 17601 mente danzando, de la sua ricchezza 17602 mi facieno stimar, veloci e lente. 17603 17604 Di quella ch’io notai di più carezza 17605 vid’ ïo uscire un foco sì felice, 17606 che nullo vi lasciò di più chiarezza; 17607 17608 e tre fïate intorno di Beatrice 17609 si volse con un canto tanto divo, 17610 che la mia fantasia nol mi ridice. 17611 17612 Però salta la penna e non lo scrivo: 17613 ché l’imagine nostra a cotai pieghe, 17614 non che ’l parlare, è troppo color vivo. 17615 17616 «O santa suora mia che sì ne prieghe 17617 divota, per lo tuo ardente affetto 17618 da quella bella spera mi disleghe». 17619 17620 Poscia fermato, il foco benedetto 17621 a la mia donna dirizzò lo spiro, 17622 che favellò così com’ i’ ho detto. 17623 17624 Ed ella: «O luce etterna del gran viro 17625 a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, 17626 ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, 17627 17628 tenta costui di punti lievi e gravi, 17629 come ti piace, intorno de la fede, 17630 per la qual tu su per lo mare andavi. 17631 17632 S’elli ama bene e bene spera e crede, 17633 non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi 17634 dov’ ogne cosa dipinta si vede; 17635 17636 ma perché questo regno ha fatto civi 17637 per la verace fede, a glorïarla, 17638 di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». 17639 17640 Sì come il baccialier s’arma e non parla 17641 fin che ’l maestro la question propone, 17642 per approvarla, non per terminarla, 17643 17644 così m’armava io d’ogne ragione 17645 mentre ch’ella dicea, per esser presto 17646 a tal querente e a tal professione. 17647 17648 «Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: 17649 fede che è?». Ond’ io levai la fronte 17650 in quella luce onde spirava questo; 17651 17652 poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte 17653 sembianze femmi perch’ ïo spandessi 17654 l’acqua di fuor del mio interno fonte. 17655 17656 «La Grazia che mi dà ch’io mi confessi», 17657 comincia’ io, «da l’alto primipilo, 17658 faccia li miei concetti bene espressi». 17659 17660 E seguitai: «Come ’l verace stilo 17661 ne scrisse, padre, del tuo caro frate 17662 che mise teco Roma nel buon filo, 17663 17664 fede è sustanza di cose sperate 17665 e argomento de le non parventi; 17666 e questa pare a me sua quiditate». 17667 17668 Allora udi’: «Dirittamente senti, 17669 se bene intendi perché la ripuose 17670 tra le sustanze, e poi tra li argomenti». 17671 17672 E io appresso: «Le profonde cose 17673 che mi largiscon qui la lor parvenza, 17674 a li occhi di là giù son sì ascose, 17675 17676 che l’esser loro v’è in sola credenza, 17677 sopra la qual si fonda l’alta spene; 17678 e però di sustanza prende intenza. 17679 17680 E da questa credenza ci convene 17681 silogizzar, sanz’ avere altra vista: 17682 però intenza d’argomento tene». 17683 17684 Allora udi’: «Se quantunque s’acquista 17685 giù per dottrina, fosse così ’nteso, 17686 non lì avria loco ingegno di sofista». 17687 17688 Così spirò di quello amore acceso; 17689 indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa 17690 d’esta moneta già la lega e ’l peso; 17691 17692 ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». 17693 Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, 17694 che nel suo conio nulla mi s’inforsa». 17695 17696 Appresso uscì de la luce profonda 17697 che lì splendeva: «Questa cara gioia 17698 sopra la quale ogne virtù si fonda, 17699 17700 onde ti venne?». E io: «La larga ploia 17701 de lo Spirito Santo, ch’è diffusa 17702 in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, 17703 17704 è silogismo che la m’ha conchiusa 17705 acutamente sì, che ’nverso d’ella 17706 ogne dimostrazion mi pare ottusa». 17707 17708 Io udi’ poi: «L’antica e la novella 17709 proposizion che così ti conchiude, 17710 perché l’hai tu per divina favella?». 17711 17712 E io: «La prova che ’l ver mi dischiude, 17713 son l’opere seguite, a che natura 17714 non scalda ferro mai né batte incude». 17715 17716 Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura 17717 che quell’ opere fosser? Quel medesmo 17718 che vuol provarsi, non altri, il ti giura». 17719 17720 «Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo», 17721 diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno 17722 è tal, che li altri non sono il centesmo: 17723 17724 ché tu intrasti povero e digiuno 17725 in campo, a seminar la buona pianta 17726 che fu già vite e ora è fatta pruno». 17727 17728 Finito questo, l’alta corte santa 17729 risonò per le spere un ‘Dio laudamo’ 17730 ne la melode che là sù si canta. 17731 17732 E quel baron che sì di ramo in ramo, 17733 essaminando, già tratto m’avea, 17734 che a l’ultime fronde appressavamo, 17735 17736 ricominciò: «La Grazia, che donnea 17737 con la tua mente, la bocca t’aperse 17738 infino a qui come aprir si dovea, 17739 17740 sì ch’io approvo ciò che fuori emerse; 17741 ma or convien espremer quel che credi, 17742 e onde a la credenza tua s’offerse». 17743 17744 «O santo padre, e spirito che vedi 17745 ciò che credesti sì, che tu vincesti 17746 ver’ lo sepulcro più giovani piedi», 17747 17748 comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti 17749 la forma qui del pronto creder mio, 17750 e anche la cagion di lui chiedesti. 17751 17752 E io rispondo: Io credo in uno Dio 17753 solo ed etterno, che tutto ’l ciel move, 17754 non moto, con amore e con disio; 17755 17756 e a tal creder non ho io pur prove 17757 fisice e metafisice, ma dalmi 17758 anche la verità che quinci piove 17759 17760 per Moïsè, per profeti e per salmi, 17761 per l’Evangelio e per voi che scriveste 17762 poi che l’ardente Spirto vi fé almi; 17763 17764 e credo in tre persone etterne, e queste 17765 credo una essenza sì una e sì trina, 17766 che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’. 17767 17768 De la profonda condizion divina 17769 ch’io tocco mo, la mente mi sigilla 17770 più volte l’evangelica dottrina. 17771 17772 Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla 17773 che si dilata in fiamma poi vivace, 17774 e come stella in cielo in me scintilla». 17775 17776 Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace, 17777 da indi abbraccia il servo, gratulando 17778 per la novella, tosto ch’el si tace; 17779 17780 così, benedicendomi cantando, 17781 tre volte cinse me, sì com’ io tacqui, 17782 l’appostolico lume al cui comando 17783 17784 io avea detto: sì nel dir li piacqui! 17785 17786 17787 17788 Paradiso · Canto XXV 17789 17790 17791 Se mai continga che ’l poema sacro 17792 al quale ha posto mano e cielo e terra, 17793 sì che m’ha fatto per molti anni macro, 17794 17795 vinca la crudeltà che fuor mi serra 17796 del bello ovile ov’ io dormi’ agnello, 17797 nimico ai lupi che li danno guerra; 17798 17799 con altra voce omai, con altro vello 17800 ritornerò poeta, e in sul fonte 17801 del mio battesmo prenderò ’l cappello; 17802 17803 però che ne la fede, che fa conte 17804 l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi 17805 Pietro per lei sì mi girò la fronte. 17806 17807 Indi si mosse un lume verso noi 17808 di quella spera ond’ uscì la primizia 17809 che lasciò Cristo d’i vicari suoi; 17810 17811 e la mia donna, piena di letizia, 17812 mi disse: «Mira, mira: ecco il barone 17813 per cui là giù si vicita Galizia». 17814 17815 Sì come quando il colombo si pone 17816 presso al compagno, l’uno a l’altro pande, 17817 girando e mormorando, l’affezione; 17818 17819 così vid’ ïo l’un da l’altro grande 17820 principe glorïoso essere accolto, 17821 laudando il cibo che là sù li prande. 17822 17823 Ma poi che ’l gratular si fu assolto, 17824 tacito coram me ciascun s’affisse, 17825 ignito sì che vincëa ’l mio volto. 17826 17827 Ridendo allora Bëatrice disse: 17828 «Inclita vita per cui la larghezza 17829 de la nostra basilica si scrisse, 17830 17831 fa risonar la spene in questa altezza: 17832 tu sai, che tante fiate la figuri, 17833 quante Iesù ai tre fé più carezza». 17834 17835 «Leva la testa e fa che t’assicuri: 17836 che ciò che vien qua sù del mortal mondo, 17837 convien ch’ai nostri raggi si maturi». 17838 17839 Questo conforto del foco secondo 17840 mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti 17841 che li ’ncurvaron pria col troppo pondo. 17842 17843 «Poi che per grazia vuol che tu t’affronti 17844 lo nostro Imperadore, anzi la morte, 17845 ne l’aula più secreta co’ suoi conti, 17846 17847 sì che, veduto il ver di questa corte, 17848 la spene, che là giù bene innamora, 17849 in te e in altrui di ciò conforte, 17850 17851 di’ quel ch’ell’ è, di’ come se ne ’nfiora 17852 la mente tua, e dì onde a te venne». 17853 Così seguì ’l secondo lume ancora. 17854 17855 E quella pïa che guidò le penne 17856 de le mie ali a così alto volo, 17857 a la risposta così mi prevenne: 17858 17859 «La Chiesa militante alcun figliuolo 17860 non ha con più speranza, com’ è scritto 17861 nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: 17862 17863 però li è conceduto che d’Egitto 17864 vegna in Ierusalemme per vedere, 17865 anzi che ’l militar li sia prescritto. 17866 17867 Li altri due punti, che non per sapere 17868 son dimandati, ma perch’ ei rapporti 17869 quanto questa virtù t’è in piacere, 17870 17871 a lui lasc’ io, ché non li saran forti 17872 né di iattanza; ed elli a ciò risponda, 17873 e la grazia di Dio ciò li comporti». 17874 17875 Come discente ch’a dottor seconda 17876 pronto e libente in quel ch’elli è esperto, 17877 perché la sua bontà si disasconda, 17878 17879 «Spene», diss’ io, «è uno attender certo 17880 de la gloria futura, il qual produce 17881 grazia divina e precedente merto. 17882 17883 Da molte stelle mi vien questa luce; 17884 ma quei la distillò nel mio cor pria 17885 che fu sommo cantor del sommo duce. 17886 17887 ‘Sperino in te’, ne la sua tëodia 17888 dice, ‘color che sanno il nome tuo’: 17889 e chi nol sa, s’elli ha la fede mia? 17890 17891 Tu mi stillasti, con lo stillar suo, 17892 ne la pistola poi; sì ch’io son pieno, 17893 e in altrui vostra pioggia repluo». 17894 17895 Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno 17896 di quello incendio tremolava un lampo 17897 sùbito e spesso a guisa di baleno. 17898 17899 Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo 17900 ancor ver’ la virtù che mi seguette 17901 infin la palma e a l’uscir del campo, 17902 17903 vuol ch’io respiri a te che ti dilette 17904 di lei; ed emmi a grato che tu diche 17905 quello che la speranza ti ’mpromette». 17906 17907 E io: «Le nove e le scritture antiche 17908 pongon lo segno, ed esso lo mi addita, 17909 de l’anime che Dio s’ha fatte amiche. 17910 17911 Dice Isaia che ciascuna vestita 17912 ne la sua terra fia di doppia vesta: 17913 e la sua terra è questa dolce vita; 17914 17915 e ’l tuo fratello assai vie più digesta, 17916 là dove tratta de le bianche stole, 17917 questa revelazion ci manifesta». 17918 17919 E prima, appresso al fin d’este parole, 17920 ‘Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì; 17921 a che rispuoser tutte le carole. 17922 17923 Poscia tra esse un lume si schiarì 17924 sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo, 17925 l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. 17926 17927 E come surge e va ed entra in ballo 17928 vergine lieta, sol per fare onore 17929 a la novizia, non per alcun fallo, 17930 17931 così vid’ io lo schiarato splendore 17932 venire a’ due che si volgieno a nota 17933 qual conveniesi al loro ardente amore. 17934 17935 Misesi lì nel canto e ne la rota; 17936 e la mia donna in lor tenea l’aspetto, 17937 pur come sposa tacita e immota. 17938 17939 «Questi è colui che giacque sopra ’l petto 17940 del nostro pellicano, e questi fue 17941 di su la croce al grande officio eletto». 17942 17943 La donna mia così; né però piùe 17944 mosser la vista sua di stare attenta 17945 poscia che prima le parole sue. 17946 17947 Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta 17948 di vedere eclissar lo sole un poco, 17949 che, per veder, non vedente diventa; 17950 17951 tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco 17952 mentre che detto fu: «Perché t’abbagli 17953 per veder cosa che qui non ha loco? 17954 17955 In terra è terra il mio corpo, e saragli 17956 tanto con li altri, che ’l numero nostro 17957 con l’etterno proposito s’agguagli. 17958 17959 Con le due stole nel beato chiostro 17960 son le due luci sole che saliro; 17961 e questo apporterai nel mondo vostro». 17962 17963 A questa voce l’infiammato giro 17964 si quïetò con esso il dolce mischio 17965 che si facea nel suon del trino spiro, 17966 17967 sì come, per cessar fatica o rischio, 17968 li remi, pria ne l’acqua ripercossi, 17969 tutti si posano al sonar d’un fischio. 17970 17971 Ahi quanto ne la mente mi commossi, 17972 quando mi volsi per veder Beatrice, 17973 per non poter veder, benché io fossi 17974 17975 presso di lei, e nel mondo felice! 17976 17977 17978 17979 Paradiso · Canto XXVI 17980 17981 17982 Mentr’ io dubbiava per lo viso spento, 17983 de la fulgida fiamma che lo spense 17984 uscì un spiro che mi fece attento, 17985 17986 dicendo: «Intanto che tu ti risense 17987 de la vista che haï in me consunta, 17988 ben è che ragionando la compense. 17989 17990 Comincia dunque; e dì ove s’appunta 17991 l’anima tua, e fa ragion che sia 17992 la vista in te smarrita e non defunta: 17993 17994 perché la donna che per questa dia 17995 regïon ti conduce, ha ne lo sguardo 17996 la virtù ch’ebbe la man d’Anania». 17997 17998 Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo 17999 vegna remedio a li occhi, che fuor porte 18000 quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo. 18001 18002 Lo ben che fa contenta questa corte, 18003 Alfa e O è di quanta scrittura 18004 mi legge Amore o lievemente o forte». 18005 18006 Quella medesma voce che paura 18007 tolta m’avea del sùbito abbarbaglio, 18008 di ragionare ancor mi mise in cura; 18009 18010 e disse: «Certo a più angusto vaglio 18011 ti conviene schiarar: dicer convienti 18012 chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio». 18013 18014 E io: «Per filosofici argomenti 18015 e per autorità che quinci scende 18016 cotale amor convien che in me si ’mprenti: 18017 18018 ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende, 18019 così accende amore, e tanto maggio 18020 quanto più di bontate in sé comprende. 18021 18022 Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio, 18023 che ciascun ben che fuor di lei si trova 18024 altro non è ch’un lume di suo raggio, 18025 18026 più che in altra convien che si mova 18027 la mente, amando, di ciascun che cerne 18028 il vero in che si fonda questa prova. 18029 18030 Tal vero a l’intelletto mïo sterne 18031 colui che mi dimostra il primo amore 18032 di tutte le sustanze sempiterne. 18033 18034 Sternel la voce del verace autore, 18035 che dice a Moïsè, di sé parlando: 18036 ‘Io ti farò vedere ogne valore’. 18037 18038 Sternilmi tu ancora, incominciando 18039 l’alto preconio che grida l’arcano 18040 di qui là giù sovra ogne altro bando». 18041 18042 E io udi’: «Per intelletto umano 18043 e per autoritadi a lui concorde 18044 d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. 18045 18046 Ma dì ancor se tu senti altre corde 18047 tirarti verso lui, sì che tu suone 18048 con quanti denti questo amor ti morde». 18049 18050 Non fu latente la santa intenzione 18051 de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi 18052 dove volea menar mia professione. 18053 18054 Però ricominciai: «Tutti quei morsi 18055 che posson far lo cor volgere a Dio, 18056 a la mia caritate son concorsi: 18057 18058 ché l’essere del mondo e l’esser mio, 18059 la morte ch’el sostenne perch’ io viva, 18060 e quel che spera ogne fedel com’ io, 18061 18062 con la predetta conoscenza viva, 18063 tratto m’hanno del mar de l’amor torto, 18064 e del diritto m’han posto a la riva. 18065 18066 Le fronde onde s’infronda tutto l’orto 18067 de l’ortolano etterno, am’ io cotanto 18068 quanto da lui a lor di bene è porto». 18069 18070 Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto 18071 risonò per lo cielo, e la mia donna 18072 dicea con li altri: «Santo, santo, santo!». 18073 18074 E come a lume acuto si disonna 18075 per lo spirto visivo che ricorre 18076 a lo splendor che va di gonna in gonna, 18077 18078 e lo svegliato ciò che vede aborre, 18079 sì nescïa è la sùbita vigilia 18080 fin che la stimativa non soccorre; 18081 18082 così de li occhi miei ogne quisquilia 18083 fugò Beatrice col raggio d’i suoi, 18084 che rifulgea da più di mille milia: 18085 18086 onde mei che dinanzi vidi poi; 18087 e quasi stupefatto domandai 18088 d’un quarto lume ch’io vidi tra noi. 18089 18090 E la mia donna: «Dentro da quei rai 18091 vagheggia il suo fattor l’anima prima 18092 che la prima virtù creasse mai». 18093 18094 Come la fronda che flette la cima 18095 nel transito del vento, e poi si leva 18096 per la propria virtù che la soblima, 18097 18098 fec’ io in tanto in quant’ ella diceva, 18099 stupendo, e poi mi rifece sicuro 18100 un disio di parlare ond’ ïo ardeva. 18101 18102 E cominciai: «O pomo che maturo 18103 solo prodotto fosti, o padre antico 18104 a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, 18105 18106 divoto quanto posso a te supplìco 18107 perché mi parli: tu vedi mia voglia, 18108 e per udirti tosto non la dico». 18109 18110 Talvolta un animal coverto broglia, 18111 sì che l’affetto convien che si paia 18112 per lo seguir che face a lui la ’nvoglia; 18113 18114 e similmente l’anima primaia 18115 mi facea trasparer per la coverta 18116 quant’ ella a compiacermi venìa gaia. 18117 18118 Indi spirò: «Sanz’ essermi proferta 18119 da te, la voglia tua discerno meglio 18120 che tu qualunque cosa t’è più certa; 18121 18122 perch’ io la veggio nel verace speglio 18123 che fa di sé pareglio a l’altre cose, 18124 e nulla face lui di sé pareglio. 18125 18126 Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose 18127 ne l’eccelso giardino, ove costei 18128 a così lunga scala ti dispuose, 18129 18130 e quanto fu diletto a li occhi miei, 18131 e la propria cagion del gran disdegno, 18132 e l’idïoma ch’usai e che fei. 18133 18134 Or, figluol mio, non il gustar del legno 18135 fu per sé la cagion di tanto essilio, 18136 ma solamente il trapassar del segno. 18137 18138 Quindi onde mosse tua donna Virgilio, 18139 quattromilia trecento e due volumi 18140 di sol desiderai questo concilio; 18141 18142 e vidi lui tornare a tutt’ i lumi 18143 de la sua strada novecento trenta 18144 fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi. 18145 18146 La lingua ch’io parlai fu tutta spenta 18147 innanzi che a l’ovra inconsummabile 18148 fosse la gente di Nembròt attenta: 18149 18150 ché nullo effetto mai razïonabile, 18151 per lo piacere uman che rinovella 18152 seguendo il cielo, sempre fu durabile. 18153 18154 Opera naturale è ch’uom favella; 18155 ma così o così, natura lascia 18156 poi fare a voi secondo che v’abbella. 18157 18158 Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia, 18159 I s’appellava in terra il sommo bene 18160 onde vien la letizia che mi fascia; 18161 18162 e El si chiamò poi: e ciò convene, 18163 ché l’uso d’i mortali è come fronda 18164 in ramo, che sen va e altra vene. 18165 18166 Nel monte che si leva più da l’onda, 18167 fu’ io, con vita pura e disonesta, 18168 da la prim’ ora a quella che seconda, 18169 18170 come ’l sol muta quadra, l’ora sesta». 18171 18172 18173 18174 Paradiso · Canto XXVII 18175 18176 18177 ‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’, 18178 cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso, 18179 sì che m’inebrïava il dolce canto. 18180 18181 Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso 18182 de l’universo; per che mia ebbrezza 18183 intrava per l’udire e per lo viso. 18184 18185 Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! 18186 oh vita intègra d’amore e di pace! 18187 oh sanza brama sicura ricchezza! 18188 18189 Dinanzi a li occhi miei le quattro face 18190 stavano accese, e quella che pria venne 18191 incominciò a farsi più vivace, 18192 18193 e tal ne la sembianza sua divenne, 18194 qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte 18195 fossero augelli e cambiassersi penne. 18196 18197 La provedenza, che quivi comparte 18198 vice e officio, nel beato coro 18199 silenzio posto avea da ogne parte, 18200 18201 quand’ ïo udi’: «Se io mi trascoloro, 18202 non ti maravigliar, ché, dicend’ io, 18203 vedrai trascolorar tutti costoro. 18204 18205 Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, 18206 il luogo mio, il luogo mio, che vaca 18207 ne la presenza del Figliuol di Dio, 18208 18209 fatt’ ha del cimitero mio cloaca 18210 del sangue e de la puzza; onde ’l perverso 18211 che cadde di qua sù, là giù si placa». 18212 18213 Di quel color che per lo sole avverso 18214 nube dipigne da sera e da mane, 18215 vid’ ïo allora tutto ’l ciel cosperso. 18216 18217 E come donna onesta che permane 18218 di sé sicura, e per l’altrui fallanza, 18219 pur ascoltando, timida si fane, 18220 18221 così Beatrice trasmutò sembianza; 18222 e tale eclissi credo che ’n ciel fue 18223 quando patì la supprema possanza. 18224 18225 Poi procedetter le parole sue 18226 con voce tanto da sé trasmutata, 18227 che la sembianza non si mutò piùe: 18228 18229 «Non fu la sposa di Cristo allevata 18230 del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, 18231 per essere ad acquisto d’oro usata; 18232 18233 ma per acquisto d’esto viver lieto 18234 e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano 18235 sparser lo sangue dopo molto fleto. 18236 18237 Non fu nostra intenzion ch’a destra mano 18238 d’i nostri successor parte sedesse, 18239 parte da l’altra del popol cristiano; 18240 18241 né che le chiavi che mi fuor concesse, 18242 divenisser signaculo in vessillo 18243 che contra battezzati combattesse; 18244 18245 né ch’io fossi figura di sigillo 18246 a privilegi venduti e mendaci, 18247 ond’ io sovente arrosso e disfavillo. 18248 18249 In vesta di pastor lupi rapaci 18250 si veggion di qua sù per tutti i paschi: 18251 o difesa di Dio, perché pur giaci? 18252 18253 Del sangue nostro Caorsini e Guaschi 18254 s’apparecchian di bere: o buon principio, 18255 a che vil fine convien che tu caschi! 18256 18257 Ma l’alta provedenza, che con Scipio 18258 difese a Roma la gloria del mondo, 18259 soccorrà tosto, sì com’ io concipio; 18260 18261 e tu, figliuol, che per lo mortal pondo 18262 ancor giù tornerai, apri la bocca, 18263 e non asconder quel ch’io non ascondo». 18264 18265 Sì come di vapor gelati fiocca 18266 in giuso l’aere nostro, quando ’l corno 18267 de la capra del ciel col sol si tocca, 18268 18269 in sù vid’ io così l’etera addorno 18270 farsi e fioccar di vapor trïunfanti 18271 che fatto avien con noi quivi soggiorno. 18272 18273 Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, 18274 e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto, 18275 li tolse il trapassar del più avanti. 18276 18277 Onde la donna, che mi vide assolto 18278 de l’attendere in sù, mi disse: «Adima 18279 il viso e guarda come tu se’ vòlto». 18280 18281 Da l’ora ch’ïo avea guardato prima 18282 i’ vidi mosso me per tutto l’arco 18283 che fa dal mezzo al fine il primo clima; 18284 18285 sì ch’io vedea di là da Gade il varco 18286 folle d’Ulisse, e di qua presso il lito 18287 nel qual si fece Europa dolce carco. 18288 18289 E più mi fora discoverto il sito 18290 di questa aiuola; ma ’l sol procedea 18291 sotto i mie’ piedi un segno e più partito. 18292 18293 La mente innamorata, che donnea 18294 con la mia donna sempre, di ridure 18295 ad essa li occhi più che mai ardea; 18296 18297 e se natura o arte fé pasture 18298 da pigliare occhi, per aver la mente, 18299 in carne umana o ne le sue pitture, 18300 18301 tutte adunate, parrebber nïente 18302 ver’ lo piacer divin che mi refulse, 18303 quando mi volsi al suo viso ridente. 18304 18305 E la virtù che lo sguardo m’indulse, 18306 del bel nido di Leda mi divelse, 18307 e nel ciel velocissimo m’impulse. 18308 18309 Le parti sue vivissime ed eccelse 18310 sì uniforme son, ch’i’ non so dire 18311 qual Bëatrice per loco mi scelse. 18312 18313 Ma ella, che vedëa ’l mio disire, 18314 incominciò, ridendo tanto lieta, 18315 che Dio parea nel suo volto gioire: 18316 18317 «La natura del mondo, che quïeta 18318 il mezzo e tutto l’altro intorno move, 18319 quinci comincia come da sua meta; 18320 18321 e questo cielo non ha altro dove 18322 che la mente divina, in che s’accende 18323 l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove. 18324 18325 Luce e amor d’un cerchio lui comprende, 18326 sì come questo li altri; e quel precinto 18327 colui che ’l cinge solamente intende. 18328 18329 Non è suo moto per altro distinto, 18330 ma li altri son mensurati da questo, 18331 sì come diece da mezzo e da quinto; 18332 18333 e come il tempo tegna in cotal testo 18334 le sue radici e ne li altri le fronde, 18335 omai a te può esser manifesto. 18336 18337 Oh cupidigia che i mortali affonde 18338 sì sotto te, che nessuno ha podere 18339 di trarre li occhi fuor de le tue onde! 18340 18341 Ben fiorisce ne li uomini il volere; 18342 ma la pioggia continüa converte 18343 in bozzacchioni le sosine vere. 18344 18345 Fede e innocenza son reperte 18346 solo ne’ parvoletti; poi ciascuna 18347 pria fugge che le guance sian coperte. 18348 18349 Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, 18350 che poi divora, con la lingua sciolta, 18351 qualunque cibo per qualunque luna; 18352 18353 e tal, balbuzïendo, ama e ascolta 18354 la madre sua, che, con loquela intera, 18355 disïa poi di vederla sepolta. 18356 18357 Così si fa la pelle bianca nera 18358 nel primo aspetto de la bella figlia 18359 di quel ch’apporta mane e lascia sera. 18360 18361 Tu, perché non ti facci maraviglia, 18362 pensa che ’n terra non è chi governi; 18363 onde sì svïa l’umana famiglia. 18364 18365 Ma prima che gennaio tutto si sverni 18366 per la centesma ch’è là giù negletta, 18367 raggeran sì questi cerchi superni, 18368 18369 che la fortuna che tanto s’aspetta, 18370 le poppe volgerà u’ son le prore, 18371 sì che la classe correrà diretta; 18372 18373 e vero frutto verrà dopo ’l fiore». 18374 18375 18376 18377 Paradiso · Canto XXVIII 18378 18379 18380 Poscia che ’ncontro a la vita presente 18381 d’i miseri mortali aperse ’l vero 18382 quella che ’mparadisa la mia mente, 18383 18384 come in lo specchio fiamma di doppiero 18385 vede colui che se n’alluma retro, 18386 prima che l’abbia in vista o in pensiero, 18387 18388 e sé rivolge per veder se ’l vetro 18389 li dice il vero, e vede ch’el s’accorda 18390 con esso come nota con suo metro; 18391 18392 così la mia memoria si ricorda 18393 ch’io feci riguardando ne’ belli occhi 18394 onde a pigliarmi fece Amor la corda. 18395 18396 E com’ io mi rivolsi e furon tocchi 18397 li miei da ciò che pare in quel volume, 18398 quandunque nel suo giro ben s’adocchi, 18399 18400 un punto vidi che raggiava lume 18401 acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca 18402 chiuder conviensi per lo forte acume; 18403 18404 e quale stella par quinci più poca, 18405 parrebbe luna, locata con esso 18406 come stella con stella si collòca. 18407 18408 Forse cotanto quanto pare appresso 18409 alo cigner la luce che ’l dipigne 18410 quando ’l vapor che ’l porta più è spesso, 18411 18412 distante intorno al punto un cerchio d’igne 18413 si girava sì ratto, ch’avria vinto 18414 quel moto che più tosto il mondo cigne; 18415 18416 e questo era d’un altro circumcinto, 18417 e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto, 18418 dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. 18419 18420 Sopra seguiva il settimo sì sparto 18421 già di larghezza, che ’l messo di Iuno 18422 intero a contenerlo sarebbe arto. 18423 18424 Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno 18425 più tardo si movea, secondo ch’era 18426 in numero distante più da l’uno; 18427 18428 e quello avea la fiamma più sincera 18429 cui men distava la favilla pura, 18430 credo, però che più di lei s’invera. 18431 18432 La donna mia, che mi vedëa in cura 18433 forte sospeso, disse: «Da quel punto 18434 depende il cielo e tutta la natura. 18435 18436 Mira quel cerchio che più li è congiunto; 18437 e sappi che ’l suo muovere è sì tosto 18438 per l’affocato amore ond’ elli è punto». 18439 18440 E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto 18441 con l’ordine ch’io veggio in quelle rote, 18442 sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto; 18443 18444 ma nel mondo sensibile si puote 18445 veder le volte tanto più divine, 18446 quant’ elle son dal centro più remote. 18447 18448 Onde, se ’l mio disir dee aver fine 18449 in questo miro e angelico templo 18450 che solo amore e luce ha per confine, 18451 18452 udir convienmi ancor come l’essemplo 18453 e l’essemplare non vanno d’un modo, 18454 ché io per me indarno a ciò contemplo». 18455 18456 «Se li tuoi diti non sono a tal nodo 18457 sufficïenti, non è maraviglia: 18458 tanto, per non tentare, è fatto sodo!». 18459 18460 Così la donna mia; poi disse: «Piglia 18461 quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti; 18462 e intorno da esso t’assottiglia. 18463 18464 Li cerchi corporai sono ampi e arti 18465 secondo il più e ’l men de la virtute 18466 che si distende per tutte lor parti. 18467 18468 Maggior bontà vuol far maggior salute; 18469 maggior salute maggior corpo cape, 18470 s’elli ha le parti igualmente compiute. 18471 18472 Dunque costui che tutto quanto rape 18473 l’altro universo seco, corrisponde 18474 al cerchio che più ama e che più sape: 18475 18476 per che, se tu a la virtù circonde 18477 la tua misura, non a la parvenza 18478 de le sustanze che t’appaion tonde, 18479 18480 tu vederai mirabil consequenza 18481 di maggio a più e di minore a meno, 18482 in ciascun cielo, a süa intelligenza». 18483 18484 Come rimane splendido e sereno 18485 l’emisperio de l’aere, quando soffia 18486 Borea da quella guancia ond’ è più leno, 18487 18488 per che si purga e risolve la roffia 18489 che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride 18490 con le bellezze d’ogne sua paroffia; 18491 18492 così fec’ïo, poi che mi provide 18493 la donna mia del suo risponder chiaro, 18494 e come stella in cielo il ver si vide. 18495 18496 E poi che le parole sue restaro, 18497 non altrimenti ferro disfavilla 18498 che bolle, come i cerchi sfavillaro. 18499 18500 L’incendio suo seguiva ogne scintilla; 18501 ed eran tante, che ’l numero loro 18502 più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla. 18503 18504 Io sentiva osannar di coro in coro 18505 al punto fisso che li tiene a li ubi, 18506 e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro. 18507 18508 E quella che vedëa i pensier dubi 18509 ne la mia mente, disse: «I cerchi primi 18510 t’hanno mostrato Serafi e Cherubi. 18511 18512 Così veloci seguono i suoi vimi, 18513 per somigliarsi al punto quanto ponno; 18514 e posson quanto a veder son soblimi. 18515 18516 Quelli altri amori che ’ntorno li vonno, 18517 si chiaman Troni del divino aspetto, 18518 per che ’l primo ternaro terminonno; 18519 18520 e dei saper che tutti hanno diletto 18521 quanto la sua veduta si profonda 18522 nel vero in che si queta ogne intelletto. 18523 18524 Quinci si può veder come si fonda 18525 l’esser beato ne l’atto che vede, 18526 non in quel ch’ama, che poscia seconda; 18527 18528 e del vedere è misura mercede, 18529 che grazia partorisce e buona voglia: 18530 così di grado in grado si procede. 18531 18532 L’altro ternaro, che così germoglia 18533 in questa primavera sempiterna 18534 che notturno Arïete non dispoglia, 18535 18536 perpetüalemente ‘Osanna’ sberna 18537 con tre melode, che suonano in tree 18538 ordini di letizia onde s’interna. 18539 18540 In essa gerarcia son l’altre dee: 18541 prima Dominazioni, e poi Virtudi; 18542 l’ordine terzo di Podestadi èe. 18543 18544 Poscia ne’ due penultimi tripudi 18545 Principati e Arcangeli si girano; 18546 l’ultimo è tutto d’Angelici ludi. 18547 18548 Questi ordini di sù tutti s’ammirano, 18549 e di giù vincon sì, che verso Dio 18550 tutti tirati sono e tutti tirano. 18551 18552 E Dïonisio con tanto disio 18553 a contemplar questi ordini si mise, 18554 che li nomò e distinse com’ io. 18555 18556 Ma Gregorio da lui poi si divise; 18557 onde, sì tosto come li occhi aperse 18558 in questo ciel, di sé medesmo rise. 18559 18560 E se tanto secreto ver proferse 18561 mortale in terra, non voglio ch’ammiri: 18562 ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse 18563 18564 con altro assai del ver di questi giri». 18565 18566 18567 18568 Paradiso · Canto XXIX 18569 18570 18571 Quando ambedue li figli di Latona, 18572 coperti del Montone e de la Libra, 18573 fanno de l’orizzonte insieme zona, 18574 18575 quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra 18576 infin che l’uno e l’altro da quel cinto, 18577 cambiando l’emisperio, si dilibra, 18578 18579 tanto, col volto di riso dipinto, 18580 si tacque Bëatrice, riguardando 18581 fiso nel punto che m’avëa vinto. 18582 18583 Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, 18584 quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto 18585 là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando. 18586 18587 Non per aver a sé di bene acquisto, 18588 ch’esser non può, ma perché suo splendore 18589 potesse, risplendendo, dir “Subsisto”, 18590 18591 in sua etternità di tempo fore, 18592 fuor d’ogne altro comprender, come i piacque, 18593 s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. 18594 18595 Né prima quasi torpente si giacque; 18596 ché né prima né poscia procedette 18597 lo discorrer di Dio sovra quest’ acque. 18598 18599 Forma e materia, congiunte e purette, 18600 usciro ad esser che non avia fallo, 18601 come d’arco tricordo tre saette. 18602 18603 E come in vetro, in ambra o in cristallo 18604 raggio resplende sì, che dal venire 18605 a l’esser tutto non è intervallo, 18606 18607 così ’l triforme effetto del suo sire 18608 ne l’esser suo raggiò insieme tutto 18609 sanza distinzïone in essordire. 18610 18611 Concreato fu ordine e costrutto 18612 a le sustanze; e quelle furon cima 18613 nel mondo in che puro atto fu produtto; 18614 18615 pura potenza tenne la parte ima; 18616 nel mezzo strinse potenza con atto 18617 tal vime, che già mai non si divima. 18618 18619 Ieronimo vi scrisse lungo tratto 18620 di secoli de li angeli creati 18621 anzi che l’altro mondo fosse fatto; 18622 18623 ma questo vero è scritto in molti lati 18624 da li scrittor de lo Spirito Santo, 18625 e tu te n’avvedrai se bene agguati; 18626 18627 e anche la ragione il vede alquanto, 18628 che non concederebbe che ’ motori 18629 sanza sua perfezion fosser cotanto. 18630 18631 Or sai tu dove e quando questi amori 18632 furon creati e come: sì che spenti 18633 nel tuo disïo già son tre ardori. 18634 18635 Né giugneriesi, numerando, al venti 18636 sì tosto, come de li angeli parte 18637 turbò il suggetto d’i vostri alimenti. 18638 18639 L’altra rimase, e cominciò quest’ arte 18640 che tu discerni, con tanto diletto, 18641 che mai da circüir non si diparte. 18642 18643 Principio del cader fu il maladetto 18644 superbir di colui che tu vedesti 18645 da tutti i pesi del mondo costretto. 18646 18647 Quelli che vedi qui furon modesti 18648 a riconoscer sé da la bontate 18649 che li avea fatti a tanto intender presti: 18650 18651 per che le viste lor furo essaltate 18652 con grazia illuminante e con lor merto, 18653 si c’hanno ferma e piena volontate; 18654 18655 e non voglio che dubbi, ma sia certo, 18656 che ricever la grazia è meritorio 18657 secondo che l’affetto l’è aperto. 18658 18659 Omai dintorno a questo consistorio 18660 puoi contemplare assai, se le parole 18661 mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio. 18662 18663 Ma perché ’n terra per le vostre scole 18664 si legge che l’angelica natura 18665 è tal, che ’ntende e si ricorda e vole, 18666 18667 ancor dirò, perché tu veggi pura 18668 la verità che là giù si confonde, 18669 equivocando in sì fatta lettura. 18670 18671 Queste sustanze, poi che fur gioconde 18672 de la faccia di Dio, non volser viso 18673 da essa, da cui nulla si nasconde: 18674 18675 però non hanno vedere interciso 18676 da novo obietto, e però non bisogna 18677 rememorar per concetto diviso; 18678 18679 sì che là giù, non dormendo, si sogna, 18680 credendo e non credendo dicer vero; 18681 ma ne l’uno è più colpa e più vergogna. 18682 18683 Voi non andate giù per un sentiero 18684 filosofando: tanto vi trasporta 18685 l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero! 18686 18687 E ancor questo qua sù si comporta 18688 con men disdegno che quando è posposta 18689 la divina Scrittura o quando è torta. 18690 18691 Non vi si pensa quanto sangue costa 18692 seminarla nel mondo e quanto piace 18693 chi umilmente con essa s’accosta. 18694 18695 Per apparer ciascun s’ingegna e face 18696 sue invenzioni; e quelle son trascorse 18697 da’ predicanti e ’l Vangelio si tace. 18698 18699 Un dice che la luna si ritorse 18700 ne la passion di Cristo e s’interpuose, 18701 per che ’l lume del sol giù non si porse; 18702 18703 e mente, ché la luce si nascose 18704 da sé: però a li Spani e a l’Indi 18705 come a’ Giudei tale eclissi rispuose. 18706 18707 Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi 18708 quante sì fatte favole per anno 18709 in pergamo si gridan quinci e quindi: 18710 18711 sì che le pecorelle, che non sanno, 18712 tornan del pasco pasciute di vento, 18713 e non le scusa non veder lo danno. 18714 18715 Non disse Cristo al suo primo convento: 18716 ‘Andate, e predicate al mondo ciance’; 18717 ma diede lor verace fondamento; 18718 18719 e quel tanto sonò ne le sue guance, 18720 sì ch’a pugnar per accender la fede 18721 de l’Evangelio fero scudo e lance. 18722 18723 Ora si va con motti e con iscede 18724 a predicare, e pur che ben si rida, 18725 gonfia il cappuccio e più non si richiede. 18726 18727 Ma tale uccel nel becchetto s’annida, 18728 che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe 18729 la perdonanza di ch’el si confida: 18730 18731 per cui tanta stoltezza in terra crebbe, 18732 che, sanza prova d’alcun testimonio, 18733 ad ogne promession si correrebbe. 18734 18735 Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio, 18736 e altri assai che sono ancor più porci, 18737 pagando di moneta sanza conio. 18738 18739 Ma perché siam digressi assai, ritorci 18740 li occhi oramai verso la dritta strada, 18741 sì che la via col tempo si raccorci. 18742 18743 Questa natura sì oltre s’ingrada 18744 in numero, che mai non fu loquela 18745 né concetto mortal che tanto vada; 18746 18747 e se tu guardi quel che si revela 18748 per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia 18749 determinato numero si cela. 18750 18751 La prima luce, che tutta la raia, 18752 per tanti modi in essa si recepe, 18753 quanti son li splendori a chi s’appaia. 18754 18755 Onde, però che a l’atto che concepe 18756 segue l’affetto, d’amar la dolcezza 18757 diversamente in essa ferve e tepe. 18758 18759 Vedi l’eccelso omai e la larghezza 18760 de l’etterno valor, poscia che tanti 18761 speculi fatti s’ha in che si spezza, 18762 18763 uno manendo in sé come davanti». 18764 18765 18766 18767 Paradiso · Canto XXX 18768 18769 18770 Forse semilia miglia di lontano 18771 ci ferve l’ora sesta, e questo mondo 18772 china già l’ombra quasi al letto piano, 18773 18774 quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo, 18775 comincia a farsi tal, ch’alcuna stella 18776 perde il parere infino a questo fondo; 18777 18778 e come vien la chiarissima ancella 18779 del sol più oltre, così ’l ciel si chiude 18780 di vista in vista infino a la più bella. 18781 18782 Non altrimenti il trïunfo che lude 18783 sempre dintorno al punto che mi vinse, 18784 parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude, 18785 18786 a poco a poco al mio veder si stinse: 18787 per che tornar con li occhi a Bëatrice 18788 nulla vedere e amor mi costrinse. 18789 18790 Se quanto infino a qui di lei si dice 18791 fosse conchiuso tutto in una loda, 18792 poca sarebbe a fornir questa vice. 18793 18794 La bellezza ch’io vidi si trasmoda 18795 non pur di là da noi, ma certo io credo 18796 che solo il suo fattor tutta la goda. 18797 18798 Da questo passo vinto mi concedo 18799 più che già mai da punto di suo tema 18800 soprato fosse comico o tragedo: 18801 18802 ché, come sole in viso che più trema, 18803 così lo rimembrar del dolce riso 18804 la mente mia da me medesmo scema. 18805 18806 Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso 18807 in questa vita, infino a questa vista, 18808 non m’è il seguire al mio cantar preciso; 18809 18810 ma or convien che mio seguir desista 18811 più dietro a sua bellezza, poetando, 18812 come a l’ultimo suo ciascuno artista. 18813 18814 Cotal qual io lascio a maggior bando 18815 che quel de la mia tuba, che deduce 18816 l’ardüa sua matera terminando, 18817 18818 con atto e voce di spedito duce 18819 ricominciò: «Noi siamo usciti fore 18820 del maggior corpo al ciel ch’è pura luce: 18821 18822 luce intellettüal, piena d’amore; 18823 amor di vero ben, pien di letizia; 18824 letizia che trascende ogne dolzore. 18825 18826 Qui vederai l’una e l’altra milizia 18827 di paradiso, e l’una in quelli aspetti 18828 che tu vedrai a l’ultima giustizia». 18829 18830 Come sùbito lampo che discetti 18831 li spiriti visivi, sì che priva 18832 da l’atto l’occhio di più forti obietti, 18833 18834 così mi circunfulse luce viva, 18835 e lasciommi fasciato di tal velo 18836 del suo fulgor, che nulla m’appariva. 18837 18838 «Sempre l’amor che queta questo cielo 18839 accoglie in sé con sì fatta salute, 18840 per far disposto a sua fiamma il candelo». 18841 18842 Non fur più tosto dentro a me venute 18843 queste parole brievi, ch’io compresi 18844 me sormontar di sopr’ a mia virtute; 18845 18846 e di novella vista mi raccesi 18847 tale, che nulla luce è tanto mera, 18848 che li occhi miei non si fosser difesi; 18849 18850 e vidi lume in forma di rivera 18851 fulvido di fulgore, intra due rive 18852 dipinte di mirabil primavera. 18853 18854 Di tal fiumana uscian faville vive, 18855 e d’ogne parte si mettien ne’ fiori, 18856 quasi rubin che oro circunscrive; 18857 18858 poi, come inebrïate da li odori, 18859 riprofondavan sé nel miro gurge, 18860 e s’una intrava, un’altra n’uscia fori. 18861 18862 «L’alto disio che mo t’infiamma e urge, 18863 d’aver notizia di ciò che tu vei, 18864 tanto mi piace più quanto più turge; 18865 18866 ma di quest’ acqua convien che tu bei 18867 prima che tanta sete in te si sazi»: 18868 così mi disse il sol de li occhi miei. 18869 18870 Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi 18871 ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe 18872 son di lor vero umbriferi prefazi. 18873 18874 Non che da sé sian queste cose acerbe; 18875 ma è difetto da la parte tua, 18876 che non hai viste ancor tanto superbe». 18877 18878 Non è fantin che sì sùbito rua 18879 col volto verso il latte, se si svegli 18880 molto tardato da l’usanza sua, 18881 18882 come fec’ io, per far migliori spegli 18883 ancor de li occhi, chinandomi a l’onda 18884 che si deriva perché vi s’immegli; 18885 18886 e sì come di lei bevve la gronda 18887 de le palpebre mie, così mi parve 18888 di sua lunghezza divenuta tonda. 18889 18890 Poi, come gente stata sotto larve, 18891 che pare altro che prima, se si sveste 18892 la sembianza non süa in che disparve, 18893 18894 così mi si cambiaro in maggior feste 18895 li fiori e le faville, sì ch’io vidi 18896 ambo le corti del ciel manifeste. 18897 18898 O isplendor di Dio, per cu’ io vidi 18899 l’alto trïunfo del regno verace, 18900 dammi virtù a dir com’ ïo il vidi! 18901 18902 Lume è là sù che visibile face 18903 lo creatore a quella creatura 18904 che solo in lui vedere ha la sua pace. 18905 18906 E’ si distende in circular figura, 18907 in tanto che la sua circunferenza 18908 sarebbe al sol troppo larga cintura. 18909 18910 Fassi di raggio tutta sua parvenza 18911 reflesso al sommo del mobile primo, 18912 che prende quindi vivere e potenza. 18913 18914 E come clivo in acqua di suo imo 18915 si specchia, quasi per vedersi addorno, 18916 quando è nel verde e ne’ fioretti opimo, 18917 18918 sì, soprastando al lume intorno intorno, 18919 vidi specchiarsi in più di mille soglie 18920 quanto di noi là sù fatto ha ritorno. 18921 18922 E se l’infimo grado in sé raccoglie 18923 sì grande lume, quanta è la larghezza 18924 di questa rosa ne l’estreme foglie! 18925 18926 La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza 18927 non si smarriva, ma tutto prendeva 18928 il quanto e ’l quale di quella allegrezza. 18929 18930 Presso e lontano, lì, né pon né leva: 18931 ché dove Dio sanza mezzo governa, 18932 la legge natural nulla rileva. 18933 18934 Nel giallo de la rosa sempiterna, 18935 che si digrada e dilata e redole 18936 odor di lode al sol che sempre verna, 18937 18938 qual è colui che tace e dicer vole, 18939 mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira 18940 quanto è ’l convento de le bianche stole! 18941 18942 Vedi nostra città quant’ ella gira; 18943 vedi li nostri scanni sì ripieni, 18944 che poca gente più ci si disira. 18945 18946 E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni 18947 per la corona che già v’è sù posta, 18948 prima che tu a queste nozze ceni, 18949 18950 sederà l’alma, che fia giù agosta, 18951 de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia 18952 verrà in prima ch’ella sia disposta. 18953 18954 La cieca cupidigia che v’ammalia 18955 simili fatti v’ha al fantolino 18956 che muor per fame e caccia via la balia. 18957 18958 E fia prefetto nel foro divino 18959 allora tal, che palese e coverto 18960 non anderà con lui per un cammino. 18961 18962 Ma poco poi sarà da Dio sofferto 18963 nel santo officio; ch’el sarà detruso 18964 là dove Simon mago è per suo merto, 18965 18966 e farà quel d’Alagna intrar più giuso». 18967 18968 18969 18970 Paradiso · Canto XXXI 18971 18972 18973 In forma dunque di candida rosa 18974 mi si mostrava la milizia santa 18975 che nel suo sangue Cristo fece sposa; 18976 18977 ma l’altra, che volando vede e canta 18978 la gloria di colui che la ’nnamora 18979 e la bontà che la fece cotanta, 18980 18981 sì come schiera d’ape che s’infiora 18982 una fïata e una si ritorna 18983 là dove suo laboro s’insapora, 18984 18985 nel gran fior discendeva che s’addorna 18986 di tante foglie, e quindi risaliva 18987 là dove ’l süo amor sempre soggiorna. 18988 18989 Le facce tutte avean di fiamma viva 18990 e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, 18991 che nulla neve a quel termine arriva. 18992 18993 Quando scendean nel fior, di banco in banco 18994 porgevan de la pace e de l’ardore 18995 ch’elli acquistavan ventilando il fianco. 18996 18997 Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore 18998 di tanta moltitudine volante 18999 impediva la vista e lo splendore: 19000 19001 ché la luce divina è penetrante 19002 per l’universo secondo ch’è degno, 19003 sì che nulla le puote essere ostante. 19004 19005 Questo sicuro e gaudïoso regno, 19006 frequente in gente antica e in novella, 19007 viso e amore avea tutto ad un segno. 19008 19009 O trina luce che ’n unica stella 19010 scintillando a lor vista, sì li appaga! 19011 guarda qua giuso a la nostra procella! 19012 19013 Se i barbari, venendo da tal plaga 19014 che ciascun giorno d’Elice si cuopra, 19015 rotante col suo figlio ond’ ella è vaga, 19016 19017 veggendo Roma e l’ardüa sua opra, 19018 stupefaciensi, quando Laterano 19019 a le cose mortali andò di sopra; 19020 19021 ïo, che al divino da l’umano, 19022 a l’etterno dal tempo era venuto, 19023 e di Fiorenza in popol giusto e sano, 19024 19025 di che stupor dovea esser compiuto! 19026 Certo tra esso e ’l gaudio mi facea 19027 libito non udire e starmi muto. 19028 19029 E quasi peregrin che si ricrea 19030 nel tempio del suo voto riguardando, 19031 e spera già ridir com’ ello stea, 19032 19033 su per la viva luce passeggiando, 19034 menava ïo li occhi per li gradi, 19035 mo sù, mo giù e mo recirculando. 19036 19037 Vedëa visi a carità süadi, 19038 d’altrui lume fregiati e di suo riso, 19039 e atti ornati di tutte onestadi. 19040 19041 La forma general di paradiso 19042 già tutta mïo sguardo avea compresa, 19043 in nulla parte ancor fermato fiso; 19044 19045 e volgeami con voglia rïaccesa 19046 per domandar la mia donna di cose 19047 di che la mente mia era sospesa. 19048 19049 Uno intendëa, e altro mi rispuose: 19050 credea veder Beatrice e vidi un sene 19051 vestito con le genti glorïose. 19052 19053 Diffuso era per li occhi e per le gene 19054 di benigna letizia, in atto pio 19055 quale a tenero padre si convene. 19056 19057 E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io. 19058 Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro 19059 mosse Beatrice me del loco mio; 19060 19061 e se riguardi sù nel terzo giro 19062 dal sommo grado, tu la rivedrai 19063 nel trono che suoi merti le sortiro». 19064 19065 Sanza risponder, li occhi sù levai, 19066 e vidi lei che si facea corona 19067 reflettendo da sé li etterni rai. 19068 19069 Da quella regïon che più sù tona 19070 occhio mortale alcun tanto non dista, 19071 qualunque in mare più giù s’abbandona, 19072 19073 quanto lì da Beatrice la mia vista; 19074 ma nulla mi facea, ché süa effige 19075 non discendëa a me per mezzo mista. 19076 19077 «O donna in cui la mia speranza vige, 19078 e che soffristi per la mia salute 19079 in inferno lasciar le tue vestige, 19080 19081 di tante cose quant’ i’ ho vedute, 19082 dal tuo podere e da la tua bontate 19083 riconosco la grazia e la virtute. 19084 19085 Tu m’hai di servo tratto a libertate 19086 per tutte quelle vie, per tutt’ i modi 19087 che di ciò fare avei la potestate. 19088 19089 La tua magnificenza in me custodi, 19090 sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana, 19091 piacente a te dal corpo si disnodi». 19092 19093 Così orai; e quella, sì lontana 19094 come parea, sorrise e riguardommi; 19095 poi si tornò a l’etterna fontana. 19096 19097 E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi 19098 perfettamente», disse, «il tuo cammino, 19099 a che priego e amor santo mandommi, 19100 19101 vola con li occhi per questo giardino; 19102 ché veder lui t’acconcerà lo sguardo 19103 più al montar per lo raggio divino. 19104 19105 E la regina del cielo, ond’ ïo ardo 19106 tutto d’amor, ne farà ogne grazia, 19107 però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo». 19108 19109 Qual è colui che forse di Croazia 19110 viene a veder la Veronica nostra, 19111 che per l’antica fame non sen sazia, 19112 19113 ma dice nel pensier, fin che si mostra: 19114 ‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, 19115 or fu sì fatta la sembianza vostra?’; 19116 19117 tal era io mirando la vivace 19118 carità di colui che ’n questo mondo, 19119 contemplando, gustò di quella pace. 19120 19121 «Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo», 19122 cominciò elli, «non ti sarà noto, 19123 tenendo li occhi pur qua giù al fondo; 19124 19125 ma guarda i cerchi infino al più remoto, 19126 tanto che veggi seder la regina 19127 cui questo regno è suddito e devoto». 19128 19129 Io levai li occhi; e come da mattina 19130 la parte orïental de l’orizzonte 19131 soverchia quella dove ’l sol declina, 19132 19133 così, quasi di valle andando a monte 19134 con li occhi, vidi parte ne lo stremo 19135 vincer di lume tutta l’altra fronte. 19136 19137 E come quivi ove s’aspetta il temo 19138 che mal guidò Fetonte, più s’infiamma, 19139 e quinci e quindi il lume si fa scemo, 19140 19141 così quella pacifica oriafiamma 19142 nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte 19143 per igual modo allentava la fiamma; 19144 19145 e a quel mezzo, con le penne sparte, 19146 vid’ io più di mille angeli festanti, 19147 ciascun distinto di fulgore e d’arte. 19148 19149 Vidi a lor giochi quivi e a lor canti 19150 ridere una bellezza, che letizia 19151 era ne li occhi a tutti li altri santi; 19152 19153 e s’io avessi in dir tanta divizia 19154 quanta ad imaginar, non ardirei 19155 lo minimo tentar di sua delizia. 19156 19157 Bernardo, come vide li occhi miei 19158 nel caldo suo caler fissi e attenti, 19159 li suoi con tanto affetto volse a lei, 19160 19161 che ’ miei di rimirar fé più ardenti. 19162 19163 19164 19165 Paradiso · Canto XXXII 19166 19167 19168 Affetto al suo piacer, quel contemplante 19169 libero officio di dottore assunse, 19170 e cominciò queste parole sante: 19171 19172 «La piaga che Maria richiuse e unse, 19173 quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi 19174 è colei che l’aperse e che la punse. 19175 19176 Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, 19177 siede Rachel di sotto da costei 19178 con Bëatrice, sì come tu vedi. 19179 19180 Sarra e Rebecca, Iudìt e colei 19181 che fu bisava al cantor che per doglia 19182 del fallo disse ‘Miserere mei’, 19183 19184 puoi tu veder così di soglia in soglia 19185 giù digradar, com’ io ch’a proprio nome 19186 vo per la rosa giù di foglia in foglia. 19187 19188 E dal settimo grado in giù, sì come 19189 infino ad esso, succedono Ebree, 19190 dirimendo del fior tutte le chiome; 19191 19192 perché, secondo lo sguardo che fée 19193 la fede in Cristo, queste sono il muro 19194 a che si parton le sacre scalee. 19195 19196 Da questa parte onde ’l fiore è maturo 19197 di tutte le sue foglie, sono assisi 19198 quei che credettero in Cristo venturo; 19199 19200 da l’altra parte onde sono intercisi 19201 di vòti i semicirculi, si stanno 19202 quei ch’a Cristo venuto ebber li visi. 19203 19204 E come quinci il glorïoso scanno 19205 de la donna del cielo e li altri scanni 19206 di sotto lui cotanta cerna fanno, 19207 19208 così di contra quel del gran Giovanni, 19209 che sempre santo ’l diserto e ’l martiro 19210 sofferse, e poi l’inferno da due anni; 19211 19212 e sotto lui così cerner sortiro 19213 Francesco, Benedetto e Augustino 19214 e altri fin qua giù di giro in giro. 19215 19216 Or mira l’alto proveder divino: 19217 ché l’uno e l’altro aspetto de la fede 19218 igualmente empierà questo giardino. 19219 19220 E sappi che dal grado in giù che fiede 19221 a mezzo il tratto le due discrezioni, 19222 per nullo proprio merito si siede, 19223 19224 ma per l’altrui, con certe condizioni: 19225 ché tutti questi son spiriti ascolti 19226 prima ch’avesser vere elezïoni. 19227 19228 Ben te ne puoi accorger per li volti 19229 e anche per le voci püerili, 19230 se tu li guardi bene e se li ascolti. 19231 19232 Or dubbi tu e dubitando sili; 19233 ma io discioglierò ’l forte legame 19234 in che ti stringon li pensier sottili. 19235 19236 Dentro a l’ampiezza di questo reame 19237 casüal punto non puote aver sito, 19238 se non come tristizia o sete o fame: 19239 19240 ché per etterna legge è stabilito 19241 quantunque vedi, sì che giustamente 19242 ci si risponde da l’anello al dito; 19243 19244 e però questa festinata gente 19245 a vera vita non è sine causa 19246 intra sé qui più e meno eccellente. 19247 19248 Lo rege per cui questo regno pausa 19249 in tanto amore e in tanto diletto, 19250 che nulla volontà è di più ausa, 19251 19252 le menti tutte nel suo lieto aspetto 19253 creando, a suo piacer di grazia dota 19254 diversamente; e qui basti l’effetto. 19255 19256 E ciò espresso e chiaro vi si nota 19257 ne la Scrittura santa in quei gemelli 19258 che ne la madre ebber l’ira commota. 19259 19260 Però, secondo il color d’i capelli, 19261 di cotal grazia l’altissimo lume 19262 degnamente convien che s’incappelli. 19263 19264 Dunque, sanza mercé di lor costume, 19265 locati son per gradi differenti, 19266 sol differendo nel primiero acume. 19267 19268 Bastavasi ne’ secoli recenti 19269 con l’innocenza, per aver salute, 19270 solamente la fede d’i parenti; 19271 19272 poi che le prime etadi fuor compiute, 19273 convenne ai maschi a l’innocenti penne 19274 per circuncidere acquistar virtute; 19275 19276 ma poi che ’l tempo de la grazia venne, 19277 sanza battesmo perfetto di Cristo 19278 tale innocenza là giù si ritenne. 19279 19280 Riguarda omai ne la faccia che a Cristo 19281 più si somiglia, ché la sua chiarezza 19282 sola ti può disporre a veder Cristo». 19283 19284 Io vidi sopra lei tanta allegrezza 19285 piover, portata ne le menti sante 19286 create a trasvolar per quella altezza, 19287 19288 che quantunque io avea visto davante, 19289 di tanta ammirazion non mi sospese, 19290 né mi mostrò di Dio tanto sembiante; 19291 19292 e quello amor che primo lì discese, 19293 cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’, 19294 dinanzi a lei le sue ali distese. 19295 19296 Rispuose a la divina cantilena 19297 da tutte parti la beata corte, 19298 sì ch’ogne vista sen fé più serena. 19299 19300 «O santo padre, che per me comporte 19301 l’esser qua giù, lasciando il dolce loco 19302 nel qual tu siedi per etterna sorte, 19303 19304 qual è quell’ angel che con tanto gioco 19305 guarda ne li occhi la nostra regina, 19306 innamorato sì che par di foco?». 19307 19308 Così ricorsi ancora a la dottrina 19309 di colui ch’abbelliva di Maria, 19310 come del sole stella mattutina. 19311 19312 Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria 19313 quant’ esser puote in angelo e in alma, 19314 tutta è in lui; e sì volem che sia, 19315 19316 perch’ elli è quelli che portò la palma 19317 giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio 19318 carcar si volse de la nostra salma. 19319 19320 Ma vieni omai con li occhi sì com’ io 19321 andrò parlando, e nota i gran patrici 19322 di questo imperio giustissimo e pio. 19323 19324 Quei due che seggon là sù più felici 19325 per esser propinquissimi ad Agusta, 19326 son d’esta rosa quasi due radici: 19327 19328 colui che da sinistra le s’aggiusta 19329 è il padre per lo cui ardito gusto 19330 l’umana specie tanto amaro gusta; 19331 19332 dal destro vedi quel padre vetusto 19333 di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi 19334 raccomandò di questo fior venusto. 19335 19336 E quei che vide tutti i tempi gravi, 19337 pria che morisse, de la bella sposa 19338 che s’acquistò con la lancia e coi clavi, 19339 19340 siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa 19341 quel duca sotto cui visse di manna 19342 la gente ingrata, mobile e retrosa. 19343 19344 Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna, 19345 tanto contenta di mirar sua figlia, 19346 che non move occhio per cantare osanna; 19347 19348 e contro al maggior padre di famiglia 19349 siede Lucia, che mosse la tua donna 19350 quando chinavi, a rovinar, le ciglia. 19351 19352 Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna, 19353 qui farem punto, come buon sartore 19354 che com’ elli ha del panno fa la gonna; 19355 19356 e drizzeremo li occhi al primo amore, 19357 sì che, guardando verso lui, penètri 19358 quant’ è possibil per lo suo fulgore. 19359 19360 Veramente, ne forse tu t’arretri 19361 movendo l’ali tue, credendo oltrarti, 19362 orando grazia conven che s’impetri 19363 19364 grazia da quella che puote aiutarti; 19365 e tu mi seguirai con l’affezione, 19366 sì che dal dicer mio lo cor non parti». 19367 19368 E cominciò questa santa orazione: 19369 19370 19371 19372 Paradiso · Canto XXXIII 19373 19374 19375 «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, 19376 umile e alta più che creatura, 19377 termine fisso d’etterno consiglio, 19378 19379 tu se’ colei che l’umana natura 19380 nobilitasti sì, che ’l suo fattore 19381 non disdegnò di farsi sua fattura. 19382 19383 Nel ventre tuo si raccese l’amore, 19384 per lo cui caldo ne l’etterna pace 19385 così è germinato questo fiore. 19386 19387 Qui se’ a noi meridïana face 19388 di caritate, e giuso, intra ’ mortali, 19389 se’ di speranza fontana vivace. 19390 19391 Donna, se’ tanto grande e tanto vali, 19392 che qual vuol grazia e a te non ricorre, 19393 sua disïanza vuol volar sanz’ ali. 19394 19395 La tua benignità non pur soccorre 19396 a chi domanda, ma molte fïate 19397 liberamente al dimandar precorre. 19398 19399 In te misericordia, in te pietate, 19400 in te magnificenza, in te s’aduna 19401 quantunque in creatura è di bontate. 19402 19403 Or questi, che da l’infima lacuna 19404 de l’universo infin qui ha vedute 19405 le vite spiritali ad una ad una, 19406 19407 supplica a te, per grazia, di virtute 19408 tanto, che possa con li occhi levarsi 19409 più alto verso l’ultima salute. 19410 19411 E io, che mai per mio veder non arsi 19412 più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi 19413 ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 19414 19415 perché tu ogne nube li disleghi 19416 di sua mortalità co’ prieghi tuoi, 19417 sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. 19418 19419 Ancor ti priego, regina, che puoi 19420 ciò che tu vuoli, che conservi sani, 19421 dopo tanto veder, li affetti suoi. 19422 19423 Vinca tua guardia i movimenti umani: 19424 vedi Beatrice con quanti beati 19425 per li miei prieghi ti chiudon le mani!». 19426 19427 Li occhi da Dio diletti e venerati, 19428 fissi ne l’orator, ne dimostraro 19429 quanto i devoti prieghi le son grati; 19430 19431 indi a l’etterno lume s’addrizzaro, 19432 nel qual non si dee creder che s’invii 19433 per creatura l’occhio tanto chiaro. 19434 19435 E io ch’al fine di tutt’ i disii 19436 appropinquava, sì com’ io dovea, 19437 l’ardor del desiderio in me finii. 19438 19439 Bernardo m’accennava, e sorridea, 19440 perch’ io guardassi suso; ma io era 19441 già per me stesso tal qual ei volea: 19442 19443 ché la mia vista, venendo sincera, 19444 e più e più intrava per lo raggio 19445 de l’alta luce che da sé è vera. 19446 19447 Da quinci innanzi il mio veder fu maggio 19448 che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede, 19449 e cede la memoria a tanto oltraggio. 19450 19451 Qual è colüi che sognando vede, 19452 che dopo ’l sogno la passione impressa 19453 rimane, e l’altro a la mente non riede, 19454 19455 cotal son io, ché quasi tutta cessa 19456 mia visïone, e ancor mi distilla 19457 nel core il dolce che nacque da essa. 19458 19459 Così la neve al sol si disigilla; 19460 così al vento ne le foglie levi 19461 si perdea la sentenza di Sibilla. 19462 19463 O somma luce che tanto ti levi 19464 da’ concetti mortali, a la mia mente 19465 ripresta un poco di quel che parevi, 19466 19467 e fa la lingua mia tanto possente, 19468 ch’una favilla sol de la tua gloria 19469 possa lasciare a la futura gente; 19470 19471 ché, per tornare alquanto a mia memoria 19472 e per sonare un poco in questi versi, 19473 più si conceperà di tua vittoria. 19474 19475 Io credo, per l’acume ch’io soffersi 19476 del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito, 19477 se li occhi miei da lui fossero aversi. 19478 19479 E’ mi ricorda ch’io fui più ardito 19480 per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi 19481 l’aspetto mio col valore infinito. 19482 19483 Oh abbondante grazia ond’ io presunsi 19484 ficcar lo viso per la luce etterna, 19485 tanto che la veduta vi consunsi! 19486 19487 Nel suo profondo vidi che s’interna, 19488 legato con amore in un volume, 19489 ciò che per l’universo si squaderna: 19490 19491 sustanze e accidenti e lor costume 19492 quasi conflati insieme, per tal modo 19493 che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. 19494 19495 La forma universal di questo nodo 19496 credo ch’i’ vidi, perché più di largo, 19497 dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. 19498 19499 Un punto solo m’è maggior letargo 19500 che venticinque secoli a la ’mpresa 19501 che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. 19502 19503 Così la mente mia, tutta sospesa, 19504 mirava fissa, immobile e attenta, 19505 e sempre di mirar faceasi accesa. 19506 19507 A quella luce cotal si diventa, 19508 che volgersi da lei per altro aspetto 19509 è impossibil che mai si consenta; 19510 19511 però che ’l ben, ch’è del volere obietto, 19512 tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella 19513 è defettivo ciò ch’è lì perfetto. 19514 19515 Omai sarà più corta mia favella, 19516 pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante 19517 che bagni ancor la lingua a la mammella. 19518 19519 Non perché più ch’un semplice sembiante 19520 fosse nel vivo lume ch’io mirava, 19521 che tal è sempre qual s’era davante; 19522 19523 ma per la vista che s’avvalorava 19524 in me guardando, una sola parvenza, 19525 mutandom’ io, a me si travagliava. 19526 19527 Ne la profonda e chiara sussistenza 19528 de l’alto lume parvermi tre giri 19529 di tre colori e d’una contenenza; 19530 19531 e l’un da l’altro come iri da iri 19532 parea reflesso, e ’l terzo parea foco 19533 che quinci e quindi igualmente si spiri. 19534 19535 Oh quanto è corto il dire e come fioco 19536 al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, 19537 è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. 19538 19539 O luce etterna che sola in te sidi, 19540 sola t’intendi, e da te intelletta 19541 e intendente te ami e arridi! 19542 19543 Quella circulazion che sì concetta 19544 pareva in te come lume reflesso, 19545 da li occhi miei alquanto circunspetta, 19546 19547 dentro da sé, del suo colore stesso, 19548 mi parve pinta de la nostra effige: 19549 per che ’l mio viso in lei tutto era messo. 19550 19551 Qual è ’l geomètra che tutto s’affige 19552 per misurar lo cerchio, e non ritrova, 19553 pensando, quel principio ond’ elli indige, 19554 19555 tal era io a quella vista nova: 19556 veder voleva come si convenne 19557 l’imago al cerchio e come vi s’indova; 19558 19559 ma non eran da ciò le proprie penne: 19560 se non che la mia mente fu percossa 19561 da un fulgore in che sua voglia venne. 19562 19563 A l’alta fantasia qui mancò possa; 19564 ma già volgeva il mio disio e ’l velle, 19565 sì come rota ch’igualmente è mossa, 19566 19567 l’amor che move il sole e l’altre stelle.